25 La caccia selvaggia

Lydea era stata esposta ai pericoli della sua ignoranza per la maggior parte di quella mattina, in biblioteca, sotto la sorveglianza di guardie che sembravano disposte a mozzarle la testa per una parola sbagliata, e ringraziava il cielo per la voce pacata della maestra Spina. Sedeva il più possibile vicino a Kyel, ma non osava toccarlo; non aveva idea di cosa vedesse la Perla Nera attraverso quegli occhi duri fissi su di loro. Il bambino sembrava sentire la sua tensione. Non le aveva ancora domandato dove fosse Ducon, o perché lei si limitasse a leggergli libri di storia e non gli insegnasse parole in altre lingue. La giovane sfidò le guardie immobili e silenziose tra gli scaffali passando a Semplici Regole di Aritmetica. Si stava sforzando, con i modi misurati della maestra Spina, di rendere comprensibili quei concetti a Kyel, quando Domina Pearl entrò dalla porta come un furioso vortice di vento.

La sua comparsa così improvvisa sconcertò la maestra Spina, che aspirò quell’aria polverosa e tossì piano, alzandosi. La Perla Nera aveva l’aria di aver trascorso la notte in bianco, e di non essersi ancora vestita del tutto, cosa strana per lei, anche se non rimase in biblioteca abbastanza a lungo perché Lydea potesse osservarla meglio. In una mano aveva un disegno su un foglio, accartocciato, e porse l’altra a Kyel con fare perentorio.

«Venite, mio signore. Basta così, maestra Spina. Potete ritirarvi.»

Il pollice di quella mano sembrava raggrinzito e scuro, o sporco. La ragazza lo osservò con stupore, poi s’inchinò in fretta. Kyel prese quella mano senza cambiare espressione e mentre veniva condotto via si voltò a guardare Lydea a occhi spalancati, incerto. Domina Pearl gli sibilò qualcosa; lui abbassò gli occhi al suolo. Le guardie li seguirono fuori.

Meravigliata, Lydea rimise i libri al loro posto sugli scaffali, fuorché quello di aritmetica, che portò con sé in camera. I corridoi erano silenziosi a quell’ora, poco prima del mezzodì, a parte il passaggio delle cameriere cariche di biancheria elegante e colorata, che andavano avanti e indietro tra il mondo superiore dei cortigiani e quello inferiore dei lavori servili. Solo allora le tornò in mente Mag che la stava aspettando nel suo alloggio, e si chiese se la ragazza se ne fosse andata, inquieta com’era.

Neppure l’espressione controllata della maestra Spina poté reggere alla vista delle guardie dal volto granitico appostate nella piccola stanza, che sfoderarono le spade non appena la porta fu aperta. Il libro di aritmetica cadde al suolo. La maestra Spina abbandonò ogni compostezza, sbatté la porta in faccia ai due uomini e fuggì.

Mentre girava l’angolo sentì la porta riaprirsi con un tonfo. Davanti a lei c’erano le scale, ma non osò salire. Era certa che la sua immagine, captata da quegli occhi messi sotto incantesimo, doveva essere passata da mente a mente in tutto il palazzo. Alle sue spalle ci fu il gridolino soffocato di una serva che si gettava da parte per evitare le spade. Gli stivali delle guardie echeggiavano pesanti al suo inseguimento, e la ragazza corse via nell’intreccio di corridoi girando a ogni svolta. Ben presto si accorse, sempre più spaventata, che non riusciva a distanziarle; era come se lei lasciasse una scia d’impronte luminose dietro di sé.

Poi davanti a lei qualcuno si mosse. Vide una testa bianca apparire sopra il bordo di un’urna grottescamente fuori misura, che ostruiva quasi del tutto il passaggio in un’anticamera.

«Ducon», ansimò, senza fiato. Lui si voltò a guardarla, poi scomparve. Il rapido scalpiccio degli inseguitori ormai vicini le strappò un gemito disperato e inorridito. Con una contorsione balzò di lato, aggirando la grande urna, e solo allora vide la porticina che il giovane aveva lasciato aperta dietro di essa.

Si tuffò in quel piccolo vano, chiudendo subito il battente. La debole luce di una candela poco distante le mostrò che si trovava in un corridoio stretto e vuoto; Ducon non si vedeva da nessuna parte. Forse, pensò stordita, l’uomo che ho visto non era Ducon, bensì il fantomatico individuo a lui tanto simile. Dopo essersi tolta le scarpe, riprese a fuggire in silenzio fino alla svolta più vicina, poi su per una rampa di scale, addentrandosi senza stare a pensarci nelle profondità dei passaggi segreti del palazzo.

In cima alle scale fece una pausa per riprendere fiato, col cuore che le batteva forte nel petto. Dall’altra parte del muro udì delle voci, in distanza, e alcune grida. Non poteva sperare che le guardie non conoscessero quei cunicoli nascosti, e che non sarebbero entrate a cercarla. Non appena ne ebbe la forza, riprese ad allontanarsi, ansimando come un mantice, tristemente consapevole che stavolta Mag non sarebbe apparsa dal niente per proteggerla durante la sua fuga alla cieca.

La Perla Nera doveva aver annusato la presenza di Mag in qualche modo stregonesco, e lasciato le sue guardie nella stanza per catturare eventuali complici.

Lydea salì un’altra rampa di scale, questa ornata da quadri chiusi in ricche cornici, ma così anneriti che non avrebbe saputo dire se rappresentavano volti umani o paesaggi. Il corrimano era intarsiato di foglie dorate, e sostenuto da una ringhiera in legno nero. In cima alle scale, i candelieri appesi al muro erano in porcellana dipinta. A un tratto un pensiero stupito l’assalì: lì dentro c’erano candele accese dappertutto. Era possibile che qualcuno la stava precedendo e aveva acceso le candele per agevolarle un percorso?

In fondo al corridoio qualcosa si mosse. Lydea si fermò di colpo. Poi la maestra Spina, riprendendo il sopravvento, allungò una mano a prendere una candela accesa. Mentre avanzava in quella debole luce intravide una forma indistinguibile. Lei si aspettava le guardie, e faticò a capire cosa fosse. Da una porta che si era aperta sbucò un braccio nelle cui mani c’erano alcuni fogli di carta, poi apparve una piccola testa bruna.

Il suo cuore ebbe un sussulto. Le sfuggì un suono incoerente, mentre, senza esitazioni la figuretta chiuse la porta e le venne incontro.

Lydea si chinò ad abbracciarlo e lui le si aggrappò al collo senza parlare, ansimando qualche lieve gemito. La ragazza lo strinse a sé perdutamente, con gli occhi accecati dalle lacrime. Intorno a loro, oltre i muri, il palazzo mormorava i suoi soliti rumori, ancora non disturbato dalla scomparsa del giovane principe, che doveva esser stato lasciato solo — o così lei suppose — a fare un pisolino.

Tenendolo in braccio, Lydea salì un’altra rampa di scale per allontanarsi dalla camera del bambino, finché aveva la forza di camminare ancora. Poi entrò nella prima stanza che le capitò, un’antica sala da ballo a giudicare dalle sue dimensioni, vuota a parte una dozzina di poltrone che perdevano l’imbottitura da molti buchi, dove i topi avevano fatto il nido.

Mise giù Kyel e sedette sul pavimento, per riprendere fiato. Lui le si chinò accanto.

«Lydea», sussurrò. «Lydea.»

La ragazza si asciugò il volto con una manica e lo baciò. Tenendolo tra le braccia era consapevole di quello che sarebbe stato il suo destino se l’avessero sorpresa a fuggire insieme al principe di Ombria, ma sapeva anche che non l’avrebbe lasciato un’istante di più in quel palazzo dove regnava la morte.

«Dove possiamo andare?» domandò lui, facendo eco ai suoi pensieri.

«Be’», sussurrò lei. «Come siamo saliti, possiamo scendere. Andremo nelle cantine del palazzo, e da lì fuggiremo nella sottocittà.»

«Ducon è andato su.»

«Cosa?»

«Quando mi ha preso con sé, dopo la morte di mio padre. Lui andava sempre su.»

«Dunque conosce questo posto», esclamò lei, con ravvivata speranza. «Forse verrà qui a cercarci, e ci aiuterà.»

«Lui cercherà di sopra» insisté Kyel, alzando lo sguardo al soffitto decorato con personaggi in abiti molto elaborati che danzavano sulle nuvole.

«Allora vuol dire che andremo lassù», annuì Lydea, sfiorandogli i capelli con un bacio. «E se lui non ci troverà, torneremo giù.»

Lui si fece indietro per guardarla in faccia. «Dov’è la maestra Spina?»

«È ancora qui. Si nasconde da tutti, fuorché da te.»

Lui appoggiò ancora la fronte alla sua. Lydea gli accarezzò i capelli e cercò di riflettere.

Загрузка...