23

Qualcuno aveva suonato alla porta del laboratorio. Kyle lasciò la poltroncina dinanzi al quadro controllo di Cita e andò ad aprire.

Un individuo alto, spigoloso, di razza bianca, attendeva in corridoio. — Il professor Graves? — domandò.

— Sì? — rispose Kyle.

— Simon Cash — si presentò l’uomo. — Grazie per aver accettato di ricevermi.

— Ah, giusto, me n’ero dimenticato. Venga, venga. — Si scansò per lasciar entrare Cash, poi tornò alla sua poltroncina e fece segno al visitatore di accomodarsi.

— So che è molto occupato — esordì Cash — quindi non sprecherò tempo in preliminari. Vorremmo che lei accettasse di lavorare per noi.

— Noi?

— L’Associazione Bancaria Nordamericana.

— Sì, sì, me l’aveva detto al telefono. Certo che un banchiere di nome Cash… chissà quante battute le toccherà sentire.

— Lei è il primo — replicò l’altro senza scomporsi.

— Io però non sono un banchiere — sottolineò Kyle leggermente innervosito. — Per quale curioso motivo dovreste mai interessarvi a me?

— Vorremmo averla a lavorare nella nostra divisione sicurezza.

Kyle allargò le braccia. — Ancora non capisco.

— Mi riconosce? — domandò Cash.

— No, mi spiace. Ci siamo già incontrati?

— In un certo senso. Ero presente l’anno scorso alla sua conferenza sul calcolo quantico durante il convegno sull’Intelligenza Artificiale a San Antonio.

Kyle scosse la testa. — Dolente, ma proprio non ricordo. Lei mi rivolse qualche domanda?

— No. Non faccio mai domande. Vengo pagato per ascoltare e basta. Ascoltare e riferire.

— E perché, ripeto, l’Associazione Bancaria dovrebbe occuparsi di me?

Cash mise una mano in tasca. Per un tenibile istante a Kyle balenò la folle idea che stesse per brandire una pistola. Ma Cash si limitò a tirar fuori il portafoglio e ad estrarne una carta SmartCash.

— Mi dica, per favore, quanto denaro c’è su questa carta.

Kyle prese la carta e la premette forte fra il pollice e l’indice, provocando l’accensione del piccolo display. — Cinquecentosette dollari e sedici centesimi — disse, leggendo la cifra.

Cash annuì. — Ho versato l’importo prima di venire qui, e c’è un motivo preciso per la scelta di quella cifra. Si tratta della somma posseduta in media da ciascun nordamericano adulto sulla propria carta di credito. L’intero sistema delle transazioni senza contante, che interessa gran parte della nostra società, è basato sulla sicurezza di queste carte.

Kyle annuì; incominciava a capire dove Cash volesse andare a parare.

— Ricorda il cosiddetto “problema dell’anno duemila”? — continuò l’altro. — Credo, a proposito, che noi banchieri dovremmo assumercene tutta la responsabilità. Eravamo stati noi a mettere in circolazione miliardi di assegni cartacei col “19” della data prestampato. Eravamo stati noi a propugnare il concetto dell’anno a due cifre e ad abituare la gente a usarlo nella vita quotidiana. A ogni modo, come lei ben sa, costò miliardi evitare che una catastrofe senza precedenti ci travolgesse tutti un secondo dopo le 23.59.59 del 31 dicembre 1999. — Tacque aspettando un commento da Kyle, il quale si limitò ad annuire.

— Bene, il problema che abbiamo di fronte adesso è infinitamente peggiore. In giro per il mondo ci sono trilioni di dollari che esistono solamente sotto forma di dati immagazzinati nelle carte di credito. Il nostro intero sistema finanziario è basato sull’integrità di queste carte. — Fece una pausa per respirare a fondo. — Vede, quando le carte vennero ideate, ci trovavamo ancora in piena guerra fredda. Noi, cioè il mondo delle banche, ci preoccupavamo di quel che sarebbe avvenuto se una bomba atomica fosse caduta sugli Stati Uniti o in Canada, oppure in Europa, dove cominciarono ad adottare le carte di credito ancor prima che da noi. Eravamo terrorizzati al pensiero che gli impulsi elettromagnetici potessero cancellare la memoria delle carte… distruggendo in un colpo solo tutto quel denaro. Così progettammo le nostre carte in modo da farle sopravvivere persino a un’eventualità del genere. Ma adesso si è presentata una minaccia ancora peggiore della bomba atomica, e questa minaccia viene da lei, professor Graves.

Kyle, che intanto aveva giocherellato con la carta di Cash picchiettandone a turno i bordi sulla scrivania, s’interruppe e gliela rimise davanti. — Dovreste usare una codifica tipo RSA.

— L’abbiamo fatto sin dal primo giorno e adesso è prassi consolidata in tutto il mondo. Ma il suo elaboratore quantico, se davvero riuscirà a costruirlo, renderà ciascuna degli undici miliardi di carte di credito in uso sul pianeta suscettibile di manomissione. Un certo utente potrebbe impadronirsi di tutto il denaro di un altro utente durante un normale trasferimento da carta a carta, oppure potrebbe semplicemente alterare la propria carta immettendovi qualunque cifra desiderata sino al massimo consentito, facendo apparire il denaro dal nulla.

Kyle ci pensò qualche istante, prima di replicare. — Questa non è una proposta di lavoro. A voialtri interessa soltanto seppellire le mie ricerche.

— Professor Graves, siamo pronti a farle un’offerta molto generosa. Qualunque cifra lei riceva dall’UDT, la raddoppieremo, pagandola in dollari americani. Disporrà di un laboratorio all’avanguardia in qualunque città del Nordamerica scelga per viverci. Le forniremo tutto il personale che vorrà e lei potrà svolgere ricerche a suo piacimento.

— Solo che non potrò pubblicarne nulla, vero?

— Le chiederemmo di firmare un IES, si capisce. Ma di questi tempi, ne converrà, la maggior parte della ricerca è in mano a privati. E chi produce elaboratori o medicinali non regala certo i propri segreti. Posso comunque assicurarle che inizieremo a cercare un’alternativa sicura al sistema di codifica impiegato finora, cosicché prima o poi lei sarà egualmente in grado di pubblicare il suo lavoro.

— Non lo so. Voglio dire, la ricerca che sto conducendo potrebbe anche farmi entrare in lizza per il Nobel.

Cash annuì, come se non intendesse affatto metterlo in dubbio. — Il riconoscimento in denaro che accompagna l’assegnazione del Nobel equivale attualmente a 3,7 milioni di dollari canadesi. Sono autorizzato a offrirle tale somma come premio di sottoscrizione.

— È una pazzia — commentò Kyle.

— No, professor Graves. Sono solo affari.

— Ci dovrò riflettere.

— Naturalmente, naturalmente. Ne parli con sua moglie Heather.

Sentendola nominare, Kyle provò un tuffo al cuore. Cash sorrise freddamente, mantenendo l’espressione per diversi secondi.

— Conosce mia moglie? — domandò Kyle.

— Personalmente no. Ma ho letto approfondite informative su entrambi. So che lavoro fa. So che ha due anni meno di lei. So che vi siete sposati il dodici settembre del novantacinque. So che attualmente siete separati. E ovviamente so anche tutto di Rebecca. — Sorrise di nuovo. — Cerchi di decidersi in fretta, professore.

Poi se ne andò.


Heather, fluttuando nello psicospazio, cercava di mantenere l’equilibrio, conservare la lucidità, applicare il ragionamento.

Era tutto così sconvolgente, tutto così incredibile.

Ma come procedere?

Dopo un bel respiro profondo, decise di provare innanzitutto col sistema più diretto.

— Mostrami Kyle. Non accadde nulla.

— Kyle Graves — ritentò. Ancora niente.

— Brian Kyle Graves.

Come non detto. C’era da aspettarselo. Sarebbe stato troppo facile.

Cercò di concentrarsi sul volto di lui, evocandone un’immagine mentale.

Niente da fare.

Heather sospirò.

Sette miliardi di scelte. Anche se fosse riuscita a comprendere come stabilire un contatto con gli esagoni, avrebbe potuto consumare il resto della vita in tentativi a casaccio.

La prossima mossa, a rigor di logica, doveva necessariamente consistere nell’avvicinarsi agli esagoni e toccare una di quelle figure luminose. Dandosi una spinta con le braccia, puntò verso la parete curvilinea in cui s’incastonavano le gemme a sei lati.

Sebbene fosse ancora piuttosto lontana, sebbene gli esagoni fossero così tanti che non avrebbe dovuto poterli discernere singolarmente, riusciva invece a distinguerli uno a uno.

Un’illusione percettiva, dunque, un trucco per affrontare la sovrabbondanza d’informazione.

Andava senza dubbio avvicinandosi, tuttavia si rese conto che in apparenza non si stava avvicinando affatto. Gli esagoni situati al centro del campo visivo rimpicciolivano infatti man mano che la distanza diminuiva, mentre quelli periferici si riducevano a una spettrale nebulosità.

Continuò a spostarsi gradualmente attraverso lo spazio, seguendo un’invisibile corrente, riducendo la distanza.

Sempre più vicina.

Finché non raggiunse la parete.

Ciascuna celletta esagonale presentava adesso una larghezza di circa un centimetro e mezzo, non più grande di un tasto, come se l’intera struttura altro non fosse, appunto, che un’immensa tastiera. Mentre guardava, ciascuna delle aree esagonali si ritrasse leggermente formando una superficie concava, incoraggiando il contatto delle sue dita.

Heather, rinserrata nel manufatto centauriano, respirò profondamente.

Sospesa nello psicospazio, sentì un formicolio sull’invisibile indice proteso, come fosse saturo di energia pronta a scaricarsi. Accostò il dito, quasi aspettandosi che scoccasse una scintilla a colmare il varco sino al più vicino tasto esagonale. Ma l’energia continuò, senza erompere, ad accumularsi in lei.

Mancavano cinque centimetri.

Poi quattro.

Ora tre.

Solo due.

Uno.

E, infine…

Contatto.

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