Heather chiamò Kyle e gli chiese di passare da casa.
Lui arrivò verso le otto, dopo che avevano entrambi cenato per conto proprio, e si accomodò sul divano. Heather prese posto nella poltrona di fronte, trasse un profondo respiro domandandosi da che parte incominciare, poi semplicemente si buttò. — Credo che possa trattarsi di un caso di sindrome da falso ricordo.
— Ah — commentò Kyle con aria saputa. — La famosa SFR…
Conoscendolo, Heather non si lasciò incantare. — Non hai la minima idea di quel che sto dicendo, vero?
— Confesso la mia ignoranza.
— E i ricordi rimossi lo sai che cosa sono… almeno in teoria?
— Dunque, ricordi rimossi… be’, sì, certo, ne ho sentito parlare. Devono essere stati al centro di qualche processo, sbaglio?
Heather annuì. — Non sbagli. Il primo caso risale a un mucchio di tempo fa, roba del… sì, dell’Ottantanove o giù di lì. C’era di mezzo una donna che si chiamava… fammici pensare. Una volta ne parlai a lezione, tra un momento mi ritorna. Ah, ecco, sì, una donna di nome Eileen Franklin, ventotto o ventinove anni, dichiarò di essersi ricordata all’improvviso di avere assistito, vent’anni prima, allo stupro e all’uccisione della sua migliore amica. Dunque, quanto alla violenza sessuale seguita da omicidio si trattava di fatti assodati, dato che il corpo era stato rinvenuto poco dopo il delitto. Ma la cosa sbalorditiva fu che Eileen non solo rammentò di punto in bianco di aver veduto commettere il crimine, ma ricordò anche, d’un tratto, l’identità del colpevole… suo padre.
Sul volto di Kyle era evidente la sorpresa. — E a quell’uomo cosa accadde?
— Lo condannarono, anche se poi la sentenza venne riformata facendo leva su un cavillo legale.
— Ma inizialmente fu dichiarato colpevole in base a prove di fatto o alla sola testimonianza della figlia?
Heather si strinse leggermente nelle spalle. — Punti di vista. Riguardo alle modalità del crimine, Eileen sembrava a conoscenza di particolari che non erano di dominio pubblico. Il che venne ascritto a prova della colpevolezza paterna. Ma successive indagini mostrarono che gran parte dei dettagli apparentemente determinanti erano stati in effetti riportati dalla stampa all’epoca del delitto. Non che Eileen avesse letto quei giornali all’età di otto o nove anni, ovviamente, però poteva benissimo averli consultati successivamente in qualche biblioteca. — Mordicchiandosi il labbro inferiore, Heather dipanò il filo della memoria a perfezionare il quadro. — Aspetta, però, ora che ci penso, alcuni dei particolari riferiti da Eileen non solo erano già apparsi nei resoconti giornalistici, ma erano stati oltretutto riportati in maniera scorretta.
Kyle parve confuso. — Come sarebbe?
— Eileen ricordava, o sosteneva di ricordare, anche alcune cose che si rivelarono false. Per esempio, la ragazzina uccisa portava due anelli, uno d’argento e uno d’oro. Soltanto quello d’oro aveva una pietra incastonata, ma uno dei giornali scrisse invece che la pietra stava sull’anello d’argento… il che corrisponde esattamente a quanto detto da Eileen allorché parlò del delitto alla polizia. — Heather sollevò una mano come a prevenire obiezioni. — Si tratta, naturalmente, di un dettaglio insignificante e chiunque estragga dalla propria memoria vicende di tanti anni prima è probabile che confonda un po’ certi particolari.
— Comunque avevi cominciato parlando di ricordi falsi, non di ricordi rimossi.
— Be’, o sono in un modo o sono nell’altro, e proprio lì sta il problema. Gli psicologi ci si accapigliano da decenni, sulla questione se sia possibile o no rimuovere il ricordo di un’esperienza traumatica. Di per sé, il concetto di rimozione è roba vecchia e risaputa. Anzi, diciamo pure che è il fondamento della psicanalisi: basta costringere i pensieri rimossi a emergere in piena luce ed ecco che le tue nevrosi svaniscono come neve al sole. Però milioni di persone che hanno vissuto situazioni traumatiche sostengono che il problema è esattamente l’opposto: esse non dimenticano mai quello che gli è accaduto… — Abbassò lo sguardo e soggiunse: — Io di certo non ho mai dimenticato, e mai potrò dimenticare, la visione di Mary distesa esanime sul pavimento del bagno.
Kyle annuì lentamente. — Nemmeno io — disse con voce sommessa.
Heather si concesse qualche istante di silenzio per riprendersi d’animo, poi continuò. — Ci sono eventi… come una guerra, un incidente d’auto, persino la morte di un figlio… che possono venir considerati abbastanza comuni. Non si tratta di fatti inconcepibili. In pratica, qualunque genitore normale sta in ansia, se pensa a tutto quello che può succedere ai propri figli. Ma come la mettiamo se accade qualcosa di talmente inatteso, di così fuori dell’ordinario, di sconvolgente a tal punto che la ragione umana non è semplicemente in grado di affrontarlo? Come reagisce, in tal caso, la mente? Forse, davvero, innalzando una barriera per difendersi dall’intollerabile. Così per lo meno credono alcuni psichiatri e un numero incalcolabile di presunte vittime d’incesto. D’altra parte…
Kyle la fissò interrogativo. — D’altra parte?
— Ecco, secondo molti psicologi ciò non può assolutamente verificarsi in quanto i meccanismi della rimozione, semplicemente, non esistono… cosicché, quando ricordi traumatici compaiono d’improvviso a distanza di anni, o addirittura decenni, dal supposto evento scatenante, si tratta necessariamente di falsi ricordi. In psicologia se ne discute da più di trent’anni e ancora non esiste una risposta convincente.
Kyle respirò a fondo, cercando di raccapezzarcisi. — Insomma, quale sarebbe la conclusione? Che gli esseri umani riescono a liberarsi del ricordo di esperienze traumatiche effettivamente vissute… o che, al contrario, possiamo rammentare distintamente cose mai avvenute?
Heather annuì. — Lo so, nessuna delle due è una prospettiva allettante. Qualunque si decida di accettare… e, bada bene, non si può scartare l’eventualità che possano entrambi verificarsi, in momenti diversi… la conclusione è che i nostri ricordi, il nostro senso di identità e la percezione del nostro ruolo nel mondo sono molto più evanescenti e inattendibili di quanto ci piacerebbe credere.
— Be’, io se non altro so per certo che i ricordi di Becky sono fasulli. Ma quello che proprio non riesco a capire è da dove provengano, simili ricordi.
— Secondo la teoria più diffusa, sono stati inculcati.
— Inculcati? — Kyle ripeté il vocabolo in tono esitante, come se fosse la prima volta che lo udiva pronunciare.
Heather annuì. — Nella pratica terapeutica ho personalmente assistito alla dimostrazione del principio basilare con dei bambini. Un bambino viene a trovarti tutti i giorni, per una settimana. Il primo giorno gli chiedi com’è andata all’ospedale dopo che si è tagliato un dito. Lui ti risponde: “Ma io non ci sono mica stato all’ospedale”. Ed è vero, non c’è stato. Tu però glielo chiedi un’altra volta il giorno dopo, e di nuovo il giorno successivo, e così via. Alla fine della settimana il bambino è convinto di essere stato sul serio all’ospedale. Sarà anche in grado di fornirti un resoconto minuzioso e coerente della sua trasferta ospedaliera e crederà in assoluta buonafede che tutto ciò sia davvero accaduto. I ricordi possono essere inculcati anche solo tramite l’evocazione, più volte reiterata, di fatti e di idee. Se poi un analista amplifica l’effetto tramite ipnosi, è capace di creare falsi ricordi saldi come la roccia.
— Ma perché mai un analista dovrebbe fare una cosa del genere?
Scura in volto, Heather rispose senza esitazioni. — Per citare una vecchia battuta dell’istituto di Psicologia, molte strade conducono alla salute mentale, ma nessuna è redditizia quanto l’analisi freudiana.
Kyle sembrava piuttosto perplesso. Rimase in silenzio per parecchi secondi, apparentemente incerto sull’opportunità o meno di rivolgerle un’altra domanda. Alla fine si decise. — Senti, non per essere polemico, ma il tuo sostegno alla mia innocenza non mi risulta del tutto chiaro. Ti spiacerebbe spiegarmi esattamente perché ritieni che i ricordi di Becky potrebbero essere falsi?
— Perché la sua analista ha insistito a dire che anch’io sarei stata molestata da mio padre.
— Ah — disse Kyle. E poi: — Ah.