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Heather Davis bevve un sorso di caffè e guardò l’orologio di ottone sulla mensola del caminetto. Sua figlia Rebecca, diciannove anni, aveva promesso di esser lì per le otto, ed erano già le otto e venti.

Becky non poteva certo ignorare quanto la situazione fosse imbarazzante. Aveva chiesto un incontro coi propri genitori, tutti e due contemporaneamente. Il fatto che Heather Davis e Kyle Graves fossero separati ormai da quasi un anno doveva apparirle trascurabile. Si sarebbero potuti incontrare in un ristorante, e invece no, Heather aveva proposto la casa, quella in cui lei e Kyle avevano allevato Becky e sua sorella maggiore Mary, la stessa casa che Kyle aveva lasciato l’agosto scorso. Ma adesso, col silenzio che si prolungava fra lei e Kyle di minuto in minuto, Heather cominciava a rimpiangere la propria spontanea offerta.

Sebbene non vedesse Becky da quasi quattro mesi, aveva già una mezza idea sulle intenzioni della figlia. Quando si sentivano al telefono, Becky le parlava spesso di Zack, il suo ragazzo. Di sicuro avrebbe annunciato il suo fidanzamento.

Ovviamente Heather avrebbe preferito che sua figlia aspettasse qualche anno ancora, ma d’altra parte non c’era di mezzo l’università, visto che Becky lavorava in un negozio d’abbigliamento sulla Spadina Avenue. Heather e Kyle insegnavano entrambi all’Università di Toronto, lei psicologia, lui informatica. C’erano rimasti male, quando si erano resi conto che Becky non avrebbe proseguito gli studi. Oltretutto, sulla base di un accordo interfacoltà, i figli dei docenti avevano diritto all’esenzione dalle tasse scolastiche. Mary, almeno, ne aveva usufruito per un anno, prima di…

No.

Niente rimpianti, era il momento di festeggiare. Becky stava per sposarsi! Solo questo importava, adesso.

Chissà se era stato Zack a fare la proposta, o se invece l’iniziativa l’aveva presa Becky… Heather ricordava perfettamente quel che le aveva detto Kyle nel chiederla in moglie ventuno anni prima, nel 1996. Le aveva preso la mano, e stringendola forte aveva dichiarato: “Ti amo, e voglio trascorrere il resto della mia vita imparando a conoscerti”.

Heather attendeva seduta in una poltrona superimbottita, mentre Kyle aveva scelto il divano. Si era portato il taccuino elettronico ed era assorto nella lettura. Dati i suoi gusti, probabilmente un romanzo di spionaggio. L’ascesa dell’Iran al rango di superpotenza aveva avuto, per lui, un unico risvolto positivo: una nuova fioritura del thriller internazionale.

Sulla parete color sabbia alle spalle di Kyle campeggiava una stampa fotografica incorniciata appartenente a Heather. Consisteva in una configurazione, casuale all’apparenza, di minuscoli quadratini bianchi e neri: la rappresentazione di uno dei radiomessaggi alieni.

Becky se n’era andata già da nove mesi, subito dopo il diploma, mentre Heather aveva tanto sperato che almeno sua figlia potesse restare ancora un poco a farle compagnia in quella grande casa di periferia, così vuota adesso che Mary e Kyle non c’erano più.

I primi tempi Becky era passata spesso a trovarla, e a sentir Kyle aveva visto anche suo padre con una certa regolarità. Ben presto, però, le visite si erano fatte sempre meno frequenti, sino a cessare del tutto.

Evidentemente Kyle s’era accorto che Heather lo stava osservando. Sollevò lo sguardo dal taccuino elettronico e imbastì un debole sorriso. — Stai tranquilla, tesoro, vedrai che fra poco arriva.

Tesoro. Da undici mesi non vivevano più come marito e moglie, ma i vezzeggiativi di vent’anni sono duri a morire.

Finalmente, poco dopo le otto e mezzo, suonarono alla porta. Heather e Kyle si scambiarono un’occhiata. L’impronta del pollice di Becky era ancora in grado di azionare la serratura… così come, ovviamente, quella di Kyle. Improbabile che a quell’ora potesse capitare qualcun altro: doveva per forza essere Becky. Heather sospirò. Il fatto che Becky non si limitasse semplicemente a entrare enfatizzava i timori di Heather: sua figlia, lì, non si sentiva più a casa.

Heather abbandonò la poltrona, attraversò il soggiorno, scese di sotto, raggiunse la porta d’ingresso, un rapido gesto di entrambe le mani ad accertarsi che i capelli fossero ancora in ordine, quindi girò la maniglia.

Sulla soglia apparve Becky. Volto minuto con zigomi alti, occhi castani, chioma bruna a sfiorare le spalle. Allampanato, biondo e scarruffato le stava accanto il suo ragazzo.

— Ciao, cara — la salutò Heather, e poi, sorridendo al giovanotto, che conosceva appena: — Ciao, Zack.

Becky entrò, e Heather pensò che forse sua figlia avrebbe sostato il tempo sufficiente a darle un bacio, ma la ragazza non lo fece. Zack seguì Becky nell’ingresso, poi tutti e tre salirono in soggiorno, dove Kyle non s’era mosso dal divano.

— Ciao, testolina — disse Kyle alzando lo sguardo. — Salve, Zack.

Sua figlia non lo degnò neppure di un’occhiata. La sua mano cercò quella di Zack, e le loro dita s’intrecciarono.

Heather tornò in poltrona e accennò a Becky e Zack di accomodarsi. Sul divano accanto a Kyle non c’era posto per tutti e due. Becky scelse un’altra poltrona e Zack le rimase accanto in piedi, tenendole una mano sulla spalla sinistra.

— Che piacere, cara, rivederti… — esordì Heather. Poi, accorgendosi che stava per fare un commento su quanto tempo fosse passato dall’ultima volta, richiuse la bocca e tacque.

Becky si volse a guardare Zack. Il labbro inferiore le tremava visibilmente.

— Cara, cosa c’è che non va? — domandò Heather, turbata da quel contegno. Se non era un annuncio di fidanzamento, allora di che si trattava? Forse una malattia? Guai con la polizia? Vide Kyle protendersi leggermente in avanti; anche lui aveva avvertito l’inquietudine di sua figlia.

— Coraggio — la sollecitò Zack. Fu solo un sussurro, ma nella stanza c’era un tale silenzio che Heather sentì benissimo.

Becky resisté qualche attimo ancora. Chiuse gli occhi, poi li riaprì.

— Perché? — pronunziò infine con voce rotta.

— Perché cosa, cara? — disse Heather.

— Non tu — replicò Becky. Il suo sguardo saettò un istante verso il padre, prima di ripiombare a terra. — Lui.

— Perché cosa? — interrogò Kyle a sua volta, non meno perplesso di Heather.

L’orologio sul caminetto batté i tre quarti.

— Perché — insisté Becky, alzando lo sguardo verso suo padre — mi hai…

— Avanti, dillo — la incoraggiò Zack in tono deciso.

Becky inghiottì, esitò un momento, infine sbottò. — Perché hai abusato di me?

Kyle si abbandonò folgorato contro la spalliera del divano. Il taccuino elettronico, appoggiato sul bracciolo, cadde rumorosamente sul pavimento di legno. Kyle era rimasto a bocca aperta. Guardò sua moglie.

Il cuore di Heather batteva all’impazzata. Un’ondata di nausea le montava dentro.

Kyle serrò la bocca, poi la riaprì. — Testolina, ma io non ho mai…

— Non negarlo! — troncò Becky, con voce vibrante di furore: lanciata l’accusa, la diga si era aperta. — Non azzardarti a negarlo.

— Ma, testolina…

— E non chiamarmi testolina. Mi chiamo Rebecca.

Kyle allargò le braccia. — Mi spiace, Rebecca. Non sapevo che ti desse fastidio.

— Maledetto! — prosegui lei. — Come hai potuto farmi una cosa del genere?

— Ti ripeto che non ho mai…

— Non mentire! Per l’amor di Dio, abbi almeno il coraggio di ammetterlo.

— Ma io non ti ho mai… Rebecca, tu sei mia figlia. Non ti ho mai fatto del male.

— E invece sì che mi hai fatto del male. Mi hai rovinato. Me, e anche Mary.

Heather si alzò in piedi. — Becky…

— E anche tu! — urlò Becky. — Tu sapevi quel che ci stava facendo e non hai mosso un dito per impedirlo!

— Non usare quel tono con tua madre — intervenne Kyle severo. — Becky, io non ti ho mai toccato, né te né Mary, e tu lo sai bene.

— Sapevo che avrebbe negato — commentò Zack in tono normale.

— Tu non t’immischiare, maledizione! — lo assalì Kyle.

— Non alzare la voce con lui — disse Becky.

Kyle cercò di mantenere la calma. — È una questione di famiglia. La sua presenza è superflua.

Heather gli gettò un breve sguardo, poi si rivolse alla figlia.

— Becky — iniziò, sforzandosi di parlare in tono pacato. — Ti giuro che…

— Non negare anche tu — tagliò corto Becky.

Heather trasse un respiro lento e profondo, cercando la strada giusta. — Allora, sentiamo — disse. — Raccontami ciò che tu credi sia accaduto.

Il silenzio si protrasse a lungo, mentre Becky sembrava riordinare i pensieri. — Sai benissimo cos’è accaduto — disse infine, con voce ancora palpitante d’accusa. — Lasciava la tua stanza, dopo mezzanotte, e veniva da me o da Mary.

— Becky — intervenne Kyle — non ho mai…

Becky fissò in volto sua madre, poi chiuse gli occhi. — Veniva nella mia stanza, mi faceva togliere la giacca del pigiama, mi… mi accarezzava i seni, e poi… — Non riuscì a continuare. Aprì gli occhi e li puntò di nuovo sulla madre. — Non potevi non sapere — l’accusò. — Devi averlo visto uscire e poi rientrare in camera. E devi avere sentito il suo sudore… il mio odore su di lui… Heather scosse la testa. — Becky, ti prego…

— Non è mai accaduto niente di simile — dichiarò Kyle.

— Inutile stare qui a perdere tempo, se continua a negare — intervenne Zack.

Becky annuì. Tirò fuori dalla borsetta un fazzoletto, si asciugò gli occhi, poi si alzò e si avviò all’uscita. Zack le tenne dietro e Heather li seguì. Anche Kyle si alzò, ma in pochi istanti Becky e Zack scesero le scale e furono all’ingresso.

— Tes… Becky, ti prego — la chiamò Kyle raggiungendoli. — Non ti ho mai fatto niente!

Becky si girò a guardarlo. Aveva gli occhi rossi, il volto infiammato d’ira. — Ti odio — gli disse. Poi lei e Zack varcarono in fretta la soglia e sparirono nella notte.

Kyle si rivolse alla moglie. — Heather, ti giuro, non ho mai alzato un dito su di lei.

Heather non sapeva cosa dire. Risalì lentamente le scale verso il soggiorno, tenendosi alla ringhiera per mantenere l’equilibrio. Kyle la seguì. Heather si sedette nella poltrona; lui andò alla credenza e si versò uno scotch. Lo bevve in un sorso e rimase lì, appoggiato alla parete.

— È quel suo ragazzo — disse poi. — È stato lui a istigarla. Scommetto che mi faranno causa… non possono aspettare l’eredità!

— Kyle, ti prego, stai parlando di tua figlia…

— E lei sta parlando di suo padre! Non sarei mai stato capace di fare una cosa del genere. Heather, tu lo sai.

Lei lo fissò.

— Heather — insisté Kyle con voce ora quasi supplichevole — sai che non è vero, non puoi non saperlo!

Qualcosa aveva indotto Rebecca a stare via per quasi un anno. E qualcosa, ancor prima, aveva…

Heather odiava quel pensiero, ma continuava a rimuginarlo, ogni giorno, ogni ora…

Qualcosa aveva spinto Mary al suicidio.

— Heather!

— Scusa. — Cercò di mandar giù il groppo che le serrava la gola, poi dopo un attimo annuì. — Mi spiace, ero distratta. Certo, lo so che non avresti mai potuto fare una cosa del genere. — Ma la sua voce suonò indecisa persino a lei.

— Certo che no, naturalmente.

— È solo che…

— Cosa? — scattò Kyle.

— È che… no, niente.

— Insomma, che vuoi dire?

— Ecco, avevi davvero l’abitudine di alzarti nel cuore della notte e uscire dalla camera.

— Cristo, ma ti rendi conto di cosa stai dicendo?

— Be’, è vero. Due, tre notti per settimana, a volte.

— Ho difficoltà a dormire e tu lo sai benissimo. Mi alzo e guardo la tivù o lavoro un poco al computer. Cristo, continuo a farlo anche adesso che vivo da solo. Anche la notte scorsa.

Heather non disse nulla.

— Non riesco a dormire. Se sono ancora sveglio un’ora dopo essermi coricato, prendo e mi rialzo… e tu lo sai. Non ha senso star lì distesi a contare le ore. L’altra notte mi sono alzato e ho guardato… dannazione, che roba era? Ah, sì, L’uomo da sei milioni di dollari, su Canale 3. L’episodio con William Shatner nella parte del tizio capace di comunicare coi delfini. Chiama la stazione televisiva e fatti dire se non era quello che hanno mandato in onda. Poi ho scritto per posta elettronica a Jake Montgomery. Possiamo andare nel mio appartamento, anche subito, così guardi la casella dei documenti inviati e controlli la data e l’ora. Poi sono tornato a letto, sarà stata l’una e venticinque, l’una e trenta o giù di lì.

— Nessuno ti accusa di aver fatto qualcosa di male, la notte scorsa.

— Ma sono le cose che faccio sempre, quando non riesco a dormire. Una volta guardo L’uomo da sei milioni di dollari, una volta guardo il John Pellatt Show, come capita. E il Canale Meteo, per avere un’idea di che tempo farà il giorno dopo… Avevano detto che oggi sarebbe piovuto, ma non ci hanno azzeccato.

“Oh, sì, è piovuto eccome” pensò Heather. “Guarda un po’ che diluvio c’è venuto addosso…”

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