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Esaurito l’incontro a tavola con Stone, Kyle aveva tre ore libere prima della lezione successiva. Decise dunque di lasciare l’università e prese la metro fino a North York Centre, penultima fermata sulla linea di Yonge. Uscì dalla stazione, attraversò l’orrore cementizio di Mel Lastman Square e s’incamminò verso Beecroft Avenue, un isolato a ovest di Yonge.

Fra Beecroft lato est e Yonge sorgeva il Centro Ford per le Arti dello Spettacolo. Inaugurato, ricordava Kyle, con Showboat, che aveva fatto lì il suo rodaggio prima di andare a Broadway. Erano passati quasi venticinque anni. Da allora Kyle non aveva perduto neppure una novità, anche se dopo la separazione da Heather non era stato ancora a vedere il successo del momento, il Dracula in versione musical di Andrew Lloyd Webber.

Anche Beecroft lato ovest era fonte di ricordi tenaci. Negli appezzamenti di terreno ancora liberi che esistevano lì al tempo della sua fanciullezza aveva giocato a football col piccolo Jimmy Korematsu, coi gemelli Haskins, e… come si chiamava? Il bulletto con la testa deforme. Ah, già, Calvino. Granché atletico, Kyle non era stato mai. Partecipava al gioco tanto per non rimanere in disparte, ma la sua mente preferiva sempre vagabondare altrove. Una volta che gli era riuscito di acchiappare la palla senza poi lasciarsela sfuggire, aveva corso come un matto per un’ottantina di metri fino a fondo campo… per poi accorgersi d’aver fatto meta dalla parte sbagliata. Aveva pensato che non sarebbe sopravvissuto alla figuraccia.

I campi, grandi il giusto per giocarci a pallone, erano delimitati da zone boschive… legate a ricordi più teneri. Quante volte vi si era inoltrato con Lisa, la fidanzata degli anni di liceo, dopo i film al Willow o le cenette al Crock & Block.

Adesso, al posto dei campi, dilagavano i parcheggi del Centro Ford.

Dietro i quali, però, com’era sempre stato sin da prima della sua nascita, sorgeva uno dei più grandi cimiteri di Toronto, quello di York.

Qualcuno dei suoi compagni di scuola non si faceva scrupolo d’infilarsi lì dentro a pomiciare… lungo il confine nord del cimitero correva una striscia alberata larga una quindicina di metri, per evitare che gli edifici di Park Home Avenue dovessero affacciarsi direttamente sulle tombe… ma Kyle aveva preferito sempre girare al largo.

Entrò nel cimitero seguendo la curva dolce della strada principale. I terreni apparivano tenuti con gran cura. In lontananza, appena prima dell’intersezione con Senlac Road, si scorgeva il gigantesco cenotafio di cemento, simile a un obelisco egizio, innalzato in memoria dei canadesi morti nelle guerre mondiali.

Agili e veloci gli traversarono il cammino un paio di scoiattoli neri, animaletti onnipresenti a Toronto. Una volta, guidando, ne aveva investito uno. In auto c’era anche Mary, avrà avuto quattro o cinque anni. Naturalmente si era trattato di un incidente, ma lei gli aveva tenuto il broncio per settimane. Un vero mostro, quel padre, ai suoi occhi.

E non solo allora, purtroppo.

C’erano fiori su molte tombe, ma non su quella di Mary. Avrebbe voluto farle visite più frequenti. Quand’era morta, aveva preso con se stesso l’impegno di andarla a trovare ogni fine settimana.

Dall’ultima volta erano passati tre mesi.

Ma adesso non sapeva dove altro andare, in quale altro modo parlarle. Lasciò la strada, inoltrandosi sul prato. Passò un uomo alla guida di una sibilante falciatrice. Distolse lo sguardo da Kyle, forse solo per indifferenza, forse per rispetto o l’imbarazzo dell’estraneità. Un lavoro come un altro, per chi c’era abituato, e chissà se dopo un po’ ci si soffermava più a pensare come mai l’erba crescesse così rigogliosa.

Kyle s’infilò le mani in tasca, dirigendosi alla tomba di sua figlia.

Superò quattro lapidi, prima di accorgersi dell’errore. Aveva imboccato la fila sbagliata; il posto di Mary stava in quella successiva. Ci rimase male. Cristo santo, nemmeno sapeva più dov’era sepolta sua figlia!

In vita sua gli era capitato abbastanza spesso di scavalcare le tombe, ma stavolta non se la sentì di compiere un gesto del genere, proprio lì, vicino a Mary.

Tornò quindi sui suoi passi, riprese la strada, e scelse la fila giusta.

Scaglie di mica sfolgoravano nel sole dal rosso granito levigato della lapide di Mary.

Kyle indugiò con lo sguardo sull’epigrafe, domandandosi se un giorno sarebbe anch’essa divenuta illeggibile come quelle incise sulle consunte lastre di marmo degli antichi cimiteri:


MARY LORRAINE GRAVES

DILETTA FIGLIA, DILETTA SORELLA

2 NOVEMBRE 1996 – 23 MARZO 2016

ORA RIPOSA IN PACE


Era parso loro un epitaffio adeguato, incapaci com’erano di comprendere i motivi di quel gesto estremo. Il biglietto che Mary aveva lasciato, scarne parole vergate in rosso su carta a righe, diceva semplicemente: “Non ho altro modo per restare in silenzio”. E nessuno, allora, aveva capito che cosa volesse dire.

Kyle rilesse l’ultima riga: “Ora Riposa In Pace”.

Magari così fosse stato, ma com’era possibile?

Se Becky aveva detto la verità, Mary si era uccisa nella convinzione che suo padre l’avesse violata. Come poteva riposare in pace?

“Non ho altro modo per restare in silenzio”.

Si era sacrificata, dunque, ma non certo per proteggere Kyle. No, l’aveva fatto senza dubbio per sua madre, per difendere Heather dall’onore e dalla colpa.

Kyle abbassò lo sguardo sulla tomba. La ferita nel terreno si era rimarginata, naturalmente. La traccia rettangolare era scomparsa, non rimaneva alcuna cicatrice a interrompere la continuità fra il prato circostante e le zolle erbose poste a sigillo della fossa ricolma.

Tornò a scrutare la lapide.

— Mary — disse ad alta voce, vincendo l’imbarazzo. La falciatrice era lontana, ormai, il suo lamento ridotto quasi a nulla.

Tante cose avrebbe voluto ancora esprimere, ma non sapeva da dove incominciare. Si rese conto di star muovendo piano la testa avanti e indietro, e con uno sforzo si ricompose.

Rimase in silenzio per diversi minuti, poi pronunziò di nuovo il nome di sua figlia… sottovoce stavolta, quasi un sospiro che si perse fra il cinguettio degli uccelli, il fruscio d’un libratore di passaggio e il gemito della falciatrice che lentamente ritornava, disegnando un altro nitido sentiero nell’esuberanza del tappeto erboso.

Kyle volle rileggere la lapide e scoprì di non esserne capace. Un tremolar di palpebre non bastò a cacciar via tutte le lacrime.

“Potessi dirti quanto mi dispiace” pensò; ma quelle parole non ebbero mai voce.

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