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Flaxman riagganciò il telefono e guardò Gaspard e Zane Gort.

— La signorina Bishop vi ha detto come stanno le cose. — chiese l’editore. — Il grande progetto, voglio dire, la faccenda della Nursery segreta, quello che lei sta facendo e così via?

I due scossero il capo.

— Bene! Infatti non doveva dirlo. — Il piccolo uomo bruno si appoggiò alla spalliera della sedia, cominciò a togliersi qualche bollicina di schiuma dal gomito, poi ci pensò meglio e attaccò, in tono riflessivo: — Circa cento anni fa, nella seconda metà del Ventesimo secolo, vi fu un chirurgo eccezionale e genio dell’elettronica che si chiamava Daniel Zukertort. Immagino che non l’avrete mai sentito nominare.

Gaspard fece per dire qualcosa, poi decise di lasciare quel compito a Zane, ma anche il robot tacque. Forse le osservazioni della signorina Bishop a proposito dei maschi chiacchieroni avevano fatto impressione a entrambi.

Flaxman sogghignò.

— L’immaginavo! Bene, la chirurgia e l’elettronica, specialmente nelle loro varietà microscopiche, erano soltanto le capacità più appariscenti di Zukie. Era anche il più grande tecnico di motori sigillati e il più grande specialista di chimica catalitica che il mondo avesse mai avuto, ed era grande in molti altri campi. A meno che quello che hanno scoperto adesso di nuovo sul conto di Leonardo da Vinci non sia verissimo, non c’è mai stato nessuno in grado di reggere il confronto con Zukertort, né prima né dopo. Era un mago con il microbisturi e doveva solo lanciare un fischio a un elettrone per costringerlo a fermarsi in attesa di ordini. Perfezionò un collegamento da nervo a metallo, una sinapsi da materia organica a materia inorganica che nessun altro biotecnico è mai stato in grado di ripetere, con apprezzabile successo, sugli animali superiori. Nonostante le microcamere e tutte le altre tecniche di registrazione, nessuno potrebbe mai immaginare ciò che fece Zukie… non parliamo poi di ripeterlo!

“Ora, come qualsiasi altro uomo dotato delle sue capacità, Zukertort era un anarchico. Secondo i concetti correnti, non gli importava affatto il valore pratico o teorico del suo mucchio di invenzioni. Anche se si definiva seguace di principi umanitari, non gli importavano neppure gli immensi benefici che le sue invenzioni potevano portare nel campo delle protesi: la possibilità, per esempio, di dare a un uomo un braccio o una gamba artificiale con nervi metallici innestati a quelli del moncherino, regolando la crescita cristallina di leghe durissime non corrosive, e risalendo se necessario fino alla spina dorsale per stabilire il collegamento.

“Tutto l’interesse di Zukie era diretto verso due scopi: l’immortalità per le migliori menti umane e la possibilità, per tali menti, di raggiungere la conoscenza mistica funzionando in un perfetto isolamento dalle distrazioni del mondo e della carne.

“Tralasciando tutte le fasi intermedie, perfezionò un processo per preservare cervelli umani completamente funzionanti nell’interno di involucri di metallo inerte. I nervi della vista, dell’udito e della parola erano collegati, tessuto a metallo, con adeguate connessioni con l’esterno. Quasi tutte le altre connessioni nervose erano bloccate… Zukie riteneva che questo avrebbe accresciuto la scorta potenziale di cellule ideazionali nel cervello e in questo sembra che avesse ragione, genialmente ragione. Il cuore attivato da isotopi da lui creato, per fare circolare e purificare il sangue del cervello e per rigenerare l’ossigeno, fu il suo capolavoro nel campo dei motori sigillati.

“Collocato nell’interno di una grande fontanella, come egli chiamò la sommità, piuttosto spessa, dell’involucro metallico del cervello, questo motore cardiaco avrebbe avuto necessità di essere rifornito di combustibile solo una volta all’anno. La sostituzione quotidiana di una fontanella più piccola avrebbe rifornito il cervello di altri elementi nutritivi meno importanti e l’avrebbe sbarazzato degli inevitabili residui dei prodotti di scarto non rigenerabili. Come forse saprete, il cervello richiede un ambiente fluido molto più puro, semplice e costante di qualsiasi altra parte del corpo umano, ma in base allo stesso assunto Zukie dimostrò che era anche molto più suscettibile a un minuzioso controllo tecnologico.

“Una pompa più piccola, un trionfo di miniaturizzazione, riforniva il cervello di delicate ondate ritmiche di ormoni e di stimoli casualizzati del corpo inferiore, in modo che il cervello non si limitasse a vegetare.

“Il risultato finale, un cervello potenzialmente immortale in un serbatoio ovoidale, sembra ancora oggi un miracolo, ma stranamente Zukie non lo considerò mai particolarmente difficile o meraviglioso. ‘Ho avuto una vita in cui salvare una vita’, disse una volta. ‘Quanto altro tempo potrebbe avere chiunque?!’ Ad ogni modo, Zukie, aveva raggiunto lo scopo che si prefiggeva: l’immortalità per le migliori menti umane”.

Flaxman alzò un dito.

— Ora, Zukie aveva le sue idee circa quelle che erano le migliori menti umane. Non prese in considerazione gli scienziati… erano tutti inferiori a lui, e come ho detto non aveva una grande opinione di se stesso. Disprezzava statisti e affini. Fin dalla sua infanzia era rimasto avvelenato nei confronti della religione. Ma bastava dire la parola “artista” e lui andava in estasi, perché Zukie aveva una mente molto letterale, totalmente priva di immaginazione al di fuori delle sue specializzazioni. La creazione artistica, il più semplice solfeggio, sgorbio di colore o accozzaglia di parole, rimasero per lui un miracolo fino al giorno della sua morte. Quindi era chiaro chi sarebbero stati i prescelti, se Zukie avesse fatto a modo suo: gli artisti creativi… pittori, scultori, compositori, ma soprattutto scrittori.

“Ora, questa era un’ottima idea almeno per due ragioni. Prima di tutto, in quei tempi cominciavano ad apparire i mulini-a-parole, e molti veri scrittori erano rimasti senza lavoro; in secondo luogo, probabilmente soltanto gli scrittori erano abbastanza matti da accettare quello che aveva in mente Zukie. Era un uomo molto acuto sotto molti aspetti, sapeva che vi sarebbero state potenti opposizioni a ciò che stava facendo, quindi cominciò con molta cautela a prendere contatti, a ottenere permessi, a mettere in piedi la sua clinica privata (per studi geriatrici, diceva) organizzando l’intera faccenda sulla base, in pratica, di una società segreta. E quando la storia fu risaputa, alla fine, aveva già inscatolato trenta cervelli, tutti di scrittori, così incrociò le braccia, lanciò fiamme dagli occhi e dai denti e sfidò il mondo a fare il peggio.

“E il mondo lo fece. Come potete immaginare, fu uno scandalo orrendo. Qualsiasi organizzazione che voi possiate citare, dalle società professionali ai culti più sballati, trovarono qualcosa da ridire. Quasi tutte trovarono almeno sei o sette buone ragioni per strillare. Una Chiesa sostenne che Zukie negava la salvazione ai mortali, mentre un gruppo di signore della Lega contro la crudeltà chiese che i cervelli fossero immediatamente tolti dalla loro miseria, come dolcemente definivano i loro desideri di morte.

“A soverchiare tutte le altre proteste, naturalmente, c’era quella condivisa da tutti i Jack e le Jill a due gambe da qui a Giove. C’era l’immortalità su un piatto d’argento… o in un barattolo… C’erano limitazioni, sicuro, ma era pur sempre immortalità, poiché il tessuto cerebrale non moriva. Perché questo non doveva valere per tutti?

“I giuristi dicono che non vi è mai stato un problema legale e sociologico paragonabile al ‘Caso delle Teste d’Uovo’, come lo soprannominarono alcuni giornalisti, per la pazzesca complessità delle ingiunzioni, controingiunzioni… furono citati esperti di cinquantasette categori, fra l’altro. Ma fu difficile inguaiare Zukie, che si era premunito in modo molto abile. Aveva le autorizzazioni dei soggetti superbamente complete e autenticate da notai, e tutti i suoi cervelli si schierarono dalla sua parte, quando furono chiamati sul banco dei testimoni. Inoltre, aveva investito la fortuna accumulata con le sue invenzioni in una fondazione che chiamò il Trust dei Cervelli, e che doveva avere eternamente cura dei cervelli stessi.

“Proprio alla vigilia di quella che pareva l’udienza decisiva, Zukie mandò a rotoli per sempre l’intera faccenda. No, non crollò morto in tribunale per un collasso cardiaco… una fine così semplice non era adatta al nostro Zukie.

“Aveva un assistente che era un mago. Aveva praticato tre volte, con completo successo, il Divorzio Psicosomatico (era il nome che Zukie dava all’operazione). L’ultima volta il maestro si era limitato a osservare e non aveva dovuto intervenire neppure una volta. Così, Zukie fece eseguire l’operazione su se stesso. Secondo me, era convinto che, una volta al sicuro dentro al suo guscio, il mondo non avrebbe potuto fare nulla a lui o ai suoi trenta scrittori. Ormai era completamente invischiato nell’aspetto legale-sociologico della faccenda (era sempre stato un combattente!) e probabilmente pensava che se avesse testimoniato dal suo recipiente metallico avrebbe dato il tocco spettacolare necessario per far inclinare la bilancia e vincere la causa.

“E forse desiderava anche l’immortalità e l’illuminazione mistica. Probabilmente gli piaceva il pensiero di vivere (o di fluttuare, è più esatto) in un mondo di idee per migliaia di anni, riposandosi e godendo l’intelligenza di trenta menti che venerava, dopo essere stato così incredibilmente attivo dal punto di vista fisico per una cinquantina d’anni. In ogni caso, credeva di avere trasmesso le sue doti almeno a un’altra persona e di avere quindi il diritto di correre i rischi che voleva in quel po’ di vita che gli restava.

“Zukie morì sul tavolo operatorio. Il suo geniale assistente distrasse tutti i suoi appunti e ogni singola briciola delle speciali apparecchiature. Poi si uccise”.

Mentre Flaxman proferiva queste ultime parole, lentamente, alla ricerca del massimo effetto che certamente raggiunse (aveva ipnotizzato se stesso quanto gli altri), la porta dell’ufficio si aprì piano piano con un lungo cigolio sommesso.

Flaxman sussultò convulsamente. Gli altri si girarono di scatto.

Ritto sulla porta c’era un vecchio curvo che indossava una lucente uniforme di sargia, con un berretto unto calcato sulle tempie bianche e irsute e le grandi orecchie pallide dalle quali spuntavano ciuffetti di lunghi peli ritorti.

Gaspard lo riconobbe immediatamente. Era Joe la Guardia, che sembrava straordinariamente sveglio… per la verità i suoi occhi erano perfino semiaperti.

Stringeva nella sinistra la ramazza e la pattumiera. Nella destra, teneva una pistola nera e ingombrante sul cui dorso era segnata una larga striscia pallida.

— In orario, signor Flaxman — disse, toccandosi la tempia con la mostruosa pistola. — Tutto pronto per far pulizia. Vedo che ce n’è bisogno. Come va gente?

— Siete in grado di riparare una serratura elettrica? — chiese freddamente Cullingham.

— No, ma non ce ne sarà bisogno — disse allegramente il vecchio. — Se arrivano guai, io sarò di guardia con la mia vecchia e fidata pistola-puzzola.

— Pistola-puzzola? — disse la signorina Bishop con una risatina incredula. — E spara solo alle puzzole o anche ai tassi?

— No. Spara pallottole morbide caricate con un odore insopportabile per uomini e bestie. Sembra che dia fastidio persino ai robot. Chi è colpito scappa in cerca di acqua. Non credo nelle armi mortali, io. Posso regolarla per innaffiare i disturbatori. Basterà questa in ogni caso.

— Vi credo sulla parola — disse Flaxman. — Ma sentite, Joe, quando l’adoperate cosa succede ai… diciamo ai giocatori della nostra squadra?

Joe la Guardia sorrise astutamente.

— Qui sta il bello — disse. — È questo che fa della mia fidata pistola-puzzola l’arma perfetta. Nell’ultima guerra, il mio primo nervo craniale è stato tagliato. E da allora non sento nessun odore.

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