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— Gaspard, tu sai guidare un elicottero, vero? — chiese Zane mentre ritornavano sul tetto.

— Sì, ma…

— Bene! Non ti dispiace un piccolo furto per una buona causa?

— Ecco…

— Benissimo! Allora seguimi con l’elicottero della signorina Ibsen. Può darsi che ci occorra molto spazio, e tu starai più caldo in un apparecchio chiuso. Ecco le chiavi. Resta in contatto con me.

— D’accordo — disse Gaspard, un po’ dubbioso.

— E stai più alto che puoi! — aggiunse cordialmente il robot. — Il tempo è fuori squadra. Io trasmetterò il segnale in codice delle ambulanze dei robot… la polizia del traffico volante penserà che tu sei il mio aiutante. Muoviti, Vecchio Muscolo!

La cabina chiusa era comodissima, ma recava tracce del profumo di Heloise. Non appena Gaspar si levò dal tetto, seguendo alla lontana Zane, provò un’ondata di affanno al pensiero dei passati incontri avvenuti proprio dove era seduto adesso. Ma tutti i tristi pensieri furono presto cancellati dalla sua mente dal problema di reggere l’andatura di Zane: si accorse che l’unico modo era puntare l’elicottero verso quello del robot e lasciare che le pale sibilassero al massimo della potenza. Il robot si tuffò verso est e cominciò ad acquistare quota.

— Il segnale più forte, adesso, viene dalle montagne — risuonò nella cuffia la voce di Zane. — Avanti a tutta forza. Io farò del mio meglio per precederti. Adesso mancano soltanto quattro ore, al massimo, prima che Mezza Pinta cominci a morire nei suoi rifiuti cerebrali per mancanza di una fontanella fresca. Quel delinquente!

I grattacieli pastello svanirono dietro di loro, e furono bruscamente sostituiti da pini altissimi.

L’elicottero di Zane avanzava rapido, diretto verso est. Gaspard, accorgendosi che la sua guida maldestra non era di nessun aiuto, innestò l’automatico a velocità massima. L’elicottero aperto con il suo lucente pilota dal colbacco nero continuò a rimpicciolire sebbene meno rapidamente.

Tuttavia il cambiamento peggiorò la situazione. La mente di Gaspard non più occupata dai problemi della guida, si ossessionò con i propri intricati desideri, balzando dalla signorina Bishop e Heloise Ibsen… e ogni tanto spuntava lo scottante, assurdo desiderio di avere in suo potere la signorina Willow. Era possibile drogare le macchine?

Cercò di pensare ai cervelli, specialmente al povero Mezza Pinta, ma era un soggetto troppo macabro. Per la disperazione si tolse dalla tasca il secondo libro consigliato dai cervelli che la signorina Bishop gli aveva prestato: un’antica opera che si chiamava Il caso Mauritius, scritta da un certo Jacob Wassermann. Era una lettura difficile e molto strana, ma per lo meno impegnava la sua mente e i suoi sentimenti.

— Ehi, Gaspard!

Il richiamo incalzante lo distrasse dalla melanconica governante degli Andergast. In basso, i pini cedevano il posto alla sabbia bruna.

— Ti ascolto, Zane!

L’elicottero del robot era un piccolo punto nella lucente lontananza, davanti a lui… se non era un altro apparecchio: c’erano altri tre punti, in volo, verso est.

— Gaspard, mi sto avvicinando a un grande ranch verde a bolla davanti al quale è fermo un aerorazzo a scacchi bianchi e neri. Il Segnale Due viene di lì. La signorina Bishop, devo pensare. Un altro segnale sembra provenire da almeno settanta chilometri, sempre a est.

“Il tempo stringe. Mezza Pinta ha ancora poco più di tre ore prima che abbia inizio il soffocamento cerebrale, e c’è solo una possibilità su tre che il terzo segnale sia il suo… potrebbe essere il signor Flaxman o la signorina Blushes. Quindi dividiamo le forze. Tu pensa al Segnale Due mentre io accelero verso il Segnale Tre. Sei armato?”.

— Ho quella vecchia sciocca pistola a proiettili.

— Dovrà bastare. Adesso sto passando sul ranch e lancerò un lampo luminoso della durata di cinque secondi.

Vi fu un breve scintillio di luce vicino al secondo punto, a nord di quello che Gaspard aveva creduto fosse l’elicottero di Zane.

— Visto — disse Gaspard, modificando la rotta.

— Gaspard, per facilitare la mia localizzazione radio, specialmente se devo andare oltre il Segnale Tre per salvare Mezza Pinta, è di importanza vitale che il microtrasmettitore della signorina Bishop venga disattivato, non appena l’avrai trovata. Dille di farlo subito.

— E dove l’hai nascosto?

Vi fu una pausa considerevole prima che il robot rispondesse. Gaspard ne approfittò per frugare il piatto paesaggio giallo che si stendeva davanti a lui. Individuò una macchia verdescura sotto al punto che era l’elicottero di Zane.

— Io confido, Gaspard, che l’informazione che mi accingo a darti non ti indurrà a pensare male di me, o di qualunque altra persona. San Willi non voglia! Il microtrasmettitore è nascosto nel centro d’uno dei seni falsi della signorina Bishop.

Un’altra breve pausa, poi la voce del robot, che era risuonata rapida e smorzata, riprese alta e cordiale.

— E adesso, buona fortuna! Conto su di te, Vecchio Osso!

— Rrrrr, Vecchio Bullone! Abbasso il delinquente! — rispose coraggiosamente Gaspard.

Ma non si sentiva affatto coraggioso mentre scendeva verso il ranch verde dalle pareti e dal tetto rigonfi.

La sintetica descrizione fatta dalla signorina Jackson dell’aerorazzo del rapitore, insolentemente vistoso, indicava che avrebbe dovuto vedersela con il procuraguai Gil Hart, sul cui conto aveva sentito riferire da Cullingham aneddoti malauguranti, come quello relativo alla volta in cui Hart aveva mandato all’ospedale due metallurgici e un robot.

Non c’erano nascondigli a meno di ottocento metri dal ranch. Quindi non pareva vi fosse altra tattica se non quella della velocità e della sorpresa: doveva piombare il più vicino possibile al portello stagno principale che sembrava (sì, lo era!) aperto, e doveva sfrecciare nell’interno, pistola in pugno. Quel piano aveva anche il vantaggiò di lasciargli pochissimo tempo per spaventarsi.

Poi risultò che quel piano aveva anche un altro vantaggio.

Non appena Gaspard atterrò con un sobbalzo, saltò dall’apparecchio e corse attraverso la nuvola di sabbia che aveva sollevato verso il rettangolo scuro della porta esterna, che era aperta, un automa-cane-da-guardia nichelato schizzò dal sedile posteriore dell’aerorazzo e con un tremendo ululato da sirena si avventò verso di lui, facendo schioccare le mascelle d’acciaio.

Gaspard si tuffò oltre il portello, lo chiuse dietro di sé una frazione di secondo prima che la macchina furibonda lo colpisse, facendo una ammaccatura momentanea d’almeno un metro nell’involucro di plastica ma senza lacerarlo.

Mentre l’autocane continuava a ululare all’esterno, il portello interno della camera stagna si aprì con un soffio… evidentemente si apriva quando si chiudeva il portello esterno.

Gaspard entrò, agitando furiosamente la pistola a proiettili, quasi come faceva Joe la Guardia con la sua pistola-puzzola.

Si trovò in una stanza ammobiliata con divani e tavolini bassi e dalle pareti coperte da un autentico harem di pin-up in stereografia.

Alla sua sinistra stava in agguato Gil Hart, nudo fino alla cintola e armato di un’arma bizzarramente semi-primitiva, che aveva raccolto proprio in quel momento, a quanto sembrava… un grosso femore di nichel, o almeno nichelato, lungo quasi un piede.

Alla sua destra stava ritta la signorina Bishop in un pagliaccetto di seta bianca, sfacciatamente in posa con la mano sinistra sul fianco e un bicchiere pieno di whisky nella mano destra levata: l’immagine stessa di una brava ragazza intenzionata a dannarsi.

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