9

Arrivò prima la polizia, poi l’ambulanza e infine Al. Rilasciammo le dichiarazioni preliminari, poi Ranger fu trasportato all’ospedale e io seguii l’auto della polizia alla centrale.

Erano quasi le cinque quando raggiunsi l’ufficio di Vinnie. Pregai Connie di staccare due assegni separati: cinquanta dollari per me, il resto a Ranger. Non avrei preso neppure un soldo, ma avevo bisogno di controllare le mie telefonate e con quel denaro avrei potuto comperare una segreteria telefonica.

Non vedevo l’ora di tornare a casa, fare una doccia, indossare abiti puliti e asciutti e consumare un pasto decente. Sapevo che una volta rientrata non avrei avuto voglia di uscire di nuovo, perciò mi diressi verso il negozio di Kuntz prima di tornare nel mio appartamento.

Bernie stava applicando le etichette con il prezzo su una scatola di sveglie. Alzò la testa quando entrai nel negozio.

«Mi occorre una segreteria telefonica», spiegai. «Qualcosa che costi meno di cinquanta dollari.»

Ormai la mia camicia e i jeans erano relativamente asciutti, ma le scarpe facevano acqua a ogni passo. Se stavo in piedi, subito si formavano minuscole pozzanghere attorno a me.

Bernie finse educatamente di non notarlo. Assunse l’atteggiamento del perfetto venditore e mi mostrò due modelli di segreteria telefonica del costo richiesto. Gli chiesi quale mi raccomandava e seguii il suo consiglio.

«Master Card?» volle sapere lui.

«Ho appena incassato un assegno di cinquanta dollari da Vinnie. Posso girartelo?»

«Certamente», acconsentì Bernie. «Va benissimo.»

Dal punto in cui mi trovavo, potevo guardar fuori dalla vetrina nell’interno del Sal’s Meat Market, sull’altro lato della strada. Non c’era molto da vedere: una vetrina con il nome scritto in lettere nero e oro e l’unica porta a vetri dove spiccava il cartello APERTO fissato con una piccola ventosa. Conclusi che Bernie doveva trascorrere ore intere a osservare intontito la porta del negozio di Sal.

«Hai detto che Ziggy Kulesza faceva la spesa da Sal?»

«Sicuro. Là si può comperare di tutto.»

«Già, l’ho sentito dire. Secondo te che cosa comperava, Ziggy?»

«Difficile dirlo, ma non l’ho mai visto uscire con un pacco di braciole di maiale.»

Cercai di proteggere la segreteria telefonica infilandola sotto la camicia e tornai di corsa alla Cherokee. Diedi un’ultima occhiata perplessa al negozio di Sal e partii.

Il traffico era tanto rallentato dalla pioggia che in breve fui ipnotizzata dal movimento del tergicristallo e dai fanalini rossi delle auto che mi precedevano. Come se guidassi con il pilota automatico. Riesaminai la giornata, preoccupata per Ranger. Un conto è vedere alla televisione qualcuno che si becca un colpo di pistola, ma dal vero è tutta un’altra cosa. Ranger ripeteva che non si trattava di una ferita grave, ma a me sembrava abbastanza seria. Possedevo una pistola ed ero decisa a imparare a usarla, però avevo perso parte dell’entusiasmo iniziale. Non mi andava di imbottire di piombo un essere umano.

Svoltai nel parcheggio e trovai un posto vicino all’edificio. Inserii l’antifurto, mi trascinai fuori dall’auto e salii le scale. Lasciai le scarpe in anticamera e deposi la borsa e la segreteria telefonica sul banco in cucina. Aprii una lattina di birra e chiamai l’ospedale per avere notizie di Ranger. Mi dissero che era stato medicato e dimesso. Questa era una buona notizia.

Mi rimpinzai di cracker e burro di arachidi, innaffiandoli con un’altra birra, e finalmente mi trascinai in camera. Mi tolsi gli abiti umidi, temendo di vedermi addosso la muffa; ma non scoprii nulla di strano, fortunatamente. Indossai una camicia da notte corta come una maglietta, un paio di mutandine pulite e mi infilai sotto le lenzuola.

Mi svegliai con il cuore che martellava, senza che riuscissi a capire perché. Quando la mente si snebbiò, mi resi conto che squillava il telefono. Annaspai verso l’apparecchio e stupidamente guardai l’orologio sul comodino. Le due. Doveva esser morto qualcuno, pensai. Nonna Mazur o zia Sophie. O forse mio padre aveva avuto una colica renale.

Risposi trattenendo il fiato e aspettandomi il peggio. «Pronto.»

Silenzio all’altro capo. Sentivo respirare affannosamente, rumori di lotta e poi qualcuno gridò. Una voce di donna a distanza. «No!» supplicava, «Oh, Dio, no!» Un urlo terribile lacerò l’aria, scostai la cornetta dall’orecchio e cominciai a sudare freddo quando compresi ciò che avevo udito. Sbattei giù il ricevitore e accesi la lampada sul comodino.

Scesi dal letto con le gambe tremanti e andai in cucina. Allacciai la segreteria telefonica e la programmai perché rispondesse dopo un solo squillo. La registrazione invitava a lasciare un messaggio. Evitai di dare il mio nome. Andai in bagno a lavarmi i denti e tornai a letto.

Suonò il telefono, sentii scattare la segreteria. Mi misi seduta ad ascoltare. All’altro capo del filo una voce per metà cantilenava, per metà sussurrava. «Stephanie… Stephanie…»

Portai la mano alla bocca, un gesto istintivo per soffocare un grido. Il suono mi morì in gola lasciando il posto a un singhiozzo smorzato.

«Non dovevi riappendere, sgualdrina», disse lui. «Ti sei persa la parte migliore. Devi sapere che cosa sa fare il campione, così aspetterai con ansia il tuo turno.»

Corsi in cucina, ma prima che disattivassi la segreteria telefonica, la donna fu in linea. Sembrava giovane. Le sue parole si sentivano appena, nella voce affioravano le lacrime e il tremito. «È sta… stato bello…» disse con voce spezzata. «Oh Dio, aiutatemi, sono ferita… È orribile…»

La comunicazione fu interrotta. Chiamai immediatamente la polizia, spiegai agli agenti che la registrazione veniva dall’apparecchio di Ramirez. Diedi l’indirizzo del pugile e il mio numero nel caso volessero risalire alla telefonata. Riappesi, mi aggirai per la casa, controllando tre volte le serrature di porte e finestre. Meno male che avevo fatto installare un altro catenaccio.

Suonò il telefono, rispose la segreteria. Nessuno parlava, ma potevo sentire affiorare, nel silenzio, il male e la follia. Lui era là che ascoltava, gustava la mia paura distillandola goccia a goccia. A distanza sentivo una donna piangere sommessamente. Strappai la spina del telefono e la gettai nel lavello.


Mi svegliai all’alba, contenta che la notte fosse passata. Non pioveva più ed era troppo presto perché gli uccelli cominciassero a cinguettare. Sulla St. James non passavano ancora macchine. Era come se il mondo non respirasse in attesa che all’orizzonte spuntasse il sole.

Mi tornò in mente la telefonata; non c’era bisogno del registratore per ricordarmi il messaggio. La buona e sensibile Stephanie voleva che fosse emesso un ordine di cattura. Stephanie, la neofita bounty hunter si preoccupava ancora del rispetto e della credibilità. Non potevo correre alla polizia ogni volta che ero minacciata, e aspettarmi, dopo, che mi considerassero alla pari. La mia richiesta d’aiuto per la donna torturata era già a verbale. Ci ripensai per un po’ e decisi di non insistere, per il momento.

Più tardi, in giornata, avrei telefonato a Jimmy Alpha.

Avevo programmato di chiedere a Ranger di accompagnarmi al poligono, ma era ancora convalescente per la ferita; avrei dovuto ripiegare su Eddie Gazarra. Guardai di nuovo l’orologio. Gazarra doveva essere al lavoro. Composi il numero della centrale e gli lasciai un messaggio.

Indossai maglietta e shorts, mi allacciai le scarpe da footing. Correre non era una delle mie attività preferite, ma era tempo di pensare seriamente al lavoro e di mantenermi in forma.

«Coraggio», mi dissi.

Trotterellai lungo il corridoio, giù per le scale, varcai il portone. Con un sospiro di rassegnazione partii per il percorso di tre miglia che avevo tracciato con cura per evitare dislivelli e negozi di panettieri.

Ce la misi tutta per il primo miglio, poi fu un supplizio. Non sono di quelli che riescono a trovare il passo. Il mio corpo non aveva nessuna disposizione per la corsa. Preferivo starmene seduta alla guida di una lussuosa automobile. Ero coperta di sudore e ansimavo quando svoltai l’angolo e vidi il mio palazzo a metà isolato. Così vicino eppure ancora così lontano. Corsi per l’ultimo tratto come meglio potei. Mi fermai stremata al portone, piegata in due dalla fatica, aspettando che mi si snebbiasse la vista. Ero così in forma che mi reggevo a malapena in piedi.

Eddie Gazarra accostò al marciapiede la sua auto di pattuglia. «Ho ricevuto il tuo messaggio», spiegò. «Gesù, sei uno straccio!»

«Ho corso.»

«Forse dovresti andare da un medico.»

«Colpa della mia pelle chiara. Si arrossa facilmente. Hai saputo di Ranger?»

«In ogni minimo dettaglio. Sei sulla bocca di tutti. So perfino com’eri vestita quando ti sei presentata da Dodd. Pare che la tua maglietta fosse davvero bagnata.»

«Quando hai cominciato la tua carriera di poliziotto, avevi paura della pistola?»

«Ho maneggiato armi per gran parte della mia vita. Da ragazzo avevo un fucile ad aria compressa e andavo a caccia con mio padre e lo zio Walt. Per me le armi sono sempre state semplici oggetti di metallo.»

«Se decido di continuare a lavorare per Vinnie, credi che dovrei portare una pistola?»

«Dipende dal genere di casi che ti affidano. Se fai solo lavoro d’indagine, no. Se dai la caccia a dei pazzi, sì. Hai una pistola?»

«Una Smith Wesson 38 Special. Me l’ha passata Ranger dandomi le istruzioni in soli dieci minuti, ma non mi sento tranquilla. Saresti disposto a farmi da baby-sitter mentre mi alleno al poligono?»

«Parli sul serio, vero?»

«Assolutamente.»

Eddie annuì. «Ho saputo della tua chiamata della notte scorsa.»

«Saltato fuori niente?»

«Hanno mandato subito qualcuno, ma quando sono arrivati gli agenti Ramirez era solo. Ha dichiarato di non averti telefonato. La donna non si è fatta viva, ma tu potresti sporgere denuncia per molestie.»

«Ci penserò.»

Salutai Eddie e ansimai sbuffando su per le scale. Entrai in casa, tirai fuori un filo del telefono di scorta, misi un nuovo nastro sulla segreteria telefonica e andai a fare la doccia. Era domenica. Vinnie mi aveva concesso una settimana e il termine era scaduto. Non m’importava. Lui poteva affidare il caso a qualcun altro, ma non poteva impedirmi di dare la caccia a Morelli. Se poi qualcun altro lo incastrava prima di me, pazienza; ma fino a che questo non fosse accaduto, intendevo continuare.

Gazarra mi aveva dato appuntamento al poligono dietro il Sunny’s Gun Shop per le quattro, appena avesse terminato il suo turno. Mi restava perciò una giornata intera per curiosare. Cominciai passando davanti alla casa della madre di Morelli, quella di suo cugino e di vari parenti. Girai intorno al parcheggio della casa dove abitava e notai che la Nova era ancora dove l’avevo lasciata. Percorsi avanti e indietro Stark Street e Polk. Non vidi né il furgone né altri indizi della presenza di Morelli.

Passai davanti allo stabile di Carmen e mi portai sul retro. La strada di servizio che tagliava l’isolato era stretta e piena di buche. Non c’era parcheggio per gli inquilini. L’unica porta posteriore si apriva sul viottolo. Sul lato opposto, casette a schiera a ridosso della strada.

Parcheggiai il più vicino possibile allo stabile, lasciando appena lo spazio per un’altra auto. Scesi e guardai in su, cercando di localizzare l’appartamento di Carmen al secondo piano; rimasi sorpresa nel vedere due finestre sbarrate e annerite dal fumo. Le finestre erano quelle dell’appartamento della Santiago.

La porta posteriore a livello della strada era spalancata, nell’aria stagnava odor di fumo e di legno bruciacchiato. Sentii qualcuno che spazzava lo stretto passaggio che conduceva all’atrio principale.

Un rivolo d’acqua sporca colava dalla soglia, un uomo dalla pelle scura e con i baffi guardò verso di me. Poi il suo sguardo si spostò verso la Cherokee. L’uomo piegò la testa in direzione della strada. «È vietato parcheggiare qui.»

Gli diedi il mio biglietto da visita. «Sto cercando Joe Morelli. Ha violato l’accordo per la cauzione.»

«L’ultima volta che l’ho visto era lungo disteso sulla schiena, svenuto.»

«Ha visto quando è stato colpito?»

«No. Sono arrivato dopo la polizia. Il mio appartamento è nello scantinato, non si sente nulla da lì.»

Guardai in alto, verso le finestre annerite. «Che cosa è successo?»

«Un incendio nell’appartamento della Santiago. È stato venerdì. Erano circa le due del mattino. Grazie a Dio in casa non c’era nessuno, la signora Santiago si trovava da sua figlia. Le teneva i bambini. Di solito i ragazzini vengono qui, ma venerdì la signora è andata da loro.»

«Nessuno sa come è scoppiato l’incendio?»

«Può essere cominciato in un milione di modi. Non tutto funziona a dovere in uno stabile come questo. Non che sia peggio di tanti altri, ma è un palazzo vecchio, capisce?»

Diedi un’ultima occhiata alle finestre e mi chiesi se fosse tanto difficile lanciare una bomba incendiaria contro la finestra della camera della signora Santiago. Probabilmente no, conclusi. E alle due del mattino, in un appartamento di modeste dimensioni, un incendio scoppiato nella camera da letto poteva diventare una trappola. Se la Santiago fosse stata in casa, sarebbe morta arrostita. Non c’erano balconi né scale di sicurezza, c’era un solo modo per uscire: la porta d’ingresso. Anche se, a quanto sembrava, Carmen e il testimone scomparso non dovevano essere usciti dalla porta.

Mi voltai a guardare le finestre delle case sull’altro lato della strada e conclusi che non sarebbe stato male andare a interrogare gli inquilini. Risalii in macchina, girai intorno all’isolato e trovai un parcheggio un po’ più avanti. Bussai a diverse porte, rivolsi un sacco di domande, mostrai le foto. Le risposte furono identiche. No, non riconoscevano Morelli e non avevano visto niente d’insolito dalle finestre posteriori la notte dell’omicidio o quella dell’incendio.

Provai con la casa situata direttamente di fronte all’appartamento di Carmen e mi trovai faccia a faccia con un vecchietto curvo che brandiva una mazza da baseball. Aveva gli occhi acquosi e il naso a becco.

«Fa esercizio come battitore?»

«Non sono molto bravo.»

Mi presentai e gli chiesi se avesse visto Morelli.

«No, Mai visto. E ho di meglio da fare che guardar fuori dalla finestra. Comunque, non avrei visto un accidente la notte dell’omicidio. Era buio. Come avrei potuto vedere qualcosa?»

«Ci sono i lampioni là dietro», gli feci notare. «Il posto doveva essere bene illuminato.»

«I lampioni erano spenti. L’ho detto anche ai poliziotti che sono venuti a interrogarmi. Quei maledetti lampioni sono sempre fuori uso, i ragazzi li prendono a sassate. So che erano spenti perché ho guardato per vedere cos’era tutto quel trambusto. Non riuscivo a sentire la televisione per il fracasso delle auto della polizia e dei camion.

«La prima volta che ho guardato fuori è stato quando ho sentito il rumore del motore di uno di quei camion frigorifero. Era parcheggiato proprio dietro casa mia. Le dirò, questo quartiere sta andando in malora, la gente non ha più considerazione per nessuno. Parcheggiano camion e furgoni nel vicolo mentre sono in giro per i fatti loro. Dovrebbe essere vietato.»

Annuii vagamente pensando che per fortuna avevo una pistola, perché se mi fossi imtata fino a quel punto sarei arrivata a uccidermi.

Lui scambiò il mio cenno come un gesto d’incoraggiamento e continuò. «Dopo è arrivato un furgone della polizia che aveva le stesse dimensioni del camion frigorifero; hanno lasciato il motore acceso. Si vede che hanno benzina da sprecare.»

«Dunque non ha visto niente di sospetto?» incalzai.

«Era maledettamente buio. King Kong avrebbe potuto arrampicarsi su quel muro e nessuno se ne sarebbe accorto.»

Ringraziai il vecchio per la sua disponibilità e tornai alla jeep. Era quasi mezzogiorno e l’aria s’era fatta caldissima. Mi fermai al bar di mio cugino Ronnie a comperare una confezione da sei lattine di birra e mi diressi verso Stark Street.

Lula e Jackie stavano mettendo in mostra la loro mercanzia all’angolo, come al solito. Sudavano e si agitavano nella calura, apostrofando i loro potenziali clienti con nomignoli vezzosi o allettandoli con fantasiose proposte. Parcheggiai poco lontano, posai la birra sul cofano. Aprii un barattolo.

Lula adocchiò la birra. «Stai cercando di attirarci lontano dal nostro angolo, ragazza?»

Le rivolsi un largo sorriso. In un certo senso, quelle due mi piacevano. «Ho pensato che potevate aver sete.»

«Sete è dir poco.» Lula si avvicinò e prese una birra. «Non so proprio perché perdo tempo a venire qui. Nessuno vuole fottere con questo caldo.»

Jackie la seguì. «Non dovresti bere», avvertì la compagna. «Il tuo vecchio si arrabbia.»

«Uhh», commentò Lula. «Ammesso che me ne importi, lui non è qui sotto il sole, quel ruffiano.»

«Allora, novità su Morelli?» domandai. «Successo niente?»

«Non l’ho visto», rispose Lula. «E neppure il furgone.»

«Saputo qualcosa di Carmen?»

«Per esempio?»

«Per esempio se si trova da qualche parte.»

Lula indossava un top con un sacco di fronzoli che pendevano da ogni parte. La ragazza si passò la lattina di birra gelata sul petto. Un gesto inutile, pensai. Ce ne sarebbe voluto un barile per rinfrescare un seno di quelle dimensioni.

«Non so niente di Carmen.»

Un brutto pensiero mi balenò nella mente. «Carmen è mai uscita con Ramirez?»

«Prima o poi tutte escono con Ramirez.»

«Tu sei mai stata con lui?»

«Io no. A lui piace esercitare il suo fascino sulle magre.»

«Supponiamo che voglia esercitare il suo fascino su di te. Ci andresti?»

«Sorella, nessuno rifiuta niente a Ramirez.»

«Pare che maltratti le donne.»

«Un’infinità di uomini maltratta le donne», intervenne Jackie. «Qualche volta hanno la luna storta.»

«O sono malati», aggiunsi. «Anormali. Mi risulta che Ramirez è un anormale.»

Lula guardò verso la palestra, gli occhi che fissavano le finestre al secondo piano. «Sì», mormorò. «È anormale. Mi spaventa. Avevo un’amica che andava con Ramirez: lui l’ha ferita in modo grave.»

«Con un coltello?» insistei.

«No, con una bottiglia di birra», replicò Lula. «Ha rotto il collo e l’ha usato per… colpirla.»

Mi sentii mancare, per un momento il tempo si fermò. «Come sai che è stato Ramirez?»

«La gente lo sa.»

«La gente non sa niente», intervenne di nuovo Jackie. «Le persone non dovrebbero parlare. Qualcuno potrebbe sentire, ti troverai nei guai. Sarà tutta colpa tua, perché sai bene che bisogna tenere la bocca chiusa. Non voglio restare qui ad ascoltare, me ne torno al mio angolo. E se sai qual è il tuo bene, vieni anche tu.»

«Sapessi qual è il mio bene, non sarei qui a battere, ti pare?» borbottò Lula allontanandosi.

«Sta attenta», le gridai.

«Una grassona come me non ha bisogno di stare attenta», replicò. «Basta che gli pesti i piedi, a quei bastardi. Nessuno può fregare Lula.»

Sistemai le altre lattine di birra in macchina, salii al volante e chiusi le portiere. Avviai il motore e girai gli sfiatatoi dell’aria condizionata in modo che il fresco mi arrivasse sulla faccia. Andiamo, Stephanie, calmati, mi dissi. Ma non riuscivo a calmarmi. Mi batteva il cuore e avevo un nodo alla gola per il dolore che provavo per una donna che non conoscevo neppure e che doveva aver sofferto terribilmente. Volevo allontanarmi il più possibile da Stark Street e non tornarci mai più. Non volevo sapere certe cose, avevo paura che il terrore si insinuasse dentro di me all’improvviso. Strinsi il volante e guardai nella via verso la palestra al secondo piano, in preda alla rabbia e all’orrore, al pensiero che Ramirez non era stato punito e che fosse libero di mutilare e terrorizzare altre donne.

Scesi dall’auto, chiusi la portiera con un colpo secco e attraversai la strada fino all’edificio dove c’era l’ufficio di Alpha. Salii le scale due gradini alla volta. Sfrecciai davanti alla segretaria e spalancai la porta del suo ufficio privato con tale forza da farla sbattere rumorosamente contro la parete.

Alpha fece un balzo sulla sedia.

Appoggiai le palme delle mani sulla scrivania e gli sibilai sulla faccia: «L’altra sera ho ricevuto una telefonata dal suo pugile. Stava brutalizzando una giovane donna e cercava di terrorizzarmi facendomi sentire i lamenti di quella poveretta. So tutto dei suoi precedenti come stupratore, sono al corrente delle sue predilezioni per le mutilazioni sessuali. Non so come sia riuscito a cavarsela finora, ma sono qui per dirle che la fortuna lo ha abbandonato. O lo ferma lei, o ci penserò io. Andrò alla polizia, alla stampa, parlerò con il delegato della vostra federazione.»

«Non lo faccia, me ne occupo io. Lo giuro, provvederò personalmente lo ricondurrò alla ragione.»

«Oggi!» tuonai.

«Sicuro, oggi. Prometto. Gli troverò qualcuno che lo aiuti.»

Non gli credetti nemmeno per un secondo, ma gliel’avevo cantata chiara, perciò me ne andai con la stessa decisione con cui ero entrata. Sulle scale mi costrinsi a respirare profondamente, poi attraversai la strada con una calma che non sentivo. Uscii dallo spazio dove avevo parcheggiato e mi allontanai molto lentamente, con estrema cautela.

Era ancora presto, ma non avevo più voglia di sprecare energie per la caccia ai delinquenti. Mi diressi verso casa per forza d’inerzia. Mi accorsi di trovarmi nel mio parcheggio. Chiusi la Cherokee, salii le scale fino al mio appartamento, mi lasciai cadere sul letto e assunsi la posizione preferita per meditare.

Mi svegliai alle tre, stavo molto meglio. Mentre dormivo la mia mente doveva aver trovato un nascondiglio sicuro per quell’ultima sequela di pensieri deprimenti. Non li avevo scordati del tutto, ma non mi martellavano più nel cervello.

Mi preparai un sandwich con burro e marmellata, ne diedi un boccone a Rex e ingollai il resto mentre ascoltavo i messaggi per il telefono di Morelli.

Uno studio fotografico l’aveva chiamato per offrirgli un ritratto in grandezza naturale se si fosse presentato per una seduta. Un tale voleva vendergli lampadine e Charlene gli aveva fatto una proposta indecente, ansimando rumorosamente; aveva avuto un orgasmo, oppure aveva calpestato la coda del gatto. Purtroppo il nastro era terminato, perciò non c’erano altri messaggi. Bene così. Non me la sentivo di ascoltare altro.

Stavo riordinando la cucina quando suonò il telefono e la segreteria entrò in azione.

«Mi ascolti, Stephanie? Sei in casa? Ti ho visto parlare con Lula e Jackie, oggi. Bevevi birra in loro compagnia. Non mi è piaciuto, Stephanie. Mi sono sentito offeso, come se tu preferissi loro a me. E mi sono arrabbiato perché non vuoi ciò che il campione desidera darti.

«Forse ti farò un regalo. Magari te lo consegno alla porta mentre dormi. Ti piacerebbe? Tutte le donne amano i regali. Specialmente se sono come quelli che offre il campione. Ti farò una sorpresa. Solo per te, Stephanie.»

Con questa promessa che mi risuonava nelle orecchie, mi assicurai di aver messo pistola e munizioni nella borsa, e uscii per andare da Sunny’s. Arrivai alle quattro e aspettai nel parcheggio finché apparve Eddie, alle quattro e un quarto.

Era in borghese e aveva la sua 38 fuori ordinanza appesa alla cintura.

«Dove hai la pistola?» mi chiese.

Diedi un colpetto alla borsa.

«È vietato nascondere un’arma. Nel New Jersey è un grave reato.»

«Ho un permesso.»

«Fammelo vedere.»

Tirai fuori il permesso dal portafoglio.

«Questa è un’autorizzazione a detenere un’arma da fuoco, non equivale al porto d’armi», decretò Eddie.

«Ranger mi ha detto che era multiuso.»

«Ranger ti aiuta anche a falsificare le targhe?»

«Be’ qualche volta penso che si muova ai limiti della legge. Hai intenzione di arrestarmi?»

«No, ma ti costerà…»

«Una dozzina di ciambelle?»

«Le ciambelle bastano per strappare una multa. Questa faccenda vale una confezione di birra da sei e una pizza.»

Per arrivare al poligono bisognava passare dal negozio d’armaiolo. Eddie pagò la tariffa del poligono e comperò una scatola di munizioni. Feci altrettanto. Il tiro a segno era proprio dietro il negozio e consisteva in una stanza grande come una corsia da bowling. Vi si allineavano sette cabine, ciascuna con una mensola a livello del petto. Bersagli standard, sagome di esseri umani dal ginocchio in su, con cerchi sempre più ampi centrati sul cuore, erano appesi alle pulegge. Secondo il regolamento del poligono, non si doveva puntare mai la pistola contro la persona in piedi vicino al tiratore.

«Okay», disse Gazarra. «Cominciamo dal principio. Hai una Smith Wesson Special calibro 38. Una pistola a cinque colpi, perciò rientra nella categoria delle armi portatili. Usi proiettili Hydroshock per causare il massimo dolore. Questa levetta si spinge avanti con il pollice, il tamburo scatta, e allora puoi caricare l’arma. Ogni proiettile è un colpo. Carica ciascuna camera di scoppio e fa scattare il tamburo. Mai lasciare il dito sul grilletto. Premerlo è un riflesso naturale, potresti farti un buco nel piede. Tendi il dito direttamente verso la canna finché sei pronta a sparare. Oggi imparerai ad assumere la posizione di base. Divarica le gambe alla stessa larghezza delle spalle con il peso ben distribuito sui piedi. Impugna l’arma con entrambe le mani, con il pollice sinistro sopra il destro; braccia distese parallelamente al terreno. Guarda il bersaglio, alza la pistola e prendi la mira. Regola l’alzo e spara.

«Questa pistola è a doppia azione. Puoi sparare premendo il grilletto, o alzando il cane e poi premendo il grilletto.» Eddie mi illustrava ogni particolare, mentre parlava, naturalmente senza far partire il colpo. Alla fine fece scattare il tamburo, lasciò cadere i proiettili sulla mensola, vi posò la pistola e si tirò indietro. «Qualche domanda?»

«No, non ancora.»

Lui mi diede un paraorecchi. «Prova.»

Il primo sparo fu un colpo singolo. Colpii il centro del bersaglio. Sparai ancora numerosi colpi singoli e poi passai a sparare due colpi a distanza ravvicinata. Era più difficile, ma me la cavai abbastanza bene.

Dopo mezz’ora avevo finito le munizioni e sparavo a casaccio perché avevo i muscoli intorpiditi. Di solito, quando vado in palestra lavoro soprattutto sugli addominali e sulle gambe, perché sono le parti che tendono a ingrassare. Se volevo diventare una brava tiratrice con la pistola, dovevo dedicarmi maggiormente a sviluppare i muscoli della parte superiore del corpo.

Eddie tirò verso di noi il bersaglio. «Mica male.»

«Va meglio con i colpi singoli, però.»

«Perché sei una donna.»

«Non parleresti così, se io avessi una pistola in mano», replicai.

Comperai una scatola di munizioni prima di andar via. Misi i proiettili nella borsa insieme con la pistola. Guidavo un’auto rubata. A questo punto, preoccuparsi del fatto che circolassi con un’arma nascosta nella borsa diventava inutile.

«Allora, mi sono guadagnato la pizza?» volle sapere Eddie.

«Cosa dirà Shirley?»

«È a una festa.»

«I ragazzi?»

«Dalla suocera.»

«Non pensi alla dieta?»

«Insomma, non vuoi proprio offrirmi questa pizza?»

«Ho soltanto dodici dollari e trentatré cent per distinguermi da una barbona della stazione.»

«Okay. Offro io.»

«Bene. Devo parlarti, ho dei problemi.»

Dieci minuti più tardi eravamo alla pizzeria Pino’s. C’erano parecchi ristoranti italiani nel quartiere, ma Pino’s era l’ideale per la pizza. Si diceva che di notte enormi scarafaggi invadessero la cucina, ma la pizza era di prim’ordine: la pasta era soffice e croccante, la salsa fatta in casa e c’erano abbastanza peperoni da poterci affondare il braccio fino al gomito. C’erano un bar e una sala. La sera tardi il bar era affollato di poliziotti appena smontati dal servizio che cercavano di alleviare la stanchezza prima di tornare a casa. A quell’ora del giorno, il locale era pieno di agenti che aspettavano di entrare in servizio.

Trovammo un tavolo nella sala e ordinammo da bere mentre aspettavamo la pizza. Al centro del tavolo c’erano uno spargipepe e una formaggiera per il parmigiano. La tovaglia era di plastica, a scacchi rossi e bianchi. Le pareti a pannelli erano laccate e decorate con ritratti incorniciati di italiani famosi e di qualche personaggio del luogo. Frank Sinatra e Benito Ramirez le celebrità dominanti.

«Allora, qual è il problema?» attaccò Eddie.

«Due problemi. Il primo è Joe Morelli. L’ho incontrato quattro volte da quando ho accettato questo incarico e neanche una volta sono riuscita ad arrestarlo.»

«Hai paura di lui?» volle sapere Eddie.

«No, ho paura a usare la pistola.»

«Allora usa il classico metodo delle donne: immobilizzalo con lo spray e ammanettalo.»

Più facile a dirlo che a farlo, pensai. È difficile spruzzare un uomo che ti tiene la lingua in bocca. «Infatti questo era il mio piano, ma lui si muove sempre più velocemente di me.»

«Vuoi un consiglio? Lascia perdere Morelli. Tu sei una principiante, lui è un professionista. Ha parecchi anni di esperienza sulle spalle. Era un bravo poliziotto, probabilmente è anche più in gamba come criminale.»

«Non posso permettermi di dimenticare Morelli. Vorrei che tu facessi un paio di controlli per due veicoli.» Scrissi il numero di targa del furgone su un tovagliolo di carta e glielo diedi. «Vedi se puoi trovare il proprietario. Inoltre vorrei sapere se Carmen Sanchez possiede un’auto. In caso affermativo, è stata sequestrata?»

Bevvi un po’ di birra e mi appoggiai allo schienale della sedia gustando l’aria fresca e il brusio attorno a me. Ogni tavolo era occupato, altre persone aspettavano alla porta. Evidentemente nessuno aveva voglia di cucinare, con quel caldo.

«Passiamo al secondo problema», suggerì Eddie.

«Se te lo dico, devi promettermi di non arrabbiarti.»

«Cristo, sei incinta.»

Lo guardai confusa. «Perché ti è venuta in mente una cosa simile?»

Lui parve imbarazzato. «Non so, mi è scappata. Shirley mi dice sempre che è incinta.»

Gazarra aveva quattro figli. Il maggiore aveva nove anni, il più piccolo uno. Tutti maschi e tutti mostri.

«Be’, non sono incinta. Si tratta di Ramirez.» Gli raccontai tutta la storia sul conto del pugile.

«Avresti dovuto sporgere denuncia», osservò Eddie. «Perché non hai chiamato la polizia quando ti ha aggredito in palestra?»

«Ranger avrebbe presentato un esposto se fosse stato aggredito?» replicai.

«Tu non sei Ranger.»

«Vero, ma cerca di capire il mio punto di vista.»

«Perché mi racconti tutto questo?»

«Perché se sparisco all’improvviso, desidero che tu sappia dove cominciare a cercarmi.»

«Gesù, se pensi che quell’individuo sia tanto pericoloso, dovresti cercare di ottenere un mandato di cattura.»

«Non ho molta pratica con i mandati di cattura. E poi, che cosa direi al giudice… che Ramirez ha minacciato di mandarmi un regalo? Guardati attorno. Che cosa vedi?»

Eddie sospirò. «Foto di Ramirez a fianco del papa e di Frank Sinatra.»

«Sono sicura che me la caverò», conclusi. «Avevo solo bisogno di parlarne con qualcuno.»

«Se hai altri problemi, chiamami immediatamente.»

Annuii.

«Quando sei in casa sola, assicurati che la pistola sia carica e a portata di mano. Sapresti usarla contro Ramirez, in caso di necessità?»

«Non so, penso di sì.»

«I turni sono cambiati, lavoro di giorno. Ma desidero vederti ogni pomeriggio alle quattro e mezzo da Sunny’s. Pago io le munizioni e il poligono. L’unico modo per sentirsi a proprio agio con una pistola è quello di usarla.»

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