12

Con uno strattone spalancai la portiera e mi misi al volante. Mi allontanai dal bordo del marciapiede badando a non investire nessuno. Guidai a velocità moderata e non mi voltai a guardare dietro. Mi fermai a un semaforo ed esplorai i danni dallo specchietto. Il labbro superiore era tagliato all’interno e sanguinava ancora. Avevo un livido che andava estendendosi sulla guancia sinistra. Labbro e guancia cominciavano a gonfiarsi.

Tenevo stretto il volante e usavo ogni energia per restare calma. Proseguii a sud verso State Street, dirigendomi a Hamilton. Quando vi giunsi mi parve di essere al sicuro; nel mio quartiere potevo permettermi di fermarmi e ragionare. M’infilai nel parcheggio di un grande magazzino e rimasi seduta in macchina per un po’. Dovevo andare alla polizia per denunciare l’aggressione, ma non sapevo come gli agenti avrebbero considerato quest’ultimo incidente con Ramirez. Lui mi aveva minacciata e io lo avevo provocato deliberatamente parcheggiando di fronte alla palestra. Non era stata una mossa intelligente.

Avevo avuto una scarica di adrenalina, da quando il pugile era apparso al mio fianco, e adesso che l’effetto stava scemando, affioravano la stanchezza e il dolore fisico. Mi facevano male il braccio e la mascella, avevo il polso debolissimo.

Guarda in faccia la realtà, per oggi non ce la fai ad andare alla centrale. Frugai nella borsa finché trovai il biglietto di Dorsey. Meglio mettersi in contatto con lui e riferirgli quanto era successo. Composi il suo numero e lasciai un messaggio, pregandolo di richiamarmi. Non specificai quale fosse il problema: non mi sentivo di parlarne.

Entrai nel supermercato e comperai un ghiacciolo. «Ho avuto un incidente», spiegai alla commessa. «Labbro gonfio.»

«Dovrebbe andare da un medico», suggerì lei.

Strappai l’involucro del ghiacciolo e appoggiai il ghiaccio al labbro. «Ahhh!», sospirai. «Va meglio.»

Tornai alla macchina, ingranai la retromarcia e andai a sbattere contro un furgone. Tutta la mia vita mi balenò davanti agli occhi, come in un lampo. Ero sopraffatta dall’angoscia. Oh, Signore, pregai, fa’ che non si sia ammaccata.

Io e l’autista del camioncino scendemmo per esaminare i rispettivi veicoli. Il furgone non presentava nemmeno un graffio. Niente ammaccature, neppure un graffio sulla vernice. La Cherokee… be’, era come se qualcuno avesse aperto con l’apriscatole il paraurti posteriore destro.

L’uomo del furgone fissò il mio labbro gonfio. «Una lite domestica?»

«Un incidente.»

«Immagino che questa non sia la sua giornata buona», commentò lui.

«Nessuna giornata è buona per me.»

Poiché l’incidente era avvenuto per colpa mia e il furgone non era stato danneggiato, saltammo il rituale di scambiarci i dati sulle rispettive assicurazioni. Diedi un’ultima occhiata al mio paraurti, rabbrividii e mi allontanai, chiedendomi quale delle due alternative fosse la migliore: suicidarmi o affrontare Morelli.

Il telefono stava squillando quando entrai in casa. Si trattava di Dorsey.

«Devo sporgere una denuncia contro Ramiress», gli dissi. «Mi ha colpito alla bocca.»

«Dov’è accaduto?»

«In Ssstark Ssstreet.» Fornii al detective tutti i dettagli e rifiutai la sua offerta di venire da me per raccogliere la mia deposizione. Non volevo correre il rischio che incontrasse Morelli. Gli promisi che sarei andata alla centrale l’indomani per completare la denuncia.

Feci la doccia e per cena mangiai un gelato. Ogni dieci minuti guardavo fuori dalla finestra per vedere se ci fosse qualche segno della presenza di Morelli nel parcheggio. Avevo parcheggiato la Cherokee in un angolo dove l’illuminazione era scarsa. Se fossi riuscita a passare la notte, l’indomani avrei portato l’auto al garage di Al per chiedergli se poteva eseguire una riparazione lampo. Non avevo idea di quanto mi sarebbe costato.

Guardai la televisione fino alle undici e andai a letto, portando in camera la gabbia di Rex che mi tenesse compagnia. Non c’erano state telefonate da parte di Ramirez e nessun segno di Morelli. Non sapevo nemmeno se sentirmi sollevata o delusa. Ignoravo se Morelli fosse in ascolto per proteggermi come stabilito, perciò mi addormentai con la bomboletta, il telefono portatile e la pistola sul comodino.

Il telefono suonò alle sei e mezzo. Era Morelli.

«È ora di alzarsi», disse.

Guardai l’orologio sul comodino. «Veramente siamo in piena notte.»

«Ti saresti alzata da parecchie ore se avessi dovuto dormire in una Nissan Sentra.»

«Che cosa ci fai in una Sentra?»

«Sto facendo riverniciare il furgone con un colore diverso e ho fatto rimuovere le antenne. Sono riuscito a trovare un nuovo set di targhe. Intanto, il garage mi ha prestato un’auto. Ho aspettato che fosse buio e mi sono fermato a Maple, proprio dietro il tuo parcheggio.»

«Per potermi proteggere?»

«Veramente non volevo perdere l’occasione di sentire il fruscio dei tuoi abiti mentre ti spogliavi. Che cos’era quello strano squittio che è durato tutta la notte?»

«Era Rex nella sua gabbia.»

«Credevo che lo tenessi in cucina.»

Non volevo fargli capire che avevo paura e mi sentivo sola, perciò mentii: «Ho pulito il lavello. A lui non piace l’odore del detersivo, così l’ho portato in camera».

La pausa che seguì durò per un paio di secondi.

«Traduco», riprese Morelli. «Ti sentivi sola e spaventata e hai portato con te Rex per tenerti compagnia.»

«Sono momenti difficili.»

«Parliamone», suggerì lui.

«Immagino che vorrai andartene da Trenton prima che Beyers ritorni.»

«Credo di sì. Sono troppo scoperto in questa auto. Devo ritirare il furgone stasera alle sei, poi torno.»

«Ci sentiamo più tardi.»

«Ricevuto, Capitan Video.»

Tornai a letto e dopo due ore mi svegliai di soprassalto sentendo l’allarme della Cherokee che ululava nel parcheggio. Scesi dal letto in un baleno, corsi alla finestra, tirai le tende in tempo per vedere Morty Beyers che fracassava l’antifurto con il calcio della pistola.

«Beyers!» strillai dalla finestra. «Che accidenti credi di fare?»

«Mia moglie mi ha lasciato e si è presa la Escort.»

«E allora?»

«E allora mi serve un’auto. Stavo per noleggiarne una quando mi è venuta in mente la jeep di Morelli. Ho pensato di risparmiare un po’ di soldi, finché non rintraccio Mona.»

«Cristo, Beyers, non puoi entrare in un parcheggio e portarti via la macchina di un altro. Questo si chiama furto. Sei un maledetto ladro d’auto!»

«E con questo?»

«Dove hai preso le chiavi?»

«Nello stesso posto dove le hai trovate tu. Nell’appartamento di Morelli. C’era un mazzo di scorta nel cassettone.»

«Non te la caverai, te l’assicuro.»

«Cosa vuoi fare, chiamare la polizia?»

«Dio ti punirà.»

«E chi se ne frega!» Beyers scivolò al volante, prese tempo per aggiustarsi il sedile e per accendere la radio.

Arrogante bastardo, pensai. Non solo mi rubava la macchina, ma se ne stava là a vantarsi di potersene appropriare impunemente. Afferrai la bomboletta, sfrecciai fuori dalla porta e giù per le scale. Ero scalza, portavo solo una camicia da notte con l’effigie di Topolino e un bikini, ma me ne infischiavo altamente.

Avevo appena messo il piede fuori dalla porta sul retro, quando vidi Beyers girare la chiave dell’accensione e premere sull’acceleratore. Un secondo dopo l’auto esplose con un boato assordante, facendo volare le portiere come un disco da frisbee. Le fiamme salirono rapidamente dal telaio e divorarono la Cherokee trasformandola in una palla di fuoco brillante.

Ero troppo sgomenta per muovermi. Rimasi impalata a bocca aperta mentre parti del tetto e dei paraurti invertivano la traiettoria per ricadere al suolo.

Ulularono a distanza le sirene, gli inquilini del palazzo si riversarono fuori e rimasero accanto a me a fissare la jeep in fiamme. Nuvole di fumo nero ribollivano nel cielo del mattino, il calore m’investì in piena faccia.

Non c’era stata nessuna possibilità di salvare Morty Beyers. Anche se mi fossi lanciata, non sarei riuscita a tirarlo fuori dalla vettura. E probabilmente lui era morto al momento dello scoppio, non a causa delle fiamme. Mi venne da pensare che non si trattava certo di una disgrazia. L’attentato era stato preparato per la sottoscritta.

La cosa presentava un lato positivo: non dovevo più affrontare Morelli per i danni dell’incidente.

Mi tirai indietro e mi feci strada tra la piccola folla che si era radunata. Salii le scale a due gradini per volta e mi chiusi in casa. Imprudentemente avevo lasciato aperta la porta d’ingresso prima di precipitarmi fuori, perciò ispezionai ogni angolo, impugnando la pistola. Se mi fossi imbattuta nell’individuo che aveva arrostito Beyers, non avrei certo perso tempo con la bomboletta del gas, gli avrei piantato immediatamente una pallottola nello stomaco. Un buon bersaglio, lo stomaco.

Quando fui sicura che in casa non c’era nessuno, mi vestii con shorts e maglietta. Andai in bagno a darmi un’occhiata: sullo zigomo avevo un livido rosso e un piccolo taglio sul labbro inferiore. Il gonfiore era diminuito. Invece, a causa dell’incendio, la mia pelle sembrava bruciata dal sole e dalla sabbia; le sopracciglia e i capelli attorno alla faccia erano bruciacchiati e appiccicati sulle punte di qualche millimetro. Molto carina. Non che mi lamentassi, potevo esser morta e mutilata, con parti del corpo disperse fra le azalee. Calzai le scarpe da ginnastica e scesi per dare un’altra occhiata.

Il parcheggio e le vie adiacenti erano intasate di camion dei vigili del fuoco, auto della polizia e ambulanze. Erano state disposte delle transenne per tenere lontano i curiosi dai resti fumanti della jeep. Sul terreno, rivoli di olio e acqua sporca; l’aria aveva odore di arrosto bruciato. Non volevo pensarci. Vidi Dorsey in piedi che parlava con un poliziotto in divisa. Alzò la testa, mi notò e si avvicinò.

«Ho una brutta sensazione su questa faccenda.»

«Conosce Morty Beyers?» gli chiesi.

«Sì.»

«Era nella jeep.»

«Cristo! È sicura?»

«Gli stavo parlando quando l’auto è esplosa.»

«Questo spiega perché ha perso le sopracciglia. Di che cosa parlavate?»

«Vinnie mi aveva dato solo una settimana di tempo per arrestare Morelli. La settimana era finita e Morty ha preso in mano il caso. In un certo senso stavamo parlando di Morelli.»

«Ma lei non doveva essere troppo vicino, altrimenti sarebbe ridotta a un hamburger, a quest’ora.»

«In realtà, ero quasi dove siamo ora e stavamo litigando. Non eravamo d’accordo su una questione.»

Un agente in divisa si avvicinò con una targa contorta. «Abbiamo trovato questa vicino al cassonetto delle immondizie», annunciò. «Vuole che la faccia identificare?»

Presi la targa. «Non si disturbi, l’auto appartiene a Morelli.»

«Oh Dio!» gemette Dorsey. «Aspetto solo che si spieghi.»

Decisi di abbellire la verità poiché era probabile che la polizia non vedesse di buon occhio la caccia a un ricercato da parte di un bounty hunter e non giustificasse il fatto che avessi requisito un’auto. «È andata così», attaccai. «Mi ero recata dalla madre di Morelli e lei era preoccupata che nessuno facesse muovere la macchina di Joe. Sa, la batteria ne risente, se si lascia ferma un’auto. Così, dopo una breve chiacchierata, ho acconsentito a mettere in moto la macchina.»

«Sicché guidava l’auto di Morelli per fare un favore a sua madre?» fece Dorsey.

«Sì. Lui l’aveva pregata di averne cura, ma la signora non aveva tempo.»

«Un gesto nobile da parte sua», commentò Dorsey.

«Sono nobile per natura.»

«Vada avanti.»

Gli spiegai che la moglie di Beyers lo aveva lasciato, che lui aveva cercato di rubare l’auto e che aveva commesso l’errore di dire: «Chi se ne frega», rivolto a Dio. Subito dopo la Cherokee era esplosa.

«Lei crede che Dio si sia offeso e abbia arrostito Beyers?»

«È solo un’ipotesi.»

«Quando verrà alla centrale per completare la denuncia contro Ramirez, vedremo di approfondire questa faccenda.»

Rimasi a guardare ancora per qualche minuto, poi risalii in casa. Non ci tenevo particolarmente a trovarmi nelle vicinanze quando avrebbero raccolto le ceneri di Morty Beyers.

Sedetti davanti al televisore fino a mezzogiorno, tenendo le finestre chiuse e le tende tirate per non vedere la scena nel parcheggio. Di tanto in tanto andavo in bagno e mi guardavo allo specchio per vedere se mi fossero ricresciute le sopracciglia.

Alle dodici in punto tirai le tende e azzardai un’occhiata al parcheggio. La Cherokee era stata rimossa, erano rimasti solo due agenti di pattuglia. Dalla finestra sembrava che stessero riempiendo i moduli per i danni subiti dalle poche auto che erano state colpite dalle schegge dell’esplosione.

Una mattina di televisione mi aveva anestetizzato abbastanza da sentirmi pronta a rimettermi in pista, perciò feci una doccia e mi vestii cercando di non pensare alla morte e alle bombe.

Dovevo andare alla stazione di polizia, ma ero senza macchina. In tasca, pochi dollari. Neanche un soldo sul conto corrente e le carte di credito erano scoperte. Dovevo effettuare un altro arresto.

Chiamai Connie e le riferii quanto era accaduto a Morty Beyers.

«Questo costituisce una grossa falla nella diga di Vinnie», osservò Connie. «Ranger è convalescente dopo una sparatoria e adesso Morty Beyers esce di scena. Erano i nostri due agenti migliori.»

«Già, un vero peccato. Suppongo che a Vinnie sia rimasta io sola.»

All’altro capo del filo seguì una lunga pausa. «Non sei stata tu a far fuori Morty, no?»

«In un certo senso, Beyers se l’è voluta. Hai qualche caso facile? Mi serve denaro in fretta.»

«Ho un tale che non si è presentato all’udienza con una cauzione di duemila dollari. Atti osceni. È stato buttato fuori da tre case di riposo. Attualmente vive in un appartamento non so dove.» Sentii Connie che sfogliava alcune carte. «Eccolo», annunciò alla fine. «Santo cielo, abita nel tuo stabile.»

«Come si chiama?» m’informai.

«William Earling. Appartamento 3E.»

Afferrai la borsa e guardai su. Salii le scale fino al terzo piano, contai gli appartamenti e bussai alla porta di Earling. Mi aprì un uomo e immediatamente sospettai che fosse la persona giusta poiché era vecchio e completamente nudo. «Signor Earling?» chiesi.

«Sono io. Le sembro in forma, carina? Le pare che sia bene attrezzato?»

Mi ordinai mentalmente di non guardare, ma i miei occhi si abbassarono senza volerlo. Non solo non era attrezzato, ma i suoi organi genitali erano completamente avvizziti. «Veramente notevole», dissi e gli tesi il mio biglietto da visita. «Lavoro per Vincent Plum, il suo garante. Lei non si è presentato all’udienza, signor Earling. Devo portarla in città così potrà rimettersi in nota.»

«Quelle maledette udienze sono una perdita di tempo», dichiarò Earling. «Ho settantasei anni. Crede che manderanno in galera un uomo della mia età solo perché ha mostrato in giro i suoi attributi?»

Sinceramente, lo speravo. Vedere Earling nudo bastava a farmi desiderare di restare nubile. «Devo accompagnarla in città. Che ne dice di vestirsi?»

«Non indosso abiti. Dio mi ha fatto venire al mondo nudo e così me ne andrò.»

«Okay, per me, ma nel frattempo desidero che si vesta.»

«Se vuole che la segua, vengo nudo.»

Tirai fuori le manette e gliele feci scattare ai polsi.

«Brutalità poliziesca», strillò lui.

«Spiacente di deluderla, ma non sono un poliziotto.»

«Be’, che cos’è, allora?»

«Sono un’agente incaricata di ricercare i latitanti che non hanno tenuto fede alle clausole della libertà su cauzione.»

«Fa lo stesso. Brutalità, brutalità!»

Andai all’armadio in anticamera, trovai un impermeabile e glielo abbottonai addosso.

«Non vengo con lei», strillò Earling irrigidendosi, le mani ammanettate sotto l’indumento. «Non può costringermi.»

«Ascolti, nonnino, o viene con le buone, o la immobilizzo con il gas e la trascino per i piedi», minacciai.

Stentavo a credere che stessi parlando in quel modo a un povero vecchio. Ero inorridita per il mio comportamento, ma accidenti, l’operazione valeva duecento dollari.

«Non si scordi di chiudere a chiave», mi ammonì lui. «Questo quartiere è diventato impossibile. Le chiavi sono in cucina.»

Presi le chiavi, una aveva inciso un piccolo logo della Buick. Bel colpo. «Un’altra cosa», dissi. «Le dispiace se prendo la sua auto per accompagnarla in città?»

«Niente in contrario, purché non sprechi troppa benzina. Io ho un reddito fisso, sa.»

Portai dentro il signor Earling a tempo di record, badando a non imbattermi in Dorsey. Tornando a casa mi fermai all’ufficio per ritirare il mio assegno e poi in banca per incassarlo. Parcheggiai l’auto di Earling il più vicino possibile al portone per far sì che si mostrasse in giro nudo il meno possibile una volta che fosse uscito di prigione. Non volevo più rivederlo a meno che non fosse del tutto inevitabile.

Salii in casa e chiamai i miei; tremavo al pensiero di ciò che stavo per fare.

«Papà è fuori con il taxi?» m’informai. «Avrei bisogno di fare una corsa.»

«Oggi non lavora, è qui. Dove devi andare?» chiese mia madre.

«A un residence sulla Route 1.» Ancora tremavo.

«Adesso?»

«Sì, adesso», confermai con un sospiro.

«Stasera preparo lumache farcite. Vieni?» mi propose mia madre.

Desideravo le lumache ripiene più di qualsiasi altra cosa al mondo, più del sesso, di un’auto veloce, di una notte fresca o delle sopracciglia. Per un po’ volevo tornare bambina, sentirmi al sicuro, coccolata dalla mamma che mi riempiva il bicchiere di latte sollevandomi dalle mie responsabilità. Desideravo trascorrere qualche ora in una casa stipata di mobili orribili con un insopportabile odore di cucina in tutte le stanze. «Non vedo l’ora di gustare le tue lumache.»

Mio padre mi aspettava alla porta sul retro dopo un quarto d’ora. Ebbe un sussulto, vedendomi.

«C’è stato un incidente nel parcheggio», spiegai. «Un’auto si è incendiata e io ero troppo vicina.» Gli diedi l’indirizzo e lo pregai di fermarsi al K-Mart mentre eravamo sulla strada. Mezz’ora dopo, papà mi lasciò nel parcheggio di Morelli.

«Dì a mamma che sarò da voi per le sei», annunciai.

Lui guardò la Nova e le lattine d’olio che avevo appena comperato. Forse è meglio che mi fermi per vedere se parte.

Misi l’olio e controllai il livello. Feci a mio padre un cenno affermativo. Lui non parve affatto impressionato. Salii al volante, diedi un pugno al cruscotto e avviai il motore. «Parte sempre», gridai.

Mio padre era rimasto impassibile, sapevo che stava pensando che avrei dovuto acquistare una Buick. Certe cose non capitano mai con una Buick. Uscimmo insieme dal parcheggio, salutai papà agitando il braccio e puntai la Nova in direzione del Ye Olde Muffler Shoppe. Passai davanti al tetto arancione e appuntito sull’Howard Johnson Motel, allo Shady Grove Trailer Park, al canile Happy Days Kennels. Gli altri automobilisti si tenevano a debita distanza non osando entrare nella mia rumorosa scia. Dopo circa dieci chilometri mi rallegrai alla vista dell’insegna su cui campeggiava una marmitta gialla e nera.

Portavo gli occhiali Oakleys per nascondere le sopracciglia, ma l’uomo al banco mi guardò ugualmente due volte. Riempii i moduli, gli diedi le chiavi e andai a sedermi nella saletta riservata ai proprietari delle auto in riparazione. Quarantacinque minuti più tardi ero di nuovo per strada. Notai il fumo solo quando mi fermai a un incrocio, la luce rossa si accendeva di tanto in tanto. Non potevo aspettarmi di meglio, conclusi.


Mia madre attaccò appena misi piede sul portico: «Ogni volta che ti vedo, è sempre peggio. Lividi, tagli, e adesso guarda che capelli! Oh Dio, non hai più le sopracciglia! Che cosa ti è successo? Tuo padre mi ha detto che ti sei trovata vicino a un incendio».

«Un’auto ha preso fuoco nel mio parcheggio. Niente di grave.»

«L’ho visto in televisione», intervenne nonna Mazur passando davanti a mia madre con una gomitata. «Hanno detto che è stata l’esplosione di una bomba. La macchina è volata in cielo. E dentro c’era un tale, un losco figuro che si chiamava Beyers. Dicono che non sia rimasto molto di lui.»

Nonna Mazur indossava una blusa di cotone rosa e arancione, con le maniche di lamé, shorts da ciclista blu, scarpe da tennis bianche e calze arrotolate sopra il ginocchio.

«Belli i tuoi shorts», osservai. «Un colore stupendo.»

«È andata a un funerale così conciata, oggi pomeriggio», gridò mio padre dalla cucina. «Era la funzione per Tony Mancuso.»

«Ti dirò», riprese nonna Mazur. «È stato il miglior servizio funebre a cui ho assistito questo mese. Tony aveva un aspetto magnifico, gli avevano messo una cravatta decorata con tante teste di cavallo.»

«Finora abbiamo ricevuto sette telefonate», la interruppe mia madre. «Ho spiegato a tutti che stamattina s’era scordata di prendere la medicina.»

Nonna Mazur sbatté i denti. «Nessuno s’intende di moda, da queste parti, non puoi mai vestirti in modo diverso.» Si guardò gli shorts e mi chiese un po’ perplessa: «Che ne pensi? Non credi che siano adatti per una cerimonia pomeridiana?»

«Certo», risposi. «Ma di sera consiglierei pantaloncini neri.»

«Proprio quello che pensavo. Devo procurarmene un paio.»

Alle otto ero sazia della buona cena, della casa stipata di mobili e pronta ancora una volta a riprendere la mia vita indipendente. Uscii dalla casa dei miei genitori con le braccia cariche di avanzi della cena e tornai al mio appartamento.

Per gran parte della giornata avevo evitato di pensare all’esplosione della Cherokee, ma adesso era il momento di guardare in faccia la realtà. Qualcuno aveva tentato di uccidermi, e non era Ramirez. Lui voleva solo infliggermi dolore e sentirmi chiedere pietà. Il campione era un essere abominevole e spaventoso, ma prevedibile. Sapevo da dove proveniva, era un pazzo criminale.

Piazzare una bomba era una diversa forma di pazzia. Una mossa calcolata e con uno scopo ben preciso. Una bomba serviva per togliere di mezzo un individuo, qualcuno che dava fastidio.

Perché proprio io? pensavo. Chi poteva volermi morta? L’interrogativo mi fece serpeggiare un brivido lungo la schiena.

Piazzai la Nova al centro del parcheggio e mi chiesi se l’indomani mattina avrei avuto il coraggio di premere l’acceleratore. L’auto di Morelli era stata rimossa e c’erano poche tracce dell’incendio. Il piazzale era brunito e segnato nel punto in cui era bruciata la jeep, ma non c’era alcun segno del nastro usato dalla polizia per delimitare la scena del delitto, né dei rottami anneriti dal fuoco.

Entrai in casa e vidi che la segreteria telefonica lampeggiava furiosamente. Dorsey aveva chiamato tre volte, pregandomi di farmi viva. Non sembrava troppo cordiale. Poi aveva chiamato Bernie per annunciare che la ditta lanciava una vendita promozionale e mi invitava a passare nel suo negozio. Venti per cento di sconto per i frullatori più una bottiglia di daiquiri in omaggio ai primi venti clienti. Mi luccicarono gli occhi al pensiero di un daiquiri. Mi restava ancora qualche dollaro e quei frullatori dovevano essere proprio un affare. L’ultima telefonata era di Jimmy Alpha, con altre scuse e l’augurio che Ramirez non mi avesse ferita troppo gravemente.

Guardai l’orologio, erano quasi le nove. Non ce la facevo ad andare da Bernie prima che chiudesse il negozio. Peccato. Ero sicura che dopo un daiquiri sarei stata in grado di pensare più chiaramente e magari immaginare chi aveva tentato di mandarmi in orbita.

Accesi il televisore e sedetti, ma la mia mente era altrove, stava passando in rassegna i potenziali assassini. Degli uomini che avevo catturato, soltanto Lonnie Dodd avrebbe potuto esserlo, ma il ragazzo era in galera. Più probabile che questa faccenda avesse a che fare con l’omicidio di Kulesza. Qualcuno era preoccupato per il fatto che andassi in giro a curiosare. Ma non riuscivo a immaginare chi volesse uccidermi. La morte era una cosa seria.

Doveva esserci qualcosa che mi era sfuggito e che si riferiva a Carmen, a Kulesza o a Morelli. Oppure al testimone misterioso.

Un cattivo pensiero si agitava in un angolo del mio cervello. Tutto sommato, io costituivo un’autentica minaccia mortale per una persona sola: Morelli.

Alle undici suonò il telefono, risposi prima della segreteria telefonica.

«Sei sola?» s’informò Morelli.

Esitai un attimo. «Sì.»

«Perché hai esitato?»

«Tu che cosa provi a parlare di omicidio?»

«Omicidio di chi?» si stupì lui.

«Il mio.»

«Sono fuori di me.»

«Era solo una domanda.»

«Vengo su», tagliò corto lui. «Aspettami alla porta.»

Infilai la bomboletta nella cintura degli shorts e la coprii con la maglietta. Incollai l’occhio allo spioncino e aprii la porta quando vidi Morelli avanzare nel corridoio. Ogni giorno che passava il suo aspetto sembrava peggiorare. Aveva bisogno di farsi tagliare i capelli e sembrava che non si radesse da una settimana, anche se in realtà forse non si sbarbava solo da un paio di giorni. Jeans e maglietta sembravano gli indumenti di un barbone.

Morelli chiuse l’uscio e fece scattare la chiave. Notò la mia faccia bruciacchiata e i lividi sul braccio. Aveva un’espressione cupa. «Vuoi dirmi che cosa è successo?»

«Il labbro tagliato e i lividi sono opera di Ramirez. Abbiamo avuto una lite, ma credo di aver vinto io. L’ho colpito con il gas e l’ho lasciato che vomitava in mezzo alla strada.»

«E le sopracciglia bruciate?»

«Mmmm. Ecco, questo è piuttosto complicato.»

Lui si rabbuiò. «Che cosa è accaduto?»

«La tua auto è esplosa.»

Nessuna reazione per alcuni secondi. «Vuoi ripetere?» chiese alla fine.

«La buona notizia è che non devi più preoccuparti di Morty Beyers.»

«E quella cattiva?» incalzò lui.

Presi la targa dal banco della cucina e gliela diedi. «È tutto ciò che è rimasto della tua macchina.»

Lui fissò la targa scosso e in silenzio.

Gli riferii che Beyers era stato piantato dalla moglie e che lei l’aveva lasciato senza auto, gli parlai della bomba e delle tre telefonate di Dorsey.

Morelli trasse le stesse conclusioni a cui ero arrivata anch’io. «Non è stato Ramirez.»

«Ho fatto a mente un elenco delle persone che potrebbero volermi morta e il tuo nome è il primo», annunciai.

«Soltanto nei miei sogni», replicò lui. «Chi altro c’è sulla lista?»

«Lonnie Dodd, ma credo che sia ancora in prigione.»

«Hai mai ricevuto minacce di morte? Per esempio da ex mariti o ex boyfriend? Hai investito nessuno, di recente?»

Non volendo dare troppo peso alla domanda, decisi di non reagire in nessun modo.

«Okay», riprese lui. «Dunque pensi che questa storia sia collegata all’omicidio di Kulesza?»

«Sì.»

«Sei spaventata?»

«Sì.»

«Bene, così starai attenta.» Morelli aprì il frigorifero, tirò fuori gli avanzi che mi aveva dato mia madre e li mangiò senza riscaldarli. «Devi essere prudente quando parli con Dorsey. Se quello scopre che lavori con me, potrebbe accusarti di complicità o favoreggiamento.»

«Ho il fastidioso sospetto di esser stata trascinata in una alleanza che non torna a mio vantaggio», gli feci notare.

Lui aprì una birra. «L’unico modo per riscuotere i tuoi diecimila dollari dipende dal fatto che io ti permetta di arrestarmi. E io non te lo permetterò se prima non posso provare la mia innocenza. Se vuoi ritirarti dall’affare, avvertimi, ma dopo dovrai dare un addio al tuo denaro.»

«Questo è un atteggiamento disgustoso.»

Lui scosse la testa. «Realistico.»

«Avrei potuto colpirti con il gas in ogni momento.»

«Non credo proprio.»

Tirai fuori lo spray, ma prima che potessi prendere la mira, lui mi fece volare la bomboletta dalla mano.

«Non vale», protestai. «Te l’aspettavi.»

Lui finì di mangiare il suo sandwich e mise il piatto nella lavastoviglie. «Me l’aspetto sempre.»

«E adesso che facciamo?» domandai.

«Persistiamo. È chiaro che diamo sui nervi a qualcuno.»

«Non mi va di fare il bersaglio», borbottai.

«Non vorrai lamentarti per questo, eh?» Morelli si sistemò davanti al televisore e prese a trafficare con il telecomando. Appariva stanco, seduto con la schiena contro la parete, una gamba piegata sul ginocchio. Sintonizzò l’apparecchio su uno spettacolo notturno e chiuse gli occhi. Il suo respiro si fece profondo e regolare, la testa si abbassò sul petto.

«Ora potrei colpirti con il gas», sussurrai.

Lui alzò la testa, ma non aprì gli occhi. Un sorriso gli increspò gli angoli della bocca. «Non è nel tuo stile, bellezza.»


Dormiva ancora sul pavimento davanti al televisore quando mi alzai alle otto. In punta di piedi gli passai vicino e uscii per andare a correre. Quando rientrai, leggeva il giornale e beveva il caffè.

«C’è qualcosa sull’esplosione?» gli chiesi.

«L’articolo e le foto sono in terza pagina. La definiscono un’esplosione inspiegabile. Niente di particolarmente interessante.» Mi guardò da sopra il giornale. «Dorsey ha lasciato un altro messaggio sulla segreteria telefonica. Forse dovresti sentire che cosa vuole.»

Feci una rapida doccia, indossai abiti puliti e applicai un po’ di crema alla mia faccia arrossata. Poi il mio naso spellato mi portò diritta alla caffettiera. Bevvi mezza tazza mentre leggevo i fumetti del giornale e finalmente chiamai Dorsey.

«Sono arrivate le analisi di laboratorio», annunciò il poliziotto. «Era decisamente una bomba. Un lavoro da professionisti. Naturalmente, basta prendere un libro da qualsiasi biblioteca per sapere come si confeziona una bomba. A ogni modo, desideravo che lo sapesse.»

«Lo sospettavo.»

«Ha idea di chi possa essere stato?»

«Nessun nome.»

«Che ne dice di Morelli?»

«È una possibilità», ammisi.

«Ieri non si è fatta vedere alla centrale.»

Stava cercando di ottenere informazioni. Sapeva che c’era qualcosa di poco chiaro in tutta la faccenda, solo che non lo aveva ancora inquadrato. Benvenuto Dorsey. «Cercherò di venire oggi», promisi.

«Le consiglio di provarci, sul serio.»

Riappesi e finii di bere il caffè. «Dorsey vuole che vada da lui.»

«Ci vai?» chiese Morelli.

«No, mi farà domande a cui non posso rispondere.»

«Allora stamattina dovresti passare un po’ di tempo in Stark Street», suggerì lui.

«Stamattina no. Ho altro da fare.»

«Per esempio?»

«Cose personali.»

Lui inarcò le sopracciglia con aria interrogativa.

«Ho dei nodi da sciogliere… nel caso…»

«Nel caso di che cosa?» insisté Morelli.

Risposi con un gesto esasperato: «Nel caso che mi capiti qualcosa. In questi ultimi dieci giorni sono stata perseguitata da un sadico e ora sono sulla lista di un bombardiere professionista. Mi sento un po’ insicura, okay? Lasciami riprendere fiato, Morelli. Devo vedere certe persone, ho alcune commissioni da fare.»

Lui mi staccò con dolcezza una striscia di pelle dal naso. «Andrà tutto bene», disse con voce sommessa. «Capisco che tu sia spaventata, lo sono anch’io. Ma noi siamo i buoni e i buoni vincono sempre.»

Mi sentivo un’idiota perché Morelli si mostrava così gentile con me, quando in realtà ciò che volevo fare era andare da Bernie a comperare un frullatore e avere gratis la mia bottiglia di daiquiri.

«Come pensi di andare a fare queste commissioni, senza la jeep?» domandò Morelli.

«Ho ripreso la Nova.»

A quel punto lui fece una smorfia. «Non l’avrai parcheggiata qui sotto, eh?»

«Speravo che il bombardiere non avrebbe riconosciuto la mia auto.»

«Dio santo!»

«Sono sicura di non dovermi preoccupare.»

«Ma certo, sono sicuro anch’io. Scendo con te per accertarmi di essere doppiamente sicuro.»

Raccolsi il mio armamentario, controllai le finestre e inserii la segreteria telefonica. Morelli mi aspettava alla porta. Scendemmo insieme le scale e ci fermammo quando raggiungemmo la Nova.

«Anche se il bombardiere sapesse che questa è la tua macchina, sarebbe un idiota a riprovarci la seconda volta», osservò Morelli. «Dalle statistiche risulta che il secondo colpo proviene sempre da una direzione diversa.»

Osservazione sensata, ma i miei piedi erano incollati al selciato e il cuore mi batteva furiosamente. «Okay, vado», dissi. «Adesso o mai più.»

Morelli si era disteso sul ventre e guardava sotto la Nova.

«Che cosa vedi?» gli chiesi.

«Una gran perdita d’olio.» Strisciò fuori e si rialzò.

Sollevai il cofano ed esaminai l’asta dell’olio. Meraviglia delle meraviglie: la macchina era a secco. Misi due barattoli d’olio e richiusi il cofano.

Morelli aveva preso le chiavi dalla portiera e s’infilò davanti al volante. «Resta indietro», mi ordinò.

«Assolutamente no. Questa è la mia auto, ci penso io a metterla in moto.»

«Se uno di noi due deve saltare in aria, meglio che tocchi a me. Tanto posso considerarmi morto se non trovo quel testimone scomparso. Allontanati.»

Lui girò la chiave. Non successe niente. Mi guardò.

«Qualche volta bisogna darle un colpetto», suggerii.

Lui tornò a girare la chiave e tirò un pugno sul cruscotto. L’auto tossicchiò e poi si accese. Stentò, poi il motore iniziò a girare.

Morelli si lasciò andare sul volante, tenendo gli occhi chiusi. «Cristo.»

Lo guardai attraverso il finestrino. «Hai bagnato il sedile?»

«Molto divertente.» Scese dalla macchina e mi tenne aperta la portiera. «Vuoi che ti segua?»

«No, non occorre. Grazie.»

«Mi troverai in Stark Street, se hai bisogno di me. Chissà… forse il testimone si presenta alla palestra.»

Quando raggiunsi il negozio di Bernie, notai che la gente non stava in coda per entrare, perciò conclusi che ero una dei primi clienti.

«Ehi!» salutò Bernie. «Guarda chi c’è.»

«Ho ricevuto il tuo messaggio per il frullatore.»

«È questo piccolo gioiello», disse lui dando un colpetto a un frullatore esposto. «Frulla noci, ghiaccio, banane e fa un ottimo daiquiri.»

Guardai il prezzo del frullatore; potevo permettermelo. «Venduto. Posso avere la mia bottiglia di daiquiri in omaggio?»

«Certamente.» Bernie portò un frullatore nella sua scatola alla cassa e lo impacchettò. «Come va?» chiese imbarazzato, gli occhi fissi ai peli bruciacchiati che un tempo erano stati le mie sopracciglia.

«Meglio.»

«Un daiquiri ti farà bene.»

«Senza ombra di dubbio», approvai.

Sull’altro lato della strada, Sal stava lucidando la porta del suo negozio. Era un uomo dall’aspetto gradevole, robusto e stempiato, avvolto nel suo grembiulone bianco da macellaio. Per quello che ne sapevo, faceva anche l’allibratore a tempo perso. Niente di speciale. Dubitavo che fosse implicato. Ma allora, perché un tipo come Kulesza, la cui vita era concentrata in Stark Street, attraversava la città per andare da Sal? Avevo poche informazioni su Kulesza, non sapevo nulla della sua vita; l’unica informazione abbastanza interessante era che andava a far spesa da Sal. Forse Ziggy era uno scommettitore. Forse lui e Sal erano vecchi amici. O erano legati in qualche modo. A ripensarci, era possibile che Sal sapesse qualcosa di Carmen o dell’uomo con il naso schiacciato.

Chiacchierai ancora per qualche minuto con Bernie, mentre mi si affacciava l’idea di interrogare Sal. Vidi una donna entrare nel negozio e fare un acquisto. Mi sembrava un buon approccio. Mi avrebbe offerto l’opportunità di guardarmi attorno.

Promisi a Bernie che sarei tornata per comperare altri articoli e attraversai la strada.

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