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Il telefono squillò alle sette. Rispose la segreteria telefonica e riconobbi la voce di Morelli. «Sorgi e splendi», disse allegramente. «Sarò davanti alla tua porta fra dieci minuti per installare i dispositivi. Metti su il caffè.»

Preparai la macchinetta, mi lavai i denti e indossai dei pantaloncini e una camicetta. Morelli arrivò con cinque minuti d’anticipo reggendo una borsa per gli attrezzi. Sulla sua camicia a maniche corte spiccava un adesivo incollato sul taschino con la scritta LONG’S SERVICE.

«Che cos’è Long’s Service?» domandai.

«Tutto quello che ti fa comodo.»

«Ah, ah. Un travestimento.»

Lui gettò gli occhiali da sole sul banco della cucina e si avvicinò alla caffettiera. «La gente non fa caso agli operai. Ricordano il colore della divisa e niente altro. E se sei in gamba, con una divisa entri in qualunque stabile.»

Mi versai il caffè e composi il numero dell’ospedale per avere notizie di Lula. Mi dissero che le sue condizioni erano stazionarie.

«Devi andare a parlarle», suggerì Morelli. «Accertati che non voglia ritirare le accuse. Ieri sera hanno arrestato Ramirez e l’hanno interrogato per violenza carnale aggravata. È già fuori. Rilasciato sulla parola.»

Posò la tazzina del caffè, aprì la borsa degli attrezzi e tirò fuori un piccolo cacciavite e due piastre per coprire gli attacchi elettrici. «Sembrano comuni spine a muro», spiegò, «ma internamente nascondono congegni d’ascolto. Le uso perché non richiedono la sostituzione della batteria. Funzionano. Sono molto sicure.»

Staccò la piastra della presa in anticamera, collegò i fili lavorando con un paio di pinze con le punte di gomma. «Così, mi è possibile ascoltare e registrare dal furgone. Se Ramirez tentasse di entrare qui o si presentasse alla porta, dovrai seguire il tuo istinto. Se pensi di riuscire a farlo parlare per cavargli delle informazioni senza correre pericoli, fa’ pure.»

Morelli finì di lavorare in anticamera e si trasferì in camera da letto, ripetendo l’operazione. «Ricordati due cose: se accendi la radio non posso sentire quello che succede qua dentro. E se devo intervenire, è probabile che lo faccia dalla finestra della camera. Perciò lascia le tende chiuse per darmi un minimo di copertura.»

«Credi che si arriverà a tanto?»

«Spero di no. Cerca di far parlare Ramirez al telefono e ricordati di registrare.» Morelli rimise il cacciavite nella borsa, poi tirò fuori un rotolo di cerotto e una scatoletta di plastica delle dimensioni di un pacchetto di gomma da masticare.

«Questa è una trasmittente in miniatura. Funziona con batterie al litio da nove volt, per una durata di quindici ore. È dotata di un microfono esterno, pesa diciannove grammi e costa milleduecento dollari. Non perderlo e non tenerlo addosso sotto la doccia.»

«Forse Ramirez si comporterà meglio, ora che è stato accusato di violenza e lesioni», osservai.

«Lui non sa distinguere il bene dal male.»

«Qual è il programma della giornata?» volli sapere.

«Pensavo che potremmo tornare in Stark Street. Ora che non devi più preoccuparti di farmi impazzire, potresti concentrarti per far innervosire Ramirez. Costringilo a compiere un’altra mossa.»

«Gesù, Stark Street! Il mio luogo preferito. E che cosa dovrei fare?»

«Passeggia, cerca di apparire sexy, fa’ domande irritanti quanto basta per innervosire i tuoi interlocutori. Sono cose che ti vengono naturali, no?»

«Conosci Jimmy Alpha?» chiesi.

«Tutti lo conoscono.»

«Che ne pensi di lui?»

«Provo sentimenti contrastanti. Quando ho avuto a che fare con lui, si è sempre mostrato una persona perbene. Io credevo che fosse un grande manager. Ha lavorato bene con Ramirez, gli ha procurato incontri di prestigio e bravi allenatori.» Morelli si riempì la tazza di caffè. «Individui come Jimmy Alpha passano la vita intera sperando di trovare qualcuno del calibro di Ramirez. I più non ci arrivano nemmeno vicino. Essere il manager di Ramirez è come possedere il biglietto vincente della lotteria da un milione di dollari… anzi, meglio, perché il pugile continuerà a rendere. Ramirez è una miniera d’oro. Purtroppo è anche un pazzo fottuto e Alpha si trova spesso in difficoltà.»

«L’ho pensato anch’io. Possedere quel biglietto vincente può indurre una persona a chiudere un occhio sulle colpe di Ramirez.»

«Specialmente ora che hanno cominciato a guadagnare un sacco di soldi. Alpha ha mantenuto il pugile per anni, quando era solo un teppistello. Ora Ramirez detiene il titolo e ha firmato un contratto per incontri trasmessi in televisione. A conti fatti, per Alpha vale milioni.»

«Così, secondo te, Alpha si è compromesso.»

«Penso che lui non sia responsabile, sul piano criminale.»

Morelli guardò l’orologio. «Per prima cosa, la mattina, Ramirez fa un po’ di moto, poi consuma il breakfast in un piccolo locale di fronte alla palestra. Dopo colazione, si allena in palestra, dove solitamente rimane fino alle quattro.»

«Lungo, come allenamento», commentai.

«Non ha ancora raggiunto la condizione. Se dovesse combattere con un pugile appena decente, si troverebbe nei guai. I suoi due ultimi avversari erano dei dilettanti. Fra tre settimane ha un incontro con un’altra scartina. Dopo di che comincerà a prepararsi seriamente per il match con Lionel Reesey.»

«Vedo che sai un sacco di cose sulla boxe.»

«La boxe è lo sport più gratificante. Uomo contro uomo, combattimento primordiale. È come il sesso… ti mette in contatto con la bestia.»

Emisi un suono strozzato.

Lui prese un’arancia dal cesto di frutta sul banco. «Sei avvelenata perché non sai ricordare l’ultima volta che hai visto la bestia.»

«Ti sbagli.»

«Tesoro, è come dico io. Mi sono informato, non hai una vita sociale.»

Gli feci segno con la mano di andare a farsi fottere. «E di questa che te ne pare?»

Lui sorrise. «Sei carina quando ti comporti da stupida. Se vuoi che scateni la bestia, fammelo sapere, in qualsiasi momento.»

Prima o poi lo avrei attaccato con il gas. Magari non lo avrei portato dentro, ma mi sarei divertita un mondo a vederlo svenire e vomitare.

«Devo andare», disse Morelli. «Un tuo vicino mi ha visto entrare, e non vorrei rovinarti la reputazione fermandomi troppo a lungo. Vieni in Stark Street verso mezzogiorno, gironzola per un’oretta o due e portati la trasmittente. Io ti sorveglierò e starò in ascolto.»

Dovevo far passare la mattinata, perciò uscii a correre. Non fu affatto piacevole, ma almeno evitai di vedere Eddie Gazarra e di sentire i suoi commenti sulla mia faccia accaldata. Feci colazione e una lunga doccia, pensando a come avrei speso il mio denaro dopo aver messo nel sacco Morelli.

Calzai un paio di sandali con le fibbie a strappo, una minigonna nera, aderente, lavorata a maglia, e un top elasticizzato rosso con una scollatura vertiginosa che lasciava intravedere quanto sporgeva dal reggiseno. Spruzzai la lacca sui capelli per aumentarne il volume. Segnai i miei occhi con un eye-liner blu notte e inumidii le ciglia con del mascara; passai sulle labbra un rossetto color rosso fiamma e mi attaccai ai lobi gli orecchini più vistosi che possedevo. Mi laccai le unghie con uno smalto dello stesso colore del rossetto e finalmente mi guardai allo specchio.

Sembravo proprio una donnaccia.

Erano le undici. Un po’ presto, ma volevo sbrigarmi per andare a trovare Lula. Dopo l’ospedale, contavo di esercitarmi al poligono e infine tornare a casa ad aspettare che il telefono squillasse.

Parcheggiai a un isolato dalla palestra e mi incamminai nella via con il borsone a tracolla e la mano stretta sulla bomboletta Sure Guard. Avevo scoperto che la trasmittente si vedeva sotto il top attillato, così avevo dovuto infilarmela nelle mutandine. Alla faccia tua, Morelli.

Il furgone era parcheggiato quasi di fronte alla palestra. Jackie si trovava fra me e il veicolo. Appariva anche più imbronciata del solito.

«Come sta Lula?» m’informai. «Sei stata all’ospedale, oggi?»

«Non ci sono ore di visita, al mattino. E comunque non ho tempo di andare a trovarla, devo guadagnarmi la pagnotta.»

«Quando ho telefonato all’ospedale, mi hanno detto che le sue condizioni erano stazionarie.»

«Già. L’hanno trasferita in una camera, dovrà restare ancora un po’ perché i medici temono un’emorragia interna, ma credo che se la caverà.»

«Ha un posto sicuro dove andare, quando uscirà?»

«Nessun luogo sarà sicuro per Lula quando la dimetteranno dall’ospedale, a meno che non si faccia furba. Dovrà dire alla polizia che un bianco figlio di buona donna l’ha tagliata a fette.»

Sbirciai lungo la strada verso il furgone e mi parve di sentire il grugnito di esasperazione di Morelli. «Qualcuno deve fermare Ramirez», dissi.

«Non sarà certo Lula», ribatté Jackie. «Che cosa può testimonare, secondo te? Credi che la gente crederà a una puttana? Diranno che ha avuto quel che si meritava e che probabilmente il suo protettore gliele ha date di santa ragione per causa tua. O forse diranno anche che ti sei messa a battere senza pagare un pappone e che qualcuno ha voluto darti una lezione.»

«Hai visto Ramirez, oggi? È in palestra?»

«Non lo so. I miei occhi non vedono mai Ramirez: per quello che mi riguarda, è l’uomo invisibile.»

Mi aspettavo una reazione del genere. E probabilmente Jackie aveva ragione sulla testimonianza di Lula. Ramirez avrebbe assunto il miglior avvocato dello stato, che non avrebbe certo sudato troppo per screditare Lula.

Proseguii nella via. Qualcuno ha visto Carmen Sanchez? domandai qua e là. È vero che era stata vista con Benito Ramirez la sera in cui Ziggy venne ucciso?

Nessuno l’aveva vista. Nessuno sapeva niente della donna e di Ramirez.

Gironzolai per un’altra ora e conclusi l’operazione attraversando la strada per andare a deporre qualche dispiacere ai piedi di Jimmy Alpha. Stavolta non entrai nel suo ufficio come un ciclone. Aspettai pazientemente che la segretaria mi annunciasse.

Non parve sorpreso di vedermi. Probabilmente mi osservava dalla finestra. Aveva profonde occhiaie scure, come quando uno passa una notte insonne e affronta dei problemi senza soluzione. Mi piantai davanti alla scrivania e per un minuto intero ci fissammo senza parlare.

«Ha saputo di Lula?» chiesi finalmente.

Alpha annuì.

«L’ha quasi ammazzata, Jimmy. L’ha coperta di tagli e di botte, poi l’ha lasciata appesa alla mia scala antincendio. Quindi mi ha telefonato per domandarmi se avevo ricevuto il suo regalo e mi ha minacciata dicendomi che dovevo aspettarmi una sorte peggiore.»

Alpha fece di nuovo un cenno con la testa, ma stavolta di diniego. «Gli ho parlato», disse. «Benito ammette di aver trascorso un po’ di tempo con Lula e forse di essere stato piuttosto rude con lei, ma niente di più. Ha detto che qualcuno deve aver avuto rapporti con la ragazza dopo di lui. Afferma che qualcuno vuole screditarlo.»

«Gli ho parlato al telefono, ho sentito bene. È tutto registrato.»

«Benito giura che non era lui.»

«E lei gli crede?»

«So che è un po’ pazzo con le donne. Ha quell’atteggiamento del maschio duro, teme di non essere rispettato come merita. Ma proprio non lo vedo appendere una donna su una scala di sicurezza e non me l’immagino mentre fa una telefonata del genere. Capisco che non sia Einstein, ma non è così scemo.»

«Non è scemo, Jimmy, è malato. Ha fatto cose terribili.»

Alpha si passò una mano fra i capelli. «Non so, forse ha ragione. Senta, mi faccia un favore, stia lontana da Stark Street per un po’. La polizia sta investigando su quanto è successo a Lula. Qualsiasi cosa scoprano… dovrò adeguarmi. Nel frattempo devo preparare Benito a combattere. Si batterà contro Tommy Clark fra tre settimane. Clark non rappresenta una minaccia, ma bisogna prendere ugualmente sul serio questi incontri. I fan comperano il biglietto, si meritano un buon match. Se Benito la vede, si agita, capisce? È già dura convincerlo ad allenarsi…»

C’erano meno di dieci gradi nell’ufficio, ma Alpha aveva un alone scuro sotto le ascelle. Al suo posto, avrei sudato anch’io. Lui vedeva il suo sogno trasformarsi in un incubo e non aveva il coraggio di affrontarlo.

Gli spiegai che avevo un lavoro da svolgere e che non potevo star lontana da Stark Street. Uscii e scesi l’unica rampa di scale. Sedetti sull’ultimo scalino e parlai abbassando la testa verso l’inguine. «Maledizione, è stato davvero deprimente.»

Sull’altro lato della via, Morelli ascoltava nel furgone. Non riuscivo a immaginare che cosa pensasse.


Morelli bussò alla mia porta alle dieci e mezzo di quella sera. Teneva una confezione da sei lattine di birra, una pizza e un televisore portabile sotto il braccio. Non indossava la divisa, ma un paio di jeans e una maglietta della marina.

«Un altro giorno in quel furgone e potrei essere contento di andare in galera», dichiarò.

«La pizza l’hai presa da Pino’s

«E dove, se no?»

«Come hai fatto ad averla?»

«Pino consegna anche ai criminali.» Morelli si guardò attorno. «Dov’è l’attacco del televisore?»

«In soggiorno.»

Morelli inserì il cavo della TV nella presa, posò la pizza e la birra sul pavimento e premette il telecomando. «Hai ricevuto telefonate?»

«Nessuna.»

Aprì una birra. «È ancora presto. Ramirez lavora meglio di notte.»

«Ho parlato con Lula. Non testimonierà», annunciai.

«Bella sorpresa.»

Sedetti sul pavimento vicino alla scatola della pizza. «Hai sentito la mia conversazione con Alpha?»

«Sì, l’ho sentita. Come accidenti ti eri agghindata?»

«Ero vestita da puttana. Volevo accelerare le cose.»

«Cristo, gli uomini ti rincorrevano in auto fin sul marciapiede. E tu dove hai nascosto il microfono? Non ce l’avevi sotto il top. Mi sarei accorto persino di un pezzetto di scotch.»

«L’ho messo nelle mutande.»

«Magnifico!» esclamò Morelli. «Quando lo riavrò, lo farò indorare.»

Aprii anch’io una lattina di birra e presi un pezzo di pizza. «E Alpha? Credi che potremmo convincerlo a testimoniare contro Ramirez?»

Morelli era occupato a cambiare continuamente canale, trovò una partita di football, guardò per qualche secondo. «Dipende da quello che sa. Se è deciso a cacciare la testa sotto la sabbia, non vorrà cacciarsi nei guai. Dopo che te ne sei andata, Dorsey gli ha fatto una visita e ha ottenuto meno di te.»

«Avevi messo un microfono nell’ufficio di Alpha?» gli chiesi.

«No. Chiacchiere da bar, l’ho saputo da Pino’s.»

Era rimasto solo un pezzo di pizza. Entrambi la puntavamo.

«Ti fa ingrassare», avvertì Morelli.

Aveva ragione, ma presi ugualmente la pizza.

Buttai fuori Morelli poco dopo l’una e mi coricai. Dormii tutta la notte e al mattino vidi che non c’erano messaggi sulla segreteria telefonica. Stavo per accendere la macchinetta del caffè quando suonò l’allarme dell’auto, nel parcheggio sottostante. Afferrai le chiavi e mi precipitai fuori, saltando gli scalini tre per volta. La portiera del posto di guida era aperta, quando raggiunsi la Cherokee. Disattivai e reinserii l’allarme, e rientrai in casa.

Morelli era in cucina, si vedeva che per lo sforzo di star calmo gli era salita la pressione.

«Non volevo che rubassero la tua auto», spiegai. «Perciò ho fatto mettere l’allarme.»

«Non era degli altri che ti preoccupavi, ma del sottoscritto. Hai fatto mettere l’antifurto nella mia maledetta auto perché non te la portassi via sotto il naso!»

«Però ha funzionato. Che cosa ci facevi nella nostra macchina?»

«Non è la nostra, ma la mia macchina. Ti permetto di guidarla. Andavo a prendere qualcosa per la colazione.»

«Perché non hai usato il furgone?»

«Perché volevo guidare la mia auto. Giuro che quando questa storia sarà conclusa, mi trasferisco in Alaska. A costo di qualunque sacrificio, sono deciso a mettere migliaia di chilometri fra noi. Perché se rimango qui, ti strangolo e mi accuseranno di omicidio di primo grado.»

«Gesù, Morelli, come ti scaldi! Cerca di calmarti. È solo un antifurto, dovresti ringraziarmi. L’ho fatto installare con i miei soldi.»

«Merda, e di cosa debbo ringraziarti?»

«Sei decisamente sotto stress, in questi ultimi tempi.»

Qualcuno bussò alla porta, sobbalzammo tutti e due.

Morelli arrivò prima di me allo spioncino. Si ritrasse di parecchi passi e mi trascinò con lui. «È Morty Beyers.»

Altro colpo alla porta.

«Non può arrestarti», dichiarai. «Tu sei mio, non ti divido con nessuno.»

Andai alla porta a dare un’occhiata personalmente. Non avevo mai visto Morty Beyers, ma l’uomo dietro l’uscio aveva l’aria di uno che avesse appena subito una appendicectomia. Era prossimo ai quarant’anni, in sovrappeso, faccia color cenere; era piegato e si teneva lo stomaco. I suoi capelli color sabbia erano pettinati in modo da coprire la calvizie incipiente ed erano lucidi di sudore.

Gli aprii.

«Morty Beyers», si presentò tendendo la mano. «Tu devi essere Stephanie Plum.»

«Ma non eri in ospedale?»

«Per una appendicite, basta un ricovero di poche ore. Ho ripreso a lavorare. Mi hanno detto che sono come nuovo.»

Non sembrava, a guardarlo. Anzi, dava l’impressione di aver incontrato uno spettro sulle scale. «Ti fa male lo stomaco?»

«Solo se sto eretto.»

«Che cosa posso fare per te?»

«Vinnie mi ha detto che avevi per le mani i miei casi. Ora che sto bene, pensavo…»

«Di riprenderti il materiale», conclusi.

«Già. Senti, mi dispiace che tu non abbia avuto successo.»

«Non è stato un fiasco completo, ho arrestato due ricercati.»

Beyers annuì. «Nessuna fortuna con Morelli?»

«Assolutamente.»

«Ti sembrerà strano, ma giurerei di aver visto la sua auto nel parcheggio.»

«L’ho rubata», risposi pronta. «Pensavo di snidarlo costringendolo a venire a riprendersi l’auto.»

«L’hai rubata?! Davvero? Gesù, è fantastico.» Morty stava appoggiato al muro con la mano premuta sull’inguine.

«Vuoi sederti per un minuto? Desideri un po’ d’acqua?»

«No, sto bene. Devo andare al lavoro. Volevo solo le foto e il resto.»

Corsi in cucina, radunai le schede e tornai alla porta. «Ecco il materiale.»

«Perfetto.» Lui infilò i fascicoli sotto il braccio. «Dunque hai intenzione di tenerti la macchina per un po’?»

«Non ho ancora deciso.»

«Se ti capitasse di vedere Morelli camminare per strada, lo porteresti dentro?»

«Sì.»

Beyers sorrise. «Al tuo posto, farei la stessa cosa. Non mi arrenderei solo perché è finita la settimana di prova. Resti fra noi, Vinnie pagherebbe chiunque gli riportasse Morelli. Be’, adesso vado. E grazie.»

«Curati», gli suggerii.

«Certo. Prenderò l’ascensore.»

Chiusi la porta, feci scorrere il catenaccio e agganciai la catena. Quando mi voltai, Morelli stava in piedi sulla soglia della camera da letto. «Pensi che sapesse che eri qui?» gli chiesi.

«Se l’avesse saputo, ora avrei la sua pistola puntata alla fronte. Non sottovalutare Beyers. Non è così stupido come sembra e non è così gentile come vorrebbe farti credere. Era un poliziotto. L’hanno sbattuto fuori perché chiedeva favori alle prostitute, di entrambi i sessi. Noi lo chiamavamo Morty la Talpa perché infilava il pisello in qualsiasi buco trovasse.»

«Scommetto che lui e Vinnie vanno perfettamente d’accordo.»

Andai alla finestra e guardai giù nel parcheggio. Beyers stava esaminando l’auto di Morelli, sbirciava dai finestrini. Provò la maniglia della portiera e la serratura del baule. Poi scrisse qualcosa sulla copertina di un fascicolo. Si drizzò leggermente e si guardò attorno nel piazzale. La sua attenzione era ora attirata dal furgone. Si avvicinò lentamente al veicolo e premette il naso sui finestrini per vedere l’interno; alla fine si issò faticosamente sul paraurti anteriore per sbirciare attraverso il parabrezza. Si tirò indietro per guardare le antenne. Andò dietro il furgone e copiò il numero di targa. Poi si voltò e guardò su verso lo stabile. Balzai indietro dalla finestra.

Dopo cinque minuti risuonò un altro colpo alla porta.

«Mi chiedevo a proposito di quel furgone nel parcheggio…», disse Beyers. «L’hai notato?»

«Quello blu con le antenne?»

«Sì. Conosci il proprietario?»

«No, ma è lì da un po’ di tempo.»

Chiusi l’uscio e osservai Beyers dallo spioncino. Rimase in piedi a riflettere per un momento, poi bussò alla porta del signor Molesky. Mostrò al mio coinquilino la foto di Morelli e gli rivolse alcune domande. Finalmente, ringraziò Molesky, gli diede il suo biglietto da visita e si allontanò.

Tornai alla finestra, ma Beyers non apparve nel parcheggio. «Va a chiedere di porta in porta», dissi.

Morelli e io continuammo a guardare dalla finestra e finalmente Beyers si avviò zoppicando verso la sua auto. Aveva una Ford Escort blu scuro di modello recente, dotata di telefono. Uscì dal parcheggio e svoltò in direzione della St. James.

Morelli era in cucina con la testa nel frigorifero. «Beyers sarà una grossa seccatura. Andrà a controllare la targa del furgone e metterà insieme due più due.»

«Questo che cosa significa per te?»

«Mi costringe ad andarmene da Trenton finché non trovo un altro veicolo», spiegò mentre tirava fuori un cartone di succo d’arancia e una pagnotta di pane con l’uva. «Metti in conto questa roba. Devo andarmene.» Si fermò alla porta. «Temo che per un po’ dovrai cavartela da sola. Chiuditi in casa, non aprire a nessuno e dovrebbe andare tutto bene. In alternativa potresti venire con me, ma se ci beccano insieme tu diventi complice.»

«Resterò qui, non preoccuparti.»

«Promettimi che non uscirai.»

«Prometto, prometto!»

Certe promesse sono fatte per essere violate. Come questa. Non avevo nessuna intenzione di star seduta con le mani in mano ad aspettare Ramirez. Ero in attesa di sue notizie dal giorno prima. Volevo darci un taglio. Volevo Ramirez dietro le sbarre. E non vedevo l’ora d’incassare il premio per continuare a vivere la mia vita.

Guardai fuori dalla finestra per assicurarmi che Morelli se ne fosse andato. Presi il borsone e chiusi la porta a chiave. Mi diressi verso Stark Steet e parcheggiai di fronte alla palestra. Non avevo il coraggio di muovermi liberamente nella via, senza Morelli, perciò rimasi in macchina con i finestrini alzati e le portiere chiuse con la sicura. Ero certa che ormai Ramirez conosceva la Cherokee. Meglio così.

A intervalli di mezz’ora accendevo l’aria condizionata per mantenere bassa la temperatura e rompere la monotonia. Molte volte guardai verso l’ufficio di Jimmy Alpha e notai una faccia alla finestra. Niente, invece, dietro le finestre della palestra.

Alle dodici e trenta Alpha attraversò la strada e bussò al finestrino.

Abbassai il vetro. «Mi scusi se ho parcheggiato in questo punto, Jimmy, ma devo continuare la sorveglianza per individuare Morelli. Sono sicura che capirà.»

Lui aggrottò le sopracciglia. «Non afferro. Se io cercassi Morelli, terrei d’occhio i suoi parenti e amici. Cos’è questa storia di Stark Street e Carmen Sanchez?»

«Ho una mia teoria su quanto è accaduto. Credo che Benito abbia abusato di Carmen proprio come ha fatto con Lula. Credo che poi, preso dal panico, abbia mandato Ziggy e qualcun altro da Carmen per assicurarsi che la donna non facesse troppo baccano. Sono quasi convinta che Morelli sia entrato in quel momento e che abbia sparato a Ziggy per legittima difesa, come afferma lui stesso. Poi, non si sa come, Carmen, l’altro complice e la pistola di Ziggy sono spariti. Credo che Morelli li stia cercando e che Stark Street sia il posto dov’è più logico cercare.»

«Pazzesco. Come è giunta a questa ridicola conclusione?»

«Ho letto il verbale d’arresto di Morelli.»

Alpha appariva disgustato. «Cosa credeva che dicesse, Morelli? Che ha sparato a Ziggy per il gusto di sparare? Benito è un bersaglio facile, con la sua reputazione di essere un po’ troppo aggressivo con le donne. E Ziggy lavorava per lui, perciò Morelli ha preso lo spunto da lì.»

«E il testimone scomparso? Anche lui doveva lavorare per Benito», gli feci notare.

«Non so niente del testimone scomparso», borbottò Alpha.

«Dicono che ha il naso schiacciato come se fosse stato appiattito con un tegame. Una faccia che si nota.»

Alpha sorrise. «Non in una palestra di terza categoria. Metà dei tipacci che lavorano là hanno un naso simile.» Guardò l’orologio e soggiunse: «Sono in ritardo per il pranzo. Mi sembra piuttosto accaldata, così tappata in macchina. Vuole che le porti qualcosa? Una bibita fresca? Un panino?»

«Sto bene così. Fra poco anch’io farò un break per pranzo. Devo andare anche alla toilette.»

«C’è un gabinetto al secondo piano. Si faccia dare la chiave da Lorna. Le dica che ha il mio permesso.»

Pensai che fosse molto cortese da parte di Alpha offrirmi l’uso del suo bagno, ma non volevo correre il rischio che Ramirez mi giocasse qualche brutto scherzo mentre mi trovavo alla toilette.

Scrutai la strada in tutta la sua lunghezza e mi allontanai per andare alla ricerca di una tavola calda. Tornai nello stesso punto dove avevo parcheggiato prima, mi sentivo più rilassata e doppiamente annoiata. M’ero portata un libro, ma era difficile leggere e sudare allo stesso tempo. Sudare aveva la precedenza.

Alle tre avevo i capelli increspati e incollati sul collo e sulla faccia, la camicia attaccata alla schiena e il petto bagnato di sudore. Sentivo i crampi alle gambe, un fastidioso tic mi tormentava l’occhio sinistro.

Finora nessun segno di Ramirez. Il traffico dei pedoni era ristretto a poche chiazze d’ombra, per lo più la gente preferiva rifugiarsi nei bar con l’aria condizionata. Io ero l’unica scema rimasta seduta ad arrostire in una macchina. Perfino le prostitute erano sparite per una pausa di metà pomeriggio.

Strinsi nella mano la mia bomboletta e scesi dalla Cherokee, gemendo sommessamente per il gran mal di schiena. Mi stirai, saltellai, girai attorno all’auto e mi toccai le punte dei piedi. Una leggera brezza scendeva per Stark Street, mi sentivo sin troppo felice. D’accordo l’aria era torrida, ma se non altro si muoveva.

Mi appoggiai alla macchina e scostai la camicia dal corpo sudato.

Jackie emerse dal Grand Hotel e venne verso di me, diretta al suo angolo. «Sei distrutta dal caldo», disse, allungandomi una Coca gelata.

Feci saltare il tappo e bevvi; poi appoggiai il barattolo freddo alla fronte. «Grazie. Magnifico.»

«Non credere che stia diventando tenera con te», replicò lei. «È solo perché morirai seduta in macchina e la cosa procurerebbe una brutta fama a Stark Street. La gente dirà che è un omicidio razzista e allora addio ai miei affari con i piccoli bianchi depravati.»

«Cercherò di non morire. Dio mi perdoni se dovessi rovinare i tuoi affari.»

«Fottere, prima di tutto», spiegò Jackie. «Quei piccoli bianchi depravati sganciano un bel po’ di denaro per il mio brutto deretano.»

«Come sta Lula?» m’informai.

Jackie scrollò le spalle. «Fa del suo meglio. Ti ringrazia dei fiori.»

«Non c’è grande movimento, oggi.»

Jackie alzò gli occhi verso le finestre della palestra. «Meno male», mormorò.

Seguii il suo sguardo. «Sarà meglio che non ti vedano parlare con me.»

«Hai ragione», convenne lei. «E comunque, devo tornare al lavoro.»

Mi fermai ancora per un minuto, gustando la Coca e il lusso di essere in posizione verticale. Mi girai per risalire in macchina e rimasi senza fiato alla vista di Ramirez vicino a me.

«È tutto il giorno che aspetto di vederti scendere dall’auto», esordì. «Scommetto che sei sorpresa per come mi muovo così silenziosamente. Non mi hai sentito arrivare, vero? È così che deve essere, non mi sentirai mai avvicinarmi finché non ti piomberò addosso. E allora sarà troppo tardi.»

Respirai lentamente per calmare i battiti del cuore, aspettai ancora un momento per rendere ferma la voce. Quando mi accorsi di aver ripreso il controllo, gli chiesi di Carmen. «Voglio sapere della Sanchez. Lei ti ha visto arrivare?»

«Carmen e io avevamo un appuntamento. Chiedeva ciò che ha avuto.»

«Dov’è, adesso?»

Lui scrollò le spalle. «Non lo so. È sparita dopo che Ziggy è morto.»

«Che mi dici di quel tizio che era con Ziggy, quella sera? Chi era? Che cosa gli è capitato?»

«Non so niente neppure di lui.»

«Credevo che quei due lavorassero per te», insistetti.

«Perché non andiamo su e ne parliamo?» suggerì Ramirez. «Oppure possiamo fare una corsa in macchina. Ho una Porsche, ti invito sulla mia Porsche.»

«Non credo proprio.»

«Vedi, ci risiamo. Respingi il campione, dici sempre di no. Non mi piace.»

«Parlami di Ziggy e del suo amico… quello con il naso schiacciato.»

«Più interessante parlare del campione. Lui ti insegnerà un po’ di rispetto. E ti punirà, così impari a respingerlo.» Ramirez si fece più vicino e il calore del suo corpo rendeva l’aria fresca, al confronto. «Pensa che ti farò sanguinare, prima di fotterti. Ti va l’idea? Vuoi che ti tagli a fettine, sgualdrina?»

«Tu non mi farai un bel niente», ribattei. «Non mi fai paura e non mi ecciti.»

«Non è vero.» Lui mi afferrò il braccio e strinse così forte da farmi gridare.

Gli sferrai un calcio nello stinco e lui mi colpì. Non vidi muoversi la sua mano. Lo schiocco mi rintronò nelle orecchie, la testa si piegò all’indietro. Sentii in bocca il sapore del sangue e sbattei diverse volte le palpebre per snebbiare la vista. Quando le stelle svanirono, lo colpii in viso con il Sure Guard.

Ramirez mandò un urlo di dolore e di rabbia e barcollò, portandosi le mani agli occhi. L’urlo si trasformò in un gemito soffocato e il campione si ritrovò per terra, carponi, come un animale mostruoso… un grosso bufalo ferito e infuriato.

Jimmy Alpha corse fuori dalla casa di fronte, seguito dalla sua segretaria e da un uomo che non avevo mai visto.

Lo sconosciuto si inginocchiò accanto a Ramirez cercando di calmarlo, rassicurandolo che fra un minuto si sarebbe ripreso. Doveva solo respirare profondamente.

Alpha e la segretaria si precipitarono verso di me.

«Gesù!» esclamò Jimmy cacciandomi in mano un fazzoletto pulito. «Sta bene? Non le ha rotto niente, vero?»

Misi il fazzoletto sulla bocca e ve lo tenni mentre passavo la lingua sui denti per vedere se ne mancava qualcuno. «Credo di star bene.»

«Mi dispiace terribilmente», riprese Jimmy. «Non so che cosa gli prende… quando tratta le donne in questo modo. Chiedo scusa per lui. Non so proprio che cosa fare.»

Non ero dell’umore giusto per accettare scuse. «Può fare un sacco di cose», replicai. «Offrirgli assistenza psichiatrica. Lo faccia rinchiudere. Altrimenti lo porti dal veterinario e lo faccia castrare.»

«Vuole andare da un medico?» offrì Alpha. «Le pago la visita.»

«L’unico posto dove voglio andare è la stazione di polizia. Sporgerò denuncia, dica quello che vuole, niente mi fermerà.»

«Ci pensi almeno un giorno», supplicò Jimmy. «Aspetti di non essere più così sconvolta. Lui non può permettersi una nuova accusa per aggressione e violenza, in questo momento.»

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