13

Spinsi la porta del negozio di Sal e mi avvicinai al lungo banco d’esposizione pieno di bistecche, vassoi di carne macinata e pezzi d’arrosto già avvolti con lo spago.

Sal mi accolse con un sorriso. «Desidera?»

«Ero da Kuntz’s a comperare un frullatore…» Alzai il pacchetto perché lo vedesse. «…e ho pensato di prendere qualcosa per la cena, intanto che ero qui.»

«Salsicce? Pesce fresco? Un pezzo di pollo?»

«Pesce.»

«Ho delle sogliole appena pescate al largo del Jersey.»

«Probabilmente luccicavano al buio. Bene. Me ne dia per due persone.»

Da qualche parte, nel retrobottega, si aprì una porta; potevo sentire il ronzio del motore di un camion. La porta si chiuse e il rumore svanì.

Un uomo entrò dal corridoio e il mio cuore sobbalzò. Non solo il naso dello sconosciuto era schiacciato, ma tutta la faccia sembrava appiattita… come se fosse stata colpita con una padella. Non potevo esserne sicura finché Morelli non gli avesse dato un’occhiata, ma sospettavo fortemente di aver trovato il testimone scomparso.

Ero combattuta tra il desiderio di mettermi a saltellare e gridare per l’eccitazione e l’istinto di scappar via prima che mi facessero a fettine.

«Ho una consegna per te», disse l’uomo a Sal. «Vuoi che la metta nella cella?»

«Sì», rispose il macellaio. «E prendi i due bidoni accanto alla porta. Uno è pesante, ci vorrà il carrello.»

Poi l’attenzione di Sal tornò al pesce. «Come lo cucina?» volle sapere. «Lo si può cucinare fritto, arrosto o farcito. Personalmente lo preferisco fritto con un sacco di pastella e affogato nel grasso.»

Sentii chiudersi la porta sul retro dietro l’uomo con la faccia appiattita. «Chi era quello?» domandai al macellaio.

«Louis. Lavora per il grossista a Philadelphia. Trasporta la carne.»

«E allora perché porta via bidoni?» insistei.

«Qualche volta metto via gli scarti, li usano come cibo per i cani.»

Dovetti stringere i denti per non volare fuori dalla porta. Avevo trovato il testimone! Ne ero sicura. Quando tornai alla Nova mi girava la testa per lo sforzo di trattenermi. Ero salva, ormai. Avrei potuto pagare l’affitto, ero riuscita a combinare qualcosa. E ora avevo ritrovato il testimone scomparso. Tutto filava liscio. Avrei portato dentro Morelli e non avrei avuto più nulla a che fare con Ziggy Kulesza. Uscivo di scena. Ormai non c’era più motivo perché qualcuno mi uccidesse. Tranne, naturalmente, Ramirez. Ma per fortuna il pugile era abbastanza nei guai da restare fuori dalla circolazione per parecchio tempo.

Il vecchio che abitava nella casa di fronte all’appartamento di Carmen aveva detto di esser stato disturbato dal rumore di un camion frigorifero. Ero pronta a scommettere che si trattava di un camion per il trasporto della carne. Non potevo saperlo con certezza finché non avessi eseguito un altro controllo dietro l’edificio di Carmen, ma se Louis aveva parcheggiato abbastanza vicino, sarebbe stato in grado di issarsi sul tetto del camion, sistemare Carmen sul ghiaccio e allontanarsi indisturbato.

Invece non riuscivo a immaginare il ruolo di Sal in questa storia. Forse erano solo Ziggy e Louis che eseguivano per Ramirez il lavoro di ripulitura.

Vedevo abbastanza bene il macellaio dal punto in cui mi trovavo. Infilai la chiave dell’accensione e diedi un’ultima occhiata. Sal e Louis stavano parlando, Louis appariva calmo, l’altro sembrava agitato. Decisi di fermarmi a guardare ancora per un po’. Sal voltò la schiena a Louis e fece una telefonata. Anche a distanza si vedeva che era arrabbiato. Sbatté giù la cornetta e i due uomini entrarono nella cella frigorifera per riapparire dopo qualche secondo facendo rotolare il bidone degli scarti. I due spinsero il barile nel corridoio che conduceva all’uscita sul retro. Poco dopo riapparve Louis con quello che sembrava un quarto di bue sulla spalla. L’uomo depositò la carne nel freezer e fece rotolare fuori il secondo bidone. Si fermò nel corridoio sul retro e guardò verso la facciata del negozio. Mi si fermò il cuore, mi chiesi se si fosse accorto che stavo curiosando. Louis venne avanti e io presi la bomboletta di Sure Guard. Lui si fermò alla porta e girò il cartello con scritto: APERTO. Dalla strada l’insegna indicava CHIUSO.

Non mi aspettavo questa mossa. Che cosa voleva dire? Sal non si vedeva, il negozio era chiuso e per quello che ne sapevo, non era un giorno di festa. Louis uscì dalla porta sul retro, le luci si spensero. Provavo una brutta sensazione alla bocca dello stomaco. La spiacevole impressione si trasformò in panico, mi suggerì di non perdere di vista Louis.

Ingranai la marcia e proseguii sino in fondo all’isolato. Un camion frigorifero bianco con la targa della Pennsylvania si immise nel traffico davanti a me e dopo due isolati svoltammo sulla Chambers. Avrei preferito lasciar ricadere l’intera faccenda sulle spalle di Morelli, ma non sapevo come mettermi in contatto con lui. Morelli si trovava a nord, in Stark Street, io mi dirigevo verso sud. Con tutta probabilità lui aveva un telefono nel furgone, ma non conoscevo il numero e inoltre non avrei potuto chiamarlo finché non ci fossimo fermati da qualche parte.

Il camion frigorifero imboccò la Route 206 a Whitehorse. Il traffico era moderatamente pesante. Lo tallonavo a due auto di distanza: mi accorsi che era abbastanza facile restare nascosta e allo stesso tempo tenere d’occhio Louis. Appena passato il raccordo con la Route 70, la spia dell’indicatore dell’olio lampeggiò e rimase accesa. Imprecai fra i denti, mi fermai sul ciglio della strada, misi due barattoli d’olio in tutta fretta, richiusi il cofano e ripartii.

Spinsi la Nova al massimo, ignorando le vibrazioni alle ruote anteriori e le occhiate stupite degli altri automobilisti mentre li sorpassavo con la mia bagnarola. Dopo un paio di chilometri, rividi il camion. Louis procedeva lentamente, tenendosi a una velocità di poco superiore al limite. Tirai un sospiro di sollievo e mi rimisi in fila. Pregai che non andasse lontano. M’era rimasta solo una lattina e mezzo d’olio sul sedile posteriore.

A Hammonton, Louis svoltò in una strada secondaria proseguendo a est. C’erano meno auto e io dovetti tenermi a distanza maggiore. Nella campagna i terreni coltivati si alternavano a chiazze di vegetazione. Dopo una ventina di chilometri, il camion rallentò e imboccò un viale ghiaioso che conduceva a una costruzione in lamiera ondulata, tipo magazzino. L’insegna sulla facciata recava le scritte PORTO TURISTICO DELLA RADA DI PACHETCO e CELLE FRIGORIFERE. Dietro la costruzione si vedevano le barche e oltre le imbarcazioni il riflesso del sole sull’acqua.

Costeggiai il piazzale e feci una inversione a U sulla strada che finiva al fiume Mullico. Poi tornai indietro lentamente. Il camion era fermo vicino alla passerella che portava alle imbarcazioni. Louis e Sal erano scesi dal veicolo e stavano appoggiati al paraurti posteriore, come se aspettassero qualcosa o qualcuno. Erano soli in quel porticciolo turistico e, sebbene fosse estate, sembrava che gran parte dell’attività si concentrasse durante il weekend.

Prima, avevo superato una stazione di servizio. Decisi che il posto non dava nell’occhio e che potevo fermarmi lì ad aspettare. Se Sal o Louis si fossero allontanati dal porticciolo, dovevano seguire quella direzione, per tornare alla civiltà; perciò avrei potuto seguirli. A questo si aggiungeva il vantaggio di un telefono pubblico e la possibilità di mettermi in contatto con Morelli.

La stazione di servizio risaliva al tempo in cui non erano stati ancora introdotti i computer: aveva due distributori antiquati su una pista in cemento tutta macchiata. Un cartello appoggiato su una delle pompe reclamizzava esche vive e carburante a buon mercato. La baracca di legno dietro le pompe era rattoppata con bidoni pressati e liste di compensato. Un telefono pubblico era installato accanto all’entrata.

Parcheggiai, parzialmente nascosta, dietro la stazione e percorsi a piedi il breve tratto fino al telefono, contenta di poter approfittare dell’occasione per sgranchirmi le gambe. Chiamai il mio numero. Fu l’unica cosa che mi venne in mente. Il telefono squillò una volta, rispose la segreteria telefonica e sentii la mia voce che mi diceva che non ero in casa. «Non c’è nessun altro?» domandai. Niente. Diedi il numero del telefono pubblico e invitai chiunque avesse bisogno a chiamare immediatamente quel numero.

Stavo per risalire in macchina quando la Porsche di Ramirez passò a gran velocità. Sempre più strano, pensai. Ecco che abbiamo un macellaio, un pistolero e un pugile che si incontrano nel porto della rada di Pachetco. Appariva alquanto improbabile che si ritrovassero per andare a pescare. Se fosse stato Ramirez a inoltrarsi per quella stradina, mi sarei spinta più vicino per dare un’occhiata. Spiegai a me stessa che mi tenevo indietro perché Ramirez poteva riconoscere la Nova. Ma non era tutta la verità. Ramirez era riuscito nel suo intento: la sola vista della sua auto mi mandava in crisi: sudavo freddo per il terrore e avevo seri dubbi sulla mia capacità di reagire a un altro scontro.

Dopo un po’ la Porsche sfrecciò rombando oltre la mia postazione, diretta verso l’autostrada. I finestrini erano oscurati, così non riuscii a capire chi vi fosse a bordo. La vettura però era a due posti: almeno uno dei tre era rimasto al porto. Speravo si trattasse di Louis. Chiamai di nuovo la mia segreteria telefonica, stavolta il messaggio era più urgente. «CHIAMA!»

Era quasi buio quando finalmente il telefono squillò.

«Dove sei?» chiese Morelli.

«Sono al mare. In una stazione di servizio alla periferia di Atlantic City. Ho trovato il testimone, si chiama Louis.»

«È lì con te?»

«È giù sulla strada.» Riferii a Morelli gli avvenimenti della giornata e gli diedi le indicazioni per raggiungere il porto. Presi una lattina di acqua tonica dal distributore automatico della baracca e mi rimisi ad aspettare.

Era già sceso il crepuscolo quando finalmente Morelli si fermò vicino a me con il furgone. Non avevo notato traffico sulla strada da quando era passato Ramirez, perciò ero sicura che il camion non fosse sgusciato via. Avevo pensato che forse Louis poteva essere su una barca, magari per passarvi la notte. Non vedevo altro motivo per cui il camion fosse ancora nel piazzale del porto.

«Il nostro uomo è nel porto?» volle sapere Morelli.

«Per quello che ne so, sì.»

«Ramirez è tornato?»

Feci segno di no con la testa.

«Vado a dare un’occhiata in giro. Tu resta qui», ordinò Morelli.

Non ero più disposta ad aspettare da nessuna parte, ero stufa delle attese. E non mi fidavo completamente di Morelli. Aveva la cattiva abitudine di far promesse allettanti.

Seguii il furgone fino al bordo dell’acqua e parcheggiai. Il camion frigorifero bianco non si era mosso. Louis non si vedeva. Le barche legate alla banchina erano avvolte nell’ombra. Era chiaro che il porto della rada di Pachetco non costituiva un centro di attività frenetica.

Scesi dalla Nova e mi avvicinai a Morelli.

«Mi pareva di averti detto di aspettare alla stazione di servizio», borbottò lui. «Così ci mettiamo in mostra.»

«Ho pensato che potevi aver bisogno d’aiuto per Louis», replicai.

Morelli era sceso dal furgone e stava in piedi accanto a me. Aveva l’aspetto di un pericoloso delinquente, al buio. Sorrise, i suoi denti erano sorprendentemente bianchi accostati alla barba nera. «Bugiarda. Sei preoccupata dei tuoi diecimila dollari.»

«Anche questo.»

Ci fissammo per un momento soppesando in silenzio la situazione.

Finalmente Morelli allungò il braccio attraverso il finestrino aperto, prese una giacca dal sedile e tirò fuori una semiautomatica dalla tasca interna per infilarsela nella cintura dei jeans. «Sarà meglio cercare il mio testimone.»

Ci avvicinammo al camion e sbirciammo nella cabina, vuota e chiusa a chiave. Non c’erano altre auto nel piazzale.

Vicino, l’acqua lambiva i piloni e le barche cigolavano contro gli ormeggi. C’erano quattro moli, ciascuno con quattordici passerelle, sette per ciascun lato, di cui nessuna in uso.

Percorremmo ogni molo sino in fondo, leggendo i nomi delle barche, cercando qualche segno di vita. A metà del terzo molo ci fermammo davanti alla grande Hatteras Convertible con un ponte provvisorio ed entrambi leggemmo il nome dell’imbarcazione: La pupa di Sal.

Morelli salì a bordo e scivolò a poppa. Lo seguii, tenendomi a debita distanza. Il ponte era cosparso di materiale per la pesca: reti, fiocine, arpioni. La porta che conduceva alla cabina era chiusa dall’esterno con un lucchetto; evidentemente Louis non si trovava sull’imbarcazione. Morelli prese dalla tasca una piccola torcia e la puntò sull’oblò della cabina; la maggior parte dell’interno era stata smantellata per la pesca a vasto raggio, alcune panche avevano sostituito un arredamento più lussuoso. La piccola cambusa era ingombra di lattine di birra schiacciate e di mucchi di piatti di carta sporchi. Alla luce della minuscola torcia notammo i residui di una polvere.

«Sal è un tipo disordinato», osservai.

«Sei sicura che Louis non fosse in macchina con Ramirez?» incalzò Morelli.

«Non posso saperlo, l’auto ha i vetri oscurati. Ma ci sono soltanto due sedili, perciò almeno una persona è rimasta qui.»

«Non c’erano altri veicoli sulla strada?»

«No.»

«Potrebbe aver preso l’altra direzione», ragionò Morelli.

«Ma non può andare lontano. Da quella parte la strada finisce dopo meno di un chilometro.»

La luna era bassa nel cielo, creava argentei riflessi sull’acqua. Guardammo indietro, verso il camion frigorifero bianco. Il motore della cella ronzava quietamente nel buio.

«Forse dovremmo dare un’altra occhiata al camion», suggerì Morelli.

Il tono della sua voce mi destò una strana sensazione; non avevo il coraggio di formulare la domanda che mi si era affacciata alla mente. Avevamo già constatato che Louis non era nella cabina del camion. Che cosa era rimasto?

Tornammo presso il veicolo e Morelli osservò attentamente i comandi del termostato esterno del reparto di refrigerazione.

«A che temperatura è fissato?» chiesi.

«Meno dieci.»

«Perché così freddo?»

Morelli si portò allo sportello posteriore. «Tu cosa ne pensi?»

«Qualcuno cerca di congelare qualcosa.»

«È anche la mia ipotesi.» Lo sportello isolante del camion era tenuto chiuso da un pesante catenaccio con lucchetto. Morelli soppesò il lucchetto. «Poteva andar peggio», osservò. Poi corse al furgone e tornò con un seghetto.

Mi guardai attorno nervosamente. Non era il massimo delle mie ambizioni quella di esser sorpresa a rapinare un camion per la carne. «Non c’è un modo migliore?» sussurrai sopra lo stridore del seghetto. «Non puoi far saltare la serratura?»

«Così faccio prima», rispose Morelli. «Tu sta’ attenta, non vorrei che ci fosse un guardiano notturno.»

La lama del seghetto penetrò nel metallo e la serratura scattò. Morelli tirò indietro il catenaccio e diede una spallata al pesante sportello. Nell’interno c’era buio pesto. Lui si issò sul paraurti e io lo seguii, prendendo la mia torcia dalla borsa. L’aria gelida m’investì in pieno, togliendomi il respiro. Tutti e due puntammo il fascio di luce delle torce sulle pareti ghiacciate. Enormi ganci per la carne pendevano vuoti dal soffitto. Vicino allo sportello c’era il grosso bidone degli scarti che avevo visto caricare quello stesso pomeriggio, mentre il bidone vuoto stava poco lontano, il coperchio inclinato contro la parete.

Tenendolo basso, proiettai il fascio di luce della lampadina verso il fondo del veicolo e inghiottii l’aria fredda quando mi resi conto di ciò che vedevo. Louis giaceva sulla schiena a gambe divaricate, gli occhi sbarrati, i piedi rivolti all’esterno. Dal naso gli era colato il muco che si era congelato sulle guance. Una larga chiazza di urina si era cristallizzata sul davanti dei pantaloni. In mezzo alla fronte spiccava un grande foro nero. Sal giaceva accanto a lui, con un foro identico e la stessa espressione sbigottita sulla faccia gelata.

«Merda!» sibilò Morelli. «Non ho proprio fortuna.»

Gli unici morti che avevo visto in vita mia erano stati imbalsamati e vestiti di tutto punto per la funzione in chiesa. Avevano i capelli ben pettinati, le guance imbellettate e gli occhi chiusi per suggerire il sonno eterno. Nessuno aveva un buco in fronte. Sentii la bile salirmi alla gola e mi portai una mano alla bocca.

Morelli mi tirò giù dal camion, sulla ghiaia. «Non vomitare nel camion», ordinò. «Potresti inquinare la scena del delitto.»

Respirai profondamente, sperando che il mio stomaco si assestasse.

Morelli mi teneva una mano sulla nuca. «Ti senti meglio?»

Annuii decisa. «Sto bene. È che… sono stata colta di sorpresa.»

«Mi occorre della roba che ho nel furgone. Resta qui, non risalire nel camion e non toccare niente.»

Non aveva di che preoccuparsi, per questo. Neppure un branco di cavalli selvaggi mi avrebbe trascinato di nuovo su quel camion.

Lui tornò con un piede di porco e due paia di guanti di gomma monouso. Uno lo diede a me. Infilammo i guanti e Morelli si issò di nuovo nel veicolo. «Punta la luce su Louis», ordinò chinandosi sul cadavere.

«Che cosa fai?»

«Cerco la pistola sparita.»

Si drizzò e mi gettò un mazzo di chiavi. «Non ha addosso nessuna pistola, ma aveva in tasca queste chiavi. Guarda se una apre lo sportello della cabina.»

Aprii lo sportello dei passeggeri, frugai nella tasca della portiera, nel cruscotto e sotto il sedile. Non trovai la pistola. Quando tornai indietro, Morelli stava forzando il barile sigillato con il piede di porco.

«Nella cabina la pistola non c’è», annunciai.

Il coperchio saltò e Morelli accese la torcia per poter guardare dentro.

«Allora?» chiesi.

La sua voce era tesa, quando rispose. «È Carmen.»

Fui investita da un’altra ondata di nausea. «Credi che sia rimasta per tutto questo tempo nel freezer di Sal?»

«Si direbbe di sì.»

«Ma perché portarla in giro? Non aveva paura che qualcuno la scoprisse?»

Morelli si strinse nelle spalle. «Penso che si sentisse al sicuro. Forse non era la prima volta che lo faceva. Basta una certa pratica, e ci si sente tranquilli.»

«Stai pensando a quelle tre donne che sono sparite da Stark Street?»

«Probabilmente Sal aspettava il momento giusto per liberarsi di Carmen e gettarla in mare.»

«Non capisco il ruolo di Sal», ragionai.

Morelli abbassò il coperchio. «Nemmeno io, ma ho l’impressione che potremo convincere Ramirez a spiegarcelo.»

Si asciugò le mani sui pantaloni, lasciandovi delle macchie bianche.

«Che cos’è quella roba bianca?» chiesi. «Sal trafficava con il borotalco, detersivi o cose del genere?»

Morelli si guardò le mani e i pantaloni. «Non me n’ero accorto.»

«C’era della polvere anche sul pavimento della barca. E adesso ne hai raccolta dal bidone.»

«Gesù!» esclamò Morelli. Sollevò il coperchio dal bidone, passò il dito sul bordo interno e assaggiò. «Questa è droga.»

«Sal non mi sembrava uno che prendesse il crack.»

«Non è crack, è eroina.»

«Sei sicuro?» insistei.

«Ne ho vista un’infinità, di questa roba.»

Vidi che sorrideva nel buio.

«Buon Dio, credo che abbiamo trovato una barca d’appoggio», osservò Morelli. «Ho sempre creduto che lo scopo principale fosse quello di proteggere Ramirez, ma ora non ne sono più tanto sicuro. Si tratta di droga.»

«Che cos’è una “barca d’appoggio”?» volli sapere.

«È una piccola imbarcazione che esce in mare per incontrarsi con una barca più grande coinvolta nel traffico di droga.

«Gran parte dell’eroina prodotta viene dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Birmania. Di solito passa attraverso l’Africa settentrionale, poi va ad Amsterdam o in qualche altra città europea. In passato, il modo più comune per far entrare la droga era da nord-est, attraverso l’aeroporto. Per un anno abbiamo ricevuto soffiate che la merce viaggiava su navi che attraccavano a Port Newark. La DEA e la dogana hanno lavorato sodo, ma senza risultati.» Morelli tenne il dito alzato e soggiunse: «Ecco la ragione: quando la nave attracca a Newark, l’eroina è già stata scaricata».

«Su una barca d’appoggio», conclusi.

«Già. La piccola imbarcazione ritira la droga dalla nave più grande e la trasporta a un piccolo porto come questo, dove non ci sono ispettori della dogana.

«Secondo me caricano la merce in questi barili dopo che è stata consegnata.»

«Però sembra impossibile che qualcuno sia così sprovveduto da lasciare prove incriminanti», ragionai.

Morelli emise un grugnito. «Se lavori sempre con la droga, il fatto diventa una banalità. Non ci crederesti se ti dicessi quanta gente lascia la droga in piena vista, negli appartamenti, nei garage. Inoltre, la barca appartiene a Sal, che probabilmente non partecipava all’operazione della consegna. Così, se la barca veniva intercettata, lui poteva sempre dire di averla prestata a un amico. E che non sapeva fosse usata per attività illecite.»

«Credi sia per questo che circola tanta eroina a Trenton?» azzardai.

«Può darsi. Con un’imbarcazione come questa si possono portar dentro grossi quantitativi ed eliminare così i corrieri. Il costo cala e la qualità sale.»

«E i tossicodipendenti cominciano a morire.»

«Già.»

«Perché pensi che Ramirez abbia sparato a Sal e a Louis?»

«Forse doveva tagliare i ponti alle sue spalle.»

Morelli proiettò il fascio di luce della torcia verso gli angoli posteriori del camion. Lo vedevo appena nel buio, ma sentivo il rumore dei suoi passi mentre si muoveva.

«Che cosa fai?» gli chiesi.

«Cerco una pistola. Nel caso non l’avessi notato, sono maledettamente scalognato. Il mio testimone è morto, se non riesco a trovare la pistola di Ziggy, sono morto anch’io.»

«C’è sempre Ramirez.»

«Che magari non ha nessuna voglia di parlare.»

«Esageri. Secondo me Ramirez appare sulla scena di due esecuzioni, senza contare che abbiamo scoperto un gigantesco traffico di droga.»

«È possibile che tutto ciò faccia sorgere dei dubbi sulla reputazione di Ziggy, ma questo non cambia il fatto che ho sparato a un uomo disarmato», mi ricordò lui.

«Ranger dice che devi aver fiducia nel sistema.»

«Ranger non conosce il sistema.»

Non volevo vedere Morelli in galera per un delitto che non aveva commesso, ma non volevo neppure che continuasse a vivere come un fuggiasco. In realtà era un bravo ragazzo e, sebbene mi ripugnasse ammetterlo, aveva cominciato a piacermi. Una volta finita la caccia all’uomo, mi sarebbe mancata la sua amicizia e quel suo continuo stuzzicarmi. Era vero che Morelli di tanto in tanto mi irritava, ma ora esisteva un nuovo senso di cameratismo che superava i miei risentimenti. Mi era difficile credere che sarebbe finito in galera alla luce delle nuove prove. Certo, probabilmente avrebbe perso il posto nella polizia, ma era una disgrazia minore in confronto alla prospettiva di trascorrere lunghi anni alla macchia.

«Credo che dovremmo chiamare la polizia e lasciare che se ne occupino loro», dissi alla fine. «Non puoi continuare a nasconderti per il resto dei tuoi giorni. Non pensi a tua madre? E alla bolletta del telefono?»

«La bolletta del telefono? Cristo, Stephanie, non avrai fatto salire alle stelle la bolletta del telefono della jeep?»

«Avevamo un accordo», gli ricordai. «Tu ti saresti lasciato arrestare se avessimo trovato il testimone.»

«Sì, ma non avevo previsto che fosse morto.»

«Mi daranno lo sfratto.»

«Sta a sentire, il tuo appartamento non è poi così favoloso. Star qui a parlare non serve. Sappiamo entrambi che non sei capace di portarmi dentro con la forza. Tu incasserai i tuoi soldi soltanto con il mio permesso. Basta che te ne stia buona al tuo posto.»

«Non mi piace il tuo atteggiamento, Morelli.»

La luce della torcia ruotò e lui si lanciò verso lo sportello. «Me ne sbatto di quello che pensi del mio atteggiamento. Non sono dell’umore migliore. Il testimone è morto e non riesco a trovare l’arma del delitto. Certo, è probabile che Ramirez canterà come un fringuello, e io sarò prosciolto, ma finché questo non succede, mi terrò nascosto.»

«Sbagli. Non capisci che non ti conviene? E poi, io ho un lavoro da svolgere e lo svolgerò. Non avrei mai dovuto venire a patti con te.»

«Era un buon accordo», replicò lui.

«Tu l’avresti accettato?» lo sfidai.

«No, ma io non sono te. Io ho certe capacità che tu non ti sogni neppure. E sono molto più cattivo di te.»

«Mi sottovaluti. Sono abbastanza cattiva pure io.»

Morelli sogghignò. «Sei uno zucchero, morbida e dolce, e quando ti scaldi diventi deliziosa.»

Rimasi senza parole. Non riuscivo a credere che solo pochi istanti prima avevo avuto pensieri amichevoli e protettivi per questo balordo.

«Io imparo in fretta, Morelli. Ho commesso qualche errore all’inizio, ma ora sono capace di portarti in galera.»

«Sì, giusto», ammise lui. «E come fai, mi spari?»

Non mi lasciai incantare dal suo sarcasmo. «Il pensiero mi alletta, ma non è necessario sparare. Basta che chiuda lo sportello, bastardo arrogante.»

Nella penombra vidi che sbarrava gli occhi quando comprese la mia minaccia, un secondo prima che chiudessi il pesante sportello. Sentii il tonfo soffocato del suo corpo quando sbatté all’interno. Troppo tardi. Avevo già tirato il catenaccio.

Portai la temperatura del frigorifero a più cinque. Pensavo che fosse abbastanza fredda per impedire ai cadaveri di scongelarsi, ma non così bassa da trasformare Morelli in un ghiacciolo durante la corsa a Trenton. Salii nella cabina e accesi il motore grazie alle chiavi di Louis. Uscii dal piazzale immettendomi sulla strada e mi diressi verso l’autostrada.

A metà della corsa trovai un telefono a gettoni e chiamai Dorsey. Gli annunciai che stavo portando Morelli alla centrale, ma non gli fornii ulteriori dettagli. Aggiunsi solo che sarei arrivata nel giro di quarantacinque minuti e che sarebbe stato cortese da parte sua se mi avesse aspettato.

Svoltai nel viale in North Clinton in perfetto orario e inquadrai con i fari Dorsey e due agenti in divisa. Spensi il motore, tirai un profondo sospiro per allentare la tensione allo stomaco e balzai giù dalla cabina.

«Forse dovrebbe chiamare rinforzi», dissi a Dorsey. «Credo che Morelli sia furioso.»

Le sopracciglia di Dorsey si congiunsero all’attaccatura dei capelli. «Lo ha sistemato nel camion?» chiese.

«Sì. E non è solo.»

Uno degli agenti tirò il catenaccio, lo sportello si aprì e Morelli si catapultò sulla sottoscritta. Entrambi cademmo sull’asfalto, rotolando avvinti e imprecando l’una contro l’altro.

Dorsey e gli agenti in divisa trascinarono via Morelli, ma lui continuò a imprecare agitando le braccia. «Ti prenderò», urlò. «Appena esco di qui, vengo a prenderti. Sei una maledetta pazza, un pericolo pubblico!»

Apparvero altri due poliziotti e in quattro spinsero Morelli oltre la porta sul retro. Dorsey rimase indietro con me. «Le conviene aspettare fuori finché si calma», suggerì.

Mi ripulii le ginocchia. «Ci vorrà un po’», replicai.

Consegnai a Dorsey le chiavi del camion e gli raccontai la faccenda della droga e di Ramirez. Quando terminai le spiegazioni. Morelli era stato trasferito al piano superiore, la strada era sgombra, così andai a ritirare la mia ricevuta dal tenente di servizio.

Erano quasi le dodici quando finalmente entrai nel mio appartamento. L’unico rimpianto della serata era il fatto che avevo lasciato il frullatore in macchina, al porto. Un daiquiri mi ci voleva proprio. Chiusi a chiave la porta d’ingresso e gettai la borsa sul banco della cucina.

Provavo sentimenti contrastanti verso Morelli… non sapevo se avevo fatto la cosa giusta. Alla fine, era stata la riscossione del denaro che aveva guidato la mia scelta. Avevo agito sotto la spinta di una comprensibile indignazione e della convinzione che Morelli dovesse arrendersi.

L’appartamento era buio e silenzioso, illuminato soltanto dalla lampada in anticamera. Nel soggiorno c’erano ombre profonde, ma non mi suscitavano paura. La caccia era finita.

Dovevo pensare al mio futuro. Fare la bounty hunter era un mestiere più complicato di quanto avessi immaginato al principio. Eppure, mi riservava dei momenti indimenticabili. Avevo imparato parecchio nel corso delle due ultime settimane.

Il caldo del pomeriggio era cessato e la temperatura si era attenuata notevolmente. Le tende chiuse si agitavano leggermente per la brezza. Una notte ideale per dormire, pensai.

Mi tolsi le scarpe e sedetti sul bordo del letto, sentendomi improvvisamente un po’ a disagio. Non riuscivo a spiegarmi perché. Qualcosa non andava. Pensai alla borsa in cucina e la mia apprensione aumentò. Questa è paranoia, mi dissi. Ero chiusa nella mia casa e se qualcuno cercava di entrare dalla finestra, cosa assai improbabile, avrei avuto il tempo di fermarlo.

Eppure, una punta d’ansia continuava a tormentarmi.

Guardai verso la finestra, le tende che si gonfiavano dolcemente: fu allora che un lampo di consapevolezza mi colpì come una coltellata. Quando ero uscita la finestra era chiusa. Ora era aperta. Gesù, era aperta. La paura mi serpeggiò in tutto il corpo, mozzandomi il fiato.

Qualcuno si trovava nel mio appartamento… o aspettava sulla scala antincendio. Mi morsi il labbro per impedirmi di piangere. Dio, fa’ che non sia Ramirez. Chiunque, tranne lui. Il cuore mi martellava e avevo voglia di vomitare.

Mi restavano due alternative. Potevo correre alla porta d’ingresso o tuffarmi sulla scala di sicurezza. Sempre che i miei piedi riuscissero a muoversi. Conclusi che era più probabile che Ramirez si trovasse nell’appartamento piuttosto che sulla scala antincendio, perciò mi avvicinai alla finestra. Trattenendo il respiro, tirai le tende e fissai il nottolino. Era al suo posto. Un cerchio di vetro era stato rimosso dalla parte alta della finestra, permettendo all’intruso di infilare un braccio e aprire la serratura. L’aria della notte frusciava dolcemente attraverso l’apertura nel vetro.

Un lavoro da professionista, pensai. Forse non è Ramirez, ma qualcun altro. Che non ha trovato niente da rubare e si è spostato in cerca di miglior bottino. Guardai la scala. Era deserta e silenziosa, sembrava tutto a posto.

Chiama la polizia e denuncia il tentativo di furto con scasso, mi dissi. Il telefono era sul comodino. Premetti i tasti e non successe niente. Qualcuno doveva aver staccato la spina in cucina. Una vocina nella testa mi sussurrava di uscire dalla casa. Usa la scala di sicurezza, sbrigati.

Tornai alla finestra e trafficai con il nottolino. Dietro di me sentii un movimento, la presenza dell’intruso. Potevo vederlo riflesso nella finestra, in piedi sulla porta della camera da letto, inquadrato dalla fioca luce del corridoio.

Mi chiamò per nome e i capelli mi si drizzarono in testa.

«Tiri le tende», ordinò, «e si volti lentamente in modo che possa vederla.»

Feci come mi veniva ordinato scrutando nel buio con gli occhi socchiusi. Riconoscevo la sua voce, ma non capivo come mai si trovasse lì. «Che cosa fa qui?» chiesi.

«Ottima domanda», rispose facendo scattare l’interruttore della luce. Era Jimmy Alpha e impugnava una pistola. «Me lo sono chiesto anch’io», rispose. «Come siamo arrivati a questo? lo sono una persona perbene, sa? Cerco di fare ciò che è giusto.»

«È bene fare ciò che è giusto», convenni.

«Dove sono finiti i suoi mobili?»

«Ho avuto momenti difficili.»

Lui annuì. «Allora sa com’è», osservò con un largo sorriso. «È per questo che ha cominciato a lavorare per Vinnie?»

«Sì.»

«Vinnie e io in un certo senso ci somigliamo. Facciamo ciò che dobbiamo fare per tenerci a galla. Come lei, del resto.»

Non mi andava di essere paragonata a Vinnie. ma non era il caso di discutere con uno che impugnava una pistola. «Credo di sì.»

«Lei segue gli incontri di boxe?»

«No.»

Alpha sospirò. «Un manager come me aspetta per tutta la vita che gli capiti un pugile decente. Di solito muore senza averne trovato uno.»

«Ma lei ha un bravo pugile, Ramirez.»

«Ho preso Benito quando era un ragazzo. Aveva quattordici anni. Ho capito subito che era diverso dagli altri. Possedeva un buon drive, potenza e talento.»

Follia, pensai. Non dimenticarti la follia.

«Gli ho insegnato tutto ciò che sa sulla boxe. Gli ho dedicato il mio tempo, ho provveduto perché mangiasse in maniera adeguata, gli ho comperato vestiti, quando era in bolletta. Gli ho permesso di dormire in ufficio quando sua madre impazziva per il crack.»

«E adesso è un campione», conclusi.

Lui sorrise, un sorriso tirato. «È il mio sogno. Ho lavorato tutta la vita per questo.»

Cominciavo a intuire quale piega avrebbe preso la conversazione. «E lui ora sfugge al suo controllo.»

Jimmy si appoggiò alla porta. «Già. Non lo tengo più. Rovinerà ogni cosa… i buoni momenti, il denaro che ho speso. Non posso più dirgli niente, non mi ascolta.»

«Che cosa intende fare?» azzardai.

«Ahh!» sospirò Alpha. «Questo è un grosso interrogativo. La risposta è diversificare. Prima faccio un mucchio di soldi e poi cambio.

«Capisce quel che voglio dire? Prendo il denaro che guadagno con Ramirez e lo investo in altri affari. Una catena di pollerie, una lavanderia, magari un negozio di macelleria. Forse riesco a rilevare una macelleria con pochi soldi, perché il proprietario non ce la fa a tener fede a certe scommesse che aveva fatto.»

«Sal», dissi.

«Sicuro, Sal. Oggi lei ha spaventato il povero Sal, quando è entrata nel negozio mentre c’era Louis, ma alla fine tutto si aggiusta.»

«Non sapevo che Sal mi conoscesse.»

«Cara, non è difficile riconoscerla. Non ha più le sopracciglia», mi ricordò lui.

«Sal era preoccupato che vedessi Louis», ragionai.

«Infatti. Perciò mi ha telefonato e io gli ho detto che dovevamo trovarci tutti al porto. Louis doveva andarci comunque. Domani arriva un carico, così ho deciso di eliminare Louis perché è un gran casinista. Non ne fa una giusta. Si è fatto vedere a casa di Carmen da un’infinità di persone e ha dovuto eliminarle. Ma solo due su tre. Non ha saputo eliminare Morelli. Il povero idiota ha trovato l’auto di Morelli nel suo parcheggio e non ha pensato che forse la guidava qualcun altro, così ha finito con l’arrostire Morty Beyers. Dopo che lei ha riconosciuto Louis, ho deciso che il suo tempo era finito.

«Allora sono andato al porto dopo aver preso in prestito l’auto di Benito e, strada facendo, l’ho vista alla stazione di servizio. È stato allora che mi è venuta la brillante idea. Jimmy, mi sono detto, ecco il modo di uscirne.»

Facevo fatica a seguirlo nel ragionamento, ancora non capivo completamente dove e come fosse implicato. «Uscire da che cosa?» domandai.

«Dalla maledetta faccenda. Cerchi di capire, io ho rinunciato a un sacco di cose per la boxe. Non mi sono mai sposato, non ho mai avuto una famiglia. Per tutta la vita non ho avuto altro che la boxe. Se uno è giovane, non ci fa caso, continua a pensare che c’è tempo. Ma un bel giorno ci si sveglia e ci si accorge che non ce n’è.

«Ho trovato un pugile che si diverte a torturare la gente. È una malattia, qualcosa non funziona nella sua lesta e io non posso farci niente. Ho capito che la sua carriera stava per finire, perciò ho preso il denaro che abbiamo guadagnato e ho acquistato un paio di proprietà. Subito dopo ho conosciuto un certo giamaicano; lui afferma che c’è un modo migliore per far quattrini. Droga. Io compero, la sua organizzazione si occupa della distribuzione. Riciclo il denaro attraverso i miei affari e Ramirez. Andiamo avanti per un po’ e la cosa funziona perfettamente. Basta tenere Ramirez fuori di prigione.

«Il problema è che ora ho un sacco di denaro e non riesco a mollare. L’organizzazione mi tiene in pugno, capisce.»

«Striker», cercai di indovinare.

«Esatto. È una grossa banda di fottuti giamaicani. Cattivi, avidi, furfanti.

«Dunque proseguo sulla strada per dare una lezione a Louis, vedo lei seduta al distributore e formulo un piano: ammazzo Sal e Louis secondo lo stile di Striker. Lascio tracce di polverina sulla barca e sul bidone, così i piedipiatti immaginano di che si tratta. Non rimane nessuno che possa parlare alle mie spalle e rappresento un rischio troppo grande perché Striker continui a servirsi di me. E il bello è che la morte di Sal e Louis sarà attribuita a Ramirez, grazie a lei, Stephanie. Sono sicuro che quando ha fatto la sua deposizione alla polizia, ha dichiarato che Ramirez le è sfrecciato davanti in macchina mentre era al distributore.»

«Però, ancora non capisco perché è in casa mia e impugna una pistola.»

«Non posso correre il rischio che Ramirez parli con i poliziotti e che quelli giungano alla conclusione che sia stupido come sembra. Oppure che Benito riferisca che ho preso in prestito la sua macchina e che la polizia gli creda. Perciò farò in modo che sia lei a piantargli una pallottola in corpo. Dopo, non ci sarà più nessun Benito, né Sal, né Louis.»

«E Stephanie?» m’informai.

«Non ci sarà più neppure Stephanie.» Alpha teneva la base dell’apparecchio telefonico nei pantaloni. L’inserì nella presa a muro in camera e compose un numero. «Amico», disse quando ottenne risposta. «C’è qui una ragazza che ti aspetta.»

All’altro capo del filo qualcuno evidentemente chiese particolari.

«Stephanie Plum». rispose Jimmy. «È a casa ad aspettarti. Ah, Benito, sta attento che nessuno ti veda. Ti conviene salire dalla scala antincendio.»

La conversazione finì e Jimmy staccò la spina.

«È quanto è successo a Carmen?» chiesi.

«Cristo, per Carmen si è trattato di eutanasia. Non so come abbia fatto ad arrivare a casa. Quando ce ne siamo accorti, aveva già parlato con Morelli.»

«E ora che facciamo?»

Lui si appoggiò alla parete. «Aspettiamo.»

«Che succederà quando arriverà Ramirez?» insistei.

«Io volto la schiena mentre lui fa quello che deve fare, poi gli sparo con la sua pistola. Quando arriverà la polizia sarete entrambi morti dissanguati e non ci saranno più questioni in sospeso.»

Alpha era terribilmente serio. Sarebbe rimasto a guardare mentre Ramirez mi violentava e mi torturava, dopo di che si sarebbe accertato che fossi ferita mortalmente.

La stanza ondeggiò davanti a me, mi si piegarono le gambe e mi ritrovai seduta sul bordo del letto. Lasciai cadere la testa fra le ginocchia e aspettai che mi si snebbiasse la mente. Rividi il corpo martoriato di Lula e il terrore aumentò.

Lo stordimento svanì ma il cuore mi batteva impazzito. Afferra un’occasione, seguitavo a ripetermi. Fa’ qualcosa! Non restare seduta qui ad aspettare Ramirez.

«Si sente bene?» mi domandò Alpha. «Non ha una bella cera.»

Tenni la testa abbassata. «Mi viene da vomitare.»

«Vuole andare in bagno?»

Scossi la testa, che tenevo ancora fra le ginocchia. «Mi dia solo un minuto per riprender fiato.»

Vicino, Rex correva nella sua gabbia. Non ce la facevo a guardarlo, sapendo che forse era l’ultima volta che lo vedevo. Strano come una persona si affezioni a un animaletto. Sentii un nodo alla gola al pensiero che Rex sarebbe rimasto orfano. Fa’ qualcosa!

Recitai una breve preghiera, strinsi i denti e scattai a testa bassa lanciandomi con violenza contro Alpha e facendogli perdere l’equilibrio.

Lui emise un soffio d’aria e la pistola si scaricò sopra la mia testa mandando in frantumi la finestra. Fossi stata più calma gli avrei sferrato un altro calcio all’inguine, ma agivo senza pensare, con l’adrenalina che mi entrava in circolo a velocità vertiginosa. Lotta o fuggi era il quesito e la fuga sembrava prospettare maggior possibilità di successo.

Mi allontanai dalla porta aperta della camera, in soggiorno. Ero quasi in anticamera quando sentii un altro sparo e una lama di calore mi dilaniò la gamba sinistra. Gridai per il dolore e la sorpresa, persi l’equilibrio e caddi in cucina. Afferrai la borsa sul banco con tutte due le mani e cercai la mia 38. Alpha si spostò alla porta della cucina. Puntò la pistola e prese la mira. «Spiacente», disse. «Non c’è altro modo.»

Mi bruciava la gamba e il cuore sembrava voler saltar fuori dal petto. Mi colava il naso, le lacrime mi annebbiavano la vista. Avevo le mani strette sulla Smith Wesson, ancora nella borsa. Ricacciai le lacrime e sparai.

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