32 Una lancia corta

Vi fu una breve discussione. Anche se la tormenta infuriava avrebbero potuto fare ritorno al passaggio usando come mantelli le coperte e i tappeti. Aviendha incominciò a ripartirli mentre lui afferrava saidin, colmandosi di vita e morte, fuoco fuso e ghiaccio liquido.

«Dividile equamente» raccomandò ad Aviendha. Sapeva che la sua voce era fredda e priva di emozioni. Asmodean gli aveva detto che poteva evitarlo, ma sino a ora non ci era riuscito.

La donna gli rivolse un’occhiata meravigliata, ma tutto quello che rispose fu, «Tu sei più grosso» e proseguì secondo i suoi criteri.

Non serviva a nulla discutere. Secondo la sua esperienza, dalle ragazze di Emond’s Field fino alle Fanciulle, se una donna voleva fare qualcosa per te il solo modo di impedirglielo era legarla, specialmente se richiedeva un sacrificio da parte sua. La sorpresa era che non aveva usato un tono acido e non aveva detto nulla riguardo al fatto che fosse un abitante delle terre bagnate rammollito. Forse da tutto ciò sarebbe uscito qualcosa di buono oltre al ricordo. Non può davvero aver voluto insinuare qualcos’altro, pensò, anche se sospettava che fosse esattamente quello che intendeva dire.

Tessendo un flusso di Fuoco sottile come un dito aprì un varco nel ghiaccio allargando la fessura nella parte alta. Fu stupito di vedere la luce del giorno. Rilasciando saidin si scambiarono delle occhiate di meraviglia. Sapeva di aver perso per un po’ la cognizione del tempo — hai perso la cognizione dell’intero anno — ma non potevano essere rimasti nel rifugio così a lungo. Ovunque si trovassero, era molto distante da Cairhien.

Rand spinse il blocco che aveva tagliato come porta, ma quello non si mosse finché non vi appoggiò contro la schiena, affondando i talloni e usando tutta la forza che aveva. Proprio mentre gli veniva in mente che avrebbe potuto facilmente riuscirci con l’uso del Potere il blocco precipitò a terra, trascinandolo con sé nella fredda, pallida e pungente luce. Non fino in fondo però. Si fermò a un certo punto contro la neve che era caduta attorno al riparo. Sdraiato sul dorso con appena un pezzo di schiena di fuori poteva vedere altri cumuli di neve, alcuni attorno a radi alberi deformati che non riconosceva, altri forse che seppellivano cespugli o massi.

Aprì la bocca e dimenticò cosa stava per dire quando qualcosa si mosse nell’aria a nemmeno quindici metri sopra la sua testa, una sagoma grigia molto più grande di un cavallo che avanzava grazie al lento battito di ampie ali dispiegate, un muso osseo spuntava davanti a zampe artigliate e una sottile coda simile a quella di una lucertola lo seguiva. La testa di Rand ruotò seguendo il volo di quella creatura sopra gli alberi. In groppa vi erano due persone, riconoscibili malgrado quelli che sembravano essere due cappucci: era chiaro che stavano investigando il terreno sottostante. Se fosse stata visibile qualche altra parte del suo corpo oltre la testa, se non si fosse trovato direttamente sotto alla creatura, di certo lo avrebbero notato.

«Lascia le coperte» disse mentre si riaffacciava all’interno. «Forse è gente amichevole e forse no, ma preferisco non scoprirlo.» Non era certo di voler fare la conoscenza di persone che cavalcavano creature di quel tipo. Se si trattava di persone. «Sgattaioleremo verso il passaggio. Il più velocemente possibile, ma sempre di nascosto.»

Incredibilmente la donna non discusse. Quando Rand fece qualche commento sulla faccenda mentre la aiutava a salire sul blocco di ghiaccio — anche quello lo stupì: Aviendha aveva accettato la sua mano senza nemmeno lanciargli un’occhiata furiosa — la ragazza replicò: «Non discuto quando dici cose sensate, Rand al’Thor.» Non era proprio ciò che ricordava.

La terra che li circondava era piatta, completamente ricoperta da una coltre di neve, ma a occidente si elevavano delle montagne acuminate con i picchi imbiancati e avvolti dalle nuvole. Non ebbe problemi a capire che si trovavano a ovest osservando da che parte sorgeva il sole. Meno della metà della sfera dorata era sopra l’oceano. Lo fissava. Il suolo era abbastanza scosceso per vedere le onde che si infrangevano con violenti spruzzi su una riva rocciosa a forse un chilometro di distanza. Un oceano a est, che si estendeva all’infinito verso l’orizzonte e il sole. Se la neve non era abbastanza, questo gli faceva capire che non erano in una terra che conosceva.

Aviendha fissò stupita i frangiflutti e le onde che fluivano, quindi lo guardò corrucciata quando il pensiero divenne concreto. Forse non aveva mai visto un oceano, ma aveva studiato le mappe.

Con la gonna la neve le creava più problemi che a lui, e Rand si dibatteva, scavandosi un percorso più che camminando, a volte affondando fino alla vita. Aviendha esclamò quando Rand la prese in braccio e gli occhi verdi gli si rivolsero furiosi.

«Dobbiamo muoverci più velocemente di quanto possa fare tu trascinandoti quella gonna» le disse. Lo sguardo svanì ma Aviendha non gli passò il braccio attorno al collo, come invece Rand sperava. Al contrario rimase a braccia conserte e assunse un’espressione paziente. Forse un po’ imbronciata. Qualsiasi cosa fosse cambiata in lei dopo quanto avevano era successo, non era completamente diversa. Rand non comprendeva perché lo considerava un sollievo.

Avrebbe potuto fondersi un passaggio attraverso la neve come aveva fatto durante la tormenta, ma se fosse sopraggiunta un’altra di quelle creature volanti il percorso sgombro l’avrebbe guidata dritta su di loro. Una volpe procedeva alla sua destra, tutta bianca tranne un pennacchio nero sulla punta della coda ricoperta di pelo, rivolgendo di tanto in tanto a lui e Aviendha un’occhiata sospettosa. Le impronte dei conigli marchiavano la neve in diversi punti, confuse dove avevano spiccato il salto e si accorse che vi erano anche le orme di un gatto che poteva essere grande come un leopardo. Forse c’erano animali anche più grossi, magari qualcuno simile a quelli che aveva già visto ma che non poteva volare. Non che volesse incontrarli, ma c’era sempre la possibilità che... queste creature volanti... scambiassero le tracce che stava lasciando per quelle di qualche altra bestia. Si muoveva ancora di albero in albero, anche se desiderava che ve ne fossero di più e più vicini. Ma in quel caso non avrebbe mai ritrovato Aviendha nella tormenta. Lei protestò guardandolo torva e di conseguenza Rand allentò la presa su di lei, ma adesso gli alberi sarebbero stati d’aiuto. Forse dipese dal suo passo furtivo, ma fu lui ad avvistare gli altri per primo. . A meno di cinquanta passi dal passaggio, davanti al quale poteva ancora sentire il flusso che lo manteneva, c’erano quattro persone a cavallo e più di venti a piedi. Le persone a cavallo erano tutte donne avvolte in lunghi e spessi mantelli foderati di pelliccia; due indossavano un braccialetto d’argento al polso sinistro, collegato da un lungo guinzaglio dello stesso materiale splendente a un collare legato attorno alla gola di due donne vestite di grigio e senza mantello, in piedi nella neve. Gli altri a piedi erano uomini che portavano indumenti di pelle scura e un’armatura laccata verde e oro, fatta di lastre sovrapposte sul petto, sulle braccia e davanti alle cosce. Sulle lance c’erano dei tasselli verdi e oro, i lunghi scudi erano dipinti nello stesso colore e gli elmetti assomigliavano a teste di grossi insetti, con i visi che spuntavano fra le mandibole. Uno era chiaramente un ufficiale, senza lancia o scudo, ma con uno spadone a due mani dalla lama ricurva appeso dietro la schiena. L’armatura laccata era bordata d’argento, e delle piume sottili verdi che assomigliavano ad antenne accentuavano l’impressione che gli aveva suscitato l’elmetto dipinto. Adesso sapeva dove erano capitati. Aveva già visto armature come quella. E donne con simili collari.

Adagiandola dietro qualcosa che assomigliava a un pino contorto, anche se il tronco era liscio e grigio striato di nero, le indicò la scena e Aviendha annuì in silenzio.

«Le due donne unite dal collare possono incanalare» sussurrò. «Puoi bloccarle?» Quindi si affrettò ad aggiungere, «non abbracciare ancora la Fonte. Sono prigioniere, ma potrebbero comunque dare l’allarme e, anche se non lo fanno, quelle con il bracciale potrebbero essere in grado di percepirlo.»

Aviendha lo guardò perplessa, ma non sprecò tempo a porre domande sciocche, per esempio su come lo sapesse. Ci avrebbe pensato più tardi. «Anche le donne con i bracciali sono in grado di incanalare» rispose altrettanto sommessamente Aviendha. «La sensazione che emettono però è molto strana. Debole. Come se non si fossero mai esercitate. Non riesco a capire come possa essere.»

Rand poteva. Le damane erano in teoria quelle in grado di incanalare. Se due donne erano in qualche modo riuscite a svicolare nella rete dei Seanchan per diventare sul’dam — e dal poco che conosceva non era cosa facile poiché i Seanchan provavano tutte le donne con i primi segni della capacità di incanalare — non avrebbero mai osato tradirsi. «Sei capace di schermarle tutte e quattro?»

Aviendha gli rivolse un’occhiata compiaciuta. «Certo. Egwene mi ha insegnato a gestire diversi flussi allo stesso momento. Posso bloccarle, legare i flussi e avvolgerle in flussi di Aria prima che si rendano conto di cosa stia accadendo.» Quel sorrisetto compiaciuto scomparve. «Sono abbastanza veloce da affrontare loro e i cavalli, ma tu dovrai occuparti degli altri finché non sarò in grado di venire in tuo aiuto. Se qualcuno riesce a scappare... allora potrà certamente scagliare quelle lance fin qui e se uno di loro ti inchioda al suolo...» Per un po’ Aviendha borbottò, come fosse arrabbiata per non essere in grado di completare la frase. Alla fine lo fissò, con lo sguardo furioso come non l’aveva vista mai. «Egwene mi ha parlato della guarigione, ma ne sa poco e io anche meno.»

Perché era arrabbiata adesso? si chiese Rand. Meglio cercare di capire il sole piuttosto che una donna, concluse amareggiato. Glielo aveva detto Thom Merrilin ed era la pura verità. «Tu pensa a schermare quelle donne,» si raccomandò «io penserò al resto. Fallo solo quanto ti tocco il braccio.»

Aviendha credeva stesse vantandosi, ma lui non doveva separare i flussi, solo tesserne uno intricato di Aria per legare le braccia lungo i fianchi e bloccare le zampe dei cavalli come le gambe degli uomini.

Inspirando profondamente afferrò saidin, toccando il braccio di Aviendha e incanalando.

Dai Seanchan si levarono delle grida di spavento. Avrebbe dovuto procurarsi dei bavagli, avrebbero potuto attraversare il passaggio prima di attirare l’attenzione di altri. Mantenendo la presa sulla Fonte afferrò il braccio di Aviendha trascinandola nella neve, senza badare al ringhio della donna che diceva di riuscire a camminare da sola. In questo modo aveva aperto un varco e dovevano sbrigarsi.

I Seanchan ritrovarono la calma mentre li osservavano farsi istrada davanti a loro. Le due donne che non erano sul’dam avevano portato indietro i cappucci, dimenandosi contro i flussi che le bloccavano. Rand li stava mantenendolo invece di legarli, avrebbe dovuto liberarli quando fosse andato via: non poteva lasciare i Seanchan imprigionati nella neve. Se non fossero morti di freddo, t’erano sempre quei grossi gatti dei quali aveva visto le impronte. Dove ce n’era uno ce n’erano sicuramente degli altri.

Il passaggio era in buone condizioni, ma invece di portare nella sua stanza a Eianrod era grigio. Gli sembrava anche più piccolo di come se lo ricordava. Cosa ancor più grave, era in grado di vedere il flusso d’origine di quel grigiore. Era stato creato da saidin. Attraverso il vuoto filtrarono dei pensieri di rabbia. Non sapeva a cosa servisse, ma poteva benissimo essere una trappola per chiunque vi fosse passato attraverso, intessuta da uno dei Reietti maschi. Probabilmente da Asmodean. Se l’uomo fosse riuscito a consegnarlo agli altri forse avrebbe recuperato la sua posizione fra loro. Ma non potevano restare dove erano. Se solo Aviendha si fosse ricordata di come aveva aperto il varco la prima volta sarebbero stati in grado di crearne uno nuovo, ma data la situazione avrebbero dovuto usare quello, trappola o no.

Una delle donne a cavallo, con un corvo nero davanti a una torre ricamato sulla parte anteriore del mantello, aveva il volto severo e occhi che sembravano volergli trapassare il cervello. L’altra, più giovane, chiara e bassa ma anche più regale nell’aspetto, aveva ricamata sul mantello verde una testa di cervo argentata. Il dito mignolo dei guanti era troppo grande. Rand sapeva, osservando la testa rasata sulle tempie, che dita lunghe terminavano con unghie altrettanto lunghe e senza dubbio laccate, entrambi segni della nobiltà seanchan. I soldati avevano i volti e le schiene rigidi, ma gli occhi azzurri dell’ufficiale brillavano dietro all’elmo a forma di testa di insetto ed egli contraeva inutilmente le mani, mentre si agitava per cercare di raggiungere la spada.

A Rand non importava molto di loro e non voleva lasciare indietro le damane. Almeno gli avrebbe concesso la possibilità di fuggire. Lo fissavano come avrebbero fatto con un animale selvatico dalle zanne snudate, ma non avevano intenzione di essere prigioniere, trattate quasi come ammali domestici. Poggiò una mano sul collare di quella più vicina e provò una scossa che gli tolse quasi la sensibilità dal braccio. Per un istante il vuoto vacillò e saidin imperversò attraverso di lui come una tormenta di neve mille volte più potente di quella del giorno prima. I capelli corti e biondi della damane si agitavano mentre era in preda alle convulsioni dopo che Rand ne aveva sfiorato il collare e gridava. Anche la sul’dam connessa a lei respirava a fatica ed era pallida. Sarebbero cadute entrambe se non fossero state sostenute da Aria.

«Provaci tu» disse ad Aviendha, «una dorma dovrebbe essere in grado di toccarlo senza correre rischi. Non so come aprirlo.» Sembrava un pezzo unico, chiuso in qualche modo misterioso, proprio come i bracciali. «Ma se glielo hanno messo, allora deve essere possibile toglierlo.» Un breve indugio non avrebbe cambiato la situazione del passaggio. Si trattava di Asmodean?

Aviendha scosse il capo ma iniziò a lavorare con il collare dell’altra donna. «Resta ferma» si rivolse severa alla damane, una ragazza pallida di circa sedici anni che cercò di ricambiare lo sguardo. Se prima avevano guardato Rand come una bestia selvatica, ora fissavano Aviendha come se fosse un incubo che avesse assunto forma umana.

«È una marath’damane» singhiozzò la ragazza pallida. «Salva Seri, padrona! Ti prego, salva Seri!» L’altra damane, più grande, quasi materna, iniziò a singhiozzare senza controllarsi. Aviendha guardò Rand furibonda come aveva fatto con la ragazza, borbottando nervosa mentre armeggiava con il collare.

«È lui, lady Morsa» disse improvvisamente la sul’dam dell’altra damane con un tono strascicato che Rand capiva a malapena. «Ho portato il braccialetto a lungo e sono in grado di capire se una marath’damane avesse fatto altro che bloccare Jini.»

Morsa non sembrava sorpresa. Pareva piuttosto terrorizzata per averlo riconosciuto mentre lo guardava. Poteva essere solo una cosa.

«Tu eri a Falme» disse Rand. Se fosse passato per primo avrebbe dovuto lasciare Aviendha dietro, anche se solo per un momento.

«C’ero.» La nobile sembrava debole, ma la lenta voce dal tono strascicato era fredda e imperiosa. «Ho visto te e anche quello che hai fatto.»

«Allora fai in modo che non si verifichi lo stesso qui. Non crearmi problemi e vi lascerò in pace.» Non poteva mandare Aviendha per prima, incontro a chissà cosa, nel nome della Luce. Se le emozioni non fossero state così lontane avrebbe fatto le Stesse smorfie di Aviendha. Dovevano attraversarlo assieme ed essere pronti ad affrontare di tutto.

«Molto è stato tenuto segreto riguardo a quanto è avvenuto nelle terre del grande Hawkwing, lady Morsa» disse la donna dal volto severo. Gli occhi scuri avevano un’espressione dura tanto «verso Morsa che nei suoi riguardi. «Ci sono voci che l’Esercito Sempre Vittorioso abbia assaggiato la sconfitta.» «Adesso cerchi la verità fra le voci, Jalindin?» chiese Morsa con un tono di voce tagliente. «Una Cercatrice più di chiunque altra dovrebbe sapere quando restare in silenzio. L’Imperatrice in persona ha vietato di parlare del Corenne prima che lo faccia lei. Se tu o io pronunciamo anche solo il nome della città dove era giunta quella spedizione, ci taglieranno le lingue. Forse ti «piacerebbe essere senza lingua nella Torre dei Corvi? Nemmeno gli Ascoltatori udirebbero le tue preghiere o vi presterebbero attenzione.»

Rand capiva solo due parole su tre e non era per via dello strano accento. Gli sarebbe piaciuto avere tempo per restare ad ascoltare. Corenne. Il Ritorno. Era il modo in cui i Seanchan avevano chiamato il loro tentativo di occupare le terre oltre l’oceano Aryth, quelle dove viveva lui, che consideravano un diritto di nascita. Il resto, Cercatori, Ascoltatori, Torre dei Corvi, era un mistero. Ma sembrava che il Ritorno fosse stato sospeso, almeno per il momento. Era valsa la pena scoprirlo. Il passaggio era più stretto. Forse un dito più piccolo di un attimo prima. Solo i suoi flussi lo mantenevano aperto. Aveva tentato di chiudersi non appena Aviendha aveva rilasciato i suoi flussi e ancora ci stava provando.

«Sbrigati» le disse, e lei in cambio gli rivolse uno sguardo così paziente che pareva una sassata fra gli occhi.

«Sto tentando, Rand al’Thor» rispose, sempre lavorando sul collare. Sulle guance di Seri scivolavano delle lacrime e dalia gola proveniva un lamento continuo, come se l’Aiel volesse sgozzarla. «Hai quasi ucciso le altre due e forse te stesso. Sentivo il Potere che imperversava selvaggiamente in entrambe quando hai toccato il collare. Per cui lasciami fare e, se posso, ci riuscirò.»

Imprecando a bassa voce provò su un lato.

Rand pensò di chiedere alle sul’dam di rimuovere il collare, se c’era qualcuno che sapeva come farlo, erano loro, ma a giudicare dalle loro espressioni avrebbe dovuto costringerle. Se non era capace di uccidere una donna, non era nemmeno in grado di torturarne una.

Sospirando guardò il grigiore colmare il passaggio. I flussi sembravano intessuti nei suoi, non poteva spezzarne uno senza spezzare anche l’altro. Attraversarlo probabilmente avrebbe fatto scattare la trappola, ma eliminare il grigiore, anche se quell’azione non lo avesse attivato, lo avrebbe chiuso prima di superarlo. Dovevano saltare alla cieca dentro solo la Luce sapeva cosa.

Morsa aveva ascoltato attentamente tutto lo scambio di opinioni fra lui e Aviendha e adesso guardava pensierosa le due sul’dam, Jalindin non aveva mai staccato gli occhi dalla nobildonna.

«Molto è stato tenuto nascosto ai Cercatori, lady Morsa, anche se non sarebbe dovuto succedere» aggiunse severa. «I Cercatori devono sapere tutto.»

«Stai esagerando, Jalindin» scattò Morsa agitando la mano guantata. Se non avesse avuto le braccia bloccate lungo i fianchi avrebbe reciso le redini. Voltò il capo per osservare l’altra donna. «Mi sei stata inviata perché Sarek ha delle grandi aspettative e dei progetti per Serengada Dai e Tuel, non per chiedere cosa l’imperatrice abbia...»

Jalindin la interruppe duramente: «Sei tu che stai esagerando, lady Morsa, se credi di resistere contro i Cercatori della Verità. Io in persona ho interrogato una figlia e un figlio dell’Imperatrice, che la Luce la benedica, e in segno di gratitudine per la confessione che ho ottenuto da loro mi ha permesso di guardarla. Credi che la tua casata minore valga più dei figli dell’Imperatrice?»

Morsa rimase eretta, non che avesse altre scelte, ma il viso divenne terreo e si inumidì le labbra. «L’Imperatrice, che la Luce la illumini per sempre, sa già molto più di quanto possa rivelare. Non intendevo implicare...»

La Cercatrice la interruppe di nuovo, girandosi per parlare ai soldati come se Morsa non esistesse. «La donna Morsa è in custodia dei Cercatori della Verità. Verrà interrogata non appena faremo ritorno a Merinloe. Come anche le sul’dam e le damane. Sembra che anche loro abbiano tenuto nascosto qualcosa che non avrebbero dovuto.» Sul viso delle donne da lei menzionate si dipinse l’orrore, ma nello sguardo di Morsa erano riunite tutte le loro espressioni. Gli occhi erano sgranati e stanchi, si accasciò per quanto le consentiva il legame invisibile, senza una sola parola di protesta. Pareva sul punto di gridare, eppure accettava quella situazione. Lo sguardo di Jahndin si volse su Rand. «Ti ha chiamato Rand al’Thor. Verrai trattato bene se ti arrenderai a me, Rand al’Thor. In qualsiasi modo tu sia giunto qui, non puoi pensare di fuggire anche se ci elimini. C’è una grande caccia alla marath’damane che ha incanalato durante la notte.» Gli occhi della donna balenarono verso Aviendha. «Scopriranno inevitabilmente anche te e potresti essere ucciso per sbaglio. C’è una sedizione in questo distretto. Non so come vengano trattati gli uomini come te nelle tue terre, ma a Seanchan le tue sofferenze possono essere alleviate. Qui puoi trovare un grande onore nell’uso del tuo Potere.»

Rand le rise in faccia e la donna sembrò offesa. «Non posso darti la morte, ma meriteresti almeno che ti strappassi la pelle a frustate per questo.» Certo non avrebbe dovuto preoccuparsi di essere domato fra le mani dei Seanchan. A Seanchan gli uomini che potevano incanalare venivano uccisi. Non giustiziati. Cacciati e abbattuti a vista.

Il grigiore che colmava il passaggio era ancora più stretto, appena largo per consentire ai due di attraversarlo assieme.

«Lascia perdere, Aviendha. Dobbiamo andare via.»

Aviendha rilasciò il collare di Seri e lo guardò esasperata, ma gli occhi si diressero sul passaggio, raccolse le gonne per camminare nella neve verso di lui, mormorando qualcosa contro l’acqua ghiacciata.

«Sii pronta a tutto» le raccomandò mettendole un braccio attorno alle spalle. Si disse che dovevano stare vicini per poter passare nella fessura. Non perché gli piaceva. «Non so per cosa, ma sii pronta.» La donna annuì e Rand disse: «Salta!»

Insieme balzarono nel grigiore, Rand rilasciò i flussi che bloccavano i Seanchan per colmarsi di saidin...

...e atterrarono incespicando nella sua stanza a Eianrod, illuminata dalle lampade con il buio fuori dalle finestre.

Asmodean era seduto a gambe incrociate, appoggiato contro il muro dietro la porta. Non abbracciava la Fonte ma Rand elevò un blocco fra l’uomo e saidin per essere sicuro. Voltandosi ancora con il braccio sulle spalle di Aviendha vide che il passaggio era scomparso. No, non scomparso, poteva ancora scorgerne i flussi e quelli che sapeva dovevano essere di Asmodean, ma non sembrava vi fosse qualcosa. Senza fermarsi ruppe i flussi di Asmodean e il passaggio riapparve, una visuale sui Seanchan che si restringeva, lady Morsa accasciata sulla sella e Jalindin che gridava ordini. Nell’apertura apparve una lancia con i tasselli verdi e oro, proprio prima di richiudersi. Istintivamente Rand incanalò Aria per afferrare l’arma ondeggiante. Il manico era Uscio e ben lavorato. Scosso dai brividi, fu contento che non avesse provato a rimuovere la barriera grigia prima di saltare.

«È stato un bene che nessuna delle sul’dam si sia ripresa per tempo,» disse afferrando la lancia «o ci sarebbe stato di peggio a seguirci.» Guardò Asmodean con la coda dell’occhio, ma l’uomo si limitava a restare seduto e sembrava leggermente malato. Non sapeva se Rand avesse intenzione di piantargli in gola quella lancia.

Aviendha tirò sonoramente su con il naso. «Credi che le abbia rilasciate?» disse nervosa. Allontanò il braccio di Rand con fermezza, ma non pensava che fosse arrabbiata con lui. Comunque non per il braccio. «Ho legato le loro schermature meglio che potevo. Sono tue nemiche, Rand al’Thor. Anche quelle che hai chiamato damane sono dei cani fedeli che ti avrebbero ucciso piuttosto che farsi liberare. Devi essere duro con i tuoi nemici, non debole.»

Sollevando la lancia pensò che Aviendha avesse ragione. Si era lasciato alle spalle avversari che avrebbe dovuto affrontare un altro giorno. Bisognava che diventasse più duro. Altrimenti sarebbe stato ridotto in polvere prima di raggiungere Shayol Ghul.

Di colpo la donna incominciò a sistemarsi la gonna e la voce parve quasi cordiale. «Ho notato che non hai salvato quella faccia pallida di Morsa dal suo destino. Dal modo in cui l’hai guardata, credevo che gli occhi grandi e il seno florido avessero attirato la tua attenzione.»

Rand la fissò con uno stupore che fluiva attraverso il vuoto da cui era circondato. Era come se stesse dicendo che la cena era pronta. Si chiese in che modo avrebbe potuto notare il seno di Morsa, nascosto com’era sotto al mantello. «Avrei dovuto portarla con noi» rispose. «Per interrogarla sui Seanchan. Temo che mi daranno ancora problemi.»

Lo scintillio dagli occhi di Aviendha scomparve. Aprì la bocca ma si fermò a fissare Asmodean quando Rand sollevò una mano. Riusciva a vedere le domande sui Seanchan passare in rassegna davanti ai suoi occhi. Se conosceva Aviendha, una volta iniziato non si sarebbe fermata fino a quando non avesse scoperto cose che persino Rand ignorava di sapere. Il che poteva non essere un male. Ma un’altra volta. Dopo aver ottenuto qualche risposta da Asmodean. Aviendha aveva ragione; doveva essere duro.

«Hai fatto una cosa astuta» disse Aviendha. «Nascondere il buco che avevo fatto. Se fosse entrato nella tua stanza un gai’shain, mille sorelle di lancia avrebbero potuto attraversarlo alla tua ricerca.»

Asmodean si schiarì la gola. «Una dei gai’shain è venuta. Una donna di nome Sulin gli aveva detto di accertarsi che mangiassi, mio lord Drago; e per evitare che ti portasse il vassoio e scoprisse che eri sparito, mi sono preso la libertà di riferirle che tu e la giovane donna non volevate essere disturbati.» Una leggera tensione negli occhi dell’uomo attrasse l’attenzione di Rand.

«Cosa?»

«L’ha preso in modo strano. Ha riso forte ed è uscita di corsa. Dopo qualche minuto ci saranno state almeno venti Far Dareis Mai dietro la finestra, che hanno urlato e battuto le lance sugli scudi per almeno un’ora. Devo dire, mio lord Drago, che alcuni dei suggerimenti che gridavano hanno stupito anche me.»

Rand si sentiva le guance in fiamme — era successo nell’altro lato del maledetto mondo eppure la Fanciulle sapevano! — ma Aviendha si limitò a socchiudere gli occhi.

«Aveva gli occhi e i capelli come i miei?» Aviendha non attese il cenno del capo di Asmodean. «Doveva trattarsi della mia sorella prima, Niella.» La donna notò l’espressione stupita e interrogativa sul volto di Rand e rispose prima che potesse parlare. «Niella è una tessitrice, non una Fanciulla, ed è stata presa sei mesi fa dalle Fanciulle Chareen durante un’incursione nella fortezza di Sulara. Ha cercato di convincermi a non prendere la lancia e ha sempre voluto che mi sposassi. La rimanderò dalle Chareen con una bastonata nel posteriore per ognuna di quelle con cui ha parlato!»

Rand la afferrò per il braccio mentre si avviava a lasciare la stanza. «Voglio parlare con Natael. Non credo che sia rimasto molto prima dell’alba...»

«Forse due ore» intervenne Asmodean.

«...per cui avremo poco tempo per dormire. Se vuoi provare a farlo, ti dispiacerebbe passare altrove il resto della notte? Hai comunque bisogno di nuove coperte.»

Aviendha annuì seccamente prima di liberarsi dalla presa e si sbatté la porta alle spalle. Di certo non era arrabbiata per essere stata cacciata dalla sua stanza — come avrebbe potuto esserlo? Ha detto che fra loro non sarebbe successo altro — ma era contento di non essere Niella.

Facendo rimbalzare la corta lancia fra le mani guardò Asmodean.

«Uno strano scettro, mio lord Drago.»

«Andrà bene lo stesso.» Per ricordarsi che i Seanchan erano ancora lì fuori. Per una volta avrebbe desiderato che la sua voce fosse anche più fredda di quanto il vuoto e saidin la rendessero. Doveva essere duro. «Prima che decida di usarlo per infilzarti come un abbacchio, perché non mi hai mai parlato del trucco di rendere qualcosa invisibile? Se non fossi stato in grado di vedere i flussi non avrei mai saputo che il passaggio era ancora lì.»

Asmodean deglutì, cambiando posizione e chiedendosi se la minaccia di Rand fosse seria. Nemmeno Rand ne era sicuro. «Mio lord Drago, non me lo hai mai chiesto. Si tratta di piegare la luce. Hai sempre così tante domande, è difficile trovare un momento per parlare di qualsiasi altra cosa. Ormai dovresti aver capito che adesso i miei affari sono completamente intrecciati ai tuoi.» Inumidendosi le labbra si mise in ginocchio e iniziò a balbettare. «Ho percepito i tuoi flussi — chiunque nel raggio di un chilometro avrebbe potuto farlo — non avevo mai visto nulla di simile; non sapevo che altri oltre Demandred fossero in grado di bloccare un passaggio in fase di chiusura, forse Semirhage e Lews Therin. Li ho percepiti e sono venuto, mi è stato difficile oltrepassare le Fanciulle — ho fatto ricorso a dei trucchi. Ormai dovresti sapere che sono il tuo uomo. Mio lord Drago, sono il tuo uomo.»

La circostanza che avesse ripetuto quanto avevano detto i Cairhienesi richiamò la sua attenzione più di ogni altra cosa. Gesticolando con il mozzicone di lancia disse duramente, «Alzati, non sei un cane.» Ma mentre Asmodean si alzava lentamente appoggiò la punta dell’arma contro la gola dell’uomo. Doveva essere duro. «D’ora in poi mi dirai due cose che non ti chiedo ogni volta che parliamo. Bada, ogni volta. Se penso che stai provando a nascondermi qualcosa, sarai contento di finire fra le mani di Semirhage.»

«Come vuoi tu, mio lord Drago» balbettò Asmodean. Sembrava pronto a inchinarsi e a baciargli la mano.

Per evitare che lo facesse, Rand si mosse verso il letto senza coperte per sedersi sulle lenzuola di lino, il materasso di piume cedette sotto il suo peso mentre esaminava la lancia. Era stata una buona idea tenerla come ricordo, da usare come scettro. Anche con tutto il resto, sarebbe stato opportuno non dimenticare i Seanchan. Quelle damane. Se non ci fosse stata Aviendha per bloccarle dalla Fonte...

«Hai provato a mostrarmi come schermare una donna e non ci sei riuscito. Cerca di insegnarmi come evitare flussi che non posso vedere, come combatterli.» Una volta Lanfear aveva tagliato uno dei suoi flussi come se avesse avuto un coltello.

«Non è facile, mio signore, senza una donna con cui esercitarci.»

«Abbiamo due ore» rispose freddamente Rand, mentre dipanava lo schermo che lo bloccava. «Provaci e sforzati.»

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