6 Passaggi

Rand si svegliò nel buio più completo e rimase sotto le coperte cercando di capire cosa poteva aver interrotto il suo sonno. Doveva essere stato qualcosa. Non il sogno. Stava insegnando a nuotare ad Aviendha in uno stagno del Waterwood a casa, nei Fiumi Gemelli. Era dell’altro. Lo percepì di nuovo, come il debole refolo di un disgustoso miasma che passava sotto la porta. Non era proprio un odore. Una sensazione non ben definita, ma l’avvertiva come odore. Putrido, come qualcosa morta da una settimana in acque stagnanti. Scomparve di nuovo ma stavolta non del tutto.

Gettando via le coperte si alzò avvolgendosi in saidin. Denteo al vuoto, colmato con il Potere, percepì che il corpo rabbrividiva, ma il freddo sembrava altrove rispetto a dove si trovava lui. Aprì la porta con cautela e uscì. Le finestre arcuate alle due estremità del corridoio lasciavano filtrare la luce lunare. Dopo l’oscurità della sua stanza era quasi come la luce del giorno. Nulla si muoveva, ma poteva sentire... qualcosa... che si avvicinava. Qualcosa di cattivo. Provocava in lui la stessa sensazione della contaminazione che scorreva in lui con il Potere.

Si portò una mano alla tasca della giubba, per prendere una piccola scultura rotonda raffigurante un uomo con una spada appoggiata sulle ginocchia. Un angreal; con quello era in grado di incanalare più Potere di quanto avrebbe potuto fare e senza correre rischi. Non credeva che fosse necessario. Chiunque avesse mandato questo attacco contro di lui non sapeva con chi aveva a che fare adesso. Non avrebbero mai dovuto svegliarlo.

Esitò per un momento. Poteva combattere contro qualsiasi cosa fosse stata inviata, ma era convinto che si trovasse ancora al piano di sotto. Dove dormivano le Fanciulle, a giudicare dal silenzio. Se avesse avuto fortuna non avrebbe dovuto disturbarle, a meno che non fosse sceso a combattere fra di loro. Quello le avrebbe certamente svegliate e non sarebbero rimaste da una parte a guardare. Lan diceva che dovevi sceglierti il territorio su cui combattere, se potevi, e aspettare che il nemico venisse a te.

Sorridendo corse su per le vicine scale ricurve fino a raggiungere l’ultimo piano. Il livello più alto del palazzo era una grande stanza dal soffitto leggermente a cupola e piccole colonne sparse e con scanalature a spirali. Tutto intorno c’erano finestre stondate con i vetri che inondavano la stanza di luce lunare. La polvere e la sabbia sul pavimento mostravano ancora le sue impronte dall’ultima volta che era salito lassù e nessun altro segno. Era perfetto.

Camminando verso il centro della stanza si piazzò sopra al mosaico che rappresentava l’antico simbolo delle Aes Sedai, largo tre metri e mezzo. Era il posto giusto. «Sotto questo simbolo egli conquisterà.» Questo dicevano le Profezie del Rhuidean su di lui. Rimase in piedi a gambe divaricate sopra la linea sinuosa, un piede sulla lacrima nera che adesso veniva chiamata la Zanna del Drago ed era usata per rappresentare il male, l’altro sulla bianca, adesso chiamata la Fiamma di Tar Valon. Alcuni sostenevano che fosse dalla parte della Luce. Il luogo adatto per incontrare il suo aggressore, fra la Luce e l’oscurità.

Il fetore divenne sempre più forte e l’odore di zolfo bruciato riempì l’aria. Di colpo qualcosa si mosse, camminando furtivamente lontano dalle scale come delle ombre della luna, lungo il lato esterno della stanza. Lentamente li riconobbe: tre cani. Più scuri della notte e più grandi di cavalli nani. Gli occhi che brillavano argentei, lo circondarono attenti. Con il Potere che lo colmava poteva avvertire i cuori degli animali battere, come il cupo martellare di tamburi. Non riusciva a sentirli respirare però. Forse non lo facevano.

Rand incanalò e si ritrovò con una spada fra le mani, la lama leggermente ricurva e marchiata con l’airone sembrava forgiata nel fuoco. Si era aspettato un Myrddraal, o forse qualcosa di peggio dei Senza Occhi, ma per dei cani, anche della progenie dell’Ombra, la spada sarebbe bastata. Chiunque li aveva mandati non lo conosceva. Lan sosteneva che ormai aveva quasi raggiunto il livello di un maestro spadaccino e il Custode non era prodigo di complimenti.

Ringhiando col rumore di ossa ridotte in polvere, i cani lo attaccarono da tre lati, più veloci di cavalli al galoppo.

Rand non si mosse fino a quando non gli furono quasi addosso, quindi fluì, un corpo unico con la spada, di figura in figura, come se stesse danzando. Nel battito di un ciglio la figura chiamata Turbine sulla montagna divenne Il vento soffia oltre il muro, e quindi L’apertura del ventaglio. Grandi teste nere si staccarono dai grossi corpi, mentre i denti gocciolanti risplendevano come acciaio lucidato, ancora snudati, e rimbalzarono sul pavimento. Rand stava già spostandosi dal mosaico mentre le figure scure crollavano in preda alle convulsioni.

Ridendo tra sé rilasciò la spada ma rimase connesso a saidin, al Potere furioso, la dolcezza e la contaminazione. Al di fuori del vuoto scivolava il disprezzo. Cani. Progenie dell’Ombra senza dubbio, ma comunque solo... la risata morì.

Lentamente i corpi e le teste dei cani si sciolsero, diventando delle pozze di ombra liquida che tremavano leggermente, come se fossero vive. Anche il loro sangue, sparso al suolo, tremava. Di colpo le piccole pozze fluirono attraverso il pavimento in rivoli disgustosi per unirsi a quelle più larghe che colavano piano lontano dal mosaico facendosi sempre più alte, finché i tre enormi cani furono di nuovo in piedi, sbavando e ringhiando mentre si preparavano a saltare.

Non sapeva perché era sorpreso, in lontananza fuori dal vuoto. Cani, sì, ma progenie dell’Ombra. Chiunque li aveva mandati non era stato così incauto come aveva pensato all’inizio. Ma ancora non lo conoscevano.

Invece di rigenerare la spada incanalò come si ricordava di aver fatto tempo addietro. Ululando i grossi cani balzarono e una spessa barra di luce bianca scaturì dalle mani di Rand, come acciaio fuso, fuoco liquido. La fece scorrere sulle creature in volo. Per un istante divennero delle strane ombre di se stesse, tutti i colori capovolti, quindi mutarono in puntini luminosi che si separarono fra loro, sempre più piccoli, finché non rimase nulla.

Rand rilasciò quella cosa che aveva generato con un sorriso cupo. Una barra di luce purpurea sembrava ancora attraversargli la visione.

Nella grande stanza il pezzo di una colonna crollò sulle mattonelle del pavimento. Dove quella barra di luce — o qualsiasi cosa fosse, non proprio luce — era passata erano caduti dei pezzi di colonna recisi di netto. Un taglio divideva a metà la parete dietro le colonne.

«Qualcuno di loro ti ha morso o ha sanguinato su di te?»

Rand si voltò di scatto al suono della voce sommessa di Moiraine. Assorto nel pensiero di quanto aveva appena compiuto, non l’aveva sentita salire le scale. Stava in piedi con entrambe le mani serrate sulla gonna e lo fissava, con il volto perso fra le ombre proiettate dalla luna. Probabilmente aveva percepito quelle creature come aveva fatto lui, ma per essere arrivata così presto doveva aver corso. «Le Fanciulle ti hanno lasciata passare? Sei diventata Far Dareis Mai, Moiraine?»

«Mi hanno concesso alcuni dei privilegi di una Sapiente» rispose rapida, con la voce di solito melodiosa alterata dall’impazienza. «Ho detto alle guardiane che dovevo parlarti urgentemente. Adesso rispondimi! I Segugi Neri ti hanno morso o hanno sanguinato su di te? La loro saliva ti ha raggiunto?»

«No» rispose lentamente. Segugi Neri. Il poco che sapeva lo aveva appreso dalle storie usate di solito per spaventare i bambini nelle terre del Sud. Anche alcuni adulti le credevano vere. «Perché il morso di un cane dovrebbe preoccuparti? Puoi guarirlo. Significa che il Tenebroso è libero?» Racchiuso com’era nel vuoto, anche la paura era un sentimento lontano.

Le favole che aveva sentito narravano che i Segugi Neri cavalcavano nella notte durante la Caccia Furiosa, con il Tenebroso in persona in veste di cacciatore. Non lasciavano alcuna impronta nemmeno sul terreno più soffice, solo sulla pietra, e non si sarebbero fermati fino a quando li affrontavi e li sconfiggevi, o mettevi dell’acqua corrente fra te e loro come ostacolo. Agli incroci, in teoria, c’era il rischio di incontrarli, di solito subito dopo il tramonto o appena prima dell’alba. Rand aveva visto abbastanza personaggi delle vecchie favole in carne e ossa da credere che potevano essere tutti veri.

«No, non quello, Rand.» Sembrava che Moiraine stesse recuperando il solito autocontrollo. La voce era tornata argentina, calma e fredda. «Sono solo un altro tipo di progenie dell’Ombra, qualcosa che non avrebbe mai dovuto essere creata. Ma il loro morso è morte sicura come un pugnale conficcato nel cuore e non credo che avrei potuto guarire quel tipo di ferita prima che ti uccidesse. Il loro sangue e la saliva sono velenosi. Una goccia sulla pelle può uccidere, lentamente, con molto dolore alla fine. Sei fortunato che fossero solo tre. A meno che non ne abbia uccisi altri prima che arrivassi. I branchi di solito sono più numerosi, dieci o dodici, almeno questo è quanto riportano le carte rinvenute dopo la Guerra dell’Ombra.»

Branchi più numerosi. Lui non era la sola preda nel Rhuidean per uno dei Reietti...

«Dobbiamo parlare di ciò che hai usato per ucciderli» iniziò Moiraine, ma Rand stava già correndo alla massima velocità, ignorando le richieste di Moiraine che gli domandava dove stesse andando e perché.

Giù per rampe di scale, attraverso corridoi scuri, le Fanciulle bruscamente risvegliate dal rumore degli stivali lo guardavano con aria costernata dalle stanze illuminate dalla luce lunare. Attraversò le porte frontali dove Lan aspettava impaziente insieme alle altre due donne di guardia, il mantello cangiante dei Custodi sulle spalle che faceva sembrare alcune parti del corpo fuse con il buio della notte.

«Dov’è Moiraine?» gridò mentre Rand passava velocemente, ma il Drago scese i gradini due alla volta senza rispondere.

La ferita parzialmente risanata nel fianco pulsava, ma era a malapena consapevole del dolore dall’interno del vuoto quando raggiunse l’edificio che cercava. Si trovava ai margini del Rhuidean, lontano dalla piazza, il più lontano possibile dal campo che Moiraine divideva con le Sapienti pur rimanendo in città. I piani superiori erano crollati creando delle montagnole di detriti sparsi sulla terra piena di crepe oltre la pavimentazione. Solo i due piani inferiori erano ancora integri. Ignorando gli sforzi del proprio corpo che avrebbe voluto ripiegarsi su se stesso per il dolore, entrò, sempre correndo all’impazzata.

Una volta la grande stanza circondata da un balcone di pietra era alta, adesso lo era anche di più, a cielo aperto nella notte, il pavimento di pietra chiara era cosparso di frammenti di muro a seguito del crollo. Alla luce della luna, sotto al balcone, tre Segugi Neri stavano in piedi sulle zampe posteriori, mentre artigliavano e mordevano una porta di bronzo che tremava a quel potente assalto. L’odore di zolfo bruciato era forte nell’aria.

Rammentando quanto era appena accaduto, Rand balzò di lato e incanalò. La barra di fuoco bianco e liquido tagliava la porta mentre distruggeva la progenie dell’Ombra. Stavolta aveva cercato di crearne di meno, per limitare la distruzione ai Segugi Neri, ma lo spesso muro in fondo alla stanza era perforato. Non completamente però, anche se era difficile riuscire a vedere al chiarore della luna, ma doveva comunque imparare a controllare quest’arma.

La copertura di bronzo delle porte era lacera e divelta come se i denti e le unghie dei Segugi fossero state davvero d’acciaio. La luce delle lampade filtrava da una serie di piccoli fori. Sul pavimento di pietra c’erano le impronte delle zampe, ma sorprendentemente poche. Rilasciando saidin trovò un punto sulle porte dove bussare senza ferirsi la mano. Di colpo il dolore nel fianco si fece molto reale e presente. Inspirò profondamente e cercò di ignorarlo. «Mat? Sono io, Rand! Aprimi, Mat!»

Dopo un po’ si aprì uno spiraglio che fece passare la luce delle lampade. Mat guardò dubbioso, quindi aprì le porte, appoggiandosi contro un’anta come se avesse corso per dieci chilometri trasportando un sacco pieno di sassi. A parte un medaglione d’argento che rappresentava una testa di volpe, con l’occhio che riproduceva l’antico simbolo delle Aes Sedai, era nudo. Visto quello che Mat provava nei confronti delle Aes Sedai, Rand rimase stupito che non avesse venduto l’oggetto da tempo. In fondo alla stanza una donna alta dai capelli biondo oro stava avvolgendosi con calma una coperta sulle spalle. Una Fanciulla, a giudicare da lance e scudo appoggiati in terra.

Rand distolse rapido lo sguardo e si schiarì la gola. «Volevo solo accertarmi che stessi bene.»

«Stiamo bene.» Mat guardò a disagio verso l’anticamera. «Adesso stiamo bene. Li hai uccisi o qualcosa di simile? Non voglio sapere cos’erano, finché non siano spariti. A volte è maledettamente difficile essere tuo amico.»

Non solo un amico. Un altro ta’veren e forse una chiave per la vittoria durante Tarmon Gai’don. Chiunque volesse colpire Rand aveva motivo di colpire anche Mat. Ma lui cercava sempre di negare entrambi i fatti. «Non ci sono più, Mat. Segugi Neri. Tre.»

«Ti ho detto che non voglio sapere» si lamentò. «Adesso ci sono i Segugi Neri. C’è sempre qualcosa di nuovo con te. Certo non ci si annoia mai. Non fino al giorno in cui mi toccherà morire. Se non fossi stato in piedi per bere un sorso di vino quando la porta ha cominciato ad aprirsi...» Si interruppe rabbrividendo, grattandosi una macchia rossa sul braccio destro mentre studiava il metallo contorto della copertura delle porte. «Sai, è strano il modo in cui la mente ti gioca degli scherzi. Mentre stavo mettendo tutte le cose che avevo a disposizione davanti alla porta per tenerla chiusa, avrei giurato che qualcuno avesse fatto un buco con i denti. Potevo vedere la maledetta testa. E i denti. La lancia di Melindhra non lo ha nemmeno turbato.»

L’arrivo di Moiraine stavolta fu più spettacolare, stava correndo con la gonna sollevata, affannata e furiosa. Lan le era alle calcagna con la lama snudata e l’espressione funerea, subito dietro di loro un gruppo di Far Dareis Mai. Alcune delle Fanciulle non indossavano altro che la biancheria intima, ma ognuna aveva le lance pronte e lo shoufa avvolto attorno al capo, i veli neri che nascondevano gli occhi azzurri, pronte a uccidere. Moiraine e Lan sembrarono sollevati di vederlo in piedi mentre parlava tranquillamente con Mat, anche se sembrava che l’Aes Sedai volesse scambiare quattro parole con lui. Dietro ai veli calati era impossibile capire cosa pensassero le Aiel.

Con un’esclamazione, Mat si voltò e andò di corsa a infilarsi i pantaloni, operazione complicata dal modo in cui cercava di indossare le brache e grattarsi il braccio allo stesso tempo. La Fanciulla bionda lo guardava con un ampio sorriso sul volto che minacciava di esplodere in una risata.

«Cos’hai al braccio?» chiese Rand.

«Ti ho detto che la mente tira brutti scherzi» rispose Mat, sempre cercando di grattarsi e infilare i pantaloni allo stesso tempo. «Quando mi era parso che quella cosa avesse fatto un buco sulla porta, ho anche pensato che mi avesse sbavato su un braccio e adesso brucia come il fuoco. Assomiglia anche a una bruciatura.»

Rand aprì la bocca, ma Moiraine lo stava già oltrepassando. Fissandola Mat cadde a terra mentre finiva di infilarsi ansioso i pantaloni, ma la donna gli si inginocchiò vicino ignorando le sue proteste e gli prese la testa fra le mani. Rand era stato guarito in precedenza e lo aveva visto fare, ma al contrario di quanto si aspettava Mat rabbrividì e sollevò il medaglione dal laccio di cuoio perché pendesse sulla mano.

«Questa maledetta cosa è diventata all’improvviso più fredda del ghiaccio» mormorò.

«Cosa stai facendo, Moiraine? Se vuoi fare qualcosa, guarisci questo prurito che adesso si è esteso a tutto il braccio.» Il braccio destro era rosso dal polso alla spalla e incominciava a sembrare gonfio.

Moiraine lo fissò con l’espressione più stupita che Rand le avesse mai visto in volto. «Lo farò» rispose lentamente. «Se il medaglione è freddo, toglilo.»

Mat la guardò torvo, quindi finalmente si sfilò dalla testa il medaglione e lo appoggiò di fianco a lui. Moiraine gli prese di nuovo la testa e lui gridò come se fosse stato immerso nel ghiaccio. Irrigidì gambe e schiena, lo sguardo era perso nel vuoto e gli occhi erano sgranati al massimo. Quando lei tolse le mani Mat si accasciò respirando a fatica. Il rossore e il gonfiore erano spariti. Per tre volte si sforzò di parlare prima di riuscirci. «Sangue e ceneri! Deve essere così ogni maledetta volta? Era solo un dannato prurito!»

«Bada a quello che dici in mia presenza» lo ammonì Moiraine, mentre si alzava, «o troverò Nynaeve e le ordinerò di farti la guardia.» Ma non lo stava dicendo in maniera convinta, sembrava parlasse nel sonno. Stava cercando di non fissare il medaglione con la testa di volpe mentre Mat se lo rimetteva attorno al collo. «Avrai bisogno di riposo» spiegò con aria assente. «Domani resta a letto, se vuoi.»

La Fanciulla fra le coperte — Melindhra? — si inginocchiò di fianco a Mat e gli mise una mano sulle spalle, guardando Moiraine. «Mi accerterò che faccia come dici, Aes Sedai.» Con un sorriso improvviso la donna gli arruffò i capelli. «È il mio piccolo birbante, adesso.» Dallo sguardo terrorizzato sul viso di Mat, sembrava che questi si stesse preparando a scappare di corsa.

Rand si accorse di risate sommesse alle sue spalle. Gli shoufa delle Fanciulle e i veli adesso erano calati sulle spalle e le donne si erano riunite per guardare nella stanza.

«Insegnagli a cantare, sorella di lancia» disse Adelin e le altre Fanciulle cominciarono a ridere.

Rand si rivolse a loro con fermezza. «Lasciate riposare quest’uomo. Qualcuna di voi non dovrebbe indossare qualcosa?» Iniziarono ad andare via con riluttanza sempre cercando di guardare nella stanza, fino a quando Moiraine ne uscì.

«Vorreste lasciarci, per favore?» chiese Moiraine mentre la porta divelta veniva chiusa con forza alle sue spalle. Si voltò quasi indietro con un’espressione contrariata sulle labbra. «Devo parlare con Rand al’Thor da sola.» Annuendo le donne aiel incominciarono ad allontanarsi, alcune ancora facevano battute su Melindhra — una Shaido, a quanto pareva. Rand si chiedeva se Mat sapesse che gli avrebbe insegnato a cantare, qualsiasi cosa significasse.

Rand fermò Adelin afferrandola per un braccio nudo. Altre che avevano notato quel gesto si fermarono a loro volta, per cui Rand si rivolse a tutte loro. «Se non volete andare via quando ve lo dico io, cosa farete quando dovrò usarvi in battaglia?» Avrebbe voluto evitarlo. Sapeva che erano delle intrepide guerriere, ma lui era stato cresciuto nella convinzione che doveva essere l’uomo a morire, se necessario, prima di una donna. Secondo la logica era un’idea sciocca, specialmente con donne come queste, ma era ciò che provava. Sapeva bene che non doveva confessare davanti a loro una tale cosa. «Penserete che sia uno scherzo o deciderete di andare via quando lo riterrete opportuno?»

Lo guardavano come se avesse detto la più grossa delle sciocchezze. «Nella danza delle lance» rispose Adelin, «faremo quello che ci ordinerai, ma questa non è la danza. E poi non ci hai detto di andare via.»

«Anche il Car’a’carn non è un re» aggiunse una Fanciulla dai capelli grigi. Sinuosa e in piena forma malgrado l’età, indossava solo una veste e lo shoufa. Rand incominciava a stancarsi di quella frase.

Le Fanciulle ripresero a scherzare mentre si allontanavano, fino a quando finalmente lo lasciarono da solo con Moiraine e Lan. Il Custode aveva riposto la spada e sembrava tranquillo come non mai. Vale a dire calmo e immoto come una statua, il viso tutto piani di pietra e angoli alla luce della luna, ma pronto a scattare con un movimento improvviso che a confronto faceva sembrare tranquilli gli Aiel. Una treccina di cuoio tratteneva indietro i suoi capelli, grigi sulle tempie. Lo sguardo sembrava quello di un falco dagli occhi azzurri.

«Devo parlarti di...» iniziò Moiraine.

«Possiamo parlare domani» la interruppe Rand. Il volto di Lan si indurì ulteriormente, cosa quasi impossibile. I Custodi erano molto protettivi con le Aes Sedai e la loro posizione, più che verso se stessi. Rand lo ignorò. Il fianco ancora gli faceva male e avrebbe voluto piegarsi in due, ma riuscì a non farlo. Non le avrebbe mostrato alcuna debolezza. «Se pensi che ti aiuterò a togliere quella testa di volpe a Mat, ti sbagli di grosso.» In qualche modo quel medaglione le aveva impedito di incanalare. O almeno aveva impedito che Mat ne risentisse mentre lei lo toccava. «Lo ha pagato a caro prezzo, Moiraine, ed è suo.» Ripensando a come lo aveva colpito con il Potere, aggiunse secco, «Forse gli chiederò di prestarmelo.» Quindi le voltò le spalle. Doveva ancora controllare un’altra persona, anche se non era più urgente. I Segugi Neri ormai avrebbero fatto quello che volevano, era passato troppo tempo.

«Per favore, Rand» disse Moiraine, e la preghiera nel tono di voce della donna lo indusse a fermarsi. Non l’aveva mai sentita così prima di allora.

Quell’inflessione nella voce sembrò offendere Lan. «Credevo che fossi diventato un uomo» disse severo il Custode. «È questo il modo in cui un uomo agisce? Ti comporti come un ragazzino arrogante.» Lan lo aiutava a esercitarsi nella scherma — e Rand pensava di piacergli — ma se Moiraine avesse pronunciato la parola giusta il Custode avrebbe fatto del suo meglio per ucciderlo.

«Non starò con te per sempre» spiegò Moiraine con ansia. Le mani stringevano la gonna così forte che tremavano. «Potrei morire durante il prossimo attacco o cadere da cavallo e spezzarmi il collo o essere trafitta dalla freccia di un Amico delle Tenebre. E la morte non può essere guarita. Ho dedicato tutta la vita alla tua ricerca, a trovarti e aiutarti. Ancora non sai quanto sei forte, non puoi sapere la metà di quello che fai. Io mi... scuso umilmente se ti ho offeso in qualche modo.» Queste frasi, che non aveva mai pensato di sentire da lei, vennero pronunciate in maniera quasi forzata, ma lo disse e non poteva mentire. «Lascia che ti aiuti quanto posso fino a quando posso, ti prego.»

«È difficile fidarsi di te, Moiraine.» Rand non fece caso a Lan che cambiava posizione, la sua attenzione era concentrata sulla donna. «Mi hai manovrato come un pupazzo, mi hai fatto ballare come volevi tu, fin dal giorno in cui ci siamo incontrati. I soli momenti in cui ero libero da te erano quando ti trovavi molto lontana o quando ti ignoravo. E rendi difficile anche questo.»

La risata di Moiraine era argentina come la luna, ma con delle tracce di amarezza. «È stato più come lottare con un orso che attaccare semplicemente dei fili a una marionetta. Vuoi che giuri che non cercherò di usarti? Lo farò.» La voce della donna divenne dura come diamante. «Giurerò anche di obbedirti come una Fanciulla, come uno dei gai’shain se ti fa contento, ma tu devi...» Inspirando profondamente ricominciò con più dolcezza. «Ti prego, permettimi di aiutarti.»

Lan la fissava e Rand era convinto di avere gli occhi sgranati. «Accetterò il tuo aiuto» disse lentamente. «E anche io mi scuso. Per tutta la maleducazione che ho mostrato nei tuoi confronti.» Aveva la sensazione di essere ancora manipolato e la convinzione di avere avuto dei buoni motivi per comportarsi in modo scortese, a suo tempo, ma la donna non poteva mentire.

La tensione abbandonò Moiraine. Si avvicinò per guardarlo. «Quello che hai usato per uccidere i Segugi Neri si chiama fuoco malefico. Ne posso ancora percepire delle tracce qui.» Anche lui poteva: era simile all’odore che rimane nell’aria dopo che una torta viene portata via da una stanza, il ricordo di qualcosa che scompare. «Fin da prima della Frattura del Mondo l’uso del fuoco malefico è stato vietato. La Torre Bianca ci impedisce anche di impararlo. Durante la Guerra del Potere i Reietti e la progenie dell’Ombra lo impiegavano con riluttanza.»

«Vietato?» chiese Rand aggrottando le sopracciglia. «Ti ho vista usarlo una volta.» Non poteva esserne sicuro alla pallida luce della luna, ma gli sembrava che le guance di Moiraine fossero diventate rosse. Stavolta forse era stato lui a prenderla in contropiede.

«In certe occasioni è necessario fare qualcosa di vietato.» Se era sconvolta, non trapelava dalla voce. «Quello che il fuoco malefico distrugge, cessa di esistere ‘prima’ del momento della distruzione, come un filo che brucia una volta toccato dalla fiamma. Più grande è il potere del fuoco malefico, più indietro nel tempo cessa di esistere la vittima. Il più potente che riesco a gestire io rimuove solo alcuni secondi di esistenza dal Disegno. Tu sei molto più forte. Molto.»

«Ma se non esiste prima che tu lo distrugga...» Rand si passò confuso le dita fra i capelli.

«Incominci a vedere i problemi, i pericoli? Mat si ricorda di aver visto uno dei Segugi Neri aprire un buco nella porta, ma non c’è alcun buco, adesso. Se avesse sbavato su di lui come si ricorda, sarebbe morto prima che avessi potuto raggiungerlo. Qualsiasi cosa la creatura avesse fatto nel lasso temporale in cui l’hai distrutta non esiste più. Rimangono solo i ricordi, per quelli che hanno visto o lo hanno provato. Solo quello che ha fatto prima adesso è vero. Alcuni buchi nella porta e una goccia di saliva sul braccio di Mat.»

«Mi sembra ottimo» rispose Rand. «Mat è vivo grazie a tutto questo.»

«È terribile, Rand.» La voce di Moiraine divenne pressante. «Perché credi che anche i Reietti abbiano paura di usarlo? Pensa agli effetti sul Disegno di un singolo filo, un uomo, rimosso per ore o giorni, da ciò che era stato già tessuto, appunto come un filo tolto parzialmente da un pezzo di stoffa. Frammenti di manoscritti dalla Guerra del Potere narrano di intere città distrutte dal fuoco malefico prima che entrambe le fazioni si rendessero conto del pericolo. Centinaia di fili rimossi dal Disegno, scomparsi da giorni già passati, qualsiasi cosa quelle persone avessero fatto adesso non esiste più e nemmeno quanto gli altri avevano fatto in conseguenza delle loro azioni. Rimangono i ricordi, ma non le azioni. Le increspature furono incalcolabili. Il Disegno stesso quasi disfatto. Avrebbe potuto essere la distruzione di tutto. Del mondo, del tempo, della creazione stessa.»

Rand rabbrividì e questo non aveva nulla a che vedere con il freddo che penetrava sotto la giubba. «Non posso promettere di non usarlo di nuovo, Moiraine. Tu per prima hai detto che ci sono momenti in cui è necessario fare ciò che è vietato.»

«Non credevo che tu lo avresti fatto» rispose freddamente. L’agitazione stava scomparendo e stava recuperando l’equilibrio. «Ma devi fare attenzione.» Era tornata al ‘devi’. «Con un sa’angreal come Callandor potresti annientare un’intera città usando il fuoco malefico. Il Disegno rischierebbe di essere sconvolto per anni. Chi potrebbe dire se l’ordito rimarrebbe concentrato su di te, pur essendo ta’veren, fino a quando si riprende? Essere un ta’veren di questa portata potrebbe essere il tuo margine di vittoria, anche nell’Ultima Battaglia.»

«Forse lo sarà» aggiunse Rand tetro. In tutte le favole sugli eroi il protagonista proclamava che avrebbe ottenuto la vittoria o sarebbe morto. Sembrava che il meglio che potesse aspettarsi erano vittoria ‘e’ morte. «Devo controllare qualcuno» proseguì con calma. «Ti vedrò domattina.» Raccogliendo il Potere, la vita e la morte che turbinavano, Rand ricavò un buco nell’aria più alto di quanto fosse lui, un’apertura nell’oscurità che faceva sembrare la luce della luna quella del giorno. Un passaggio, lo aveva chiamato Asmodean.

«Che cos’è quello?» sussultò Moiraine.

«Quando ho fatto qualcosa, mi ricordo in che modo. La maggior parte delle volte.» Non era una risposta, ma era giunto il momento di mettere alla prova i giuramenti di Moiraine. La donna non poteva mentire, ma le Aes Sedai trovavano aperture in un sasso. «Lascia Mat da solo stanotte e non cercare di togliergli quel medaglione.»

«Appartiene alla Torre per essere studiato, Rand. Deve essere un ter’angreal, ma non ne è mai stato trovato uno che...»

«Qualunque cosa sia» intervenne Rand con fermezza, «appartiene a Mat. Glielo lascerai.»

Per un po’ la donna sembrò combattuta, mentre lo fissava con la schiena rigida e la testa alta. Non riusciva ad abituarsi a prendere ordini da altri tranne Siuan Sanche e Rand era pronto a scommettere che non lo aveva mai fatto senza azzuffarsi. Alla fine Moiraine annuì e fece anche una specie di riverenza. «Come desideri, Rand, così sia. Per favore, fai attenzione. Imparare una cosa come l’uso del fuoco malefico da solo potrebbe essere l’equivalente del suicidio e la morte non può essere guarita.» Stavolta non era una presa in giro. «A domani allora.» Lan la seguì mentre si allontanava, rivolgendo a Rand un’espressione incomprensibile. Di certo non era soddisfatto di questa nuova piega che avevano preso gli eventi.

Rand entrò nel passaggio e scomparve.

Stava in piedi su un disco largo quasi due metri che era una copia del vecchio simbolo Aes Sedai. Anche la metà nera sembrava chiara a confronto dell’oscurità infinita che lo circondava, sopra e sotto. Era sicuro che, se fosse caduto dal disco, sarebbe stato un volo infinito. Asmodean sosteneva che c’era un metodo più veloce, chiamato Viaggiare, per usare un passaggio; ma non era stato in grado di insegnarglielo, in parte perché non aveva la forza di aprire un passaggio mentre era dietro lo schermo di Lanfear. Viaggiare richiedeva una conoscenza approfondita del punto di partenza. A Rand sembrava più logico conoscere con precisione la meta, ma per Asmodean era come chiedere perché l’aria non fosse acqua. C’erano molte cose che il Reietto dava per scontate. In ogni caso questo volo aleggiato era abbastanza veloce.

Non appena salì sul disco questo balzò per quella che era sembrata una breve distanza e si fermò; davanti a Rand apparve un altro passaggio. Abbastanza veloce, specialmente per distanze brevi. Rand scese nel corridoio che aveva di fronte, dove lo aspettava Asmodean.

La luna che filtrava dalla finestra in fondo al corridoio era la sola fonte di luce, la lampada dell’uomo era spenta. I flussi che aveva creato attorno alla stanza erano ancora presenti, sempre legati fermamente. Non si muoveva nulla, ma persisteva un vago odore di zolfo bruciato.

Avvicinandosi alla tenda di perline Rand guardò oltre la soglia. La stanza era piena di ombre proiettate dalla luna, ma una di loro era Asmodean che si agitava fra le coperte. Avvolto nel vuoto Rand riusciva a percepirne il battito cardiaco e l’odore del sudore che lo ricopriva in seguito ai sogni agitati. Si inchinò per esaminare le mattonelle e le impronte dei cani stampate sopra.

Aveva imparato da bambino a seguire le tracce e interpretarle non era difficile. C’erano stati tre o quattro Segugi Neri lì. Si erano avvicinati alla soglia uno alla volta, ognuno camminando quasi sulle impronte del precedente. Forse la rete di flussi intessuta attorno alla stanza li aveva trattenuti? O forse erano solo stati inviati a controllare e riferire? Era preoccupante pensare che i cani della progenie dell’Ombra potessero avere quell’intelligenza. Ma in fondo i Myrddraal usavano i corvi e i topi come spie e altri animali strettamente legati alla morte. Gli Aiel li chiamavano Occhi dell’Ombra.

Incanalando dei sottili flussi di Terra eliminò le impronte dalle mattonelle, sollevando la depressione fino a riportarla al livello normale; seguì le tracce fino a trovarsi nelle strade vuote ammantate di oscurità a un centinaio di passi dall’edificio. Di giorno chiunque sarebbe stato in grado di vedere la pista che terminava lì, ma nessuno avrebbe sospettato che i Segugi Neri si fossero avvicinati ad Asmodean. A quelli non poteva interessare il menestrello Jasin Natael.

Probabilmente ogni Fanciulla della città ormai era sveglia. Di sicuro nessuna ancora dormiva sotto al tetto delle Fanciulle. Aprendosi un altro passaggio nella strada, un’oscurità più profonda nella notte, lasciò che il disco lo trasportasse di nuovo nella sua stanza. Si chiese perché avesse scelto l’antico simbolo Aes Sedai — era stata una scelta, anche se inconscia. Altre volte era uno scalino o un pezzo di pavimento. I Segugi Neri erano fluiti lontani da quella figura prima di riformarsi. ‘Sotto questo simbolo egli conquisterà.’

In piedi nella camera buia incanalò per accendere le lampade, ma non rilasciò saidin. Invece incanalò ancora, attento a non far scattare le trappole che aveva disseminato nella stanza, e un pezzo di muro scomparve, rivelando una nicchia che aveva scavato lui in persona.

Nella piccola alcova erano riposte due statuine alte trenta centimetri circa, un uomo e una donna; entrambe con indosso abiti fluttuanti e il volto sereno, tenevano sospeso su una mano un globo di cristallo. Aveva mentito ad Asmodean riguardo queste statue.

Esistevano angreal, come il piccolo uomo rotondo nella sua tasca, e dei sa’angreal, come Callandor, che aumentavano la quantità di Potere che poteva essere maneggiata con sicurezza anche contro un angreal; come un angreal poteva essere impiegato contro qualcuno che incanalava senza aiuto. Entrambi erano rari e preziosi per le Aes Sedai, anche se potevano riconoscere solo quelli che venivano usati dalle donne e sintonizzati su saidar. Queste due statue erano qualcos’altro, non così raro, ma altrettanto preziose. I ter’angreal erano stati creati per usare il Potere, non per amplificarlo, per usarlo in un modo specifico.

Le Aes Sedai non conoscevano lo scopo e l’utilizzo della maggior parte dei ter’angreal che custodivano nella Torre Bianca. Alcuni li utilizzavano, ma senza sapere se l’uso che ne facevano loro era simile a quello per cui erano stati creati. Rand sapeva come usare questi due.

La statua maschile poteva legare una persona a un’enorme replica di se stessa, il più potente sa’angreal mai creato, anche se questa persona si fosse trovata dall’altro lato dell’oceano Aryth. Era stata scolpita solo dopo che la prigione del Tenebroso fu di nuovo sigillata — come faceva a saperlo? — e nascosta prima che uno qualsiasi degli Aes Sedai maschi impazziti riuscisse a trovarla. La statua femminile poteva fare lo stesso per una donna, unendola all’equivalente femminile della grande statua che Rand sperava fosse ancora quasi completamente sepolta a Cairhien. Con tutto quel potere... Moiraine aveva detto che la morte non poteva essere guarita.

Senza cercarli o volerli, i ricordi delle ultime due volte che aveva osato impugnare Callandor riaffiorarono alla mente di Rand, immagini che fluttuavano oltre il vuoto.

Il corpo della ragazzina con i capelli neri, poco più di una bambina, che giaceva scomposta con gli occhi fissi rivolti verso il soffitto, il sangue che le macchiava il petto nel punto in cui un Trolloc l’aveva calpestata.

Lui era il Potere. Callandor avvampò e Rand fu il Potere. Incanalò, dirigendo i flussi nel corpo della bambina, investigando, cercando, annaspando. La piccola era balzata in piedi, le braccia e le gambe erano innaturalmente rigide e si muovevano a scatti. ‘Rand, non puoi farlo’ aveva gridato Moiraine. ‘Non questo!’

Respirare. Doveva respirare. Il petto della ragazzina si muoveva ritmicamente. Il cuore. Doveva battere. Il sangue era già denso e scivolava dalla ferita sul torace. Vivi, che tu sia folgorata! La mente di Rand gridava. Non volevo arrivare troppo tardi! Gli occhi della piccola lo fissavano, vitrei, incuranti del Potere che lo colmava. Senza vita. Le lacrime sgorgarono e scivolarono sulle guance di Rand.

Scacciò il ricordo bruscamente, anche se era avvolto nel vuoto, gli faceva male. Con tutto questo Potere... Con tutto questo Potere non poteva fidarsi. «Non sei il Creatore» gli aveva detto Moiraine mentre stava in piedi vicino a quella bambina. Ma con quella statuina maschile, con solo la metà di quel potere, una volta aveva mosso le montagne. Con molto meno, solo con Callandor, era stato sicuro di far girare la Ruota all’indietro, far rivivere una bambina morta. Non solo l’Unico Potere era seducente, anche il semplice potere. Avrebbe dovuto distruggerle entrambe. Al contrario generò di nuovo i flussi e rimise in uso le trappole.

«Cosa stai facendo qui?» disse una voce femminile mentre il muro ridiventava integro.

Provando velocemente la resistenza dei flussi e il loro legame con quelle sorprese mortali, ritirò il Potere e si voltò.

Accanto a Lanfear, con l’abito bianco e argento, Elayne, Min o Aviendha sarebbero sembrate ordinarie. Erano sufficienti gli occhi scuri per spingere un uomo a rinunciare alla propria anima. Alla vista della donna gli si strinse lo stomaco fino a sentire conati di vomito.

«Cosa vuoi?» le chiese. Una volta aveva bloccato Egwene ed Elayne dalla Vera Fonte, ma non si ricordava come aveva fatto. Fino a quando Lanfear poteva toccare la Vera Fonte, avrebbe avuto più possibilità di afferrare il vento con le mani che tenerla prigioniera. Un lampo di fuoco malefico e... pensò. Ma non poteva farlo. Lei era una dei Reietti, ma il ricordo della testa di una donna che rotolava in terra lo aveva bloccato.

«Ne hai due» disse Lanfear alla fine. «Mi è sembrato di aver visto... Tra cui una donna, vero?» Quel sorriso avrebbe potuto arrestare il cuore di un uomo e renderlo anche grato. «Stai incominciando a prendere in considerazione il mio piano, vero? Con quelle due gli altri Prescelti si inginocchieranno ai nostri piedi. Possiamo soppiantare il Tenebroso in persona, sfidare il Creatore. Noi...»

«Sei sempre stata ambiziosa, Mierin.» La voce di Rand sembrava rauca. «Perché pensi che mi sia allontanato da te? Non è stata Ilyena, qualsiasi cosa ti piaccia pensare. Eri fuori dal mio cuore molto prima che la incontrassi. Per te conta solo l’ambizione. Il potere è sempre stato l’unica cosa che volevi. Mi disgusti!»

Lanfear lo fissava, con entrambe le mani premute sullo stomaco e gli occhi scuri più grandi del solito. «Graendal ha detto...» iniziò a dire piano. Deglutì, quindi riprese. «Lews Therin?

Ti amo, Lews Therin. Ti ho sempre amato e sempre ti amerò. Lo sai bene. Devi!»

Il volto di Rand era duro come la pietra, sperava che riuscisse a nascondere lo stupore. Non sapeva da dove fossero venute quelle parole, ma gli sembrava di ricordarlo. Una ricordo vago, di tempi passati. Non sono Lews Therin Telamoni si disse. «Io sono Rand al’Thor!» gridò rauco.

«Certo che lo sei.» Studiandolo, la Reietta annuì lentamente. La fredda compostezza di prima stava tornando. «Certo. Asmodean ti ha raccontato della Guerra del Potere e di me. Mente. Mi amavi. Fino a quando quella sgualdrina bionda di Ilyena ti ha sottratto a me.» Per un istante la rabbia le trasformò il viso in una maschera contorta, ma Rand non credeva che se ne rendesse conto. «Lo sapevi che Asmodean ha separato sua madre? Quello che adesso chiamano quietare. La separò e lasciò che un Myrddraal la trascinasse via mentre gridava. Puoi fidarti di un uomo simile?»

Rand rise forte. «Dopo averlo catturato mi hai aiutato a intrappolarlo affinché potesse addestrarmi. Adesso mi dici che non posso fidarmi di lui?»

«Per l’insegnamento.» Lanfear tirò su con il naso. «Lo farà perché sa che la sua sorte è legata per sempre a te. Anche se riuscisse a convincere gli altri che è stato preso prigioniero, lo farebbero comunque a pezzi e lo sa bene. Il cane più debole del branco spesso subisce quel destino. Di tanto in tanto controllo i suoi sogni. Sogna del tuo trionfo sul Sommo Signore e che lo metterai al tuo fianco per governare. A volte sogna me.» Quel sorriso diceva che per lei erano sogni piacevoli, ma non per Asmodean. «Ma cercherà di metterti contro di me.»

«Perché sei qui?» le chiese. Metterlo contro di lei? Senza dubbio era colma di Potere proprio in quel momento, pronta a rinchiuderlo con uno schermo se anche avesse sospettato che voleva fare qualcosa. Ci era già riuscita con umiliante facilità.

«Mi piaci così. Arrogante e orgoglioso, sicuro della tua forza.»

Una volta gli aveva detto che gli piaceva insicuro, che Lews Therin era troppo arrogante. «Perché sei qui?»

«Stanotte Rahvin ha liberato i Segugi Neri contro di te» spiegò con calma, appoggiandosi le mani alla vita. «Sarei venuta prima per aiutarti, ma non posso lasciare che gli altri capiscano che sono dalla tua parte, non ancora.»

Dalla sua parte. Una dei Reietti lo amava, o meglio, amava l’uomo che era stato tremila anni fa, e tutto quello che voleva era che regalasse la propria anima all’Ombra e governasse con lei. O forse un gradino sotto di lei. Quello e cercare di rimpiazzare sia il Tenebroso che il Creatore. Era del tutto pazza? O forse il potere di quei due enormi sa’angreal era davvero grande come sosteneva? Non voleva che i suoi pensieri si dirigessero in quella direzione.

«Perché Rahvin vorrebbe attaccarmi proprio adesso? Asmodean mi ha detto che bada ai propri interessi, che si metterà da parte anche durante l’Ultima Battaglia, se potrà, e aspetterà che il Tenebroso mi distrugga. Perché non Sammael o Demandred? Asmodean mi ha riferito che mi odiano.» Non me. Odiano Lews Therin, aggiunse mentalmente. Ma per i Reietti era la stessa cosa. Ti prego, Luce, io sono Rand al’Thor! pensò, mentre respingeva il ricordo di una giovane donna fra le sue braccia, erano entrambi giovani e stavano imparando cosa potevano fare con il Potere. Sono Rand al’Thor! «Perché non Semirhage o Moghedien, o forse Graen...?»

«Ma adesso stai andando contro i suoi interessi.» Lanfear rise. «Non sai dove si trova? Ad Andor, a Caemlyn. Governa sotto un altro nome. Morgase sorride e danza per lui, lei e una mezza dozzina di altre donne.» Sollevò le labbra disgustata. «Ha uomini che battono le campagne e la città alla ricerca di altre bamboline da portargli.»

Per un momento Rand fu sopraffatto dalla sorpresa. La madre di Elayne era in mano a uno dei Reietti. Eppure non osò mostrare quella preoccupazione. Lanfear aveva rivelato la propria gelosia più di una volta. Era capace di dare la caccia a Elayne e ucciderla, se avesse anche solo pensato che lui provava qualcosa nei suoi confronti. Cosa provo per lei? si chiese. Oltre questo pensiero un fatto fluttuò nel vuoto, freddo e crudele nella sua verità. Non sarebbe corso ad attaccare Rahvin anche se quanto gli aveva detto Lanfear fosse stato vero. Perdonami, Elayne, ma non posso. Forse Lanfear stava mentendo, non avrebbe certamente pianto per nessuno dei Reietti che fosse stato ucciso. Si trovavano tutti fra lei e la realizzazione dei propri piani. Ma in ogni caso Rand aveva smesso di reagire a quanto gli altri gli raccontavano. Altrimenti avrebbero potuto dedurre le sue mosse. Lascia invece che siano loro a reagire alle mie e che rimangano sorpresi come lo sono stati Lanfear e Asmodean.

«Rahvin crede che mi precipiterò a difendere Morgase?» disse. «L’ho vista una sola volta in vita mia. I Fiumi Gemelli fanno parte di Andor sulla mappa, ma non ho mai visto le guardie della regina da quelle parti. Nessuno le ha viste per generazioni. Di’ a un uomo dei Fiumi Gemelli che Morgase è la sua regina, e probabilmente penserà che sei pazza.»

«Dubito che Rahvin si aspetti che ti precipiti a proteggere la tua terra natale» rispose Lanfear asciutta, «ma si aspetterà che difendi le tue ambizioni. Intende mettere Morgase sul Trono del Sole e usarla come una marionetta fino a quando potrà uscire allo scoperto. Sempre più soldati andorani entrano a Cairhien ogni giorno. Hai inviato i soldati di Tairen a nord, per garantirti il controllo sulla terra. Non mi meraviglia che ti abbia attaccato non appena ha scoperto dove eri.»

Rand scosse il capo. Le cose non stavano affatto a quel modo, aveva inviato i soldati di Tairen per un altro motivo, ma non si aspettava che la donna lo capisse. O che lo avrebbe creduto se glielo avesse detto. «Ti ringrazio per avermi avvisato.» Essere educato con una dei Reietti! Ma poteva solo sperare che quanto gli aveva detto fosse vero almeno in parte. Una buona ragione per non ucciderla. Ti dirà più di quanto crede, se ascolti con attenzione, ragionò. Sperava che fosse un proprio pensiero, anche freddo e cinico com’era.

«Hai schermato i tuoi sogni contro di me.»

«Contro tutti.» Era la semplice verità, anche se lei ne era causa principale quanto le Sapienti.

«I sogni sono miei. Tu e i tuoi sogni in particolar modo.» Il viso della donna era rimasto immutato, ma la voce si era indurita. «Potrei superare il tuo schermo, ma non ti piacerebbe.»

Per mostrare il proprio disinteresse Rand si sedette in terra in fondo al pagliericcio, con le gambe incrociate e le mani sulle ginocchia. Credeva che il suo viso fosse calmo come quello di Lanfear. Aveva dei flussi di Aria pronti per legarla e dei flussi di Spirito. Era quanto serviva per erigere uno schermo contro la Vera Fonte. Si sforzò di ricordare come, ma non ci riuscì. Senza lo schermo tutto il resto era inutile. Lanfear avrebbe potuto distruggere qualsiasi cosa avesse tessuto, anche se non poteva vederla. Asmodean stava cercando di insegnarglielo, ma era difficile senza una donna che lavorasse con loro per esercitarsi.

Lanfear lo guardò sconcertata, con un leggero cipiglio che offuscava la sua bellezza. «Ho esaminato i sogni delle donne aiel, queste cosiddette Sapienti. Non sanno molto bene come schermare i propri sogni. Potrei spaventarle fino a quando smetteranno di sognare, senza che pensino di invadere i tuoi.»

«Credevo che non volessi aiutarmi apertamente.» Non osava dirle di lasciare in pace le Sapienti, avrebbe potuto fare qualcosa solo per indispettirlo. Lanfear aveva chiarito quel punto dall’inizio, anche se non a parole, ovvero che intendeva avere il comando fra loro. «Non correresti il rischio che un altro dei Reietti lo scoprisse? Non sei la sola che sa come accedere ai sogni altrui.»

«I Prescelti» lo corresse assente. Per un momento Lanfear si morse il labbro inferiore. «Ho controllato anche i sogni della ragazza. Egwene. Una volta credevo che tu provassi qualcosa per lei. Lo sai chi sogna? Il figlio e il figliastro di Morgase. Il figlio, Gawyn, più spesso.» Sorridendo assunse un tono derisorio. «Non crederesti che una semplice ragazza di campagna facesse sogni del genere.»

Si accorse che stava cercando di mettere alla prova la sua gelosia. Pensava davvero che avesse schermato i propri sogni per nasconderle i pensieri rivolti a un’altra donna! «Le Fanciulle mi controllano da vicino.» le disse tetro. «Se vuoi sapere quanto, controlla i sogni di Isendre.»

Sulle guance della donna apparve un rossore. Ma certo, in teoria non doveva accorgersi di cosa stava tentando di fare. La confusione rotolò fuori dal vuoto. O pensava...? Isendre? Lanfear sapeva che era un’Amica delle Tenebre. Era stata lei a guidare Kadere e la donna nel deserto. E sistemato la maggior parte dei gioielli che Isendre era stata accusata di aver rubato, il rancore di Isendre era feroce anche quando irrilevante. Eppure, anche se pensava che potesse amarla, essendo Isendre un’Amica delle Tenebre probabilmente ai suoi occhi non era un ostacolo.

«Avrei dovuto lasciare che la mandassero via nel tentativo di raggiungere il Muro del Drago» proseguì Rand indifferente. «Ma chi sa cosa avrebbe potuto dire per salvarsi? Devo proteggere lei e Kadere in qualche modo per coprire Asmodean.»

Il rossore scomparve, ma mentre la donna stava aprendo la bocca per parlare, qualcuno bussò alla porta. Rand balzò in piedi. Nessuno avrebbe riconosciuto Lanfear, tuttavia se avessero scoperto una donna in camera sua, una che nessuna delle Fanciulle aveva visto salire, sarebbero state fatte delle domande e lui non aveva risposte.

Ma Lanfear aveva già aperto un passaggio, per qualche destinazione piena di seta bianca e argento. «Ricordati che sono la tua unica speranza di sopravvivenza, amor mio.» Era un tono molto freddo per chiamare qualcuno a quel modo. «Accanto a me non devi temere nulla. Con me vicino puoi governare tutto ciò che è o sarà.» Sollevando la gonna candida attraversò il passaggio che si chiuse in un lampo. Bussarono di nuovo prima che riuscisse a escludere saidin e aprire la porta.

Enaila guardò sospettosa alle spalle di Rand, mormorando, «Pensavo che forse Isendre...» Lo guardò con aria d’accusa. «Le sorelle di lancia ti stanno cercando ovunque. Nessuna ti ha visto ritornare.» Scuotendo il capo la donna si erse sulla schiena. Cercava sempre di sembrare più alta possibile. «I capi sono venuti a parlare con il Car’a’carn» disse in maniera formale. «Attendono di sotto.»

Aspettavano sotto al portico colonnato, essendo uomini. Il cielo era ancora scuro, ma le prime luci dell’alba sfioravano le montagne a est. Se erano impazienti con le due Fanciulle che si frapponevano fra loro e le porte, dal loro volto ciò non trapelava.

«Gli Shaido si stanno muovendo» borbottò Han appena Rand apparve. «E i Reyn, i Miagoma, gli Shiande... Ogni clan!»

«Per unirsi a Couladin o a me?»

«Gli Shaido stanno dirigendosi verso il passo di Jangai» intervenne Rhuarc. «Gli altri è troppo presto per poterlo dire. Ma sono in marcia con ogni lancia che non serviva a difendere fortezza, mandrie e greggi.»

Rand si limitò ad annuire. Tutta la sua determinazione perché nessuno decidesse cosa doveva fare e adesso questo. Qualsiasi cosa intendevano fare gli altri clan, Couladin probabilmente aveva in mente di invadere Cairhien. Ecco a cosa servivano i suoi progetti per imporre la pace. Gli Shaido avrebbero saccheggiato Cairhien mentre lui se ne stava nel Rhuidean ad aspettare gli altri clan.

«Allora andremo al passo di Jangai anche noi» rispose infine.

«Non possiamo prenderlo se intende attraversarlo» lo avvisò Erim, e Han aggiunse amareggiato, «Se un clan qualsiasi degli altri sta per unirsi a lui, verremo presi e legati al sole come vermi ciechi.»

«Non me ne resterò qui seduto fino a quando lo scoprirò.» rispose Rand. «Se non riesco a prendere Couladin, voglio stargli alle calcagna, a Cairhien. Svegliate le lance. Ce ne andremo non appena sorgerà la luce.»

Rivolgendogli quello strano inchino aiel che veniva usato solo nelle occasioni ufficiali, con un piede davanti e una mano distesa, i capi si allontanarono. Solo Han aggiunse un commento: «Fino a Shayol Ghul.»

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