44 La tristezza minore

Rand aveva la camicia appiccicata addosso per il sudore causato dallo sforzo, ma teneva la giubba come protezione dai refoli di vento che soffiavano verso Cairhien. Mancava almeno un’altra ora prima che il sole raggiungesse il picco di mezzogiorno, eppure si sentiva già come se avesse corso tutta la mattina e alla fine fosse stato preso a bastonate. Avvolto nel vuoto era solo vagamente consapevole della debolezza, percepiva appena il dolore nelle braccia, nelle spalle, in fondo alla schiena e un pulsare attorno alla ferita non cicatrizzata nel fianco. Che ne fosse consapevole la diceva lunga. Colmato dal Potere, riusciva a distinguere le foglie sugli alberi a cento passi di distanza, ma qualsiasi cosa accadesse al suo corpo avrebbe dovuto percepirla come se riguardasse qualcun altro.

Da molto tempo stava attingendo saidin attraverso l’angreal che, aveva in tasca, la piccola scultura dell’uomo grasso. Anche così, lavorare con il Potere adesso era faticoso, scagliandolo per chilometri, ma solo i rancidi filamenti che si distaccavano quando scagliava evitavano che ne attingesse di più. Il Potere era dolce, contaminato o meno. Dopo ore trascorse a incanalare senza riposo, era stanco. Allo stesso tempo doveva combattere saidin con forza anche maggiore, per impiegare gran parte dell’energia al fine di evitare di ridursi in cenere sul posto, la mente bruciata. Era anche più difficile tenere a bada la distruzione di saidin, più difficile resistere al desiderio di attingerne ancora, più difficile maneggiare quello che aveva attinto. Una sgradevole spirale che lo trascinava verso il basso, e dovevano passare ancora delle ore prima che le sorti della battaglia si decidessero.

Tergendosi il sudore dagli occhi, afferrò la rozza ringhiera della piattaforma. Era vicino al bordo, ma era anche più forte di Aviendha ed Egwene. La donna aiel stava in piedi e guardava verso Cairhien e le nuvole, chinandosi occasionalmente a osservare attraverso il cannocchiale. Egwene era seduta a gambe incrociate appoggiata contro un pezzo di legno ancora coperto di corteccia grigia, con gli occhi chiusi. Sembravano entrambe esauste come si sentiva lui.

Prima che Rand potesse fare alcunché, non che sapesse cosa di preciso, perché ignorava come guarire, Egwene aprì gli occhi e si alzò, scambiando con Aviendha alcune parole che il vento rendeva incomprensibili anche all’udito reso più sensibile da saidin. A quel punto Aviendha si sedette al posto di Egwene e lasciò ricadere indietro la testa. Dalle nuvole scure attorno alla città continuavano a cadere fulmini, ma erano biforcuti e selvaggi piuttosto che lineari come lance.

Le due si alternavano, in modo da poter riposare. Sarebbe stato bello avere qualcuno che facesse lo stesso con lui, ma non rimpiangeva di aver detto ad Asmodean di restare nella sua tenda. Non si sarebbe fidato di lui che incanalava. Specialmente non in quel momento. Chi poteva dire cosa avrebbe fatto vedendo Rand indebolito come era adesso?

Ondeggiando leggermente, Rand prese il cannocchiale per studiare le colline fuori dalla città. Quella che vedeva davanti ai suoi occhi di tanto di tanto era la vita. E la morte. Ovunque guardava c’era una battaglia in corso, Aiel contro Aiel, un migliaio in un punto, cinquemila in un altro, che sciamavano sulle colline prive di alberi e troppo vicini fra loro perché potesse intervenire. Non riusciva a scorgere la colonna di cavalieri e picchieri.

Li aveva visti tre volte, una volta stavano combattendo un numero di Aiel due volte superiore al loro. Era sicuro che fossero ancora là fuori. C’era poca speranza che Melanril avesse deciso di obbedire ai suoi ordini a questo punto. Scegliere quell’uomo perché aveva mostrato imbarazzo per il comportamento di Weiramon era stato un errore, ma aveva avuto poco tempo per compiere una scelta e voleva liberarsi di Weiramon. Adesso non c’era più nulla da fare. Forse avrebbe potuto mettere al comando uno dei Cairhienesi. Se pure un suo ordine diretto fosse stato sufficiente a indurre i Tarenesi a seguire i Cairhienesi. Un ammasso di persone davanti alle alte mura grigie della città aveva richiamato la sua attenzione. Gli alti cancelli rinforzati da fasce di ferro erano aperti, gli Aiel combattevano i cavalieri e i lancieri quasi all’aperto mentre la gente tentava di chiudere le grate, provava e falliva per via della pressione dei corpi. Cavalli senza cavalieri e uomini in armatura immobili erano distesi a terra per oltre mezzo chilometro dai cancelli, e segnavano il punto dove un tentativo di incursione era stato costretto a riparare. Dalle mura piovevano frecce, grandi pezzi di roccia e anche delle lance, che ricadevano con forza sufficiente da infilzare due o tre uomini, ma gli Aiel scavalcavano i loro morti, ed erano prossimi a fare irruzione. Un’occhiata veloce gli rivelò altre due colonne di Aiel che correvano verso i cancelli, forse tremila in totale. Non dubitava che anche questi fossero delle schiere di Couladin. Rand si accorse che stava digrignando i denti. Se gli Shaido entravano a Cairhien, non sarebbe mai riuscito a respingerli verso nord. Avrebbe dovuto cacciarli strada per strada, il costo in vite armane avrebbe fatto apparire irrisorio l’attuale numero di cadaveri e la città si sarebbe trasformata in un cumulo di rovine come Eianrod, se non addirittura come Taien. I Cairhienesi e gli Shaido erano mescolati come formiche in una tazza, ma doveva fare qualcosa.

Inspirando profondamente, incanalò. Le due donne avevano posto le condizioni creando le nuvole temporalesche, non aveva bisogno di vedere i loro flussi per approfittarne. Dei fulmini di puro color argento bluastro colpirono gli Aiel, una, due volte, con la stessa velocità di un battito di mani. Rand sollevò il capo battendo le palpebre per eliminare dal suo campo visivo quelle barre luminose che ancora aveva davanti agli occhi; quando guardò di nuovo attraverso il cannocchiale, gli Shaido erano accasciati a terra come grano mietuto, tutti attorno al punto in cui era caduto il fulmine. Uomini e cavalli si agitavano in convulsioni vicino ai cancelli, alcuni non si muovevano affatto, ma chi non era stato colpito trasportava i feriti, e le grate cominciavano a chiudersi.

Quanti non riusciranno a rientrare? Quanti dei miei ho ucciso? si chiese Rand. La nuda verità era che non gli importava. Andava fatto.

Certo che lo era. In lontananza avvertiva le ginocchia che tremavano. Avrebbe dovuto calmarsi se voleva resistere fino alla fine del giorno. Non poteva dirigersi ovunque, doveva identificare il punto dove c’era più bisogno di lui, dove poteva fare una...

Le nuvole temporalesche erano ammassate solo sopra la città e le colline a sud, ma ciò non impediva ai fulmini di infuriare fuori dalla radura, sotto al cielo completamente sgombro sopra la torre, imperversando sulle Fanciulle riunite sotto di lui con un rumore assordante.

Quando Rand fissò la scena, gli si drizzarono i capelli in testa. Poteva sentire l’urto in un altro modo, percepire i flussi di saidin che lo avevano creato. Per cui Asmodean aveva tentato anche dalla tenda, si disse.

Non aveva il tempo di pensare. Come dei battiti in rapida successione su un tamburo gigante, uno seguiva l’altro, facendosi largo fra le Fanciulle fino a quando l’ultimo raggiunse la base della torre con una esplosione di schegge della dimensione di braccia e gambe.

Mentre la costruzione cominciava lentamente a inclinarsi da un lato, Rand si lanciò su Egwene e Aviendha. In qualche modo riuscì a racchiuderle entrambe con un braccio, quindi avvolse l’altro a un palo sul lato inclinato della piattaforma. Le donne lo fissavano a occhi sgranati, le bocche spalancate, ma non c’era tempo per parlare come per pensare. La torre cadde in frantumi schiantandosi fra i rami degli alberi. Per un istante aveva creduto che sarebbero riusciti ad attutire la caduta.

Con uno schiocco il palo al quale si teneva si spezzò in due. Il terreno si sollevò e gli tolse l’aria dai polmoni un istante prima che le donne gli piombassero addosso. L’oscurità lo travolse.

Rand riprese coscienza lentamente. Alla fine recuperò anche l’udito.

«...ci hanno estirpati come un masso e mandati a rotolare lungo la collina nella notte.» Era la voce di Aviendha, bassa, come se parlasse solo per lei. C’era qualcosa che si muoveva sul viso di Rand. «Ci hai tolto quello che siamo, quello che eravamo. Adesso devi darci qualcosa in cambio, qualcosa per continuare a esistere. Abbiamo bisogno di te.» La cosa che si muoveva rallentò, toccandolo con maggiore leggerezza. «Ho bisogno di te. Non per me, devi capire. Per Elayne. Quello che c’è fra lei e me è fra lei e me, ma ti consegnerò a lei. Lo farò. Se muori, porterò il tuo corpo da lei! Se muori...!»

Rand sgranò gli occhi e per un momento si fissarono quasi faccia a faccia. I capelli della donna erano in disordine, la fascia che li tratteneva era sparita e sulla guancia aveva un livido purpureo. Aviendha si tirò su di scatto, piegando un fazzoletto umido macchiato di sangue, e iniziò a tamponargli la fronte con più forza di prima.

«Non ho intenzione di morire» le disse, anche se in verità non ne era certo. Naturalmente il vuoto e saidin erano spariti. Solo il pensiero di perderli gli aveva provocato i brividi. Era una vera fortuna che saidin non gli avesse scorticato la mente per annullarla in quel momento. Solo l’idea di toccare di nuovo la Fonte gli strappò un gemito. Senza il vuoto che fungeva da barriera, avvertiva ogni sofferenza, ogni livido e graffio, fino allo spasimo: Era così stanco che sarebbe potuto crollare addormentato se non fosse stato così indolenzito. Tanto meglio se aveva dolore, non avrebbe comunque potuto dormire. Non ancora. Infilando una mano sotto la giubba si toccò il fianco, quindi furtivamente si asciugò il sangue pulendosi sulla camicia prima di estrarre di nuovo la mano. Non c’era da meravigliarsi che quella caduta gli avesse riaperto la ferita parzialmente guarita. Non sembrava che sanguinasse troppo, ma se le Fanciulle la vedevano, Egwene o anche Aviendha, avrebbe dovuto combattere per evitare di essere trascinato da Moiraine per la guarigione. Aveva ancora troppe cose da fare, essere guarito adesso sarebbe stato come ricevere un colpo alla tempia da uno scalpello, inoltre dovevano esserci feriti molto più gravi di lui. Con una smorfia represse un altro gemito, ma per alzarsi gli fu sufficiente solo un piccolo aiuto da parte di Aviendha. Si dimenticò velocemente delle proprie ferite. Sulin era seduta non lontano, con Egwene che le bendava un taglio sanguinante sulla testa e borbottava con fierezza perché non sapeva come guarire; ma la Fanciulla dai capelli bianchi non era la sola a essere ferita e nemmeno quella nelle peggiori condizioni. Ovunque le donne vestite con i cadin’sor stavano coprendo i morti con dei teli e accudivano quelli che si erano appena ustionati, anche se la parola ‘appena’ non si adattava davvero alle bruciature da fulmine. Se non fosse stato per le lamentele di Egwene, la collina era silenziosa, anche le donne ferite evitavano di sprecare il fiato per respirare.

La torre di legno, ormai irriconoscibile, nella sua caduta non aveva risparmiato le Fanciulle, spezzando braccia e gambe, aprendo ferite. Rand guardò mentre una coperta veniva distesa sul viso di una Fanciulla con i capelli rosso oro quasi come quelli di Elayne, con la testa girata a un’angolatura innaturale e gli occhi vitrei. Jolien. Una di quelle che aveva superato fra le prime il Muro del Drago alla ricerca di Colui che viene con l’Alba. Era andata alla Pietra di Tear per lui. Adesso era morta. Per lui. Sei stato abile a tenere le Fanciulle lontane dal pericolo, pensò amareggiato. Davvero molto abile.

Rand riusciva ancora a percepire i fulmini, o meglio, il residuo della loro creazione. Quasi come l’immagine che rimaneva davanti agli occhi dopo il lampo, poteva rintracciare il flusso, anche se stava svanendo. Con sua sorpresa guidava verso ovest, non alle tende. Allora non era stato Asmodean.

«Sammael.» Ne era certo. Sammael aveva inviato quell’attacco al Jangai, Sammael era dietro ai pirati e alle incursioni a Tear ed era stato lui a provocare tutto questo. Piegò le labbra in un ringhio e la voce che ne scaturì fu un rauco sussurro. «Sammael!» Non si accorse di aver fatto un passo fino a quando Aviendha non lo prese per un braccio.

Un momento dopo, Egwene lo teneva per l’altro ed entrambe stavano attaccate a lui come se intendessero piantarlo in terra. «Non essere un completo idiota» disse Egwene, sobbalzando allo sguardo torvo dell’uomo ma senza lasciarlo andare. Si era sistemata di nuovo la fascia marrone attorno alla testa, ma pettinarsi con le dita non era servito a rimettere in ordine i capelli, e la polvere copriva anche la sua giubba e la gonna. «Chiunque ha fatto questo, perché credi che abbia atteso tanto a lungo, fino a quando non ti ha visto stanco? Perché se non riusciva a ucciderti e tu lo avessi inseguito, sarebbe stato una facile preda. Adesso non sei in grado di tenerti in piedi!»

Anche Aviendha lo aveva trattenuto, sostenendo il suo sguardo con uno dei suoi classici. «Tu servi qui, Rand al’Thor. Qui, Car’a’carn. Il tuo onore consiste nell’uccidere quell’uomo, o nel rimanere qui con quelli che hai portato in questa terra?»

Un giovane Aiel arrivò di corsa fra le Fanciulle, con lo shoufa sulle spalle, lancia e scudo che ondeggiavano agilmente. Se pensava che fosse strano trovare due donne che tenevano Rand fra loro, non lo diede a intendere. Guardò i resti della torre, i morti e i feriti con una vaga curiosità, come se si stesse domandando come era potuto succedere e dove fossero i corpi dei nemici. Affondando la punta della lancia in terra davanti a Rand, disse: «Mi chiamo Seirin, della setta Shorara dei Tomanelle.» «Ti vedo, Seirin» rispose Rand con altrettanta formalità. Non era facile con una coppia di donne che lo stringevano come se potesse fuggire.

«Han dei Tomanelle ha delle informazioni per il Car’a’carn. I clan a est stanno muovendosi l’uno verso l’altro. Tutti e quattro. Han vuole unirsi a Dhearic e ha anche chiesto a Erim di andare con loro.»

Rand inspirò e sperò che le donne interpretassero la sua smorfia come una reazione alle notizie. La ferita al fianco gli bruciava e sentiva il sangue espandersi lentamente sulla camicia. Allora non ci sarebbe stato nulla a costringere Couladin a dirigersi a nord una volta che gli Shaido fossero stati sbaragliati. Se fosse accaduto. Non avevano dato alcun segno di debolezza fino a quando erano stati visibili. Perché i Miagoma e gli altri stavano unendosi fra loro? Se volevano andare contro di lui, stavano solo mettendolo in guardia. Ma, se volevano attaccarlo, Han, Dhearic ed Erim sarebbero stati sopraffatti e se gli Shaido resistevano abbastanza a lungo e i quattro clan riuscivano a fare incursione... Dalle colline alberate poteva vedere che era incominciato a piovere sulla città adesso, Egwene e Aviendha non stavano trattenendo le nuvole. Sarebbe stato d’impaccio per entrambe le parti. A meno che le due donne non fossero state in una forma migliore di quel che sembrava, avrebbero potuto non essere in grado di recuperare il controllo da quella distanza.

«Riferisci a Han di fare quello che deve perché non si muovano contro di noi.»

Pur così giovane, a dire il vero aveva circa l’età di Rand, Seirin. sollevò un sopracciglio per la sorpresa. Ma certo. Han non si sarebbe comportato diversamente, e lui lo sapeva. Attese solo fin tanto da assicurarsi che Rand non avesse altri messaggi, quindi si allontanò correndo a fondovalle, veloce come era giunto. Senza dubbio sperava di arrivare a destinazione senza mancare dalla battaglia più del necessario. Anzi, forse era già iniziata, là, verso ovest.

«Ho bisogno che qualcuno mi porti Jeade’en» disse Rand non appena Seirin si allontanò. Se avesse tentato di camminare fin lì, gli sarebbe davvero occorso il sostegno di entrambe le donne. Le due, che non si assomigliavano per niente, avevano comunque la stessa espressione sospettosa. Quegli sguardi corrucciati dovevano far parte degli insegnamenti che ogni ragazza riceveva dalla madre. «Non voglio inseguire Sammael.» Non ancora. «Devo avvicinarmi alla città.» Accennò con il capo alla torre crollata, era il solo modo che aveva di indicare con quelle che ancora lo tenevano per le braccia. Mastro Tovere forse avrebbe potuto riutilizzare le lenti dei cannocchiali, ma non c’erano tre tronchi della torre che non fossero in pezzi. Quel giorno non avrebbero più osservato nessuno dall’alto.

Egwene era palesemente incerta, ma Aviendha fece appena una pausa prima di chiedere a una giovane Fanciulla di andare dai gai’shain. Per prendere anche Nebbia, cosa che Rand non aveva considerato. Egwene incominciò a sistemarsi gli abiti, lamentandosi della polvere, e Aviendha trovò un pettine di avorio e un’altra sciarpa da qualche parte. Malgrado la caduta, le due donne in qualche modo sembravano già meno in disordine di lui. Sui loro visi si vedeva ancora la stanchezza, ma finché fossero state in grado di incanalare, la loro presenza avrebbe avuto una certa utilità.

Questo lo indusse a riflettere un momento. Adesso riusciva mai a pensare a qualcuno se non per quanto fosse utile? Doveva difenderle come sulla torre. Non che questa si fosse rivelata sicura, ma stavolta avrebbe fatto di meglio.

Sulin si alzò mentre Rand si avvicinava, un chiaro cappuccio di algode coperto da bende sul capo, i capelli bianchi che spuntavano.

«Mi sposto vicino alla città» le disse «dove posso vedere cosa sta accadendo, e forse prendere delle misure a riguardo. Tutti i feriti devono rimanere qui, con un numero di persone sufficiente a proteggerli in caso di bisogno. Crea una guardia forte, Sulin. Mi serve solo una manciata di elementi e sarebbe un misero riconoscimento in cambio dell’onore che le Fanciulle mi hanno dimostrato se lasciassi che i feriti venissero massacrati.» Probabilmente avrebbe tenuto la maggior parte di loro al riparo dalla battaglia. Anche lui avrebbe dovuto starne lontano per mantenere gli altri in salvo, ma a giudicare da come si sentiva, non sarebbe stato difficile. «Voglio che resti qui e...» «Non sono ferita» rispose rigida e Rand esitò, quindi annuì lentamente.

«Molto bene.» Non desiderava che quella lesione fosse seria, ma nemmeno che la donna fosse forte. E, se fosse rimasta, forse sarebbe finito con una come Enaila a capo della sua guardia. Il fastidio che gli suscitava il fatto di essere trattato come un fratello non era nemmeno lontanamente paragonabile all’essere trattato come un figlio, e non era dell’umore giusto per sopportarlo. «Ma voglio che mi assicuri che nessuna delle ferite mi segua, Sulin. Dovrò muovermi costantemente. Non posso permettermi che qualcuna mi rallenti o sarò costretto a lasciarla indietro.» La donna annuì con tale fretta che Rand era convinto avrebbe, lasciato al campo ogni Fanciulla con anche solo un graffio. Tranne lei naturalmente. Era uno di quei momenti in cui non si sentiva responsabile nell’usare qualcuno. Le Fanciulle avevano scelto di impugnare la lancia e anche di seguirlo. Forse ‘seguire’ non era la parola giusta, considerando cosa facevano, ma non cambiava nulla. Non lo avrebbe permesso, non poteva ordinare a una donna di marciare incontro alla propria morte e questo era tutto. Per la verità si aspettava qualche tipo di protesta. Era grato che non fosse accaduto. Devo essere più scaltro di quanto credo, si disse.

Due gai’shain vestiti di bianco arrivarono guidando Jeade’en e Nebbia per le redini, dietro di loro veniva una folla di altri gai’shain, con le braccia colme di bende e unguenti, sulle spalle delle sacche d’acqua, guidati da Sorilea e un’altra dozzina di Sapienti che aveva incontrato. Credeva di ricordare i nomi di almeno la metà di loro.

Sorilea era a capo e presto si mise a dare direttive ai gai’shain e le, altre Sapienti per curare le ferite delle Fanciulle. Guardò Rand, Egwene e Aviendha, aggrottando pensierosa le sopracciglia e inumidendosi le labbra: chiaramente le sembrava che tutti e tre fossero tanto stanchi da aver bisogno che le loro ferite venissero curate. Quello sguardo fu sufficiente a far salire Egwene sulla sella grigia con un sorriso e un cenno del capo rivolti all’anziana Sapiente; ma se gli Aiel avessero avuto una maggiore familiarità con il cavalcare, Sorilea si sarebbe resa conto che la goffa rigidità di Egwene non era normale. Rivelatore della spossatezza di Aviendha era il fatto che avesse permesso a Egwene di tirarla in sella senza nemmeno protestare. Anche lei sorrise a Sorilea.

Serrando i denti, Rand montò a cavallo con un solo fluido movimento. Le proteste dei muscoli indolenziti furono sepolte sotto una cascata di dolore nel fianco, come se fosse stato di nuovo colpito, e gli ci volle un intero minuto prima di riprendere a respirare, ma non lo manifestò.

Egwene tirò le redini di Nebbia per farla avvicinare a Jeade’en e sussurrò: «Se non riesci a salire in groppa a un cavallo meglio di così, Rand al’Thor, forse dovresti smettere di cavalcare per un po’.» Aviendha aveva una delle sue classiche espressioni impassibili, ma gli occhi erano concentrati sul volto di Rand.

«Ho visto come ‘tu’ montavi in sella» le rispose lui con calma. «Forse sei tu che dovresti rimanere qui e aiutare Sorilea fino a quando non ti senti meglio.» Questo la mise a tacere, anche se aveva un’espressione inacidita. Aviendha rivolse a Sorilea un altro sorriso, la vecchia Sapiente stava ancora guardando.

Rand spronò il pezzato al trotto verso il fondovalle. Ogni passo era una stilettata nel fianco e lo costringeva a respirare a denti serrati, ma doveva coprire una discreta distanza e non poteva farlo a piedi. Inoltre lo sguardo di Sorilea aveva incominciato a irritarlo.

Nebbia si avvicinò a Jeade’en sul pendio, e ben presto Sulin e una fila di Fanciulle si misero in posizione davanti a loro. Più di quante sperava, ma non era importante. Quello che aveva in mente non includeva avvicinarsi troppo alla battaglia. Con lui potevano restare indietro e al sicuro.

Afferrare saidin fu uno sforzo, anche usando l’angreal, e il solo peso di esso lo schiacciava più che mai, la contaminazione era terribile. Almeno il vuoto lo schermava dal proprio dolore. In parte. E se Sammael avesse provato di nuovo a fare qualche giochino con lui...

Rand spronò Jeade’en perché accelerasse il passo. Qualsiasi cosa avesse fatto Sammael, lui aveva ancora del lavoro da compiere.

La pioggia grondava dalle falde del cappello di Mat che ogni tanto doveva abbassare il cannocchiale e asciugarlo. Era diminuita nell’ultima ora, ma i rami poco folti offrivano uno scarso riparo. La giubba era zuppa e le orecchie di Pips erano abbassate. Il cavallo stava in piedi e non sembrava che avesse intenzione di muoversi per quanto lo incitasse con i talloni. Non sapeva con certezza che ora fosse. Si era nel mezzo del pomeriggio, ma le nuvole nere non avevano perso consistenza con la pioggia, e nascondevano il sole. Gli pareva che fossero passati tre o quattro giorni da quando era andato ad avvisare i Tarenesi. Non era ancora certo del perché lo avesse fatto.

Guardò verso sud e la via d’uscita che cercava. Una via per tremila uomini, dovevano essere i sopravvissuti anche se non avevano idea di cosa Mat stesse progettando. Credevano che cercasse un’altra battaglia, ma tre secondo il suo criterio erano anche troppe. Era convinto che sarebbe riuscito a fuggire da solo, fino a quando avesse tenuto gli occhi aperti quando si muovevano, con la metà di loro a piedi. Era il motivo per cui si trovava su quella collina ripudiata dalla Luce e perché i Tarenesi e i Cairhienesi erano tutti ammucchiati nella lunga strettoia fra quell’altura e la prossima. Se solo fosse riuscito ad aprirsi un varco...

Riportando il cannocchiale sull’occhio, guardò verso sud in direzione delle colline verdeggianti. Di tanto in tanto vi erano dei boschetti, alcuni ampi, ma i più erano coperti di cespugli ed erba, anche lì. Era ritornato verso est, usando la minima sporgenza nel terreno che potesse nascondere un topo, portando la colonna con lui fuori dalla radura priva di alberi e sotto un nascondiglio come si doveva. Lontano da quei maledetti fulmini e quelle palle di fuoco, non era sicuro che fosse peggio quando giunsero, o quando la terra semplicemente esplose senza motivo apparente. Tutto quello sforzo per scoprire che la battaglia stava spostandosi con lui. Non sembrava in grado di tirarsene fuori.

Dov’è andata a finire la mia maledetta fortuna adesso che ne ho davvero bisogno? si chiese. Era stata una grande sciocchezza, rimanere. Solo perché era riuscito a mantenere in vita gli altri così a lungo non significava che avrebbe potuto continuare a farlo. Prima o poi i dadi avrebbero mostrato gli occhi del Tenebroso. Sono dei maledetti soldati. Dovrei lasciarli e andare via, si disse.

Ma continuava a cercare, osservando i picchi alberati e i rilievi. Erano una copertura per gli Aiel di Couladin così come per lui, ma di tanto in tanto ne scorgeva alcuni. Non tutti erano coinvolti in battaglie, ma ogni gruppo era più grande del suo, ciascuno si frapponeva fra lui e la salvezza verso sud e non riusciva a identificarlo fino a quando forse non sarebbe stato troppo tardi. Gli Aiel sembravano capirlo al primo sguardo, ma per lui non era lo stesso.

Ad alcuni chilometri centinaia di sagome vestite con il cadin’sor correvano a file di otto e si dirigevano verso est sormontando una collina dove c’era solo una mezza dozzina di ericacee. I corridori di prima fila avevano appena iniziato a ridiscendere la collina dall’altro lato, quando un fulmine lampeggiò fra la nebbia, sparpagliando uomini e terra come pietre lanciate in uno stagno. Pips non si mosse minimamente mentre il rumore raggiungeva Mat, il castrone si era abituato a fulmini più vicini di quello.

Alcuni uomini che erano caduti si rialzarono zoppicando e immediatamente si unirono agli altri che avevano mantenuto il passo. Non più di una dozzina fu portata a spalla prima che tutti sfrecciassero dall’altro lato, più indietro rispetto al punto dal quale erano venuti. Nessuno si fermò a guardare il cratere. Mat li aveva visti imparare la lezione, attendere avrebbe significato offrirsi come bersaglio a un secondo fulmine. In pochi momenti si furono dileguati.

Tranne i morti.

Girò il cannocchiale verso est. C’era una traccia di luce solare a qualche chilometro. La torre di legno avrebbe dovuto essere visibile, spuntare fra gli alberi, ma da un po’ non riusciva più a vederla. Forse stava guardando nella direzione sbagliata. Non importava. I fulmini dovevano essere opera di Rand, come anche il resto. Se posso allontanarmi abbastanza da quella parte...

Sarebbe tornato esattamente al punto di partenza. Anche se non era l’attrazione del ta’veren a riportarlo indietro, avrebbe avuto dei problemi ad andare di nuovo via una volta che Moiraine lo avesse scoperto. E c’era anche da considerare Melindhra. Non aveva mai sentito parlare di una donna che non prendesse male il fatto che un uomo cercasse di uscire dalla sua vita senza farglielo sapere.

Mentre regolava il cannocchiale alla ricerca della torre, un pendio coperto di ericacee e alberi della carta si incendiò all’improvviso: un albero su tre alberi divenne istantaneamente una torcia. Abbassò piano il tubo circondato dal bronzo, non ne aveva bisogno per vedere che il fuoco e il denso fumo grigio già formavano un gran pennacchio in cielo. Non gli occorrevano segni per riconoscere qualcuno che incanalava quando lo vedeva. Rand aveva finalmente oltrepassato il limite che lo separava dalla follia? O forse Aviendha ne aveva abbastanza di essere costretta a rimanergli accanto. Non si doveva mai far innervosire una donna in grado di incanalare. Era una regola che Rand spesso non riusciva a seguire, pur provandoci. È fin troppo facile parlare per qualcuno che non sei tu, si disse amareggiato. Stava solo cercando di non pensare alla terza alternativa. Se Rand non era impazzito e Aviendha, Egwene o una delle Sapienti non avevano deciso di liberarsi di lui, allora qualcun altro stava prendendo il controllo sulle vicende quotidiane. Sapeva fare due più due senza ottenere cinque. Sammael. Bel tentativo di trovare la via d’uscita, era la via d’uscita sul nulla. Sangue e maledette ceneri! Cosa è accaduto alla mia...?

Un ramo si spezzò sotto ai piedi di qualcuno alle sue spalle e Mat reagì intuitivamente, fece muovere Pips in cerchio con le ginocchia più che con le redini, roteando la lancia dal pomello della sella.

A Estean quasi cadde l’elmetto dalle mani quando sgranò gli occhi, mentre la corta lama si fermò un attimo prima di staccargli la testa. La pioggia gli aveva incollato i capelli sul viso. Anche a piedi, Nalesean sorrise, in parte stupito e in parte divertito dal, disagio del giovane Tarenese. Con il viso squadrato e massiccio, Nalesean era il secondo dopo Melanril a guidare la cavalleria cairhienese. Talmanes e Daerid erano presenti, indietro di un passo come al solito, con i volti impassibili sotto agli elmetti a forma di campana, come sempre. I quattro avevano lasciato i cavalli fra gli alberi.

«Ci sono alcuni Aiel che ci stanno venendo incontro, Mat» disse Nalesean non appena Mat sollevò la lancia con il marchio dei corvi. «Che la Luce folgori la mia anima se sono meno di cinquemila» aggiunse sorridendo. «Non credo che sappiano che siamo qui e li stiamo aspettando.»

Estean annuì. «Si tengono nelle valli e le gole. Si nascondono da...» guardò le nuvole e rabbrividì. Non era il solo a essere in pensiero su cosa poteva scendere dal cielo. «In ogni caso era chiaro che intendessero andare dove si trovavano gli uomini di Daerid.» C’era una nota di rispetto nella sua voce quando parlò dei picchieri. A denti stretti, è vero, ma era difficile guardare dall’alto in basso qualcuno che gli aveva salvato la vita diverse volte. «Ci saranno addosso prima che riescano a vederci.»

«Meraviglioso» rispose Mat. «Davvero.»

Lo aveva detto con sarcasmo, ma Nalesean ed Estean non parvero capirlo. Sembravano impazienti. Daerid aveva la stessa espressione di una roccia e Talmanes sollevò un sopracciglio verso Mat solo per un momento, scuotendo leggermente il capo. Quei due conoscevano la battaglia.

Il primo incontro con gli Shaido era stato tutt’al più una scommessa imparziale, una che Mat non avrebbe mai fatto se non fosse stato costretto. Che i fulmini avessero scosso gli Aiel al punto da sbaragliarli, non cambiava nulla. Oggi per due volte avevano assistito all’azione, quando Mat scoprì che doveva scegliere se prendere o essere preso e nessuna delle due possibilità aveva avuto l’ottima riuscita che si aspettavano i Tarenesi. Una l’avevano strappata, ma solo perché era stato in grado di distanziare gli Shaido dopo che si erano riuniti di nuovo. Almeno non erano tornati mentre faceva fuggire tutti attraverso la valle piena di colline. Sospettava che avessero trovato qualcos’altro che li tenesse impegnati. Forse ancora fulmini, o sfere di fuoco, o solo la Luce sapeva cosa. Mat era ben consapevole di chi aveva permesso loro di scampare all’ultima battaglia più o meno interi. Un altro gruppo di Aiel era dietro a quelli che li combattevano, proprio in tempo per evitare che i picchieri venissero sopraffatti. Gli Shaido avevano deciso di ritirarsi a nord, e gli altri, ignorava chi, si erano diretti a ovest, lasciandogli il campo. Nalesean ed Estean lo consideravano un chiaro segno di vittoria. Daerid e Talmanes la vedevano diversamente.

«Quanto tempo?» chiese Mat.

Fu Talmanes a rispondere. «Mezz’ora. Forse un po’ di più, se la grazia ci favorisce.» I Tarenesi parevano dubbiosi, ancora non sembravano rendersi conto di come potevano muoversi velocemente gli Aiel.

Mat non si faceva quel tipo di illusioni. Aveva già studiato il terreno circostante, ma lo guardò di nuovo e sospirò. Da quella collina la visuale era ottima, e il solo posto decente dove vi fossero degli alberi a mezzo chilometro di distanza era proprio dove si era fermato lui. Il resto erano cespugli, che arrivavano all’altezza della vita, punteggiati da ericacee, alberi della carta e qualche quercia. Questi Aiel certamente avrebbero inviato delle vedette in quel punto per dare un’occhiata e non vi era alcuna possibilità che nemmeno i cavalli potessero uscire dalla visuale prima. I picchieri si sarebbero visti allo scoperto. Sapeva cosa andava fatto, si trattava di nuovo di prendere o essere presi, ma la cosa non gli piaceva.

Lanciò solo un’occhiata, ma prima che potesse aprire la bocca, Daerid disse: «Le mie vedette mi hanno riferito che Couladin in persona si trova con questo gruppo. Almeno, il loro capo ha le braccia scoperte, con dei marchi molto simili a quelli che si dice abbia il lord Drago.»

Mat sbuffò. Couladin che si dirigeva a est. Se ci fosse stato modo di farsi da parte, quell’individuo sarebbe andato dritto incontro a Rand. Forse era proprio quello che desiderava. Mat si sentì ribollire, e non aveva nulla a che vedere con Couladin che voleva uccidere Rand. Il capo degli Shaido, o chiunque fosse quell’uomo, poteva ricordarsi di Mat come di qualcuno vicino a Rand; ma era per Couladin che ora si trovava bloccato là fuori nel mezzo di una battaglia, tentando di rimanere in vita, chiedendosi ogni minuto se si sarebbe tramutata in una faccenda personale fra Rand e Sammael, il tipo di combattimento che distruggeva tutto e tutti nel raggio di due o tre chilometri. Sempre se non mi becco una lancia in mezzo al petto, rifletté. Non aveva più scelta di un’oca appesa fuori la porta della cucina. Nulla di tutto ciò sarebbe accaduto senza Couladin. Un peccato che nessuno lo avesse tolto di mezzo molti anni prima. Di certo vi erano numerosi motivi per farlo. Gli Aiel mostravano di rado la rabbia e, quando lo facevano, era fredda e tesa. Couladin invece sembrava infiammarsi due o tre volte al giorno, perdendo molto velocemente la testa in impeti d’ira. Era un miracolo che fosse ancora vivo, la fortuna del Tenebroso.

«Nalesean,» disse furioso Mat «fai aprire i tuoi Tarenesi in un ampio ventaglio a nord e scendi alle spalle di costoro. Manterremo la loro attenzione su di noi per consentirti di cavalcare al meglio e ridiscendere su di loro come un fienile che crolla.» Per cui ha la fortuna del Tenebroso, eh? Sangue e ceneri, quanto spero che la mia abbia fatto ritorno, pensò.

«Talmanes, tu fai lo stesso a sud. Muovetevi, tutti e due. Abbiamo poco tempo e lo stiamo sprecando.»

I due Tarenesi si inchinarono e corsero verso i cavalli, afferrando gli elmetti. L’inchino di Talmanes fu più formale. «Che la grazia favorisca la tua lama, Mat. O forse dovrei dire la tua lancia.» Quindi andò via.

Guardando Mat mentre i tre svanivano lungo il pendio della collina, Daerid si asciugò l’acqua piovana dagli occhi con un dito. «Per cui stavolta resterai con i picchieri. Non devi lasciare che la rabbia contro questo Couladin prenda il sopravvento. Una battaglia non è un posto dove tentare di combattere un duello.»

Mat rimase quasi a bocca aperta. Un duello? Lui? Con Couladin? Daerid credeva fosse rimasto con i fanti per quello? Aveva scelto tale soluzione perché era più sicuro restare con i picchieri. Era quello il motivo. L’unico motivo. «Non preoccuparti. Posso trattenermi.» E lui aveva pensato che Daerid fosse il più sensibile del gruppo...

Il Cairhienese annuì appena. «Lo pensavo. Hai visto usare le picche prima d’ora e affrontato una carica o due, suppongo. Talmanes elogia qualcuno quando ci sono due lune, eppure l’ho sentito dire ad alta voce che ti seguirebbe ovunque lo guidassi. Un giorno mi piacerebbe sentire la tua storia, Indorano. Ma sei giovane, per la Luce, non intendo mancarti di rispetto, e i giovani hanno il sangue caldo.»

«Questa pioggia lo manterrà fresco se non ci riuscirà null’altro.» Sangue e ceneri! pensò. Erano tutti pazzi? Talmanes gli faceva i complimenti? Si chiese cosa avrebbero detto se avessero scoperto che era solo un giocatore d’azzardo che inseguiva i ricordi di uomini morti migliaia di anni prima. Avrebbero tirato a sorte per chi lo avrebbe infilato in uno spiedo come un porco. Specialmente i lord. A nessuno piaceva passare per sciocco, ma ai nobili piaceva meno che a tutti, forse perché spesso ci riuscivano da soli. Be’, in un modo o nell’altro intendeva trovarsi a chilometri di distanza una volta che lo avessero scoperto. Maledetto Couladin. Vorrei proprio cacciargli questa lancia in gola! pensò. Spronando Pips si diresse verso il pendio opposto, dove la fanteria attendeva.

Daerid salì in sella e si recò di fianco a lui, annuendo mentre Mat gli spiegava il suo piano. Gli arcieri sui declivi, da dove potevano proteggere i fianchi ma restare bassi, nascosti fra i cespugli fino all’ultimo minuto. Un uomo sulla cima della collina per segnalare l’arrivo degli Aiel e fare cenno ai picchieri di muoversi, per marciare dritti verso i nemici in arrivo. «Non appena saremo in grado di vedere gli Shaido, ci ritireremo più velocemente possibile, quasi fino al varco fra quelle due alture, quindi ci volteremo per affrontarli.»

«Penseranno che vogliamo fuggire, si renderanno conto che non possiamo e si rivolteranno contro di noi come un orso contro i cani. Vedendo che il nostro numero è più che dimezzato e che combattiamo solo perché costretti, dovrebbero credere di poterci conquistare facilmente. Se riusciamo a impegnarli fino a quando i cavalli sono in grado di calargli sopra...» Il Cairhienese sorrise. «Stai usando la tattica aiel contro di loro.»

«Sarà meglio che li teniamo impegnati.» Il tono di voce di Mat era asciutto quanto lui era bagnato. «Per essere certi di riuscirvi, per essere sicuri che loro non comincino ad accerchiare i nostri fianchi, voglio che qualcuno gridi non appena cessa la ritirata: ‘Proteggete il lord Drogo.» Stavolta Daerid rise di cuore.

Avrebbe tenuto abbastanza sotto controllo gli Shaido, specialmente se li guidava Couladin. Se era davvero lui a capo del gruppo, se pensava che Rand fosse con i picchieri, se i picchieri potevano resistere fino all’arrivo dei cavalli... Molti se. Mat sentiva i dadi che gli rotolavano di nuovo in testa. Era la scommessa più grande che avesse mai fatto in vita sua. Si chiese quanto mancava ancora all’oscurità, un uomo dovrebbe essere in grado di andare via nella notte. Voleva che quei dadi gli abbandonassero la testa, o che cadessero per mostrargli il risultato. Con lo sguardo torvo nella pioggia, spronò Pips a scendere lungo il fianco della collina.

Jeade’en si fermò su un poggio dove era raggruppata una dozzina di alberi, e Rand si incurvò leggermente per il dolore nel fianco. La mezza luna, alta nel cielo, proiettava una pallida luce, ma anche per la sua vista resa più acuta da saidin qualsiasi cosa fosse a più di cento passi di distanza era solo un’ombra informe. La notte aveva inghiottito le colline circostanti e lui era parzialmente consapevole della presenza di Sulin e le Fanciulle attorno a sé. Ma non riusciva nemmeno a tenere gli occhi del tutto aperti, le palpebre erano pesanti e credeva che il male lancinante al fianco fosse l’unica cosa a tenerlo sveglio. Non ci pensava spesso. Adesso non era solo distante, era anche lento.

Sammael aveva attentato alla sua vita in due occasioni quel giorno, o forse tre? Gli sembrava di dover ricordare quante volte qualcuno aveva tentato di ucciderlo. No, non ucciderlo. Prenderlo all’amo. Sei ancora così geloso di me, Tel Pani? Ti ho mai trattato con indifferenza, ti ho mai dato meno di quello che meriti? pensò.

Ondeggiando Rand si passò una mano fra i capelli. C’era stato qualcosa di strano in quel pensiero, ma non riusciva a stabilire cosa. Sammael... No. Poteva vedersela con lui quando... se... Non mi interessa. Dopo. Sammael era solo una distrazione dalle questioni importanti. Forse era anche andato via.

Gli sembrava di ricordare vagamente che non c’erano stati attacchi dopo... dopo cosa? Rammentava di aver ricambiato l’ultima mossa di Sammael con qualcosa di particolarmente sgradevole, ma non riusciva a riportare il ricordo in superficie. Non il fuoco malefico. Non devo usarlo. Minaccia il tessuto del Disegno. Nemmeno per Ilyena? Incendierei il mondo e userei la mia anima come stoppino per sentire di nuovo la sua risata, pensò.

Stava di nuovo divagando, lontano dalle cose importanti.

Anche se era passato molto tempo da quando era tramontato il sole, lo aveva fatto sulle battaglie, allungando gradualmente le ombre che avevano sopraffatto la luce rosso oro, gli uomini che uccidevano e morivano. Le occasionali folate di vento trasportavano ancora grida lontane e urla. Colpa di Couladin, vero, ma in fondo era anche colpa sua.

Per un po’ non riuscì a ricordare il proprio nome.

«Rand al’Thor» disse ad alta voce tremando scosso dai brividi, anche se la giubba era madida di sudore. Per un istante quel nome era suonato strano alle sue orecchie. «Io sono Rand al’Thor, e ho bisogno di... ho bisogno di vedere.»

Non mangiava fin dalla mattina, ma la contaminazione di saidin gli toglieva la fame. Il vuoto tremava costantemente, e Rand era rimasto attaccato alla Vera Fonte con le unghie. Era come montare un toro impazzito alla vista del rosso, o nuotare nudi in un fiume di fuoco agitato da rapide attraverso massi di ghiaccio enormi. Eppure quando non era sul punto di essere fatto a pezzi, sbattuto da qualche parte o annegato, sembrava che saidin fosse la sola forza che gli rimanesse. Laidi era presente, lo colmava, cercava di erodere e corrodergli la mente, ma era pronto per essere usato.

Con un cenno improvviso del capo incanalò e qualcosa bruciò in alto nel cielo. Qualcosa. Una palla di fuoco azzurro che aveva eclissato le ombre rimpiazzandole con una forte luce.

Le colline erano un ammasso tutto attorno a lui, gli alberi neri nella forte luce. Nulla si muoveva. Gli giunse all’orecchio un suono debole trasportato da un refolo d’aria. Forse delle acclamazioni o una canzone. O forse stava immaginando tutto, era così flebile, probabilmente se lo era davvero immaginato ed era scomparso con il vento.

Divenne di colpo consapevole delle Fanciulle che lo circondavano, centinaia di donne. Alcune, inclusa Sulin, lo fissavano, ma molte avevano gli occhi chiusi. Gli ci volle un po’ per rendersi conto che stavano cercando di preservare la visione notturna. Aggrottò le sopracciglia ed esaminò la scena. Egwene e Aviendha non erano più lì. Passò un altro lungo momento prima di ricordarsi di rilasciare il flusso che stava incanalando e far tornare il buio. Adesso davanti ai suoi occhi vi era una densa oscurità. «Dove sono?» Si sentì leggermente irritato quando dovette spiegare a chi si riferiva, e solo vagamente consapevole che non ve ne era motivo.

«Sono andate da Moiraine Sedai e le Sapienti al crepuscolo, Car’a’carn» rispose Sulin avvicinandosi a Jeade’en. I capelli bianchi e corti splendevano alla luce della luna. No, aveva la testa bendata. Come aveva fatto a dimenticarlo? «Almeno due ore fa. Sanno che la carne non è pietra. Anche le gambe più forti hanno dei limiti.»

Rand aggrottò le sopracciglia. Gambe? Ma cavalcavano Nebbia... La donna non diceva cose sensate. «Devo trovarle.»

«Sono con Moiraine Sedai e le Sapienti, Car’a’carn» ripeté lentamente. Gli sembrava che fosse accigliata, ma era difficile affermarlo con certezza.

«Non loro» mormorò. «Devo trovare la mia gente. Sono ancora là fuori, Sulin.» Perché lo stallone non si muoveva? «Riesci a sentirli? Là fuori, nella notte. Ancora combattono. Devo aiutarli.» Ma certo, non aveva che da affondare i talloni nelle costole del pezzato. Ma quando lo fece, Jeade’en si spostò solo da un lato, con Sulin che lo reggeva per le briglie. Non ricordava che la donna lo tenesse.

«Le Sapienti hanno bisogno di parlarti, Rand al’Thor.» La voce della donna era cambiata, ma lui era troppo stanco per sapere in che modo.

«Non possono aspettare?» Evidentemente aveva perso il messaggero. «Devo trovarli, Sulin.»

Enaila sembrò spuntare fuori dall’altro lato della testa dello stallone. «Hai trovato la tua gente, Rand al’Thor.»

«Le Sapienti ti stanno aspettando» aggiunse Sulin. Lei ed Enaila fecero voltare Jeade’en senza aspettare il suo consenso. Le Fanciulle si radunarono per un qualche motivo e si avviarono verso il pendio della collina, con i volti che riflettevano la luce della luna mentre lo fissavano, così vicine che con le spalle toccavano i fianchi del cavallo.

«Qualsiasi cosa vogliano,» borbottò «sarà meglio che si sbrighino.» Non era necessario che guidassero il pezzato, ma era troppo faticoso metterlo in evidenza in quel momento. Si girò a guardare indietro lamentandosi per il dolore nel fianco, la cima della collina era già stata inghiottita dalla notte. «Ho ancora molte cose da fare. Devo trovare...» Couladin. Sammael. Gli uomini che stavano combattendo e morendo per lui. «Ho bisogno di trovarli.» Era così stanco, ma ancora non poteva dormire.

L’accampamento delle Sapienti era illuminato da lampade appese ai pali e piccoli fuochi dove bolliva dell’acqua che veniva portata via e rimpiazzata da uomini e donne vestiti di bianco non appena iniziava a fremere. C’erano gai’shain ovunque, come anche Sapienti, che accudivano i feriti, i quali riempivano il campo. Moiraine si muoveva con lentezza lungo la linea di quelli che non potevano stare in piedi, fermandosi solo di rado per appoggiare le mani su un Aiel che incominciava a dibattersi tra gli spasmi della guarigione. Barcollava ogni volta che si alzava, e Lan le stava dietro come se volesse tenerla in piedi, o si — aspettasse di doverlo fare. Sulin scambiò qualche parola con Adelin ed Enaila, a voce troppo bassa perché Rand potesse capire, e le giovani donne corsero a parlare con l’Aes Sedai. Malgrado il numero di feriti, non tutte le Sapienti stavano accudendoli. Dentro a un padiglione sistemato da un lato, forse una ventina erano sedute in circolo mentre ascoltavano una in piedi al centro. Quando questa si sedeva, un’altra prendeva il suo posto. I gai’shain erano in ginocchio fuori del padiglione, ma nessuna delle Sapienti sembrava nutrire alcun interesse per il vino, o qualsiasi altra cosa tranne quello che stavano sentendo. A Rand pareva che fosse Amys l’oratrice. Con sua sorpresa Asmodean stava aiutando con i feriti, aveva degli otri d’acqua su ogni spalla e appariva davvero strano con la giubba di velluto nera e il merletto bianco. Tirandosi su dopo aver dato da bere a un uomo nudo fino alla cintola tranne per le bende, vide Rand ed esitò.

Dopo un po’ diede gli otri a un gai’shain e si fece strada fra le Fanciulle verso di lui. Queste lo ignorarono, sembrava che Stessero guardando tutte Enaila e Adelin che parlavano con Moiraine oppure Rand. Quando raggiunse il circolo di Far Dareis Mai attorno a Jeade’en aveva il volto teso. Le donne si scostarono con lentezza e lo fecero solo per farlo passare e arrivare alla staffa di Rand.

«Ero sicuro che fossi salvo. Ero certo.» Dal tono della voce non pareva così. Quando Rand non rispose, Asmodean a disagio cambiò posizione. «Moiraine ha insistito perché portassi l’acqua. Una donna decisa, per non permettere al bardo del lord Drago di...» interrompendosi si inumidì velocemente le labbra. «Cosa è accaduto?»

«Sammael» disse Rand, ma non in risposta. Stava solo dando voce ai propri pensieri attraverso il vuoto. «Mi ricordo la prima volta che venne chiamato Distruttore della Speranza. Dopo aver tradito i Cancelli di Beva e portato l’Ombra su Word M’odi e il cuore di Patelle. Sembrò che la speranza fosse morta quel giorno. Culan Cuhan pianse. Cosa c’è che non va?» Asmodean aveva il volto bianco come i capelli di Sulin e scuoteva silenzioso il capo. Rand guardò verso il padiglione. Chiunque stesse parlando adesso, non la conosceva. «È per quello che mi stanno aspettando? Allora dovrei unirmi a loro.»

«Non sono ancora pronte a darti il benvenuto» disse Lan apparendo di fianco ad Asmodean, che sobbalzò, «o a qualsiasi altro uomo.» Nemmeno Rand aveva visto o sentito il Custode avvicinarsi, ma voltò solo il capo. Anche quello gli parve uno sforzo. «Si sta svolgendo un incontro con le Sapienti dei Miagoma, i Codarra, gli Shiande e i Daryne.»

«I clan stanno venendo da me» disse Rand atono. Ma avevano atteso abbastanza da rendere la giornata sanguinosa. Non succedeva mai nelle storie.

«Così sembra. Ma i quattro capi non potranno vederti finché le Sapienti non avranno organizzato tutto» aggiunse Lan secco.

«Vieni, Moiraine può raccontarti più di quanto possa fare io.»

Rand scosse il capo. «Quel che è fatto, è fatto. Sentirò i dettagli più tardi. Se Han non deve più tenerli a bada alle nostre spalle, ho bisogno di lui. Sulin, manda un corriere. Han...»

«È fatta, Rand» disse con insistenza il Custode. «Tutto. Sono rimasti solo alcuni Shaido a sud della città. Ne sono stati presi a migliaia come prigionieri e la maggior parte di loro sta superando il Gaelin. Ti avremmo inviato la notizia un’ora fa, se qualcuno avesse saputo dove ti trovavi. Continuavi a muoverti. Vieni e lascia che sia Moiraine a metterti al corrente.»

«Fatto. Abbiamo vinto?»

«Tu hai vinto. Completamente.»

Rand guardò gli uomini bendati, la linea in paziente attesa di essere medicata e quelli che se ne andavano con loro. Le file erano quasi immobili. Moiraine stava ancora procedendo fra queste, fermandosi stancamente di tanto in tanto a guarire qualcuno. Solo alcuni dei feriti si trovavano lì. Erano venuti quando potevano durante il giorno, allontanandosi se e quando potevano. Nessuno dei morti era in quel luogo. Solo una battaglia persa è più triste di una battaglia vinta, pensò. Gli sembrava di ricordare di averlo già detto, molto tempo prima. Forse lo aveva letto.

No. C’erano troppi sopravvissuti perché si preoccupasse dei morti. Ma quanti sono i volti che conosco, come quello di Jolien? Non dimenticherò mai, Ilyena, nemmeno se tutto il mondo dovesse bruciare! pensò. Aggrottando le sopracciglia si portò una mano alla testa. Quei ricordi sembravano giungere uno dopo l’altro, da posti differenti. Era così stanco che riusciva appena a pensare. Ma ne aveva bisogno, aveva bisogno di pensieri che non scivolassero quasi fuori controllo. Rilasciò la Fonte e il vuoto, rimanendo sommerso dalle convulsioni quando saidin lo travolse mentre lo abbandonava. Ebbe appena il tempo di accorgersi dell’errore. Senza il Potere, fu travolto dalla stanchezza e dal dolore.

Era consapevole dei volti che lo guardavano mentre cadeva da cavallo, bocche in movimento, mani che si protendevano per afferrarlo nel tentativo di attutire la caduta.

«Moiraine!» gridò Lan e la voce echeggiò nelle orecchie di Rand. «Sta sanguinando parecchio!» Sulin gli raccolse il capo fra le braccia. «Resisti, Rand al’Thor» disse preoccupata, «resisti.»

Asmodean non parlò, ma il suo volto era impallidito e Rand sentì un rivolo di saidin proveniente dall’uomo fluire in lui. Fu travolto dall’oscurità.

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