33 Una questione di rosso

Il pugnale sfiorò i capelli di Nynaeve mentre affondava nella tavola contro la quale stava appoggiata immobile e batté gli occhi dietro la benda. Avrebbe voluto una treccia decente invece che quelle ciocche di capelli che le pendevano sulle spalle. Se quella lama ne avesse tagliata via anche solo una... Sciocca donna, pensò amaramente. Sciocca, sciocca donna. Con gli occhi coperti riusciva a vedere solo una sottile linea di luce ai suoi piedi. Sembrava molto chiara da dietro quella sciarpa. Doveva ancora esserci abbastanza luce, anche se era tardo pomeriggio. Certamente l’uomo non avrebbe lanciato i pugnali se non vedeva bene. La lama successiva affondò dall’altro lato della testa, poteva percepirne le vibrazioni. Le era sembrato che le avesse sfiorato l’orecchio. Avrebbe senza ombra di dubbio ucciso Thom Merrilin e Valan Luca. Forse anche qualsiasi altro uomo sul quale fosse riuscita a mettere le mani, solo per principio.

«Le pere!» gridò Luca, come se non si trovasse a trenta passi da lei. Forse pensava che la benda la rendesse anche sorda oltre che cieca.

Rovistando nel sacchetto appeso alla cintura estrasse una pera e se la mise in bilico sulla testa. Era cieca. Una stupida completa, per di più cieca! Ne aggiunse altre due e distese con cautela le braccia da entrambi i lati fra i pugnali che la circondavano, impugnando solo i piccioli dei frutti. Vi fu una pausa. Aprì la bocca per dire a Tuoni che se anche solo l’avesse graffiata gli avrebbe...

Tchunktchunk — tchunk! Le lame arrivarono così velocemente che avrebbe lanciato un grido se la gola non fosse stata chiusa come un pugno. Mantenne la presa solo sul picciolo nella mano sinistra, l’altra pera tremava trafitta dal pugnale e da quella sulla testa stava colando il succo.

Strappandosi la benda si avviò a grandi passi verso Thom e Luca, entrambi sorridevano come dei maniaci. Prima che riuscisse a pronunciare una delle parole che le ribollivano in mente, Luca commentò ammirato, «Sei magnifica, Nana. Il tuo coraggio è magnifico, ma tu lo sei di più.» Fece roteare quella ridicola cappa di seta rossa rivolgendole un inchino con una mano sul cuore. «La chiamerei ‘rosa fra le spine’. Anche se a dire il vero tu sei molto più bella di una semplice rosa.»

«Non bisogna essere molto coraggiose per restare immobili come un ciocco.» Era una rosa? Gli avrebbe mostrato le spine. A tutti e due. «Adesso Stammi a sentire, Valan Luca...»

«Un tale coraggio. Non hai mai battuto ciglio. Io non avrei avuto lo stomaco di fare quello che hai fatto.»

Era la pura verità, si disse Nynaeve. «Non sono più coraggiosa di quanto devo essere» aggiunse con un tono più pacato. Era difficile inveire contro un uomo che continuava a dirti quanto eri coraggiosa. Certo meglio ascoltare quello che tutte le altre ciance sulle rose. Thom si prese uno dei baffi fra le dita come se avesse sentito qualcosa di divertente.

«Il vestito» proseguì Luca, mostrandole tutti i denti con un sorriso. «Sarai meravigliosa con indosso un...»

«No!» scattò la donna. Se era riuscito a guadagnarsi un po’ di considerazione da parte sua, l’aveva persa riproponendo quell’argomento. Clarine le aveva cucito il vestito che Luca voleva farle indossare, di una seta più rossa del suo mantello. Secondo lei il colore serviva a nascondere il sangue se Thom avesse fallito la mira.

«Ma Nana, la bellezza in pericolo attira molto.» La voce di Luca era sommessa come se le stesse bisbigliando delle parole dolci nelle orecchie. «Avrai tutti gli occhi puntati su di te, ogni cuore batterà per la tua bellezza e coraggio.»

«Se ti piace così tanto» rispose con fermezza, «mettitelo tu.»

A parte il colore, non era disposta a mostrare il seno in pubblico, che fosse o meno opportuno secondo Clarine. Aveva visto gli abiti di scena di Latelle, tutti coperti di lustrini neri, con il collo alto fino al mento. Avrebbe indossato qualcosa come... ma cosa stava pensando? Non aveva intenzione di andare avanti con quella farsa. Aveva acconsentito a provare solo per evitare che Luca bussasse alla loro porta ogni sera per convincerla.

L’uomo però era abile a capire quando doveva cambiare argomento. «Che cosa è successo qui?» chiese, improvvisamente solerte.

Nynaeve sobbalzò quando le toccò l’occhio gonfio. Fu la cattiva sua sorte a fargli scegliere quel nuovo soggetto. Avrebbe fatto meglio a continuare con il vestito. «Non mi piaceva il modo in cui mi guardava la mattina dallo specchio, per cui l’ho morso.»

La voce atona e i denti snudati fecero ritrarre di scatto la mano di Luca. A giudicare dal bagliore torvo negli occhi scuri della donna, sospettava che avrebbe potuto mordere di nuovo. Thom si strofinava i baffi furiosamente, rosso in viso per lo sforzo di non ridere. Sapeva cosa era accaduto. Lo sapeva. E non appena lei fosse andata via senza dubbio avrebbe regalato a Luca la sua versione dei fatti. Gli uomini non potevano fare a meno di spettegolare. Era connaturato in loro dalla nascita e le donne non potevano fare nulla per liberarli da quel difetto.

La luce del giorno era meno forte di quel che pensava. Il sole era rosso sopra le cime degli alberi a occidente. «Se ci riprovi ancora senza un’illuminazione migliore...» gridò scuotendo un pugno davanti al viso di Thom. «È quasi il crepuscolo!»

«Immagino» rispose l’uomo sollevando le sopracciglia irsute «che tu non voglia parlare del fatto che anche io ero bendato.» Chiaramente stava scherzando. «Come desideri, Nana. Da adesso in poi, solo nella luce migliore.»

Solo quando si allontanò a grandi passi sistemandosi furiosamente la gonna si rese conto di aver acconsentito di sottoporsi a quella sciocchezza. Almeno indirettamente. Avrebbero cercato di farle mantenere la promessa, con la stessa certezza con cui il sole sarebbe tramontato quella sera. Sciocca, sciocca, sciocca donna!

La radura dove loro — o almeno Thom, che fossero folgorati lui e quel maledetto Luca! — si esercitavano non era molto lontana dal campo, poco oltre la strada per il Nord. Senza dubbio Luca non voleva che gli animali fossero disturbati se Thom le avesse trafitto il cuore con un pugnale. L’uomo probabilmente avrebbe nutrito i leoni con il suo corpo. E voleva che indossasse quell’abito solo per guardare quello che lei non aveva intenzione di mostrare a nessuno tranne Lan, che fosse folgorato anche lui, per essere uno sciocco uomo ostinato. Desiderava che fosse con lei per potergli dire quello che pensava. Voleva che fosse con lei per essere certa che si trovasse al sicuro. Spezzò un ramo morto di finocchio canino e usò la lunghezza del suo stelo piumato come una frusta per scansare le erbacce che spuntavano fra le foghe in terra. L’altra notte, aveva raccontato Elayne, Egwene le aveva parlato di un combattimento a Cairhien, schermaglie con dei briganti, con i Cairhienesi che vedevano ogni Aiel come un nemico e i soldati andorani che tentavano di reclamare il trono del Sole per Morgase. Lan vi era coinvolto. Non appena Moiraine lo perdeva di vista, finiva in mezzo a una battaglia, come se avvertisse dove si sarebbe svolta. Nynaeve non avrebbe mai pensato di volere che l’Aes Sedai si tenesse stretto Lan.

La mattina seguente Elayne era ancora disturbata all’idea dei soldati di sua madre a Cairhien, che combattevano contro gli Aiel di Rand, ma Nynaeve era preoccupata dei briganti. Secondo Egwene, se uno di essi era solo accusato di furto o di omicidio o di devastazione veniva impiccato da Rand. Non metteva di persona le mani sulla corda, ma era la stessa cosa ed Egwene diceva che assisteva a ogni esecuzione con il viso freddo e duro come le montagne. Non era tipico di Rand. Era stato un ragazzo gentile. Qualsiasi cosa gli fosse accaduta nel deserto lo aveva reso peggiore.

Be’, Rand era lontano e i problemi suoi e di Elayne non erano prossimi alla soluzione. Il fiume Eldar era a meno di un chilometro a nord, scavalcato da un solo ponte di pietra costruito fra alti pilastri che brillavano senza nemmeno una traccia di ruggine. Senza dubbio residui di un’altra epoca, forse di un’altra era. Vi era salita a mezzogiorno, proprio dopo il loro arrivo, ma non c’era una sola imbarcazione nel fiume che onorasse quel nome. Barche a remi, piccoli scafi dei pescatori che lavoravano lungo il canneto sulle rive, alcuni strani minuscoli gusci che scivolavano sull’acqua mentre un uomo inginocchiato remava; anche una grossa chiatta che sembrava ormeggiata nel fango, se ne vedeva molto su entrambe le fiancate, una parte secca e screpolata, eppure non era una sorpresa, con quel caldo fuori stagione, ma nulla che potesse portarla velocemente a fondovalle come voleva. Non che sapesse dove fosse diretta.

Pur sforzandosi, non riusciva a ricordare il nome della città dove dovevano trovarsi le Sorelle Azzurre. Nynaeve colpiva selvaggiamente le erbacce e dei piccoli piumini bianchi svolazzavano in giro. Probabilmente le donne non si trovavano più in quel luogo, se mai vi erano state. Ma era l’unico indizio di un posto sicuro che non fosse Tear. Se solo fosse riuscita a rammentarlo.

L’unica cosa buona di quel viaggio verso nord era che Elayne aveva smesso di amoreggiare con Thom. Non c’era stato neanche un incidente da quando si erano unite allo spettacolo. Almeno, sarebbe andato bene se Elayne non avesse preteso di fare finta di nulla. Il giorno prima Nynaeve si era complimentata con lei per aver finalmente messo la testa a posto, ed Elayne le aveva risposto freddamente, «Stai cercando di scoprire se mi frapporrò fra te e Thom, Nynaeve? È piuttosto vecchio per te e pensavo che il tuo affetto fosse rivolto altrove, ma sei abbastanza grande per decidere da sola. Sono affezionata a Thom, come credo lui lo sia a me. Lo considero un secondo padre. Se vuoi amoreggiare con lui, hai il mio permesso. Ma ero convinta che fossi più fedele.»

Luca voleva oltrepassare il fiume al mattino e Samara, la città dall’altro lato, nel Ghealdan, non era il luogo giusto dove trovarsi. L’uomo aveva trascorso la maggior parte del giorno fin dal loro arrivo a Samara, assicurandosi un posto per lo spettacolo. Temeva solo che un certo numero di altri serragli ambulanti lo avesse preceduto e non era l’unico ad avere altro oltre gli ammali. Per quello aveva insistito che Thom che si cimentasse nel lancio dei pugnali. Era fortunata che non volesse farglielo fare sulle funi con Elayne. Sembrava credere che la cosa più importante del mondo fosse rendere il suo spettacolo più grande e migliore degli altri. Per quanto la riguardava, la cosa più preoccupante era che il Profeta si trovava a Samara, con i suoi seguaci che affollavano le vie e riempivano le tende, i rifugi e le baracche attorno, una seconda città che superava Samara, anche se era grande. Aveva delle alte mura di cinta in pietra come la maggior parte degli edifici, alcuni anche di tre piani, e c’erano più tetti di ardesia o tegole che di paglia.

L’altro lato dell’Eldar non era migliore. Avevano oltrepassato tre accampamenti dei Manti Bianchi prima di raggiungere la loro meta, centinaia di tende bianche in file precise, e ce ne dovevano essere altri che non avevano visto. I Manti Bianchi da quel lato del fiume, il Profeta, forse una sommossa che poteva scatenarsi da un momento all’altro sulla riva opposta e lei non aveva idea di dove andare e nessun modo per arrivarci, tranne con un carro ondeggiante che non si muoveva più veloce di quanto lei riuscisse a camminare. Non avrebbe mai dovuto lasciarsi convincere da Elayne ad abbandonare la carrozza. Senza vedere una sola erbaccia vicina, spezzò a metà il finocchio canino, poi di nuovo, finché i frammenti non furono più grandi della sua mano, quindi li lanciò a terra. Avrebbe voluto fare lo stesso a Luca. E a Galad Damodred, per averle fatte scappare a quel modo. E ad Al’Lan Mandragoran, per non essere lì. Non che avesse bisogno di lui. Ma la sua presenza sarebbe stata di... conforto.

L’accampamento era tranquillo, con le cene che venivano preparate su piccoli fuochi di fianco ai carri. Petra dava da mangiare a un leone dal manto nero, lanciandogli grandi pezzi di carne attraverso le sbarre con l’aiuto di un bastone. Le leonesse erano già accucciate sopra i loro compagni, ruggendo occasionalmente se qualcuno si avvicinava troppo alle gabbie. Nynaeve si fermò vicino al carro di Aludra. L’Illuminatrice stava armeggiando con un mortaio di legno e un pestello su un tavolo sistemato da un lato del carro, brontolando su qualsiasi cosa stesse mescolando. Tre dei Chavanas sorrisero a Nynaeve per invitarla, facendole cenno di unirsi a loro. Non Brugh, che ancora aveva il labbro tumefatto, anche se Nynaeve gli aveva dato un balsamo per togliere il gonfiore. Forse, se avesse colpito allo stesso modo anche gli altri, avrebbero dato ascolto a Luca — e meglio ancora, a lei! — e si sarebbero resi conto che lei non gradiva i loro sorrisi. Era un peccato che il signor Valan Luca non potesse seguire le proprie istruzioni. Latelle si voltò dalla gabbia degli orsi e le rivolse un sorriso teso, compiaciuto. Prevalentemente, però, Nynaeve fissava Cerandin, che limava le unghie di uno dei grossi s’redit con quello che sembrava un attrezzo per lavorare il metallo.

«Quella» disse Aludra, «usa le mani e i piedi con discreta abilità, ti pare? Non fissarmi così, Nana» aggiunse, pulendosi le mani. «Non sono tua nemica. Qui. Devi provare questi nuovi bastoncini che bruciano.»

Nynaeve prese circospetta la scatola di legno dalla donna con i capelli scuri. Era un cubo che avrebbe potuto tenere facilmente in una mano, ma le usò entrambe in ogni caso. «Credevo che li chiamassi batacchi.»

«Forse sì, forse no. ‘Bastoncini che bruciano’, spiega meglio di cosa si tratta piuttosto che ‘batacchi’, giusto? Ho levigato i buchi che li sostengono per cui non si incendia più il legno. Una buona idea, ti pare? E le capocchie sono di un nuovo composto. Li proverai e mi farai sapere cosa ne pensi?»

«Sì, certo. Grazie.»

Nynaeve si sbrigò prima che la donna le infilasse in mano un’altra scatola. Teneva l’oggetto come se potesse esplodere, non era sicura che non sarebbe accaduto. Aludra faceva provare a tutti i bastoncini, o batacchi, o in qualsiasi modo avesse deciso di chiamarli. Di certo avrebbero acceso un fuoco o una lampada. Potevano anche incendiarsi se le capocchie grigio azzurre si sfregavano l’un l’altra o su qualsiasi altra superficie ruvida. Lei avrebbe preferito continuare a usare l’acciarino, o un pezzo di carbone ben conservato in una scatola di sabbia. Molto più sicuro.

Prima che riuscisse a mettere piede sugli scalini del carro che condivideva con Elayne, si imbatté in Juilin con lo sguardo diretto sull’occhio gonfio. La donna lo fissò così severamente che quello fece un passo indietro e si tolse il ridicolo cappello conico dalla testa. «Sono andato oltre il fiume» disse. «Ci sono centinaia di Manti Bianchi a Samara. Guardano e vengono guardati dai soldati del Ghealdan. Ma ne ho riconosciuto uno. Il giovane che sedeva dall’altro lato della Luce della Verità a Sienda.»

La donna gli sorrise e questi fece un altro passo indietro, fissandola circospetto. Galad a Samara. Di questo avevano bisogno. «Porti sempre delle bellissime notizie, Juilin. Avremmo dovuto lasciarti a Tanchico o, meglio ancora, ai moli di Tear.» Non era affatto giusto. Era preferibile che le avesse parlato di Galad piuttosto che svoltare un angolo e incontrarlo. «Grazie, Juilin. Almeno adesso sappiamo che dobbiamo tenerlo d’occhio.» Il cenno del capo dell’uomo era una risposta appena appropriata per dei ringraziamenti così sentiti, quindi si allontanò rapido rimettendosi il cappello, come se si aspettasse che la donna lo colpisse. Gli uomini non conoscevano le buone maniere.

L’interno del carro era molto più pulito di quando Thom e Juilin lo avevano comperato. La vernice scrostata era stata rimossa — gli uomini avevano protestato nel farlo — e le credenze e il tavolino fissato al pavimento erano stati lucidati fino a brillare. La piccola stufa di mattoni con il camino di metallo non la usavano mai — le notti erano abbastanza calde, e se avessero iniziato a cucinare all’interno Thom e Juilin non avrebbero mai fatto il loro turno — ma era un buon nascondiglio per i loro beni, la borsa con il denaro e il cofanetto con i gioielli. Come anche il sacchetto di pelle con il sigillo, che aveva infilato in fondo e non aveva più toccato da allora.

Elayne, seduta su uno dei piccoli letti, stava mettendo qualcosa sotto le coperte quando Nynaeve era entrata, ma prima che potesse chiedere di cosa si trattava, esclamò, «Il tuo occhio! Che cosa ti è accaduto?» Era ora che si lavassero di nuovo i capelli con il pepegallina, alle radici si vedeva un debole colore dorato. Andava ripetuto dopo alcuni giorni.

«Cerandin mi ha colpita mentre non stavo guardando» mormorò Nynaeve. Quindi rammentò il sapore della felcegatta bollita e la polvere di foglia dell’intenditore che le fecero arricciare la lingua. Non era la ragione per cui aveva deciso che Elayne si recasse all’ultimo appuntamento nel tel’aran’rhiod. Non stava evitando Egwene. Era solo che lei compiva la maggior parte dei viaggi nel Mondo dei Sogni ed era giusto dare la possibilità a Elayne di andare. Era tutto.

Con attenzione ripose la scatola con i bastoncini per il fuoco in una delle credenze, vicino ad altre due. Quella che si era incendiata l’aveva buttata da tempo.

Ignorava il motivo per cui stava nascondendo la verità. Elayne ovviamente non era stata fuori dal carro, altrimenti ne sarebbe venuta a conoscenza. Lei e Juilin probabilmente erano i soli nel campo a non sapere, adesso che Thom aveva certamente rivelato tutti i dettagli a Luca.

Inspirando profondamente si sedette sull’altro letto e si costrinse a guardare Elayne negli occhi. Qualcosa nella calma dell’altra le diceva che era consapevole che le avrebbe rivelato dell’altro.

«Ho chiesto a Cerandin delle damane e sul’dam. Sono sicura che ne sappia più di quanto non sembri.» Fece una pausa per dare modo a Elayne di esprimere i suoi dubbi, per replicare che la donna seanchan le aveva già detto tutto quello che conosceva, che non aveva frequentato molto damane e sul’dam. Ma Elayne rimase in silenzio e Nynaeve si rese conto che stava solo sperando di posticipare il momento della discussione. «Si è arrabbiata per non saperne di più, per cui l’ho scossa. Hai davvero esagerato con lei. Ha agitato un dito sotto al mio naso!» Elayne ancora la guardava, quegli occhi freddi e azzurri non battevano nemmeno. Nynaeve si limitò a non distogliere lo sguardo mentre proseguiva. «Lei... è riuscita a farmi volare sopra le spalle. Mi sono alzata e l’ho schiaffeggiata, lei mi ha presa a pugni. Così mi sono fatta quest’occhio.» Tanto valeva confessare il resto, Elayne lo avrebbe presto sentito. Avrebbe preferito farle una linguaccia. «Chiaramente non volevo fermarmi lì. Ci siamo azzuffate un altro po’.» Non molto da parte sua, anche se aveva rifiutato di arrendersi. L’amara verità era che Cerandin aveva semplicemente smesso di rigirarla e ingannarla perché era come prendersela con un bambino. Se nessuno avesse guardato avrebbe potuto incanalare, di certo era abbastanza arrabbiata. Se nessuno avesse guardato. Desiderava che Cerandin l’avesse coperta di pugni fino a farla sanguinare. «A quel punto Latelle le ha dato un bastone. Sai, quella donna vuole vendicarsi di me.» Certamente non c’era bisogno di dire che Cerandin l’aveva tenuta a capo chino sopra una parte del carro per tutto il tempo. Nessuno l’aveva maltrattata a quel modo da quando a sedici anni aveva tirato una brocca d’acqua contro Neysa Ayellin. «In ogni caso Petra l’ha fermata.» Appena in tempo. Il grosso uomo le aveva afferrate entrambe per la collottola, come gattini. «Cerandin ha chiesto scusa e questo è tutto.» Petra aveva costretto la donna seanchan a chiedere scusa, ma aveva preteso lo stesso da Nynaeve, rifiutandosi fino ad allora di lasciare la gentile ma ferrea presa sul collo. Lo aveva colpito con il massimo della forza, proprio nello stomaco, e non aveva battuto ciglio. Anche la mano sembrava. «Non c’è molto altro da raccontare. Immagino che Latelle cercherà di diffondere per conto suo una storia con delle aggiunte inventate. Lei avrei dovuto scuotere. Non l’ho picchiata abbastanza forte.»

Dopo aver detto la verità si sentiva meglio, ma sul viso di Elayne era dipinta una strana espressione che la spinse a cambiare argomento. «Che cosa stavi nascondendo?» Si protese e tirò indietro la coperta, rivelando la lunghezza argentea di un a’dam che avevano avuto da Cerandin. «Perché, per la Luce, lo volevi guardare? E poi perché nasconderlo? È uno sporco oggetto e non riesco a capire come fai a toccarlo, ma se vuoi, dipende solo da te.»

«Non adoperare quel tono così compassato» le rispose Elayne. Sul suo volto si affacciò un lento sorriso. con una parvenza di eccitazione. «Credo di poterne creare uno.»

«Crearne uno!» Nynaeve abbassò la voce, sperando che non arrivasse nessuno di corsa a vedere chi stava uccidendo chi, ma non la addolcì. «Luce, perché? Scava prima un pozzo nero. Qualcosa per la raccolta dei rifiuti. Almeno per quelli c’è un uso decente.»

«Non voglio creare un a’dam.» Elayne stava in piedi eretta, con il mento sollevato in quella sua maniera fredda. Sembrava offesa eppure calma. «Ma è un ter’angreal e ho capito come funziona. Ho visto che hai frequentato almeno una lezione su come si creano le connessioni. L’a’dam collega le due donne, per questo anche la sul’dam deve essere in grado di incanalare.» Aggrottò leggermente le sopracciglia. «È uno strano legame. Diverso. Invece di una o più condivisioni con una guida, si tratta di una sola persona che assume tutto il controllo. Credo sia il motivo per cui una damane non può fare nulla che una sul’dam non voglia. Non credo che ci sia realmente bisogno di un guinzaglio. Il collare e il bracciale lavorerebbero altrettanto bene anche senza e allo stesso modo.»

«Lavorare altrettanto bene» ripeté asciutta Nynaeve. «Hai studiato la questione molto accuratamente per essere una che non ha intenzione di fabbricarne un altro.» La donna non ebbe nemmeno il pudore di arrossire. «Per cosa lo useresti? Non posso dire che disapproverei se mettessi un collare a Elaida, ma questo non rende meno disg...»

«Non capisci?» la interruppe Elayne, senza più una traccia di arroganza, rimpiazzata dall’eccitazione e il fervore. Si protese in avanti e poggiò una mano sul ginocchio di Nynaeve mentre le brillavano gli occhi, era compiaciuta con se stessa. «È un ter’angreal, Nynaeve. E credo di poterne fabbricare uno.» Pronunciò ogni parola lentamente e deliberatamente, quindi rise e proseguì. «Se posso fare questo, posso anche farne altri. Forse anche angreal e sa’angreal. Nessuna nella Torre ne è stata in grado per millenni!» Alzandosi rabbrividì e mise le dita davanti la bocca dell’amica. «Non avevo mai pensato di crearne uno prima d’ora. Nulla di utile. Ricordo di aver visto lavorare un artigiano una volta, un uomo che aveva costruito delle sedie per il palazzo. Non erano dorate o elaborate, erano destinate ai servitori, ma potevo leggere l’orgoglio nei suoi occhi. Per quello che aveva creato, un oggetto ben fatto. Mi piacerebbe provare quella sensazione, credo. Oh, se solo sapessimo una frazione di quello che sanno i Reietti. Hanno la conoscenza dell’Epoca Leggendaria nella loro testa, e la usano per servire l’Ombra. Pensa cosa potremmo compiere. Pensa a cosa potremmo realizzare.» Inspirò profondamente lasciando ricadere le mani in grembo, il suo entusiasmo era solo appena diminuito. «Forse riuscirei a capire come è stata costruita Ponte Bianco. Palazzi che sembrano di vetro soffiato, ma più forti dell’acciaio. E il cuendillar. o...»

«Calmati» le rispose Nynaeve. «Ponte Bianco è ad almeno mille chilometri da qui e se credi di poter incanalare sul sigillo, pensaci meglio. Chi sa cosa potrebbe accadere? Quello resta nel sacchetto dentro la stufa, finché non troveremo un altro posto sicuro per nasconderlo.»

L’impazienza di Elayne era strana. A Nynaeve non sarebbe dispiaciuto avere la conoscenza dei Reietti, certo, ma se voleva una sedia, pagava il falegname. Non aveva mai voluto fabbricare nulla, tranne impiastri e linimenti. A dodici anni, la madre aveva smesso di insegnarle a cucire, quando divenne chiaro che a Nynaeve non interessava se andava dritta o meno. Per quanto riguardava il cucinare... riteneva di essere una brava cuoca, ma lei sapeva cosa era davvero importante. Guarire. Qualsiasi uomo era in grado costruire un ponte e lei diceva sempre di lasciarglielo fare con piacere.

«Con te e il tuo a’dam» proseguì, «mi sono quasi dimenticata di dirti una cosa. Juilin ha visto Galad dall’altro lato del fiume.»

«Sangue e maledette ceneri» imprecò Elayne e, quando Nynaeve sollevò un sopracciglio, aggiunse con gran fermezza, «non ascolterò una lezione sul mio linguaggio, Nynaeve. Cosa facciamo adesso?»

«Per come la vedo io, potremmo rimanere da questa sponda del fiume con i Manti Bianchi che ci osservano e si chiedono perché abbiamo lasciato il serraglio ambulante, o possiamo passare il fiume sperando che il Profeta non scateni una sommossa e Galad non ci denunci, o cercare di comperare una barca a remi e fuggire a fondovalle. Non sono delle belle prospettive. E Luca vorrà i suoi cento marchi. D’oro.» Cercò di non mostrarsi corrucciata, ma quella faccenda ancora non le andava giù. «Glieli hai promessi e suppongo che non sarebbe onesto scappare senza pagarlo.» Non ci avrebbe pensato un minuto se ci fosse stato un posto dove fuggire.

«Certo che non lo sarebbe» rispose Elayne con l’aria scioccata. «Ma non dobbiamo preoccuparci di Galad, almeno non fino a quando resteremo vicine al serraglio. Galad non ci si avvicinerà. Ritiene che mettere gli animali in gabbia sia crudele. Non gli dispiace dar loro la caccia, o mangiarli, solo metterli in gabbia.»

Nynaeve scosse il capo. La verità era che Elayne avrebbe trovato il modo di rimandare, anche solo di un giorno, se vi fosse stato un altro sistema per andare via. La donna voleva davvero camminare sulla corda davanti a gente che non fossero gli altri artisti. E probabilmente avrebbe lasciato che Thom le lanciasse contro dei pugnali. Però non indosserò il maledetto vestito! si disse.

«La prima imbarcazione che arriva abbastanza larga da caricare quattro persone» disse «la noleggeremo. Il commercio lungo il fiume non può essersi fermato di colpo.»

«Sarebbe d’aiuto se sapessimo dove ci stiamo recando.» Il tono di voce dell’altra donna era troppo gentile. «Potremmo dirigerci semplicemente verso Tear. Non dobbiamo ostinarci su questa decisione solo perché tu...» si interruppe, ma Nynaeve sapeva cosa voleva dire. Solo perché sei caparbia. Solo perché era incredibilmente furiosa di non riuscire a rammentare un nome che cercava di ricordare a ogni costo per poi andarci anche se ne fosse morta. Be’, nulla di tutto questo era vero. Voleva trovare quelle Aes Sedai che potevano aiutare Rand e condurla da lui, non raggiungere Tear come una patetica rifugiata in fuga per la salvezza.

«Mi verrà in mente» disse atona. Finiva con ‘bar.’ O era ‘dar’? ‘Lar’? «Prima che ti stanchi di pavoneggiarti sulla corda, ci riuscirò.» E non indosserò quel vestito!

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