51 Novità giungono a Cairhien

Un sottile filo di fumo azzurro saliva dalla semplice pipa dal corto cannello che aveva fra i denti; Rand aveva appoggiato una mano sulla balaustra di pietra del balcone e scrutava il giardino sottostante. Le ombre sottili stavano allungandosi, il sole era una sfera rossa che scendeva in picchiata attraverso un cielo senza nuvole. Dieci giorni a Cairhien e questo era il primo momento in cui si fermava quando non era addormentato. Selande gli stava vicina, con il viso pallido inclinato per guardare lui, non il giardino. I capelli non erano acconciati in modo elaborato come quelli di una donna di rango più elevato, ma aggiungevano comunque trenta centimetri alla sua statura. Cercò di ignorarla, ma era difficile con una donna che insisteva a premere il seno contro il tuo braccio. La riunione era durata molto a lungo e adesso desiderava riposarsi. Aveva capito che era stato un errore fin dal momento in cui Selande lo aveva seguito.

«Conosco uno stagno appartato» disse sottovoce. «Dove forse potremmo sfuggire a questo caldo. Uno stagno riparato, dove nulla ci disturberebbe.» La musica dell’arpa di Asmodean proveniva dagli archi squadrati alle loro spalle. Qualcosa di leggero, un suono fresco.

Rand soffiò il fumo con maggior vigore. Il caldo. Nulla a confronto del deserto. Doveva giungere l’autunno, eppure quel pomeriggio sembrava estate profonda. Un’estate senza pioggia.

Alcuni uomini nel giardino che indossavano solo la camicia stavano annaffiando con dei secchi, attività che svolgevano nelle ultime ore della giornata per evitare che l’acqua evaporasse, ma troppe piante erano secche o morenti. Quel tempo non era naturale. Il sole cocente era insolito. Moiraine era d’accordo, come anche Asmodean, ma nessuno sapeva cosa fare o come, compreso lui. Sammael. Sammael avrebbe potuto fare qualcosa.

«Acqua fresca» mormorò Selande, «tu e io da soli.» Si fece più vicina, anche se Rand non capiva come fosse possibile. Si chiese quando sarebbe giunto il prossimo scherzo. Nessun moto d’ira, qualsiasi cosa avesse fatto Sammael. Una volta che la sua opera metodica a Tear fosse terminata, allora avrebbe rilasciato il fulmine. Un colpo schiacciante per porre fine a Sammael e aggiungere allo stesso tempo Illian nell’affare. Con Illian, Tear e Cairhien, più un esercito aiel abbastanza grande da sopraffare qualsiasi nazione nell’arco di poche settimane, lui...

«Non ti piacerebbe nuotare? Io non nuoto bene, ma di certo mi insegnerai.»

Rand sospirò. Per un momento desiderò che Aviendha fosse con lui. No. L’ultima cosa che voleva era una Selande livida che andava in giro correndo con gli abiti stracciati.

Proteggendosi gli occhi Rand guardò in basso verso la donna e parlò con calma, la pipa fra i denti. «Posso incanalare.» La donna batté le palpebre tirandosi indietro senza muovere un muscolo. Non capivano mai perché ne parlava, per loro era qualcosa su cui sorvolare, da ignorare possibilmente. «Dicono che impazzirò, ma ancora non è successo. Non ancora.» Rise profondamente, quindi si interruppe di colpo e divenne impassibile. «Insegnarti a nuotare? Posso tenerti a galla con il Potere. Laidi è contaminato come sai. Il tocco del Tenebroso. Tu però non lo sentirai.» Un’altra risata, con un accenno di respiro affannato. Gli occhi scuri della donna erano sbarrati, il sorriso paralizzato. «Allora a dopo. Voglio restare da sola per pensarci...» Rand si chinò su di lei come se volesse baciarla ma con un grido stridulo lei gli rivolse la riverenza così improvvisamente che all’inizio Rand pensò che le gambe della donna fossero collassate.

Allontanandosi, facendo una riverenza a ogni passo, bofonchiò qualcosa circa l’onore di servirlo, del suo più profondo desiderio di farlo, tutto con la voce sull’orlo dell’isteria, fino a quando non andò a finire contro uno degli archi squadrati. Un’ultima riverenza e la donna scomparve nel palazzo.

Facendo una smorfia Rand si voltò di nuovo verso la ringhiera. Spaventare le donne. La donna sarebbe andata via se le avesse chiesto di farlo, avrebbe preso la richiesta solo come un temporaneo rifiuto a meno che non le avesse detto di sparire, e anche allora... forse stavolta la storia si sarebbe diffusa. Doveva tenere a bada il temperamento, adesso perdeva la pazienza con troppa facilità. Per la siccità non poteva fare nulla, i problemi saltavano fuori come erbacce ovunque guardasse. Ancora qualche momento da solo con la sua pipa. Chi vorrebbe governare una nazione potendo avere un lavoro più semplice, come portare acqua in cima a una collina dentro a un setaccio?

Oltre il giardino, fra le due torri con le scale del palazzo reale, si vedeva Cairhien, coperta di luci e ombre nette, più che scivolare sulle colline parevano sovrastarle. La bandiera cremisi con l’antico simbolo Aes Sedai pendeva floscia sopra una delle due torri, una copia allungata della bandiera del Drago issata sopra l’altra. La seconda torre si estendeva per una dozzina di passi sopra la città, inclusa la più alta di quelle incomplete, proprio di fronte a lui. Gridare era servito a poco come anche dare ordini. Né i Tarenesi né i Cairhienesi credevano che volesse davvero tenerne una sola e agli Aiel non importava nulla delle bandiere.

Anche adesso, dentro al palazzo, poteva sentire il brusio provenire dalla città zeppa di persone. Rifugiati da ogni angolo della terra, più spaventati di fare ritorno alle terre d’origine che d’essere vicino al Drago Rinato. I mercanti che si infilavano ovunque, vendendo qualsiasi cosa la gente potesse permettersi di comperare e comprando qualsiasi cosa che la gente non poteva permettersi di tenere. Lord e uomini armati che si radunavano sotto la sua bandiera o qualche altra. Cercatori del Corno che pensavano lo avrebbero trovato vicino a lui, una dozzina di abitanti del passaggio Anteriore, o forse un centinaio, pronti a venderlo a uno qualsiasi di loro. I manovali ogier che erano giunti da Stedding Tsofu per vedere se c’era lavoro per le loro mitiche capacità. Avventurieri, alcuni che forse fino a una settimana prima erano banditi, venuti a controllare cosa potevano arraffare. C’era anche stato un centinaio di Manti Bianchi, andati via non appena avevano capito che l’assedio era stato rimosso. Forse l’adunata dei Manti Bianchi ordinata da Pedron Niall lo riguardava. Egwene gli dava dei consigli, ma vedeva le situazioni dal punto di vista della Torre Bianca, per chiunque lei parteggiasse. Il punto di vista delle Aes Sedai non era il suo.

Almeno le carovane di carri piene di grano stavano iniziando ad arrivare da Tear con una certa regolarità. La gente affamata poteva scatenare una sommossa. Desiderava semplicemente lasciare il grano e rallegrarsi che non fossero più tanto affamati, ma non poteva. I banditi erano pochi. La guerra civile non era ricominciata. Ancora. Altre buone notizie. Doveva accertarsi che le cose non cambiassero. Altre buone notizie. Doveva accertarsi che rimanesse così prima di poter inseguire Sammael. Rhuarc e Bael erano i soli capi di cui ancora si fidava, quelli che avevano marciato dal Rhuidean insieme a lui. Ma se non poteva fidarsi degli altri quattro clan che si erano uniti per la marcia verso Tear, poteva fidarsi di loro liberi dentro Cairhien? Indirian e gli altri lo avevano accettato come car’a’carn, ma lo conoscevano poco e lui non conosceva loro. Il messaggio di quella mattina poteva essere un problema. Berelain, la Prima di Mayene, si trovava solo a poche centinaia di chilometri dalla città, mentre si apprestava a raggiungerlo con un piccolo esercito. Non aveva idea di come lo avesse guidato attraverso Tear. Stranamente, nella sua lettera aveva chiesto se Perrin si trovasse con lui. Senza dubbio temeva che Rand potesse dimenticare la sua piccola nazione se non rimaneva con lui. Sarebbe quasi stato un piacere vederla gareggiare con le Cairhienesi; le ultime si erano presentate con una lunga processione di Prime che erano riuscite a evitare che Tear ingoiasse la nazione giocando il Gioco delle Casate. Forse se l’avesse messa in carica qui... Avrebbe portato Meilan e gli altri Tarenesi con lui quando fosse giunto il momento. Se mai fosse giunto.

Ma aveva i suoi problemi anche all’interno. Rimuovendo il tabacco consumato dalla pipa spense le ultime scintille con la suola dello stivale. Non c’era bisogno di rischiare un fuoco in giardino, sarebbe divampato come una torcia. La siccità. Il clima innaturale. Si rese conto che stava ringhiando. Doveva lavorare sulle cose che era in grado di modificare. Dovette fare uno sforzo per assumere un’espressione calma prima di rientrare.

Asmodean, vestito bene come un lord, con delle cascate di merletto attorno al collo, suonava un motivo rilassante seduto su uno sgabello in un angolo, appoggiato contro i pannelli scuri come se potesse prendersela comoda. Gli altri che erano seduti balzarono in piedi non appena apparve Rand e tornarono a sedersi dopo un suo gesto. Meilan, Torean e Aracome occupavano sedie scolpite e dorate da un lato del tappeto rosso scuro, ognuno con un giovane lord tarenese dietro le spalle, davanti ai Cairhienesi dall’altro lato. Dobraine e Maringil avevano dei giovani lord a fargli compagnia, ognuno con la parte anteriore del cranio rasata e incipriata, come Dobraine. Selande dal viso pallido era seduta alle spalle di Colavaere; cominciò a tremare quando Rand guardò nella sua direzione.

Dominandosi, Rand si diresse a grandi passi verso la sua sedia. Era l’unico motivo per cui si dominava. Era un nuovo regalo di Colavaere e gli altri due, nello stile di Tairen. Forse gli piaceva la vistosità tarenese, governava Tear e li aveva inviati qui. Era sostenuta da draghi scolpiti, tutti rossi e oro, a smalto e doratura, al posto degli occhi avevano dei grandi rubini. Due formavano i braccioli e altri ancora risalivano l’alto schienale. Un numero considerevole di artigiani dovevano aver perso il sonno per costruire quell’oggetto. Rand si sentiva uno sciocco a sedercisi sopra. La musica di Asmodean era cambiata, adesso era grandiosa, una marcia trionfale. Eppure negli occhi dei Cairhienesi c’era una maggiore diffidenza, che rifletteva quella dei Tarenesi. L’aveva notata anche prima di uscire. Forse nel tentativo di entrare nelle sue grazie avevano commesso un errore di cui si rendevano conto solo ora. Tutti cercavano di ignorare cosa fosse Rand, facevano finta che fosse un semplice ragazzo che potevano tenere sotto controllo e manipolare. Quella sedia, quel trono, mostrava loro chi era in realtà.

«Quei soldati stanno procedendo come deciso, lord Dobraine?» Il suono dell’arpa scomparve non appena incominciò a parlare. Asmodean lo osservava con attenzione.

L’uomo dal viso rugoso sorrise torvo. «Sì, mio lord Drago.» Niente altro che questo. Rand non si illudeva che lord Dobraine lo apprezzasse come anche gli altri, o che non avrebbe provato a trarne vantaggio quando avesse potuto, ma Dobraine sembrava effettivamente pronto a tenere fede al giuramento che aveva prestato. Le strisce colorate davanti alla giacca erano logore per via del pettorale di metallo che vi era sempre legato sopra.

Maringil si avvicinò alla sua sedia, snello e alto per essere un Cairhienese, con i capelli bianchi che gli arrivavano quasi alle spalle. Non era rasato, e la giubba, con le strisce di colore che arrivavano quasi alle ginocchia, non era consumata. «Abbiamo bisogno di quegli uomini qui da noi, mio lord Drago.» Gli occhi di falco lampeggiarono alla vista del trono, quindi ritornarono su Rand. «Ci sono ancora molti banditi in giro.» Cambiò di nuovo posizione, per non dover guardare i Tarenesi. Meilan e gli altri sorrisero debolmente.

«Ho mandato gli Aiel a caccia di banditi» rispose Rand. Avevano ordine di spazzare via tutti i briganti in cui si imbattessero. Ma di non andare fuori strada per cercarli. Perfino gli Aiel non potevano farlo senza rallentare. «Mi è stato riferito che tre giorni fa i Cani di Pietra hanno ucciso circa duecento banditi vicino Morelle.» Era il confine più a sud dichiarato da Cairhien negli ultimi anni, a metà strada dal fiume Iralell. Non c’era bisogno di lasciare che questo bel gruppetto sapesse che gli Aiel adesso forse si trovavano presso il fiume. Potevano coprire lunghe distanze più velocemente dei cavalli.

Maringil insisté, aggrottando le sopracciglia a disagio. «C’è un altro motivo. Metà delle nostre terre a est dell’Alguenya sono nelle mani di Andor.» Esitò. Tutti sapevano che Rand era cresciuto in Andor, si diceva che fosse il figlio di una casata andorana o anche che fosse figlio di Morgase, cacciato perché poteva incanalare o fuggito perché altrimenti lo avrebbero domato. Quest’uomo magrissimo proseguì come se stesse camminando fra dei pugnali scalzo e bendato. «Non sembra che Morgase voglia conquistare altro per ora, ma dobbiamo riprenderci quello che ha già preso. I suoi araldi hanno anche proclamato il diritto a...» si fermò di colpo. Nessuno di loro sapeva a chi Rand voleva assegnare il trono del Sole. Forse proprio a Morgase.

Gli occhi scuri di Colavaere avevano recuperato equilibrio davanti a Rand. La donna aveva parlato poco sino ad allora. Non lo avrebbe fatto finché non avesse scoperto perché il volto di Selande era così pallido.

Rand si sentì improvvisamente stanco dei rifiuti dei nobili e di tutte quelle manovre del Daes Dae’mar. «Mi occuperò delle pretese di Andor su Cairhien quando avrò tempo. Quei soldati andranno a Tear. Seguirai il buon esempio e l’obbedienza del sommo signore Meilan, e non voglio più sentirne parlare.» Si rivolse di scatto verso i Tarenesi. «Il tuo esempio è buono, Meilan, non è vero? E il tuo, Aracome? Se vado via domani, non troverò mille difensori della Pietra accampati a dieci chilometri a sud mentre invece dovrebbero essere in marcia verso Tear già da due giorni, vero? O duemila uomini armati di diverse casate tarenesi?»

I vaghi sorrisi scomparvero a quelle parole. Meilan si immobilizzò, gli occhi scuri che brillavano, e il viso sottile di Aracome impallidì, se a causa della rabbia o paura, era difficile dirlo. Torean si tamponò il viso butterato con un fazzoletto che aveva estratto dalla manica. Rand governava Tear e voleva farlo sul serio. Callandor affondata nel Cuore delle Pietra lo dimostrava. Era il motivo per cui non avevano protestato contro l’invio dei soldati cairhienesi a Tear. Credevano di ottenere nuove tenute, forse dei reami qui, lontano da dove governava Rand.

«Non li troverai, mio lord Drago» disse lord Meilan alla fine. «Domani cavalcherò con te e potrai comprendere.»

Rand non ne dubitava. Un messaggero sarebbe stato inviato a sud non appena l’uomo fosse riuscito a organizzarsi e domani quei soldati sarebbero stati in marcia verso Tear. Per ora andava bene. «Ho finito, potete andare via.»

Alcuni sobbalzarono, mascherando la sorpresa; si alzarono tutti, inchinandosi e facendo riverenze, Selande e i giovani lord uscirono camminando all’indietro. Si erano aspettati di più. Un’udienza con il Drago Rinato era sempre lunga e tortuosa dal loro punto di vista, con lui che li piegava con fermezza nella direzione che voleva; o dichiarando che Tairen poteva reclamare terre a Cairhien senza sposarsi con una casata cairhienese, o rifiutando l’espulsione degli abitanti del passaggio Anteriore, o facendo rispettare leggi ai signori prima d’ora applicate solo alla gente comune.

Seguì Selande con lo sguardo per un momento. Non era la prima e nemmeno l’ultima in dieci giorni. Non la decima o la dodicesima. All’inizio Rand era tentato. Quando mandava via una donna snella, una paffuta la rimpiazzava; una alta o scura, in ogni caso per Cairhien, rimpiazzava una bassa e chiara. Una ricerca costante della donna che lo avrebbe soddisfatto. Le Fanciulle cacciavano quelle che provavano a intrufolarsi di notte nelle sue stanze, con fermezza ma più gentilmente di Aviendha. Aviendha interpretava la proprietà di Elayne su di lui con serietà quasi mortale. Eppure, con il suo senso dell’umorismo aiel trovava divertente tormentarlo. Aveva visto la soddisfazione sul viso della donna quando si era lamentato e aveva nascosto il viso mentre lei incominciava a spogliarsi per la notte. Rand avrebbe odiato quella serietà mortale se non avesse velocemente capito cosa si nascondeva dietro quella serie di dame graziose.

«Mia signora Colavaere?»

La donna si fermò non appena sentì il suo nome. Occhi freddi e calmi, nascosti sotto l’acconciatura elaborata di ricci scuri. Selande non ebbe scelta se non rimanere con lei, anche se era chiaramente riluttante a farlo come lo erano gli altri ad andare. Meilan e Maringil si inchinarono e uscirono per ultimi, così concentrati su lady Colavaere e cercando di capire perché le era stato chiesto di rimanere che non si erano accorti di essere fianco a fianco. I loro occhi erano identici, scuri e predatori.

La porta con i pannelli scuri si chiuse alle loro spalle. «Selande è una ragazza molto graziosa» disse Rand. «Ma alcuni preferiscono la compagnia di una donna più matura... più consapevole. Stasera cenerai con me, da sola, durante l’ora seconda. Attendo con piacere il momento dell’incontro.» Le fece cenno prima che la donna potesse rispondere. Se poteva. L’espressione della dama non era cambiata, ma la riverenza era leggermente instabile. Selande sembrava stupita. E infinitamente rilassata.

Una volta che la porta si richiuse dietro alle due donne, Rand reclinò il capo indietro e rise. Una risata dura, sardonica. Era stanco del Gioco delle Casate, per cui lo giocava senza pensare. Era disgustato con se stesso perché aveva spaventato una donna, e adesso ne aveva spaventata un’altra. Era un motivo sufficiente per ridere. Colavaere si trovava in piedi dietro la linea di giovani donne che si erano gettate su Rand. Trovare una compagna di letto per il lord Drago, una giovane donna che potesse manovrarlo tirando i fili e Colavaere avrebbe avuto un filo strettamente legato a Rand. Ma era un’altra donna che voleva infilargli nel letto, e forse anche far sposare. Adesso avrebbe sudato fino all’ora seconda. Certamente doveva sapere di essere carina, anche se non bella; se rifiutava tutte le ragazze che gli inviava, forse era perché ne voleva una con quindici anni in più.

E di certo non avrebbe osato dire di no all’uomo che avrebbe tenuto in pugno Cairhien. Quella notte sarebbe stata gradevole e forse questa idiozia sarebbe terminata. Aviendha probabilmente avrebbe tagliato la gola di qualsiasi donna scoprisse nel suo letto, inoltre non aveva tempo per tutte queste colombelle che si spaventavano facilmente, convinte di sacrificarsi per Cairhien e Colavaere. C’erano troppi problemi di cui occuparsi e non aveva tempo.

Luce, cosa faccio se Colavaere decide che vale la pena sacrificarsi? pensò. Avrebbe potuto. La donna aveva dimostrato sangue freddo. Allora devo fare in modo che sia freddezza mista a paura. Non sarebbe stato difficile. Poteva percepire saidin come qualcosa appena dietro l’angolo. Poteva anche avvertirne la contaminazione. A volte pensava che la contaminazione fosse dentro di lui, la feccia depositata da saidin. Si accorse che guardava furioso Asmodean. Sembrava che l’uomo lo stesse studiando, con il volto inespressivo. La musica riprese, come acqua che scendeva fra le rocce, calmante. Per cui aveva bisogno di essere calmato, vero?

La porta si aprì senza che nessuno avesse bussato ed entrò Moiraine con Egwene e Aviendha, gli abiti aiel delle giovani donne incorniciavano la seta azzurro chiaro dell’Aes Sedai. Per chiunque altro, anche Rhuarc o un capo clan ancora in prossimità della città o un’altra delegazione di Sapienti, sarebbe entrata una Fanciulla per annunciarli. Queste tre le Fanciulle le facevano entrare anche se Rand stava facendo il bagno. Egwene lanciò un’occhiata a Natael e fece una smorfia, mentre la musica si abbassò e, per un po’, intricata, forse una danza, prima di stabilizzarsi su quello che sarebbe stato il sospiro di una brezza. L’uomo aveva in volto un sorriso contorto, gli occhi fissi sull’arpa.

«Sono sorpreso di vederti, Egwene» disse Rand. Scavalcò il bracciolo della sedia con una gamba. «Come mai per questi... sei giorni mi hai evitato? Mi porti altre buone notizie? Masema ha saccheggiato Amador in mio nome? O forse queste Aes Sedai che sostieni mi supportano si sono convertite all’Ajah Nera? Avrai notato che non ho chiesto chi fossero. Nemmeno come fai a saperlo. Non ti chiedo di divulgare i segreti delle Aes Sedai, o delle Sapienti, o di chiunque siano. Limitati a riferirmi le piccole parti che ritieni opportuno e lascia che mi preoccupi se quello che non vuoi riferirmi mi colpirà alle spalle nella notte.»

Egwene lo guardò con calma. «Sai quello che devi sapere e non ti rivelerò quello che non hai bisogno di sapere.» Era quanto aveva detto sei giorni fa. Era Aes Sedai quanto Moiraine, anche se una indossava abiti aiel e l’altra seta azzurro chiaro.

Aviendha era inquieta. Si mosse per piazzarsi spalla a spalla con Egwene, gli occhi verdi che dardeggiavano, la schiena talmente rigida che avrebbe potuto essere di ferro. Fu sorpreso che Moiraine non si fosse unita a loro, affinché potessero tutte e tre fissarlo con odio. Il suo giuramento di obbedienza copriva parecchie cose e le tre sembravano essere divenute amiche in seguito alla discussione avuta con lui. Non che fosse stata una gran lite, non si poteva discutere con una donna dallo sguardo così freddo, che non alzava mai la voce e si rifiutava di rispondere alle domande.

«Cosa volete?» chiese loro.

«Queste sono giunte per te nell’ultima ora» disse Moiraine, porgendogli delle lettere ripiegate. La voce della donna pareva accordarsi con la melodia armoniosa che risuonava nella stanza.

Rand si alzò sospettoso per prenderle. «Se sono per me, come hanno fatto a finire nelle tue mani?» Una era indirizzata a ‘Rand al’Thor’ con una bella calligrafia angolare, le altre erano per ‘il lord Drago Rinato’ con una calligrafia svolazzante. I sigilli erano intatti. Una seconda occhiata lo fece sussultare. I due sigilli sembravano della stessa cera rossa, su uno c’era l’immagine della Fiamma di Tar Valon, sull’altro una torre in quella che sembrava aver riconosciuto come l’isola di Tar Valon.

«Forse per il luogo di provenienza» rispose Moiraine, «e per il mittente.» Non era una spiegazione, ma era tutto quello che avrebbe ottenuto a meno che non avesse posto altre domande. Anche allora avrebbe dovuto spronarla a rispondergli. La donna manteneva il giuramento a modo suo. «Non ci sono aghi avvelenati nei sigilli. Nemmeno delle trappole intessute.»

Rand si soffermò con il pollice contro la Fiamma di Tar Valon, non aveva nemmeno pensato a quell’evenienza, quindi lo spezzò. Un’altra Fiamma di cera rossa si trovava di fianco alla firma. Elaida do Avriny a’Roihan, uno scarabocchio frettoloso sopra ai titoli. Il resto era scritto con calligrafia angolare.

Non ci sono dubbi che tu sia l’uomo menzionato nelle profezie, eppure in molti cercheranno di distruggerti per tutto quello che rappresenti. Per la salvezza del mondo, non può essere permesso. Due nazioni si sono inginocchiate ai tuoi piedi, come anche i selvaggi aiel, ma il potere dei troni è polvere a confronto dell’Unico Potere. La Torre Bianca ti offrirà rifugio e riparo contro quelli che rifiutano di vedere quello che va visto. La Torre Bianca farà in modo che tu sopravviva fino a Tarmon Gai’don. Nessun altro può farlo. Una scorta di Aes Sedai verrà a prenderti per scortarti a Tar Valon con onore, con il rispetto che meriti. Hai la nostra parola.

«Non me lo ha nemmeno chiesto» disse Rand sarcasticamente. Si ricordava bene Elaida anche avendola incontrata una sola volta. Una donna abbastanza dura da far sembrare Moiraine un gattino. L’onore e il rispetto che meritava. Era pronto a scommettere che quella scorta di Aes Sedai sarebbe casualmente stata di tredici elementi.

Passando la lettera di Elaida a Moiraine aprì l’altra. La pagina era scritta con stessa calligrafia che aveva scritto l’indirizzo.

Con il dovuto rispetto, chiedo umilmente di introdurmi al grande signore il Drago Rinato, che la Luce lo benedica come salvatore del mondo.

Tutto il mondo deve alzarsi con riverenza nei tuoi confronti, l’uomo che ha conquistato Cairhien in un giorno, come Tear. Ma sii cauto. Ti imploro, perché il tuo splendore ispirerà gelosia anche in quelli che non lavorano per l’Ombra. Anche qui nella Torre Bianca ci sono delle persone cieche che non riescono a vedere il tuo vero fulgore, che ci illuminerà tutti. Ma sappi anche che alcune saranno felici della tua venuta, e saranno deliziate di servirti per la tua gloria. Non siamo quelle che ruberanno il tuo lustro a nostro beneficio, ma piuttosto quelle che si inginocchieranno per crogiolarsi nel tuo splendore. Salverai il mondo, secondo le Profezie e il mondo sarà tuo. Con somma vergogna devo chiederti di non far leggere questa lettera a nessuno e di distruggerla non appena l’avrai letta. Sono priva della tua protezione, fra alcune che potrebbero usurpare il tuo potere; e non credo ci sia, fra le persone che ti sono vicine, una che ti sia fedele come lo sono io. Mi hanno detto che forse Moiraine Damodred si trova con te. Potrebbe servirti con devozione, obbedire alle tue parole come se fossero legge, come farei io; ma non posso esserne certa, perché la ricordo come una donna riservata, molto dedita ai complotti, come tutti i Cairhienesi. Anche se credi che sia una tua creatura, ti prego di mantenere segreta questa lettera, anche a lei. La mia vita è racchiusa fra le tue dita, mio lord Drago Rinato, e sono la tua serva.

Alviarin Freidhen

La lesse di nuovo, quindi la diede a Moiraine. La donna guardò la lettera superficialmente prima di passarla a Egwene, che stava leggendo l’altra insieme ad Aviendha. Forse Moiraine ne conosceva già il contenuto?

«È un bene che tu abbia prestato giuramento» disse Rand. «Il modo in cui ti comportavi prima, nascondendomi tutto, avrebbe fatto nascere in me dei sospetti. Davvero un bene che adesso tu sia più aperta.» La donna non reagì. «A cosa pensi?»

«Deve aver sentito parlare della tua testa montata» disse Egwene sottovoce. Rand non credeva che la frase fosse rivolta a lui. Scuotendo il capo Egwene disse ad alta voce, «A me non sembra affatto Alviarin.»

«La calligrafia è la sua» rispose Moiraine. «Tu che cosa ne pensi, Rand?»

«Credo che ci sia una spaccatura nella Torre, che Elaida ne sia al corrente o meno. Suppongo che un Aes Sedai non possa scrivere una menzogna come non la possa dire.» Non attese che Moiraine annuisse. «Se Alviarin fosse stata meno fiorita, avrei potuto pensare che stessero lavorando assieme per incastrarmi. Credo che Elaida non pensi nemmeno la metà di quello che ha scritto Alviarin e non riesco a immaginare che possa avere una Custode in grado di scriverlo, non se ne fosse stata al corrente.»

«Non lo farai» disse Aviendha, stringendo la lettera di Elaida fra le mani. Non era una domanda.

«Non sono uno sciocco.»

«A volte non lo sei» disse Aviendha malvolentieri e la situazione peggiorò quando sollevò un sopracciglio mentre guardava Egwene, la quale ci pensò un attimo e poi si strinse nelle spalle.

«Vedi altro?» chiese Moiraine.

«Vedo spie della Torre Bianca» le disse asciutto. «Sanno che ho preso la città.» Per almeno due o tre giorni dopo la battaglia gli Shaido devono aver bloccato tutto quello che si dirigeva a nord, tranne i piccioni. Anche un messaggero che sapeva dove cambiare i cavalli, non una cosa sicura fra Cairhien e Tar Valon, non avrebbe potuto raggiungere la Torre in tempo per consentire a queste lettere di giungere oggi.»

Moiraine sorrise. «Impari velocemente. Te la caverai bene.» Per un momento sembrò quasi affettuosa. «Che cosa vuoi fare a riguardo?»

«Nulla, tranne accertarmi che la ‘scorta’ di Elaida non si avvicini troppo.» Tredici delle Aes Sedai più deboli potevano sopraffarlo se fossero state legate fra loro e non pensava che Elaida avrebbe inviato donne deboli. «Questo e il fatto di essere consapevole che la Torre conosce le mie azioni nel momento in cui le compio. Null’altro fino a quando non ne saprò di più. Che Alviarin sia una delle tue misteriose amiche, Egwene?»

La donna esitò e Rand si chiese improvvisamente se Egwene aveva confidato a Moiraine qualcosa di più di quanto aveva riferito a lui. Manteneva i segreti delle Aes Sedai o quelli delle Sapienti? Almeno la donna rispose semplicemente, «Non lo so.»

Qualcuno bussò e Somara introdusse la testa bionda nella stanza. «È arrivato Matrim Cauthon, Car’a’carn. Dice che lo hai mandato a chiamare.»

Lo aveva fatto quattro ore prima, non appena aveva scoperto che Mat era ritornato in città. Quale sarebbe stata la scusa stavolta? Era il momento di farla finita con i pretesti. «Rimanete» disse alle donne. Le Sapienti mettevano Mat a disagio quasi quanto le Aes Sedai, queste tre lo avrebbero indotto a parlare. Non ci aveva pensato due volte a usarle. Avrebbe usato anche Mat. «Fallo entrare, Somara»

Mat si fece avanti nella stanza sorridendo, come se fosse una sala comune. Aveva la giubba verde sbottonata, la camicia mezza slacciata, a mostrare la testa di volpe d’argento sul petto sudato; ma la sciarpa di seta scura era avvolta attorno al collo per nascondere la cicatrice provocata dall’impiccagione, a dispetto del caldo. «Scusa se ci ho messo tanto. C’erano alcuni Cairhienesi che credevano di saper giocare a carte. Non conosce nulla di più vivace?» chiese, rivolgendosi ad Asmodean.

«Ho sentito» disse Rand, «che ogni giovane in grado di brandire una spada vuole unirsi alla Banda della Mano Rossa. Talmanes e Nalesean devono cacciarne via a frotte. E Daerid ha raddoppiato il numero dei fanti.»

Mat fece una pausa mentre si sedeva sulla sedia che aveva usato Aracome. «È vero, un bel gruppo di giovani... che vogliono essere eroi.»

«La Banda della Mano Rossa» mormorò Moiraine. «Shen an Calhar. Davvero un gruppo di eroi leggendari, anche se gli uomini che lo componevano devono essere cambiati molte volte durante una guerra che è durata ben oltre trecento anni. Si dice che siano stati gli ultimi a cadere per mano dei Trolloc, vegliando su Aemon in persona, quando morì Manetheren. La leggenda narra come sia sgorgata una sorgente nel punto in cui sono caduti, per segnare il punto del loro passaggio, ma credo che fosse già presente.»

«Non ne so nulla.» Mat toccò il medaglione d’argento con la testa di volpe, e la voce acquistò vigore. «Qualche sciocco ha preso il nome da chissà dove e hanno iniziato a usarlo.»

Moiraine lanciò un’occhiata carica di disprezzo al medaglione. La piccola pietra azzurra che pendeva sulla fronte della donna sembrava cogliere la luce e risplendere, anche se l’angolo era sbagliato. «Sei molto coraggioso a quanto pare, Mat.» Lo disse con voce atona e il silenzio che seguì le fece irrigidire il volto. «Molto coraggioso» disse alla fine, «per guidare Shen an Calhar oltre l’Alguenya, e a sud contro gli Andorani. Anche più coraggioso, perché gira voce che sei andato in avanscoperta da solo, Talmanes e Nalesean hanno dovuto cavalcare fino allo sfinimento per raggiungerti.» Egwene tirò su con il naso rumorosamente mentre seguiva la conversazione. «Non molto saggio per un lord che guida i suoi uomini.»

Mat fece una smorfia. «Non sono un lord. Ho rispetto per me.»

«Ma molto coraggioso» disse Moiraine come se Rand non avesse parlato affatto. «I carri andorani delle provvigioni bruciati, avamposti distrutti. E tre battaglie. Tre battaglie e tre vittorie. Con delle piccole perdite da parte tua, anche se eravate in minoranza.» Mentre toccava uno strappo sulla giubba all’altezza della spalla, Mat ricadde indietro per quanto la sedia glielo consentisse. «Sei attirato dalle battaglie, o sono loro che attirano te? Sono quasi sorpresa che tu sia tornato. A sentire quel che si dice, avresti potuto spingere gli Andorani oltre l’Erinin se fossi rimasto.»

«Credi che sia divertente?» ringhiò Mat. «Se hai qualcosa da dire, dillo. Puoi giocare al gatto per tutto il tempo che vuoi, ma io non sono un topo.» Per un istante gli occhi di Mat si rivolsero verso Egwene e Aviendha, che lo stavano osservando a braccia conserte; poi toccò di nuovo il medaglione d’argento con la testa di volpe. Probabilmente stava riflettendo. Aveva evitato che una donna che poteva incanalare lo toccasse. Ne avrebbe bloccate tre?

Rand si limitava a guardare. Osservava l’amico che veniva ammorbidito per quello che lui aveva intenzione di fargli. Non mi è rimasto nient’altro oltre la necessità? si chiese. Fu un pensiero rapido, svanito immediatamente. Avrebbe fatto quello che doveva.

La voce dell’Aes Sedai assunse una velatura gelida mentre parlava, quasi un’eco. «Facciamo tutti quello che dobbiamo, come decreta il Disegno. Per alcuni vi è meno libertà che per altri. Non importa se scegliamo o siamo scelti. Quello che deve essere, sarà.»

Mat non sembrava affatto ammorbidito. Diffidente sì, e di certo arrabbiato, ma non ammorbidito. Avrebbe potuto essere un gatto selvatico stretto in un angolo da tre segugi. Un gatto selvatico che non voleva proprio farsi catturare. Sembrava aver dimenticato che vi fossero altre persone nella stanza oltre a lui e le tre donne. «Devi sempre costringere un uomo a fare quello che vuoi tu, vero? Prenderlo a calci, se non vuole essere guidato per il naso. Sangue e maledette ceneri! Non guardarmi furiosa, Egwene, parlo come mi pare! Che io sia folgorato! Ci vorrebbe solo Nynaeve adesso, che si tira la treccia in quel modo furioso ed Elayne che ti guarda dall’alto in basso. Be’, sono contento che non sia qui per sentire le novità, ma anche se avessi Nynaeve con te non verrei spinto...»

«Quali novità?» chiese Rand deciso. «Novità che Elayne non dovrebbe sentire?»

Mat guardò Moiraine. «Intendi dire che c’è qualcosa che non ti è stato estorto?»

«Quali novità, Mat?» chiese di nuovo Rand.

«Morgase è morta.»

Egwene rimase a bocca aperta, mettendosi entrambe le mani davanti alla bocca, gli occhi spalancati. Moiraine mormorò qualcosa che avrebbe potuto essere una preghiera. Le dita di Asmodean non esitarono nemmeno un momento sull’arpa.

Rand si sentiva come se gli avessero estirpato l’intestino. Elayne, perdonami, pensò. «Ne sei certo?»

«Certo quanto posso essere senza aver visto il corpo. Sembra che Gaebril sia stato nominato re di Andor. E anche di Cairhien, per essere precisi. Pare sia stata Morgase a farlo. Con la scusa che i tempi attuali richiedevano la mano forte e decisa di un uomo o una cosa simile, come se chiunque avesse potuto essere più forte di Morgase. Solo che gli Andorani a sud hanno detto di non averla vista per settimane. Qualcosa di più di voci. Dimmi tu a quali conclusioni si giunge. Andor non ha mai avuto un re, ma adesso ne ha uno, e la regina è svanita. Gaebril voleva Elayne morta. Ho cercato di dirglielo, ma sai come si comporta, come se ne sapesse sempre più di un contadino con i piedi sporchi di fango. Non credo che avrebbe esitato un secondo a tagliare la gola di una regina.»

Rand si rese conto di essersi seduto su una sedia di fronte a Mat, anche se non si ricordava di essersi mosso. Aviendha gli appoggiò una mano sulla spalla, lo sguardo preoccupato. «Sto bene» disse duramente. «Non c’è bisogno di andare a chiamare Somara.» Il viso della donna divenne rosso, ma lui non vi prestò attenzione.

Elayne non lo avrebbe mai perdonato. Lui sapeva che Rahvin — Gaebril — teneva Morgase prigioniera, ma lo aveva ignorato perché il Reietto poteva aspettarsi che l’avrebbe aiutata. Era andato per la propria strada, per fare quello che non si aspettavano. Ed era finito rincorrendo Couladin invece di fare quello che aveva progettato. Lo sapeva e si era concentrato su Sammael. Perché l’uomo si faceva beffe di lui. Morgase poteva aspettare mentre Rand avrebbe chiuso la trappola tesagli da Sammael assieme al Reietto stesso. E adesso Morgase era stata uccisa. Elayne lo avrebbe maledetto fino alla fine dei suoi giorni.

«Ti dirò una cosa» proseguì Mat. «Ci sono molti uomini della regina qui. Non sono convinti di voler combattere per un re. Trova Elayne. Metà di loro verrà dalla tua parte se la metterai sul...»

«Stai zitto!» gridò Rand. Tremava talmente per la rabbia che Egwene si allontanò e anche Moiraine lo guardò con cautela. La presa di Aviendha si fece più forte sulle sue spalle, ma lui la rimosse. Morgase era morta perché lui non aveva fatto nulla. Era stata sua la mano sul pugnale invece che quella di Rahvin. Elayne. «La vendicherò. Rahvin, Mat. Non Gaebril. Lo appenderò per i talloni, fosse l’ultima cosa che faccio!»

«Oh, sangue e maledette ceneri!» gemette Mat.

«Questa è follia.» Egwene sobbalzò, come se si fosse resa conto di quello che aveva detto, ma mantenne la voce ferma e calma. «Devi ancora sistemare le cose qui a Cairhien, per non parlare degli Shaido a nord e qualsiasi cosa stai progettando di fare a Tear. Vuoi iniziare un’altra guerra, con due già sul piatto della bilancia e una terra in rovina?»

«Non una guerra. Posso giungere a Caemlyn in un’ora. Un’incursione... giusto, Mat? Un’incursione, non una guerra. Strapperò il cuore a Rahvin.» La voce di Rand era un martello. Aveva la sensazione che nelle vene gli scorresse l’acido. «Vorrei avere le tredici Aes Sedai di Elaida con me, per sistemarlo e consegnarlo alla giustizia. Processato e impiccato per omicidio. Questa sarebbe giustizia. Ma dovrà morire in qualsiasi momento io decida.»

«Domani» disse Moiraine sommessamente.

Rand la guardò torvo. Ma aveva ragione. Domani sarebbe stato meglio. Una notte per smaltire la rabbia. Doveva essere freddo quando avrebbe affrontato Rahvin. Adesso voleva afferrare saidin e cospargersene il corpo, distruggere. La musica di Asmodean era di nuovo cambiata, adesso era un motivo che i musicisti di strada avevano suonato durante la guerra civile. Si sentiva ancora di tanto in tanto quando passava un nobile per Cairhien. Lo sciocco che credeva di essere un re. «Esci, Natael. Esci!»

Asmodean si alzò con lentezza inchinandosi, ma il viso era glaciale e attraversò rapido la stanza, come se fosse incerto su cosa sarebbe accaduto se ci avesse impiegato un secondo di più. Spingeva sempre, ma forse stavolta aveva esagerato. Mentre apriva la porta Rand parlò di nuovo.

«Ti vedrò stanotte, o ti vedrò morto.»

L’inchino di Asmodean stavolta non fu tanto aggraziato. «Come ordina il mio lord Drago» rispose rauco, chiudendosi velocemente la porta alle spalle.

Le tre donne guardarono Rand inespressive e senza battere ciglio. «Andate via anche voi.» Mat praticamente si scagliò verso la porta. «Non tu. Devo ancora dirti delle cose.»

Mat si fermò di colpo, sospirando pesantemente e giocherellando con il medaglione. Era il solo che si fosse mosso.

«Non hai tredici Aes Sedai» disse Aviendha, «ma ne hai due. E me. Forse non so tante cose quanto Moiraine Sedai, ma sono forte come Egwene e la danza non mi è nuova.» Alludeva alla danza delle lance, il modo aiel di evocare la battaglia.

«Rahvin è mio» le rispose con calma. Forse Elayne avrebbe potuto perdonargli qualcosa se avesse almeno vendicato la madre. Probabilmente no, ma forse lui si sarebbe potuto perdonare. Un po’. Si costrinse a mantenere le mani lungo i fianchi per non stringere i pugni.

«Gli segnerai una linea in terra che dovrà oltrepassare?» chiese Egwene. «Ti metterai un’esca sulla spalla per attirarlo? Hai considerato che Rahvin potrebbe non essere solo se adesso si fa chiamare re di Andor? A cosa ti servirà se quando apparirai una delle sue guardie ti trapasserà il cuore con una freccia?»

Rand si ricordava di un tempo in cui desiderava che Egwene non gridasse contro di lui, ma allora era tutto molto più facile. «Credete che intenda andare solo?» Era effettivamente sua intenzione. Non aveva mai pensato a qualcuno che gli guardasse le spalle; anche se adesso sentiva un debole sussurro, gli piace attaccare alle spalle, ai fianchi. Non riusciva a pensare con chiarezza. La rabbia che lo pervadeva sembrava avere vita propria, alimentava il fuoco che la faceva ribollire. «Ma non con voi. Questa è una faccenda pericolosa. Moiraine può venire se lo desidera.»

Egwene e Aviendha non si guardarono prima di fare un passo avanti, ma si mossero all’unisono, senza fermarsi, finché non furono talmente vicine che Aviendha dovette spostare indietro il capo per guardare Rand. «Moiraine può venire se lo desidera.» ripeté Egwene.

Se la sua voce era glaciale, quella di Aviendha era pietra fusa.

«Ma per noi è troppo pericoloso.»

«Sei diventato mio padre? Ti chiami Bran al’Vere?»

«Se tu avessi tre lance, ne metteresti due da parte come se non esistessero?»

«Non voglio rischiare le vostre vite» rispose rigido.

Egwene inarcò le sopracciglia. «Oh?» Fu tutto.

«Non sono la tua gai’shain.» Aviendha snudò i denti. «Non puoi scegliere i rischi che decido di correre, Rand al’Thor. Mai. Sappilo fin d’ora.»

Avrebbe potuto... cosa? Avvolgerle in saidin e lasciarle dove si trovavano. Ancora non poteva schermarle. Per cui potevano essere loro a intrappolarlo. Un bel guaio, tutto perché le donne si erano impuntate.

«Hai pensato a delle guardie» disse Moiraine, «ma cosa farai se con Rahvin si trovano anche Semirhage o Graendal? O magari Lanfear? Queste due potrebbero sopraffarne uno, ma tu saresti in grado di affrontare una delle donne e Rahvin insieme?»

Nella voce della donna era affiorato qualcosa nel pronunciare il nome di Lanfear. Temeva che se Lanfear fosse stata presente forse alla fine si sarebbe unito a lei? Cosa avrebbe fatto se fosse effettivamente stata presente? Cosa poteva fare lui? «Possono venire» disse, anche se a denti stretti. «Adesso volete andare via?»

«Ai tuoi ordini» rispose Moiraine, ma non si mossero subito. Aviendha ed Egwene si occuparono di sistemare con ostentazione gli scialle prima di muoversi verso la porta. I signori e le dame forse scattavano davanti a un suo ordine, non loro.

«Non hai cercato di convincermi a non farlo» disse Rand all’improvviso.

Si riferiva a Moiraine, ma Egwene parlò per prima, rivolgendosi ad Aviendha con un sorriso. «Cercare di far cambiare idea a un uomo è come togliere una caramella a un bambino. A volte devi farlo, ma in altri casi non ne vale la pena per tutti i problemi che procura.» Aviendha annuì.

«La Ruota tesse come vuole» fu la risposta di Moiraine. Stava ritta sotto la soglia sembrando più Aes Sedai che mai, il viso privo dei segni dell’età, con gli occhi scuri che sembravano pronti a ingoiarlo, snella e leggera, eppure così regale che avrebbe potuto dare ordini a una stanza piena di regine anche se non fosse stata in grado di incanalare.

Quella pietra azzurra sulla fronte che coglieva nuovamente la luce.

«Te la caverai bene, Rand.»

Questi fissò a lungo la porta dopo che si fu chiusa alle spalle delle donne.

Fu il rumore di stivali a rammentargli la presenza di Mat, il quale stava cercando di raggiungere la porta, muovendosi lentamente per non essere notato.

«Ho bisogno di parlare con te, Mat.»

Mat fece una smorfia. Toccando il medaglione con la testa di volpe come fosse un talismano, si girò di scatto a fronteggiare Rand. «Se credi che metterò la testa sul ceppo solo perché queste sciocche donne lo hanno fatto, puoi scordartelo. Non sono un maledetto eroe e non voglio diventarlo. Morgase era una bella donna, mi piaceva addirittura, per quanto possa piacerti una regina, ma Rahvin è Rahvin, che tu sia folgorato, e io...»

«Taci e ascolta. Devi smettere di scappare.»

«Che io sia folgorato se lo faccio! Non è un gioco che ho scelto io e non...»

«Ti ho detto di fare silenzio!» Rand spinse la testa di volpe contro il petto di Mat con un dito. «So dove l’hai preso. C’ero anche io, ricordi? Ho tagliato la corda dalla quale penzolavi. Non so con esattezza cosa ti hanno infilato in testa, ma qualsiasi cosa sia, ne ho bisogno. I capi clan conoscono la guerra, ma in qualche modo anche tu la conosci e forse anche meglio. Ne ho bisogno! Per cui questo è quello che farai, tu e la Banda della Mano Rossa...»

«Siate prudenti domani» si raccomandò Moiraine.

Egwene si fermò davanti alla porta della sua stanza. «Certo che saremo prudenti.» Aveva lo stomaco sottosopra, ma mantenne la voce ferma. «Sappiamo quanto sarà pericoloso affrontare uno dei Reietti.» A giudicare dall’espressione di Aviendha sembrava che stessero discutendo la cena. Ma lei non aveva mai paura di niente.

«Lo sapete?» disse Moiraine. «Siate comunque molto prudenti, che crediate uno dei Reietti sia vicino oppure no. Rand avrà bisogno di tutte e due voi nei giorni a venire. Sapete gestire bene le sue intemperanze, anche se devo dire che i vostri metodi sono insoliti. Avrà bisogno di persone che non possono essere allontanate o dominate dai suoi accessi di ira, che gli diranno quello che deve sentire invece che quello ritengono voglia sentirsi dire.»

«Tu lo fai, Moiraine» le rispose Egwene.

«Certo. Ma avrà comunque bisogno di voi. Riposate bene. Domani sarà... un giorno difficile per tutti noi.» Si allontanò lungo il corridoio, passando dall’oscurità a delle pozze di luce proiettate dalle lampade, per poi ritornare nel buio. La notte stava già scendendo in questi corridoi scuri, e l’olio per le lampade scarseggiava.

«Vuoi restare un po’ con me, Aviendha?» chiese Egwene. «Ho più voglia di parlare che di mangiare.»

«Devo dire ad Amys quello che ho promesso di fare domani. E devo trovarmi nella camera da letto di Rand al’Thor quando arriverà.»

«Elayne non potrà mai lamentarsi che tu non abbia tenuto d’occhio Rand per lei. Hai davvero trascinato lady Berewin per il corridoio tirandola per i capelli?»

Le guance di Aviendha s’imporporarono lievemente. «Credi che queste Aes Sedai a Salidar lo aiuteranno?»

«Fai attenzione a pronunciare quel nome, Aviendha. A Rand non può essere permesso di trovarle senza che sia preparato.» Per come era adesso probabilmente lo avrebbero domato, o almeno avrebbero mandato tredici Sorelle ad aiutarlo. Egwene avrebbe dovuto trovarsi con loro in tel’aran’rhiod, lei Nynaeve ed Elayne e sperare che quelle Aes Sedai si fossero impegnate al punto di non ritorno prima che si accorgessero di quanto Rand fosse ai limiti.»

«Farò attenzione. Riposa bene. E mangia stanotte. Non mangiare nulla la mattina. Non fa bene danzare le lance a stomaco pieno.»

Egwene la guardò mentre si allontanava prima di premersi le mani sullo stomaco. Non credeva che avrebbe mangiato nulla quella notte né la mattina. Rahvin. E forse Lanfear o uno degli altri. Nynaeve aveva affrontato Moghedien e vinto. Ma Nynaeve era più forte di lei o Aviendha, quando poteva incanalare. Poteva non essercene un’altra. Rand aveva detto che i Reietti non si fidavano l’uno dell’altro. Voleva quasi desiderare che avesse torto o che almeno non ne fosse tanto certo. Era spaventoso quando vedeva un altro uomo che la osservava con gli occhi di Rand, o sentiva le parole di quello uscirgli dalla bocca. Non doveva essere così. Tutti rinascevano con il volgere della Ruota. Ma gli altri non erano il Drago Rinato. Moiraine non voleva parlarne. Cosa avrebbe fatto Rand se Lanfear fosse stata presente? Lanfear aveva amato Lews Therin Telamon, ma cosa aveva provato il Drago per lei? Quanto di Rand era ancora Rand?

«Lo sai che se continui a rimuginarci sopra ti metti in agitazione» disse con fermezza. «Non sei una bambina. Comportati da donna.»

Quando un’inserviente le portò la cena, di fagiolini, patate e pane appena sfornato, si costrinse a mangiare. Il cibo sapeva di cenere.

Mat si fece avanti a grandi passi nei corridoi scuri del palazzo e spalancò la porta della stanza che era stata riservata per il giovane eroe delle battaglie contro gli Shaido. Non che avesse trascorso molto tempo in quella stanza. Non ci stava quasi mai. Gli inservienti avevano acceso due delle lampade. Eroe! Non era un eroe! Cosa otteneva un eroe? Un’Aes Sedai che ti dava dei buffetti sulla testa prima di mandarti fuori come un cane. Una nobildonna accondiscendente che ti baciava, o che ti avrebbe portato i fiori sulla tomba. Camminava avanti e indietro nell’anticamera, per una volta senza assegnare un prezzo al tappeto fiorato di Illian, o le sedie, le panche, i tavoli dorati e incisi con l’avorio.

L’incontro turbolento con Rand era durato fino al tramonto, con lui che schivava, rifiutandosi di collaborare e Rand che lo braccava caparbiamente, come Hawkwing nella disfatta del Passo di Cole. Cosa doveva fare? Se fosse di nuovo uscito a cavallo, Talmanes e Nalesean lo avrebbero certamente seguito con tutti gli uomini che sarebbero stati in grado di mettere in sella, aspettandosi che avrebbe trovato un’altra battaglia. Probabilmente lo avrebbe fatto. Era proprio quello che lo faceva rabbrividire. Per quanto odiava ammetterlo, l’Aes Sedai aveva ragione. Era attirato dalle battaglie o forse l’inverso. Nessuno avrebbe potuto tentare con maggiore ostinazione di evitarne una dall’altro lato dell’Alguenya. Anche Talmanes aveva fatto delle osservazioni a riguardo. Il secondo tentativo di allontanarsi da uno dei gruppi di Andorani lo aveva portato dove non c’era altra opportunità di combattere di nuovo. E ogni volta sentiva i dadi rotolare nella sua testa. Era quasi come un allarme, che lo avvisava che una battaglia era proprio dietro la prossima collina.

C’era sempre una nave, avrebbe potuto esserci, ai moli oltre le chiatte del grano. Era difficile trovarsi in una battaglia su una nave nel mezzo di un fiume. Solo che gli Andorani avevano in pugno metà di una riva del fiume Alguenya sotto la città. Per come stava girando la fortuna, la nave si sarebbe incagliata sulla riva di ponente con metà dell’esercito andorano accampato in quel punto.

Non lasciava spazio se non a quello che voleva Rand. Riusciva a vederlo.

«Buon giorno, sommo signore Weiramon e tutti voi, sommi signori e signore. Io sono un giocatore d’azzardo, un contadino, e sono qui per assumere il comando del vostro maledetto esercito! Il dannato Drago Rinato sarà con noi non appena si sarà occupato di un’altra maledetta faccenda!»

Afferrando la lancia con il manico nero che era in un angolo, la scagliò verso l’altro lato della stanza. Colpì un arazzo con una scena di caccia; dalla parete di pietra provenne un suono metallico, quindi cadde in terra lasciando i cacciatori tagliati a metà. Imprecando si affrettò a raccoglierla. La lama non era sbeccata o macchiata. Certo che no. Opera di Aes Sedai.

Toccò i corvi sulla lama. «Sarò mai libero dall’opera delle Aes Sedai?»

«Cos’era quello?» chiese Melindhra dalla soglia della porta.

Mat la guardò mentre appoggiava la lancia contro la parete e per una volta non fu attratto dai capelli biondo oro, dagli occhi azzurro chiaro o dal suo corpo fermo. Sembrava che ogni Aiel prima o poi si recasse al fiume, per osservare in silenzio tanta acqua in un solo posto, ma Melindhra vi si recava ogni giorno. «Kadere ha trovato delle navi?» Kadere non si sarebbe recato a Tar Valon su delle chiatte per il grano.

«I carri degli ambulanti sono ancora qui. Non so nulla di... navi.» Pronunciò la parola insolita con difficoltà. «Perché vuoi saperlo?»

«Starò via per un po’. Per Rand.» aggiunse velocemente. Il volto della donna era completamente immobile. «Ti porterei con me se potessi, ma non tu non vorresti lasciare le Fanciulle.» Una nave, o il proprio cavallo? E verso dove? Questo era il punto. Avrebbe raggiunto Tear più velocemente su un battello fluviale che in groppa a Pips. Se era così sciocco da fare quella scelta. Se aveva scelta.

Melindhra tese leggermente le labbra. Si sorprese a pensare che il punto non era che la stava lasciando. «Quindi stai ritornando all’ombra di Rand al’Thor. Hai guadagnato molto onore per tuo conto, fra gli abitanti delle terre bagnate. Il tuo onore, non un riflesso di quello del car’a’carn.»

«Può tenere il suo onore e portarlo a Caemlyn o nel Pozzo del Destino per quanto mi riguarda. Non preoccuparti. Troverò molto onore. Ti scriverò per raccontartelo. Da Tear.» Tear? Non sarebbe mai riuscito a sfuggire a Rand o alle Aes Sedai, se avesse fatto quella scelta.

«Sta andando a Caemlyn?»

Mat represse un sussulto. In teoria non doveva parlarne. Qualsiasi cosa decidesse di tutto il resto, questo poteva farlo. «Solo un nome che ho fatto a casaccio. Per via degli Andorani a sud immagino. Non saprei dove voglia...»

Mat non ebbe il tempo di accorgersene. Un istante prima la dorma era ritta davanti a lui, l’attimo dopo si era trovato un piede nello stomaco, che gli tolse il respiro e lo abbatté. Con gli occhi sgranati Mat lottò per restare in piedi, per pensare. Perché? La donna roteò come una ballerina, all’indietro, colpendolo con l’altro piede su una tempia facendolo barcollare. Senza dargli tregua diede un balzo colpendolo in pieno viso con un morbido stivale.

Quando la vista di Mat si schiarì per consentirgli di nuovo di vedere, era sdraiato in mezzo alla stanza lontano da lei. Sentiva il sangue scorrerle sul viso. Aveva la sensazione di avere la testa imbottita di lana e gli sembrava che la stanza rullasse. Poi Melindhra estrarre un pugnale, una lama sottile non molto più lunga di una mano, che brillava alla luce della lampada. Avvolgendosi lo shoufa attorno al capo con un movimento rapido sollevò il velo nero davanti al viso.

Barcollante, Mat si mosse seguendo l’istinto, senza pensare. La lama trapassò la manica, lasciando la mano come se fluttuasse nella gelatina. Solo allora si rese conto di quello che aveva fatto e si protese disperatamente, cercando di recuperarla.

L’impugnatura spuntava fra i seni della donna, che ricadde in ginocchio e poi all’indietro.

Mat si alzò rimanendo tremante carponi. Non sarebbe riuscito a mettersi in piedi neanche se ne fosse dipesa la sua vita, ma la raggiunse strisciando, mormorando selvaggiamente, «Perché? Perché?»

Tirò il velo di lato e quegli occhi azzurro chiaro si concentrarono su di lui. Addirittura sorrise. Mat non guardò l’impugnatura del pugnale. Il suo pugnale. Sapeva dove si trovava il cuore. «Perché Melindhra?»

«Mi sono sempre piaciuti i tuoi occhi belli» sussurrò, così debolmente che Mat dovette sforzarsi per sentirla.

«Perché?»

«Alcuni giuramenti sono più importanti di altri, Mat Cauthon.» Il pugnale dalla lama sottile salì agilmente, la donna stava usando tutta la forza che le era rimasta in quell’ultimo gesto, la punta orientata verso il medaglione con la testa di volpe appoggiato al petto di Mat. Quello non avrebbe dovuto bloccare una lama, ma l’angolo era sbagliato e qualche imperfezione nascosta nel metallo la spezzò separandola dall’impugnatura proprio mentre Mat le prendeva la mano. «Hai la fortuna del Sommo Signore.»

«Perché?» le chiese. «Che tu sia folgorata, perché?» Mat sapeva che non ci sarebbe stata risposta. La bocca della donna rimase aperta, come se avesse qualcos’altro da dire, ma gli occhi stavano già diventando vitrei.

Mat iniziò a tirarle su il velo, per coprirle il viso e gli occhi fissi, quindi lasciò ricadere la mano. Aveva ucciso uomini e Trolloc, ma mai una donna. Fino a ora. Le donne erano contente quando Mat entrava nelle loro vite. Non era una vanteria. Le donne gli sorridevano. Anche quando le lasciava, sorridevano come se gli avrebbero di nuovo dato il benvenuto. Era tutto quello che aveva sempre voluto dalle donne; un sorriso, un ballo, un bacio e essere ricordato con tenerezza. Si rese conto che i pensieri vagavano. Tirando via l’impugnatura della lama dalla mano di Melindhra, vide che era d’oro montata su giada, incisa con delle api dorate; la lanciò nel caminetto di marmo sperando che si rompesse. Voleva piangere, gridare. Io non uccido le donne! si disse. Le bacio, non...!

Doveva pensare con chiarezza. Perché? Non perché stava andando via. Non aveva quasi reagito a quella notizia e poi lei pensava che Mat stesse inseguendo il suo onore, questo lo aveva sempre approvato. Qualcosa che Melindhra aveva detto gli ronzava nell’orecchio, quindi gli tornò in mente, facendolo rabbrividire. La fortuna del Sommo Signore. Aveva sentito quella frase molte volte, ma in maniera differente. La fortuna del Tenebroso. Un’Amica delle Tenebre. Domanda o certezza? Sperava che quel pensiero rendesse la sua azione più facile da accettare. Si sarebbe portato il ricordo di quel viso fin dentro la tomba.

Tear. Le aveva detto che si sarebbe recato a Tear. Il pugnale. Le api dorate sulla giada. Avrebbe potuto scommettere che erano nove anche senza guardare. Nove api d’oro in campo verde. Il simbolo di Illian. Dove governava Sammael. Che Sammael avesse paura di lui? Come faceva Sammael a sapere? Erano passate solo poche ore da quando Rand aveva chiesto a Mat — gli aveva ordinato — di andare a Tear e non era nemmeno certo di quello che avrebbe fatto. Forse Sammael non voleva correre rischi? Giusto. Uno dei Reietti spaventato da un giocatore d’azzardo, anche se pieno dei ricordi di battaglia di altri uomini. Era ridicolo.

Tutto si riduceva a questo. Poteva credere che Melindhra non era stata un’Amica delle Tenebre, che aveva deciso di ucciderlo per il carpaccio di un momento, che non c’era connessione fra l’impugnatura di giada con le api dorate e la possibilità che lui andasse a Tear per condurre un esercito contro Illian. Poteva crederlo se fosse stato sciocco come un’oca. Era meglio essere prudenti, se lo ripeteva in continuazione. Uno dei Reietti lo aveva notato. Di certo adesso non era all’ombra di Rand.

Strisciando sul pavimento si sedette con la schiena appoggiata contro la porta, fissando il volto di Melindhra e cercando di decidere cosa fare. Quando un’inserviente bussò per portargli la cena le gridò di andare via. Il cibo era l’ultima cosa che voleva. Cosa avrebbe fatto? Desiderava non sentire i dadi che gli rotolavano in testa.

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