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«Ce l’abbiamo fatta», disse Gwen seccamente dopo aver superato il cancello. «Ci stanno inseguendo».

«Ci hanno visti?».

«Dovrebbero. Avevamo le luci accese quando abbiamo superato il cancello. Difficile che non le abbiano viste».

Una spessa oscurità fluiva da entrambi i lati della macchina e le foglie continuavano a stormire sopra di loro. «Scappiamo?», disse Dirk.

«La loro macchina avrà i laser funzionanti, mentre i nostri non funzionano. L’unico punto in cui possiamo andare è la strada esterna. La macchina dei Braith ci darà la caccia ed i cacciatori ci aspettano nascosti lassù, da qualche parte. Noi ne abbiamo uccisi solo due, forse tre. Devono essere di più. Siamo in trappola».

Dirk ci pensò. «Dobbiamo fare di nuovo il giro della rotonda ed uscire dal cancello dopo che loro sono entrati».

«Sì. È un’idea molto logica. Anche se fin troppo logica. Ci sarà un’altra macchina fuori ad aspettarci, suppongo. Io ho un’idea migliore». Mentre parlava fece rallentare la manta fino a farla fermare. Immediatamente davanti a loro la strada si biforcava, illuminata dai fari. A sinistra c’era la rotonda che ritornava su se stessa; a destra c’era la strada esterna, che qui iniziava la sua salita di due chilometri.

Gwen spense le luci e loro vennero inghiottiti dall’oscurità. Quando Dirk fece per parlare, lei gli impose il silenzio con uno sssh! deciso.

Il mondo era nerissimo. Dirk si sentiva come cieco. Gwen, la macchina, Sfida… tutto era scomparso. Sentiva le foglie che sfregavano tra di loro e gli parve di sentire l’altra macchina, quella dei Braith che veniva verso di loro, ma doveva essere la sua immaginazione, perché prima avrebbe dovuto vederne le luci.

C’era un leggero movimento dondolante, come se stessero seduti all’interno di una barca. Qualcosa di duro gli toccò il braccio e Dirk sobbalzò, e qualcos’altro gli graffiò la faccia.

Foglie. Si stavano sollevando, proprio dentro la chioma dell’albero Emereli, che si estendeva da tutte le parti.

Un ramo gli si premette contro, poi si allontanò frustandolo dolorosamente sulla guancia e facendogli uscire il sangue. Le foglie erano tutto attorno a loro. Alla fine ci fu un debole urto, quando le ali della macchina raggiunsero l’altezza dei rami più grossi. Non potevano sollevarsi più di così. Rimasero sospesi, ciechi, avviluppati dal buio e dal fogliame invisibile.

Pochissimo tempo dopo una lama di luce lampeggiò dietro di loro, andando verso destra, su per la strada. Era appena scomparsa che subito ne spuntò un’altra — da sinistra — voltò velocemente alla biforcazione e seguì la prima. Dirk fu molto contento che Gwen avesse ignorato il suo suggerimento.

Rimasero sospesi in mezzo al fogliame per un tempo indeterminabile, ma non apparve nessun’altra macchina. Finalmente Gwen si abbassò di nuovo al livello della strada. «Questo scherzo non li ingannerà in eterno», disse lei. «Quando chiuderanno le trappole e si accorgeranno che noi non ci siamo dentro, cominceranno a farsi delle domande».

Dirk stava tamponando il liquido che gli usciva dalla guancia con un angolo della camicia. Quando senti con le dita che il piccolo rivolo di sangue si era finalmente asciugato, si volse in direzione della voce di Gwen. Era sempre cieco. «Per cui ci daranno la caccia», disse lui. «Questo va bene. Finché si preoccuperanno di capire dove accidenti siamo andati, non uccideranno gli Emereli. E Jaan e Garse arriveranno presto». Mi pare che sia venuto il momento di trovare un nascondiglio».

«Nasconderci, o scappare», rispose Gwen nell’oscurità. Per il momento non aveva ancora toccato i fari della macchina.

«Ho un’idea», disse Dirk. Si toccò di nuovo la guancia. Poi soddisfatto dell’esame, si rimise a posto la camicia. «Quando stavi girando intorno alla rotonda ho notato qualcosa. Una rampa, con un segnale. L’ho vista solo per un istante alla luce dei fari, ma me ne ricordo bene. Worlorn aveva una rete di sotterranee, giusto? Collegavano le città?».

«Vero», disse Gwen. «Però l’hanno smantellata».

«Davvero? Io so solo che i treni non vanno più, ma che mi dici delle gallerie? Le hanno nuovamente riempite?».

«Non lo so. Direi di no». I fari della macchina si accesero all’improvviso e Dirk sbatté gli occhi per la luce improvvisa. «Fammi vedere quel segnale», disse Gwen e ripresero l’ampio cerchio attorno all’albero centrale.

Era l’entrata ad una metropolitana, come aveva immaginato Dirk. Una piccola rampa conduceva giù nell’oscurità. Gwen fermò il movimento in avanti e si sollevò di qualche metro, in modo da illuminare in pieno il cartello segnaletico. «Significa che dobbiamo abbandonare l’aerauto», disse alla fine lei. «L’unica arma che abbiamo».

«Si», disse Dirk. L’entrata era troppo stretta per permettere il passaggio alla manta grigia; evidentemente i costruttori della metropolitana non avevano contato che qualcuno volesse volare lungo le gallerie. «Ma forse è meglio così. Noi non possiamo abbandonare Sfida ed all’interno della città la macchina limiterebbe fin troppo la nostra mobilità. Giusto?». Gwen non rispose immediatamente e Dirk si sfregò la fronte stancamente. «A me pare una cosa giusta, ma forse non riesco a pensare con chiarezza. Sono stanco e probabilmente sarei troppo spaventato se mi soffermassi a pensare con ordine. Sono pieno di lividi e tagli ed ho gran voglia di dormire».

«Bene», disse Gwen, «La sotterranea è la migliore delle possibilità che abbiamo. Possiamo mettere un po’ di chilometri tra noi e loro, e dormire. Non credo che i Braith possano pensare di venirci a cercare qui, dentro le gallerie della metropolitana».

«Allora è deciso», disse Dirk.

Fecero le cose con molto metodo. Gwen fece posare l’aerauto presso la rampa della sotterranea, prese il pacco di sensori e le provviste d’emergenza che aveva posato sul sedile posteriore. Presero gli aeroscooter, cambiando gli stivali e buttando via quelli che avevano indossato fino a quel momento. Tra gli strumenti montati sulla carrozzeria della manta c’era anche una piccola torcia elettrica, una barra di metallo e di plastica lunga come un avambraccio che faceva una pallida luce bianca.

Quando furono pronti a partire, Gwen passò su entrambi un po’ di annulla-scia, poi lasciò Dirk ad aspettarla presso la rampa d’entrata mentre lei portava la macchina a metà della rotonda, in mezzo alla strada, accanto ad uno dei corridoi del primo livello. In modo che i Braith pensassero che loro erano ritornati all’interno del labirinto di Sfida; la loro caccia sarebbe durata un bel po’.

Dirk attese nel buio che Gwen completasse il lungo percorso a piedi girando attorno all’albero, facendosi luce con la torcia elettrica. Poi scesero assieme dalla rampa verso la metropolitana abbandonata. La discesa fu più lunga di quanto Dirk si aspettasse. Andarono per lo meno due livelli sotto la superficie, pensò lui, camminando tranquilli, mentre la loro lampada si rifletteva sulle informi pareti blu pastello. Dirk pensò a Bretan Braith, che si trovava una cinquantina di livelli più sotto e sperò per un momento, pazzamente, che la galleria potesse ancora essere funzionante, dato che era (in definitiva) qualcosa che stava al di fuori della città-torre Emereli ed era quindi al di fuori del controllo che poteva esercitare Bretan.

Ma naturalmente tutto il sistema di metropolitane era stato disattivato parecchio tempo prima che Bretan e gli altri Braith venissero a Worlorn; là sotto non trovarono altro che una piattaforma piena di buchi e tane di vermi scavate nella roccia che si allontanavano all’infinito. L’infinito pareva vicinissimo visto al buio. La stazione era silenziosa, un silenzio che pareva immerso nella morte, assai più dei silenziosi corridoi di Sfida. Pareva di camminare in una tomba. C’era polvere dappertutto. La Voce non aveva permesso che la polvere si depositasse su Sfida, capì Dirk, ma le gallerie della metropolitana non facevano parte di Sfida, non erano nemmeno state costruite dagli Emereli. Camminando il rumore dei loro passi era orribilmente forte.

Gwen studiò le mappe del sistema con molta attenzione, prima di infilarsi nella galleria. «C’erano due linee quaggiù», disse lei parlando piano per chissà quale motivo. «Una linea collegava tutte le città del festival in una grande circolare. Pare che i treni andassero in entrambe le direzioni. L’altra linea era un servizio navetta che collegava Sfida con lo spazioporto. Ogni città aveva la sua navetta che conduceva allo spazioporto. Allora, da che parte si va?».

Dirk era esausto ed irritabile. «Non me ne importa», disse. «Che differenza può fare? Non possiamo davvero andare a piedi fino alla prossima città. Anche se abbiamo gli aeroscooter, la distanza è sempre eccessiva».

Gwen annuì pensosamente, sempre osservando la mappa. «Duecentotrenta chilometri fino a Esvoch da una parte, trecentottanta fino a Kryne Lamiya se andiamo dalla parte opposta. Ancora di più per arrivare fino allo spazioporto. Penso che tu abbia ragione». Lei si strinse nelle spalle, si voltò ed indicò una direzione a caso. «Da quella parte», disse.

Volevano andare lontani. Seduti sul bordo della piattaforma al di sopra dei binari, si legarono gli stivali alle piattaforme degli scooter, poi si avviarono lentamente nella direzione indicata da Gwen. Lei andava avanti, rimanendo ad appena venti centimetri dal suolo e puntando avanti la torcia elettrica che teneva nella mano destra, mentre appoggiava leggermente la mano sinistra contro la parete della galleria per tastare la strada. Dirk era dietro di lei e volava un po’ più alto in modo da riuscire a vedere anche lui avanti. La galleria che avevano scelto faceva una larga curva appena accennata verso sinistra. Non c’era niente da vedere, niente da notare. Dopo un po’ Dirk perse completamente la sensazione di muoversi, dato che il loro volo era sempre uguale e senza sbalzi. Poi gli parve che lui e Gwen stessero galleggiando in un limbo senza tempo, dove c’erano delle pareti che scorrevano in continuazione.

Ma alla fine, arrivati a tre chilometri buoni da Sfida, si posarono sul pavimento della galleria e si fermarono. Ma nemmeno allora sapevano cosa dirsi. Gwen appoggiò la torcia elettrica ad un rozzo intaglio della parete di pietre, poi si sedettero tutti e due nella polvere e si tolsero gli stivali. Senza dire una parola, lei si tolse dalla schiena le provviste d’emergenza ed usò lo zaino come se fosse stato un cuscino. La sua testa non si era nemmeno posata che già lei dormiva e lui era rimasto solo.

Era come se fossero distantissimi.

La stanchezza di Dirk non andava via, ma trovò difficile addormentarsi. Perciò si sedette ai limiti del piccolo cerchio di luce pallida — Gwen aveva lasciato accesa la torcia elettrica — e la osservò, la guardò respirare, guardò le ombre che si formavano sulle sue guance, sui suoi capelli quando lei si muoveva nel sonno inquieto. Allora lui si rese conto di quanto lei gli fosse distante e gli venne in mente che non si erano né toccati, né avevano parlato venendo da Sfida. Lui non ci aveva fatto caso; aveva la mente ottenebrata dalla paura e dalla fatica per poterci pensare. Eppure ne sentiva il peso contro il petto ed il buio lo premeva da tutte le parti nel lungo buco polveroso al di sotto del mondo.

Alla fine spense la torcia e la sua Jenny spari. Cercò di dormire un po’ anche lui. Il sonno venne. Ma anche gli incubi. Sognò di essere con Gwen e la baciava, la teneva stretta. Ma quando le loro labbra si incontravano, lei non era Gwen; lui stava baciando Bretan Braith, Bretan che aveva le labbra secche e dure, che aveva un occhio di pietraluce che bruciava in manièra terribilmente vicino a lui nel buio completo.

E dopo stava ancora scappando, scappava per una galleria senza fine, che non portava in nessun posto. Ma dietro di sé, poteva sentire il rumore dell’acqua che lo inseguiva e quando si voltò credette di scorgere un barcaiolo solitario che spingeva con un lungo palo una barca vuota. Il barcaiolo galleggiava su un liquido oleoso e nero e Dirk correva su pietre asciutte, ma nel sogno la cosa non sembrava importante. Correva e correva, ma la barca si faceva sempre più vicina ed alla fine vide che il barcaiolo non aveva faccia, nessuna faccia.

Poi ci fu un po’ quiete e per il resto della lunga notte Dirk non sognò più.

C’era una luce accesa, ma non avrebbero dovuto esserci luci.

La luce riusciva a raggiungerlo anche attraverso gli occhi chiusi ed il sonno: una radianza gialla oscillante, ora vicina, ora un po’ più lontana. Dirk se ne rese conto, ma solo leggermente, fin dal primo momento in cui la luce si era intromessa nel suo sonno stentato. Brontolò e si girò per non vederla e qualcuno rise, con una piccola risata acuta. Dirk l’ignorò.

Poi gli diedero un calcio, fortissimo, sul volto.

La testa scattò di lato e le catene del sonno si dissolsero in una macchia di dolore. Sperduto e dolorante, senza sapere dove si trovava, cercò di mettersi a sedere. La tempia gli pulsava. Tutto gli sembrava troppo luminoso. Mise un braccio davanti agli occhi per fermare la luce e per proteggersi da altri calci. Ci fu un’altra risata.

Poco per volta il mondo acquistò forma.

Erano i Braith, naturalmente.

Uno di loro, un uomo ossuto e linfatico con un ricciolo di capelli neri, era dall’altra parte della galleria e teneva Gwen con una mano mentre nell’altra aveva una pistola a laser. Un altro laser, un fucile, era appeso sulle spalle, tenuto con una cinghia. Le mani di Gwen erano state legate dietro la schiena e lei stava silenziosa, con gli occhi bassi.

Il Braith che stava in piedi vicino a Dirk non aveva un laser ma stringeva nella mano sinistra una torcia elettrica ad alta potenza che riempiva la galleria di luce gialla. La luce della torcia non permetteva a Dirk di vederlo bene in faccia, ma era alto come molti Kavalari e pesante e pareva pelato come un uovo.

«Finalmente siamo riusciti ad attirare la tua attenzione», disse l’uomo con la luce. L’altro rise, la stessa risata che Dirk aveva sentito prima.

Dirk si alzò in piedi con difficoltà e si allontanò all’indietro di un passo dai Kavalari. Si appoggiò alla parete della galleria, cercando di puntellarsi, ma la testa strillava di dolore e la scena ondeggiava. La torcia elettrica, calda e luminosa, gli provocava un dolore insopportabile agli occhi.

«Hai danneggiato il giocattolo, Pyr», commentò il Braith con il laser dall’altra parte della galleria.

«Spero di non averlo danneggiato troppo», disse quello grosso.

«Mi ucciderete?», chiese Dirk. Le parole gli riuscirono notevolmente facili, considerata la domanda che aveva fatto. Finalmente cominciava a riprendersi dal calcio.

Gwen alzò gli occhi quando lui parlò. «Alla fine ti uccideranno», disse lei con voce senza speranza; «ma non sarà una fine rapida. Mi dispiace, Dirk».

«Silenzio, vacca-betheyn», disse quello grosso, quello chiamato Pyr. Dirk era vagamente conscio di aver sentito prima quel nome. L’uomo osservò Gwen senza interesse, poi guardò di nuovo Dirk.

«Che cosa ha voluto dire?», disse Dirk nervosamente. Si premeva contro la pietra e cercava di tendere i muscoli senza farsene accorgere. Pyr era a meno di un metro di distanza. Il Braith pareva arrogante e distratto, ma Dirk si chiedeva fino a che punto fosse valida quest’impressione. L’uomo teneva la torcia sollevata nella mano sinistra, ma nella destra aveva qualcos’altro: un bastone lungo circa un metro, fatto di un legno scuro, con un pomo di legno duro e rotondo ad un’estremità ed una lama corta dall’altra parte. Lo teneva con leggerezza tra le dita, con la mano sull’asta centrale e lo batteva ritmicamente contro la gamba.

«Ci hai costretti ad una caccia agli spiriti, falsuomo», disse Pyr. «Non lo dico tanto per dire, o per prenderti in giro. Ci sono pochi che sono alla mia altezza nella buona vecchia alta caccia. Nessuno che sia migliore di me. Lo stesso Lorìmaar alto-Braith Arkellor ha soltanto la metà dei miei trofei. Per cui se ti dico che questa caccia è stata straordinaria, puoi essere certo che dico la verità. Sono contento che non sia finita».

«Cosa?», disse Dirk. «Non è finita?». L’uomo era vicinissimo… Si chiese se poteva riuscire a mettere Pyr tra lui e l’altro uomo, quello con il laser, oltre a parare i colpi del bastone con la lama. Magari sarebbe anche riuscito ad afferrare la pistola nel fodero di Pyr.

«Non è sportivo catturare un falsuomo addormentato, non c’è onore. Devi di nuovo scappare, Dirk t’Larien».

«Lui ti farà suo personale korariel», disse Gwen rabbiosamente, fissando i due Braith con calcolato disprezzo. «Nessuno potrà darti la caccia tranne lui e il suo teyn».

Pyr si voltò di nuovo verso di lei. «Ti ho detto di star zitta!».

Lei gli rise in faccia. «Conoscendo Pyr», continuò lei, la caccia seguirà l’autentica tradizione. Tu sarai liberato nella foresta, probabilmente nudo. Questi due metteranno via i laser e le macchine e ti inseguiranno a piedi con coltelli e spade da lancio e cani. Dopo avermi riconsegnata ai miei padroni, si capisce».

Pyr corrugò la fronte. L’altro Braith sollevò la pistola e la usò per dare un brutto colpo sulla bocca di Gwen. Dirk si tese, esitò un istante troppo a lungo, poi saltò.

Anche un metro era troppo; Pyr sorrideva mentre voltava la testa. Il bastone si sollevò con velocità terribile ed il pomo colpi Dirk allo stomaco. Barcollò, si piegò in due e cercò in qualche modo di non fermarsi. Pyr si spostò tranquillamente all’indietro e abbatté con forza il bastone nell’inguine di Dirk. Il mondo scomparve in una nebbia rossa.

Era vagamente conscio di Pyr che gli stava sopra dopo che lui era caduto. Poi il Braith lo colpì una terza volta, un colpo dato quasi per caso su di un lato della testa. Poi non ci fu più niente.


Stava male. Fu la prima cosa di cui si rese conto. Era tutto ciò che sapeva. Sentiva male. La testa gli girava e pulsava, tremando con un ritmo strano; gli faceva male anche lo stomaco e più sotto non aveva sensazioni. Dolore e vertigini erano i confini del mondo di Dirk. Per un tempo lunghissimo non ci fu niente altro.

Poco per volta però, gli ritornò una specie di confusa lucidità. Cominciò a notare le cose. Prima di tutto il dolore… andava e veniva a ondate. Andava su e giù, su e giù. Alla fine si rese conto che anche lui stava andando su e giù, ballonzolando e saltellando. Era sdraiato su qualcosa, trascinato o trasportato. Mosse le mani, o cercò di farlo. Era difficile. Il dolore pareva cancellare tutte le sensazioni normali. Aveva la bocca piena di sangue. Le orecchie gli risuonavano, ronzavano, gli bruciavano.

Lo stavano portando, sì. C’erano delle voci; riusciva a sentire le voci, che parlavano e ronzavano. Le parole non erano chiare. Più avanti, in qualche posto, c’era una luce che danzava e si agitava; tutto il resto era solo nebbia grigia.

Poco per volta il ronzio diminuì. Alla fine cominciò a distinguere le parole.

«…non sarà contento», disse una voce che lui non conosceva. Per lo meno non gli pareva di conoscerla. Era difficile da dirsi. Tutto era terribilmente distante e lui ballonzolava ed il dolore andava e veniva, andava e veniva, andava e veniva.

«Si», disse un’altra voce, pesante, tagliente, sicura.

Ancora ronzii… Parecchie voci assieme. Dirk non capiva niente.

Una voce azzittì le altre. «Abbastanza», disse. Questa voce era anche più lontana delle prime due; veniva da qualche punto più avanti, dalla luce ondeggiante. Pyr? Pyr. «Non ho paura di Bretan Braith Lantry, Roseph. Dimentichi chi sono io. Ho preso tre teste nella foresta quando Bretan Braith stava ancora succhiando alle tette delle donne. Il falsuomo è mio per tutti gli antichi diritti».

«Vero», rispose la prima voce sconosciuta. «Se sei stato tu a catturarlo nella galleria, non ci sarà nessuno che negherà i tuoi diritti. Però non te li sei presi».

«Volevo una caccia onesta, alla vecchia maniera».

Qualcuno disse qualcosa in Antico Kavalar. Ci fu una risata.

«Da giovani abbiamo cacciato il più delle volte assieme, Pyr», disse la strana voce. «Se tu l’avessi pensata in altro modo sulle donne, avremmo anche potuto diventare teyn-e-teyn, noi due. Non ti direi delle bugie. Bretan Braith Lantry vuole quest’uomo a tutti i costi».

«Non è un uomo, è un falsuomo. Sei stato proprio tu che l’hai deciso, Roseph. I desideri di Bretan Braith non valgono niente per me».

«Come arbitro ho decretato che è un falsuomo, e lo è di certo. Per te e per me non è altro che uno tra i tanti. Abbiamo i bambini di gelatina da cacciare, gli Emereli ed altri. Tu non hai bisogno di lui, Pyr. Bretan Braith la pensa diversamente. Lui era andato al quadrato della morte ed è stato preso in giro dall’uomo che aveva sfidato, perché non era un uomo per niente».

«Questo è vero ma non è tutta la verità. T’Larien è un tipo di preda speciale. Due dei nostri kethi sono morti per mano sua e Koraat giace morente con la spina dorsale spezzata. Non c’è mai stato un falsuomo che abbia fatto una fuga come questa. Lo voglio prendere io, è un mio diritto. Sono stato io a trovarlo, solo io».

«Sì», disse l’altra voce sconosciuta, quella pesante, tagliente. «Questo è abbastanza vero, Pyr. Come hai fatto a scoprirlo?».

Pyr era ben felice di avere la possibilità di vantare i suoi meriti. «Non sono stato tratto in inganno dall’aerauto, come invece è successo a te, e a te, e anche a Lorimaar. Era stato troppo intelligente, questo falsuomo e la vacca-betheyn che scappava con lui. Non era logico che lasciassero la macchina lì ferma, come se volessero indicare il posto in cui erano andati. Quando voi tutti avete sguinzagliato i vostri cani ed avete setacciato il corridoio, il mio teyn ed io abbiamo cominciato a cercare per il viale con le torce, per ritrovare una traccia. Sapevo che i cani non sarebbero serviti a niente. Io non ne avevo bisogno. Sono un miglior segugio io di qualsiasi cane, o ammaestratore di cani esistente. Ho fiutato un falsuomo in mezzo alle pietre nude delle Colline di Lameraan, in mezzo alle città morte devastate, perfino nelle granleghe abbandonate di Taal, Pugnodibronzo e di Monte Pietraluce. Queste due ultime azioni furono ridicolmente facili. Abbiamo controllato tutti i corridoi per la distanza di parecchi metri, poi passavamo a controllare più avanti. Così abbiamo trovato la traccia. C’erano le impronte di passi sul pavimento subito fuori da una rampa che conduceva alla sotterranea, poi delle tracce nella polvere che portavano dentro. Le tracce svanivano quando avevano cominciato ad usare gli aeroscooter, si capisce, ma a questo punto avevamo solo due possibili direzioni da prendere in considerazione. Temevo che avessero in mente di volare fino a Esvoch, o Kryne Lamiya, ma invece non era stato così. Ci è voluto quasi tutto il giorno ed una camminata che non finiva mai, ma alla fine li abbiamo presi».

A questo punto Dirk era quasi del tutto cosciente, anche se il suo corpo era ancora avvolto in un velo di dolore e dubitava che avrebbe risposto con efficienza se avesse cercato di muoversi. Riusciva a vedere benissimo. Pyr Braith camminava davanti con la torcia elettrica in mano e parlava ad un uomo più piccolo vestito di bianco e di porpora, che doveva essere Roseph, l’arbitro del duello che non si era mai fatto. Tra di loro c’era Gwen, che camminava da sola ed aveva sempre le mani legate. Lei non parlava. Dirk si chiese se fosse anche imbavagliata, ma era impossibile dirlo, poiché riusciva solo a vederla di schiena.

Lui era sdraiato in una lettiga di fortuna e ballonzolava ad ogni passo. Un altro Braith vestito di bianco e porpora sosteneva la parte anteriore, con i grandi pugni avvolti attorno alle sbarre di legno. Quello ossuto che rideva, il teyn di Pyr, era probabilmente dietro di lui, quindi all’altra estremità della lettiga. Si trovavano ancora nella galleria e camminavano; la metropolitana sembrava non finire mai e Dirk non poteva dire per quanto tempo fosse stato svenuto. Un bel po’, pensò; non c’era né Roseph, né la lettiga quando aveva cercato di sorprendere Pyr, di questo ne era ben sicuro. I suoi catturatori avevano probabilmente atteso nella galleria dopo aver chiamato i loro confratelli di granlega perché li aiutassero.

Nessuno sembrava rendersi conto che Dirk aveva aperto gli occhi. O forse lo avevano notato ma se ne fregavano. Lui non era in condizioni di far niente, tranne forse mettersi a gridare aiuto.

Pyr e Roseph continuavano a parlare, mentre gli altri due facevano dei commenti di tanto in tanto. Dirk tentò di ascoltare, ma il dolore non gli permetteva di concentrarsi facilmente, e poi quello che dicevano loro serviva a ben poco, sia a lui che a Gwen. Per lo più, pareva che Roseph stesse avvisando Pyr che Bretan Braith sarebbe stato molto sconvolto se Pyr avesse ucciso Dirk, dato che Bretan Braith voleva ucciderlo per conto suo. A Pyr non importava niente; da quel che diceva pareva chiaro che lui provasse pochissimo rispetto per Bretan, che era di due generazioni più giovane di tutti loro e perciò sospetto. I cacciatori non menzionarono i Ferrogiada in nessun punto della loro conversazione, il che portò Dirk alla conclusione che Jaan e Janacek non dovevano ancora essere arrivati, oppure questi quattro non erano ancora a conoscenza del loro arrivo.

Dopo un po’ smise di cercare di capire e si lasciò scivolare in una specie di dormiveglia. Le voci ridiventarono indistinte e continuarono per un gran tempo. Comunque alla fine si interruppero. Una delle due estremità della barella venne sbattuta rudemente a terra e Dirk venne bruscamente riportato alla realtà. Mani robuste lo presero sotto le ascelle e lo sollevarono.

Avevano raggiunto la stazione posta sotto Sfida ed il teyn di Pyr lo stava sollevando sulla piattaforma. Lui non cercò nemmeno di collaborare. Cercò di stare il più rigido possibile e lasciò che lo maneggiassero come se fosse stato un pezzo di carne morta.

Poi si ritrovò di nuovo sulla lettiga e loro lo trasportarono su per la rampa nella città vera e propria. Sulla piattaforma non lo avevano trattato con attenzione; ora aveva di nuovo la testa che gli girava. Accanto a lui passavano delle pareti blu pastello e lui si ricordò di quando erano scesi per la rampa la notte precedente. Chissà perché gli era sembrata una idea incredibilmente brillante quella di nascondersi nella sotterranea.

Le pareti scomparvero e si ritrovarono di nuovo a Sfida. Vide il grande albero Emereli, questa volta in tutta la sua robusta maestosità. Era un gigante rugoso, nero e blu, con i rami che si spingevano bassi sulla rotonda, mentre i rami più alti sfregavano contro il soffitto ombreggiato. Era sorto il giorno, si disse Dirk. Il cancello era rimasto aperto e lui riuscì a vedere attraverso le sue arcate Grasso Satana con un’unica stella gialla bassa sull’orizzonte. Dirk era davvero troppo sperduto e stanco per capire se stessero sorgendo o tramontando.

Due scafi di macchine Kavalari erano posati sulla strada presso l’ingresso alla metropolitana. Pyr si fermò accanto ad una e Dirk venne deposto sul pavimento. Cercò di mettersi a sedere, ma non ottenne nessun risultato. Le sue membra erano debolissime ed era ritornato il dolore, per cui si arrese e rimase sdraiato sulla schiena.

«Chiama gli altri», disse Pyr. «Queste sono cose che si devono sistemare qui e subito, in modo che il mio korariel potrà essere pronto per la caccia al più presto». Lui era in piedi sopra Dirk mentre parlava. Tutti si erano radunati accanto alla lettiga, anche Gwen. Era imbavagliata. E stanca. E senza speranze.


Ci volle più di un’ora prima che tutti i Braith fossero radunati; per Dirk fu un’ora in cui la luce cominciò a scomparire e le forze cominciavano a ritornargli. Era il tramonto, si rese conto all’improvviso; al di là del cancello Grasso Satana affondava lentamente e spariva alla vista. L’oscurità diventava sempre più spessa attorno a loro e più densa ingigantendo finché i Kavalari furono costretti ad accendere i fari delle loro macchine. A questo punto il senso di vertigine di Dirk era completamente scomparso. Pyr lo aveva notato, per cui gli aveva legate le mani dietro alla schiena e lo aveva messo seduto contro un fianco di un’aerauto. Misero Gwen accanto a lui, ma non le tolsero il bavaglio.

Anche se Dirk non era imbavagliato, non fece nessun tentativo di parlare. Rimase seduto con il freddo metallo contro la schiena e con i polsi che sfregavano contro i legacci. Aspettava, osservava ed ascoltava. Ogni tanto guardava verso Gwen, che però stava accasciata con la testa abbassata e non gli ritornava lo sguardo.

Vennero soli o a coppie. I kethi di Braith. I cacciatori di Worlorn. Vennero dalle ombre e dagli angoli bui. Simili a pallidi spettri. In un primo tempo erano solo un rumore e pallide figure, prima che si spostassero nel piccolo cerchio di luce e si ritrasformassero in uomini. Anche allora erano più che umani e meno che umani.

Il primo che arrivò conduceva quattro cani dal muso di topo e Dirk lo riconobbe perché lo aveva visto durante la folle corsa lungo la strada esterna. Il tipo attaccò i cani al paraurti della macchina di Roseph, salutò velocemente Pyr, Roseph ed i loro teyn, poi si sedette con le gambe incrociate a pochi metri dai prigionieri. Non parlò, non subito. Teneva gli occhi fissi su Gwen e non li spostò mai. Dirk sentiva i suoi cani che ringhiavano lì accanto nel buio, mentre le loro catene di acciaio si torcevano e sferragliavano.

Poi vennero gli altri. Lorimaar alto-Braith, un gigante bruno con un vestito nerissimo di tessuto camaleontino allacciato con pallidi bottoni d’osso. Arrivò a bordo di una macchina massiccia, rosso scura. Dentro, Dirk sentì abbaiare una muta di cani Braith. Con Lorimaar c’era un altro uomo, un uomo grasso e squadrato due volte più pesante di Pyr, col corpo duro e solido come mattone, il viso pallido e porcino. Dietro di loro, a piedi, veniva un vecchio dall’apparenza fragile, calvo e rugoso e quasi senza denti. Una mano era di carne e di ossa e l’altra era formata da tre punte che costituivano un artiglio di nero metallo. Il vecchio aveva una testa di bambino appesa alla cintura; stava sanguinando ancora e su una gamba dei suoi calzoni bianchi c’era la traccia marrone del sangue che era gocciolato.

Alla fine arrivò Chell, alto come Lorimaar, con i capelli bianchi, con i baffi e stanchissimo, conducendo un unico cane Braith. Arrivato al cerchio di luce si fermò e sbatté gli occhi.

«Dov’è il tuo teyn?», domandò Pyr.

«Eccomi». Una voce gracchiante dall’oscurità. A pochi metri di distanza si vedeva scintillare un’unica pietraluce. Bretan Braith Lantry si fece avanti e si mise vicino a Chell. Il suo viso ebbe un guizzo.

«Siamo tutti», disse Roseph alto-Braith a Pyr.

«No», obiettò qualcuno. «Manca Koraat».

Il cacciatore silenzioso parlò seduto presso il pavimento. «Non è più. Ha chiesto di morire. Io lo ho accontentato. Per la verità aveva una brutta frattura. È stato il secondo keth che ho visto morire oggi. Il primo è stato il mio teyn, Teraan Braith Nalarys». Mentre parlava non smise mai di fissare Gwen. Terminò con una frase lunga in Antico Kavalar, detta tutta d’un fiato.

«Tre dei nostri se ne sono andati», disse il vecchio.

«Dovremmo rispettare una pausa di silenzio per loro», disse Pyr. Teneva sempre in mano il suo bastone, con il pomo di legno duro ed il corto pugnale e lo batteva continuamente contro la gamba mentre parlava, proprio come faceva nella galleria.

Gwen cercò di gridare malgrado il bavaglio. Il teyn di Pyr, il Kavalar linfatico con i capelli neri, le fu subito sopra minaccioso.

Ma Dirk, che non era imbavagliato, aveva afferrato l’idea. «Non me ne starò zitto», gridò. O per lo meno tentò. La sua voce non era assolutamente in grado di gridare. «Erano degli assassini, tutti quanti. Con l’unico scopo di uccidere».

Tutti i Braith lo stavano guardando.

«Imbavagliatelo e fatelo smettere di strillare», disse Pyr. Il suo teyn si mosse rapidamente per eseguire l’ordine. Quando ebbe finito, Pyr parlò ancora. «Avrai tutto il tempo di strillare, Dirk t’Larien, quando scapperai nudo per la foresta e sentirai abbaiare i miei cani dietro di te».

La testa e le spalle di Bretan si voltarono goffamente. La luce scintillava sulla sua pelle devastata. «No», disse. «Sono stato io il primo a reclamarlo».

Pyr lo affrontò. «Sono stato io a catturare il falsuomo. È mio».

Bretan ebbe uno scatto. Chell, che teneva sempre il grosso cane per la catena avvolta attorno ad una delle grosse mani, posò l’altra mano sulla spalla di Bretan.

«Questa è una cosa che non mi interessa», disse un’altra voce. Il Braith che era seduto sul pavimento. Fissava. Immobile. «Che ne facciamo della puttana?».

Gli altri spostarono malvolentieri la loro attenzione. «Lei non è disponibile, Myrik», disse Lorimaar alto-Braith. «È di Ferrogiada».

Le labbra dell’uomo si ritrassero di scatto; per un momento il suo viso placido fu distorto da un’espressione selvaggia, diventò la faccia di una bestia, un rictus di emozioni. Poi passò. La sua espressione diventò di nuovo tranquilla, completamente sotto controllo. «Ammazzerò questa donna», disse. «Teraan era mio teyn. È stata lei che ha lasciato il suo spettro a vagare per un mondo senz’anima».

«Lei?». La voce di Lorimaar era incredula. «Dici la verità?».

«L’ho visto», rispose l’uomo sul pavimento, quello chiamato Myrik. «Le ho sparato addosso quando si è lanciata contro di noi, lasciando Teraan morente. Questa è la verità, Lorimaar alto-Braith».

Dirk cercò di alzarsi in piedi, ma il Kavalar smunto lo spinse di nuovo giù, violentemente e gli fece battere la testa contro il fianco metallico dell’aerauto, per sottolineare l’azione.

Allora parlò il fragile vecchio… il patriarca artigliato, che portava la testa di bambino. «Allora prendila come tua preda personale», disse, con la voce sottile e acuta come la lama del coltello da scuoiatore che portava appesa alla cintura. «La sapienza delle granleghe è vecchia e sicura, fratelli. Lei non è più una vera donna, ammesso che lo sìa mai stata, non è più una quasi-moglie e nemmeno una eyn-keth. C’è qualcuno che la reclama? Ella ha abbandonato la protezione del suo altolegato per scappare con un falsuomo! Anche se una volta è stata carne di uomo, adesso non lo è più. Voi conoscete i sistemi dei falsuomini, i bugiardi, i lupi mannari, i grandi truffatori. Solo con lei nel buio, questo falsuomo Dirk l’avrà sicuramente uccisa ed al suo posto avrà messo un demonio come lui, costruito con l’apparenza di lei».

Chell annuì affermativamente e disse qualcosa di profondo in Antico Kavalar. Gli altri Braith parevano meno sicuri. Lorimaar scambiava occhiate con il suo teyn, l’uomo grasso e squadrato. La spaventosa faccia di Bretan era indifferente, per metà maschera di tessuto scarnificato, per metà vuota innocenza. Pyr aggrottò la fronte e continuò a battere insistentemente con il suo bastone.

Fu Roseph a rispondere. «Quando sono stato arbitro al quadrato della morte, ho stabilito che Gwen Delvano era umana», disse scandendo le parole.

«Questo è vero», disse Pyr.

«Forse era umana allora», disse il vecchio. «Ma adesso ha assaggiato il sangue ed ha dormito con un falsuomo. Chi avrà il coraggio di chiamarla ancora umana?».

I cani cominciarono ad ululare.

I quattro che Myrik aveva legato alla macchina cominciarono la canizza, che fu continuata dalla muta che era chiusa dentro il veicolo a cupola di Lorimaar. Il cane enorme di Chell ringhiò e tirò la catena, finché il Braith più anziano ebbe uno scatto iroso; allora la creatura si accucciò e si uni agli ululati.

Quasi tutti i cacciatori puntarono lo sguardo nell’oscurità che li circondava (Myrik, con la faccia immobile come congelata era l’unica eccezione: gli occhi non abbandonavano mai Gwen Delvano). Più di uno si portò la mano alla fondina.

Ai bordi del cerchio, al di là delle aerauto e della pozza di luce, c’erano i due Ferrogiada, uno accanto all’altro nell’ombra.

Il dolore di Dirk — aveva la testa che gli martellava — gli parve improvvisamente di poca importanza. Il suo corpo tremava ed era scosso. Guardò Gwen; aveva alzato gli occhi verso di loro. Soprattutto verso Jaan.

Allora lui camminò verso la luce e Dirk vide che stava fissando Gwen quasi con la stessa fissità dell’uomo chiamato Myrik.

Pareva che si muovesse molto lentamente, come una figura di un sogno polveroso, come un uomo che dormisse. Garse Janacek gli era al fianco, vivo e concreto.

Vikary indossava un abito di tessuto camaleontino screziato, ombrato di nero contro zone più nere, quando entrò nel cerchio dei suoi nemici. Nel frattempo i cani si erano calmati e adesso il suo vestito era grigio polvere. Le maniche della camicia terminavano appena sotto i gomiti; ferro-e-pietraluce gli cingevano il braccio destro, giada-e-argento il sinistro. Per un istante senza fine apparve grandissimo. Chell e Lorimaar erano tutti e due più alti di una testa, eppure parevano più piccoli. Vikary dava la sensazione di dominare. Scivolò oltre loro, come un fantasma che camminava — pareva assolutamente irreale anche in quel posto — che camminava attraverso i Braith, come se non potesse vederli e si fermò vicino a Gwen e Dirk.

Ma era solo un’illusione. Il rumore dei cani era calato, i Braith cominciarono a parlare e Jaan Vikary si ritrasformò in un uomo come gli altri, più grosso di molti altri, ma ce n’erano anche di più grossi.

«Hai superato i limiti, Ferrogiada», disse Lorimaar con tono duro ed iroso. «Non vi abbiamo chiamati in questo posto. Non avete nessun diritto di stare qui».

«Falsuomini», li insultò Chell. «Falsi Kavalari».

Bretan Braith Lantry fece il suo verso singolare.

«Ti concedo la tua betheyn, Jaantony alto-Ferrogiada», disse con fermezza Pyr, ma il suo bastone si mosse con fretta nervosa. «Decretale il castigo che le è opportuno, che è giusto. Il falsuomo è mio, per la caccia».

Garse Janacek si era fermato qualche metro più in là. I suoi occhi si muovevano da uno all’altro che parlava e per due volte parve sul punto di replicare. Ma Jaan Vikary ignorò tutti quanti. «Togliete loro i bavagli», disse, agitando le mani verso i prigionieri.

Il teyn di Pyr, quello alto alto, era in piedi vicino a Dirk e Gwen, proprio di fronte all’altolegato Ferrogiada. Esitò per un lungo momento, poi si piegò e slegò i bavagli.

«Grazie», disse Dirk.

Gwen scosse il capo per allontanare i capelli dagli occhi e si alzò in piedi barcollando, con le mani sempre legate dietro alla schiena. «Jaan», disse con voce poco sicura. «Hai sentito?».

«Ho sentito», disse Vikary. Poi rivolto ai Braith: «Liberatele i polsi».

«Questa è supponenza, Ferrogiada», disse Lorimaar.

Tuttavia Pyr pareva curioso. Si appoggiò al suo bastone. «Liberatele le mani», disse.

Il suo teyn fece voltare rudemente Gwen ed usò il suo coltello per liberarla.

«Fammi vedere le braccia», disse Vikary a Gwen.

Lei esitò, poi mise le mani davanti a sé e le tese bene, con i palmi rivolti in basso. Sul braccio sinistro brillava la giada-e-argento. Non se l’era ancora tolta.

Dirk la osservò, debole e rassegnato, e sentì freddo. Lei non l’aveva ancora tolta.

Vikary abbassò gli occhi verso Myrik, che era sempre seduto con le gambe incrociate e gli occhietti fissi su Gwen. «Alzati in piedi».

L’uomo si alzò e si voltò a fronteggiare il Ferrogiada ed era la prima volta che staccava lo sguardo da Gwen da quando era arrivato. Vikary fece per parlare.

«No», disse Gwen.

Si stava soffregando i polsi. Poi si fermò e mise la mano destra sul braccialetto. La sua voce era ferma. «Non capisci Jaan? No. Se tu lo sfidi, se tu l’uccidi, allora me lo tolgo. Lo faccio».

Per la prima volta il viso di Jaan fu scosso dall’emozione, e quell’emozione era l’angoscia. «Tu sei la mia betheyn», disse. «Se io non… Gwen…».

«No», disse lei.

Uno dei Braith rise. A quel suono, Garse Janacek ghignò e Dirk vide uno spasimo selvaggio spuntare e sparire dal viso dell’uomo chiamato Myrik.

Se Gwen lo notò, non vi fece caso. Si mise di fronte a Myrik. «Io ho ucciso il tuo teyn», disse lei. «Io. Non Jaan. Nemmeno il povero Dirk. Sono stata io ad ucciderlo, lo ammetto. Lui ci stava dando la caccia, come te. E stava anche uccidendo gli Emereli».

Myrik non disse niente. Tutti erano immobili.

«Se proprio devi fare il duello, allora, se mi vuoi veramente morta, combatti con me!», continuò Gwen. «Io lo farò. Combatti con me se la tua vendetta è così importante».

Pyr rise rumorosamente. Alcuni attimi dopo il suo teyn si uni alla risata, e poi Roseph, poi molti altri… il grassone, il compagno di Roseph dalla faccia rigida e squadrata, il vecchio uncinato. Ridevano tutti.

La faccia di Myrik divenne rosso-porpora, poi bianca, poi di nuovo cupa. «Vacca-betheyn», disse. Il solito tremito gli attraversò di nuovo la faccia e questa volta lo videro tutti. «Mi vuoi prendere in giro. Un duello è… il mio teyn… e tu sei una donna!».

Terminò con un urlo che fece sobbalzare gli uomini e fece di nuovo ululare i cani. Poi scattò.

Sollevò le mani sulla testa, le strinse e le apri, poi colpi Gwen sulla faccia quando lei cercò di allontanarsi dalla sua rabbia, poi si lanciò improvvisamente su di lei. Le mise le dita attorno alla gola e la spinse avanti e Gwen cadde sulla schiena. Poi cominciarono a rotolarsi sul pavimento fino a quando sbatterono duramente contro il fianco di una macchina. Myrik era sempre ben sopra, con Gwen appiccicata sotto di lui e cercava di infilare profondamente le dita nel collo della donna. Allora lei lo colpi, forte sulla mascella, ma nella sua rabbia lui parve quasi non accorgersene. Cominciò a sbattere la testa della donna contro la macchina, una, due, tre volte, gridando in Antico Kavalar.

Dirk cercò di tirarsi in piedi, ma rimase immobile con le mani legate. Garse fece due rapidi passi in avanti e finalmente si mosse anche Jaan Vikary. Ma il primo a raggiungere Myrik fu Bretan Braith Lantry, che lo allontanò da lei mettendogli una mano attorno al collo. Myrik batté selvaggiamente l’aria con le mani, finché Lorimaar si unì a Bretan e tra tutti e due riuscirono a tener fermo l’uomo.

Gwen giaceva immobile, con la testa contro la lastra di metallo che serviva da porta, contro cui l’aveva sbattuta Myrik. Vikary si inginocchiò al suo fianco, su di un ginocchio solo, e cercò di metterle un braccio attorno alle spalle. La parte posteriore del capo lasciò una traccia di sangue sul fianco della macchina.

Si inginocchiò anche Janacek, rapidamente e le senti il polso. Soddisfatto si alzò di nuovo in piedi e si voltò a guardare in faccia i Braith, con il viso teso dalla rabbia. «Indossava giada-e-argento, Myrik», disse. «Tu sei un uomo morto. Ti lancio la sfida».

Myrik aveva smesso di gridare, anche se era ansante. Un cane ululò e poi rimase zitto.

«È viva?», chiese Bretan con la sua voce di cartavetrata.

Jaan Vikary sollevò lo sguardo verso di lui e il suo viso era strano e tirato come quello di Myrik pochi istanti prima. «È viva».

«È stata una fortuna», disse Janacek, «ma non certo per merito tuo, Myrik, del resto non fa nessuna differenza. Fai le tue scelte!».

«Scioglietemi!», disse Dirk. Nessuno si mosse. «Scioglietemi!», gridò.

Qualcuno gli tagliò i legacci.

Si avvicinò a Gwen, inginocchiandosi vicino a Vikary. Per un momento i loro occhi si incontrarono. Dirk esaminò la parte posteriore del capo di Gwen, dove i capelli neri si stavano già incrostando di sangue coagulato. «È per lo meno una commozione cerebrale», disse. «Forse c’è anche la frattura del cranio, forse peggio. Non lo so. Ci sono dei servizi medici?». Guardò tutti quanti. «Ci sono.

Rispose Bretan. «Non ce n’è nessuno in funzione a Sfida, t’Larien. La Voce mi ha dato battaglia. La città non ha voluto aiutarmi ed io ho dovuto ucciderla».

Dirk ghignò. «Allora questa donna non deve essere spostata. Può darsi che sia solo una commozione cerebrale. Immagino che debba riposare».

Incredibilmente, Jaan Vikary la lasciò tra le braccia di Dirk e si alzò in piedi. Fece un cenno a Lorimaar e Bretan, che tenevano imprigionato Myrik. «Lasciatelo».

«Lasciatelo…?». Janacek lanciò uno sguardo perplesso a Vikary.

«Jaan», disse Dirk, «non preoccuparti di lui. Gwen…».

«Portala dentro la macchina», disse Vikary.

«Penso che non dovremmo spostarla…».

«Qui non è al sicuro, t’Larien. Portala dentro la macchina».

Janacek corrugò la fronte. «Mio caro teyn.

Vikary si mise di nuovo di fronte ai Braith. «Vi ho detto di lasciare quest’uomo». Fece una pausa. «Questo falsuomo, come direste voi. Si è ben meritato questo nome».

«Che cosa vuoi dire, alto-Ferrogiada?», disse severamente Lorimaar.

Dirk sollevò Gwen e la posò piano sui sedili posteriori dell’aerauto più vicina. Era inerte, ma respirava ancora regolarmente. Poi scivolò al sedile di guida ed attese, massaggiandosi i polsi per ristabilire la circolazione.

Pareva che tutti lo avessero dimenticato. Lorimaar alto-Braith parlava ancora. «E conosciamo il tuo diritto di affrontare Myrik, ma deve essere un duello singolo, poiché Teraan Braith Nalarys giace ucciso. Dato che il tuo teyn è stato il primo a sfidarlo…».

Jaan Vikary aveva la pistola laser in mano. «Lasciatelo e mettetevi da parte».

Lorimaar sobbalzò, lasciò andare il braccio di Myrik e si fece rapidamente da parte. Bretan esitò. «Alto-Ferrogiada», gracchiò, «per il tuo onore e per il suo, per la tua granlega e per il tuo teyn, metti via la pistola».

Vikary mirò verso il giovane con mezza faccia. Bretan ebbe un tic, poi lasciò andare Myrik e si gettò all’indietro incassando grottescamente la testa tra le spalle.

«Che cosa succede?», stava domandando il vecchio con una mano sola, con voce tremolante. «Che cosa fa?», tutti lo ignorarono.

«Jaan», disse Garse Janacek con orrore. «Questo fatto ti ha messo fuori posto il cervello. Abbassa la pistola, mio teyn. L’ho sfidato io. Lo ucciderò per te». Posò la mano sul braccio di Jaan.

E Jaan Vikary diede uno strattone per liberarsi e puntò l’arma su Garse. «No. Stai indietro. Non devi intrometterti, non adesso. Questo è per lei».

Il viso di Janacek si incupì; adesso non rideva, non aveva nessuna battuta da dire. La mano destra gli si trasformò in un pugno che sollevò di fronte alla faccia. Ferro-e-pietraluce scintillava a mezz’aria tra i due Ferrogiada. «Il nostro vincolo», disse Janacek. «Pensaci, mio teyn. Il mio onore e i tuoi onori e quelli della nostra granlega». La sua voce era solenne.

«E che mi dici del suo onore?», disse Vikary. Agitando con impazienza il laser, fece allontanare Janacek da sé e si voltò di nuovo verso Myrik.

Solo e confuso, Myrik pareva non sapere che cosa ci si aspettasse da lui. La rabbia lo aveva abbandonato, anche se continuava a respirare affannosamente. Un po’ di bava, tinta di rosa dal sangue, gli scendeva da un angolo della bocca. Si pulì con il dorso della mano e fissò incerto Garse Janacek. «La prima delle quattro scelte», cominciò con voce vacillante. «Faccio la scelta del modo».

«No», disse Vikary. «Tu non hai nessuna scelta. «Guardami in faccia, falsuomo».

Myrik spostò lo sguardo da Vikary a Janacek e poi di nuovo a Vikary. «La scelta del modo»; ripeté supinamente.

«No», disse di nuovo Vikary. «Tu non hai dato nessuna scelta a Gwen Delvano, a lei che ti aveva affrontato secondo le regole in duello».

La faccia di Myrik si contorse esprimendo autentico terrore. «Lei? In duello? Io… ma era una donna, un falsuomo». Fece un cenno col capo, come a dire che era tutto sistemato. «Ma era una donna, Ferrogiada. Sei diventato matto? Mi prendeva in giro. Una donna non fa duelli».

«E tu non puoi duellare, Myrik. Mi capisci? Davvero? Tu»sparò ed un impulso da mezzo secondo, luminoso colpì Myrik in basso, tra le gambe, in modo da farlo urlare…

«non»e sparò di nuovo e bruciò Myrik al collo, proprio sotto il mento e poi aspettò che l’uomo cadesse per terra ed il laser si ricaricasse…

«puoi», continuò, quindici secondi dopo e con la parola arrivò un raggio di luce che bruciò la figura accartocciata in mezzo al petto e già Vikary stava camminando all’indietro, verso l’aerauto…

«duellare!», finì, mezzo fuori e mezzo dentro la macchina e con la parola ci fu un movimento del polso ed un quarto di raggio di luce e Lorimaar alto-Braith Arkellor cadde, con la pistola già mezzo estratta.

Poi la porta venne sbattuta e Dirk trasse la griglia gravitazionale e scattarono verso l’alto e in avanti, verso l’esterno. Erano quasi arrivati all’arco di uscita quando i laser cominciarono a sibilare e a colpire l’armatura.

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