La corsa dall’accampamento dei cacciatori fino al relitto dell’aerauto copriva meno di un chilometro ed a Dirk era sembrata eterna. Ritornare indietro gli richiese il doppio del tempo. In seguito, pensò di non essere stato completamente conscio in quel momento. I ricordi di quel ritorno erano tutti frammentari. Inciampava e cadeva e aveva rotto i pantaloni all’altezza delle ginocchia. Trovò un ruscello dalla corrente veloce e allora si fermò, si lavò il viso incrostato di sangue, si tolse gli stivali ed infilò i piedi nell’acqua gelata, fino a quando non ebbe più nessuna sensazione. Si arrampicò oltre le rocce su cui prima era scivolato. La nera bocca di una caverna lo fissò, promettendogli sonno e riposo, ma lui non la ascoltò. Perdette la strada, cercò il sole, e riperdette la strada. Gli spettri-d’albero saltavano da un ramo all’altro, tra i soffocatori, cinguettando con vocette sottili. Bianchi gusci morti lo osservavano dai rami cerei. Lontano, la banscea guaiva, un grido lungo, spettrale. Inciampò di nuovo, un po’ per disattenzione ed un po’ per paura. Il bastone si allontanò da lui seguendo una corta inclinazione ripida e si perdette tra arbusti fitti. Dirk non si curò di cercarlo. Camminava, camminava, appoggiandosi al bastone e, quando il bastone fu perso, si appoggiò al laser ed i piedi gli facevano male, un male incredibile. Ancora la banscea, più vicina, quasi sopra di lui. Guardò in su tra l’intrico di rami nel cielo cupo, cercando di individuare la bestia, ma senza riuscirci. Camminava, si feriva. Ricordava tutte quelle cose, ma era sicuro che tra quelle cose e le altre che si ricordava doveva per forza essere successo qualcosa, ma non ricordava le cose che collegavano le une alle altre. Forse dormì mentre camminava. Ma non smise mai di camminare. Era pomeriggio inoltrato, quando raggiunse la pìccola area sabbiosa presso il lago verde. Le aerauto erano ancora là, una era contorta e giaceva per metà nel lago, le altre tre erano sulla sabbia. L’accampamento era deserto.
Una delle macchine — la macchina con la grande cupola, che apparteneva a Lorimaar — aveva un cane alla guardia, legato alla porta da una lunga catena nera. La creatura era accucciata, ma quando Dirk si avvicinò si alzò in piedi e snudò i denti, ringhiando. Dirk scoprì che lui stava ridendo pazzamente, senza potersi fermare. Aveva fatto tutta quella strada, aveva camminato, camminato e camminato, e qui c’era solo un cane legato alla catena che gli ringhiava dietro. Avrebbe potuto avere la stessa identica scena se non si fosse mosso nemmeno di un metro.
Fece un largo giro, fuori dalla portata della catena del cane ed andò alla macchina di Janacek, ci sali sopra e chiuse la porta pesante. La cabina era buia, intasata e piccola. Dopo aver provato tutto quel freddo, Dirk la trovò esageratamente calda. Avrebbe voluto sdraiarsi, dormire. Ma per prima cosa cercò l’armadietto delle riserve, dove trovò una cassetta di pronto soccorso, in metallo. La tirò fuori e l’apri. Era piena di pillole e di bende e cose da spruzzare. Desiderò di essersi ricordato di dire a Janacek di gettare la cassetta di pronto soccorso vicino al luogo del relitto, assieme al laser. Sapeva che sarebbe dovuto uscire fuori, per lavarsi metodicamente nel lago e togliersi tutto il sudiciume dalle ferite, prima di tentare una fasciatura, ma la porta massiccia era troppo pesante per aprirla un’altra volta adesso. Dirk si tolse gli stivali e si tolse il giubbotto e la camicia. Spruzzò con una polvere il suo braccio sinistro gonfio, in modo da impedire l’infezione, o combatterla, o per lo meno far qualcosa. Era troppo stanco per stare a leggere le istruzioni in maniera completa. Poi guardò le pillole. Prese due pillole per la febbre e quattro analgesici, oltre a due antibiotici, che ingoiò senz’acqua, perché non aveva acqua a disposizione.
Dopo giacque sulle lastre di metallo del pavimento tra i due sedili. Il sonno lo raggiunse istantaneamente.
Si svegliò che aveva la bocca secca, tremava ed era molto nervoso, il che era un effetto collaterale delle pastiglie. Ma riusciva di nuovo a pensare ed aveva la fronte fresca, anche se era coperta da sudore freddo, ed i piedi gli facevano un po’ meno male di prima. Anche il gonfiore al braccio era un po’ diminuito, anche se era più grosso del normale e piuttosto irrigidito. Si rimise la camicia bruciacchiata ed incrostata di sangue e sopra mise il giubbotto, raccolse a cassetta di pronto soccorso ed uscì fuori.
Era il tramonto; il cielo occidentale era rosso ed arancione e due soli gialli brillavano intensamente sulle nuvole del tramonto. I Braith non erano ritornati. Jaan Vikary, armato e vestito e ricco d’esperienza, sapeva certo meglio come fare a scappare di quanto lo sapesse Dirk
Si avviò attraverso la sabbia verso il lago. L’acqua era frigida, ma vi si abituò abbastanza presto ed il fango gli scivolava fluido sotto i piedi. Si svestì ed abbassò la testa nell’acqua per lavarsi, poi prese la cassetta di medicine e fece tutte le cose che avrebbe dovuto già fare prima, pulendosi e bendandosi i piedi, prima di farli di nuovo scivolare negli stivali di Pyr. Si era pulito quasi dappertutto con il disinfettante, tamponando gli infiammati segni lasciati dai denti sul braccio, usando un balsamo che avrebbe dovuto ridurre al minimo eventuali reazioni allergiche. Inghiottì anche un’altra manciata di analgesici, ma questa volta inghiottì anche una buona sorsata d’acqua che aveva recuperato nel lago.
La notte si avvicinava rapidamente e dovette rivestirsi in fretta. Il cane dei Braith era steso presso la macchina di Lorimaar e masticava un enorme pezzo di carne, ma non c’era segno del suo padrone. Dirk si avviò con precauzione verso la terza aerauto, girando ben lontano dalla bestia; la macchina di Pyr e del suo teyn. Era convinto che poteva prendersi le loro provviste senza troppi rischi; gli altri Braith ritornando e trovando l’accampamento vuoto, non avrebbero potuto scoprire se mancava qualcosa.
Dentro trovò una rastrelliera piena di armi: quattro fucili a laser su cui era stata incisa la testa di lupo ben nota, una certa quantità di spade da duello, coltelli, una lama da lancio argentea lunga due metri e mezzo messa accanto ad una mensola vuota. Su di un sedile c’erano due pistole gettate lì. Trovò anche un armadio pieno di vestiti puliti e si cambiò velocemente, infilando i vestiti logori in un posto fuori vista. I vestiti non gli andavano bene, ma si sentì molto meglio. Si prese una cintura di maglia di ferro, una pistola da combattimento ed un soprabito fino al ginocchio fatto di tessuto camaleontino.
Spostando il mantello dal punto in cui era stato appeso, mise in mostra un altro strano armadio. Dirk lo aprì. Dentro c’erano quattro stivali ben noti, oltre agli aeroscooter di Gwen. Evidentemente Pyr ed il suo teyn li avevano reclamati come bottino personale.
Dirk sorrise. Non aveva avuto mai l’intenzione di prendersi un’aerauto; c’erano troppe possibilità di essere subito scoperto dai cacciatori, soprattutto se li avesse incontrati durante il giorno. Comunque l’idea di dover camminare non lo aveva spaventato. Gli scooter erano la risposta più adatta. Non perse tempo cercando un paio di stivali più larghi, anche se dovette indossare gli altri senza legarli, dopo aver infilato i piedi bendati.
Il cibo era sistemato nello stesso armadietto degli stivali volanti; barrette di proteine, bastoncini di carne secca, una piccola quantità di formaggio duro. Dirk si mangiò il formaggio e mise il resto nello zaino che sistemò dietro alle spalle, poi uscì fuori per allargare il tessuto metallico sulla sabbia.
Era ormai buio. Il suo punto di riferimento della notte precedente, la stella di Alto Kavalaan, brillava rossa e scintillante ed unica sulla foresta. Dirk la vide e sorrise. Questa notte non gli sarebbe servita per indicazione; immaginava che Jaan Vikary si sarebbe diretto al più presto verso Kryne Lamiya, nella direzione opposta. Ma la stella gli pareva sempre un’amica.
Prese un fucile a laser appena caricato e toccò la cialda metallica dello scooter. Si sollevò. Dietro di lui il cane Braith si alzò in piedi e si mise ad ululare.
Volò per tutta la notte, tenendosi parecchi metri al di sopra delle cime degli alberi, consultando ogni tanto la bussola e studiando le stelle. C’era ben poco da vedere. Sotto di lui c’era la foresta che scivolava via infinita, nera e nascosta, senza fuochi o luci che ne rompessero l’oscurità. Certe volte gli pareva addirittura di essere immobile e gli venne in mente l’ultimo viaggio in scooter, attraverso le gallerie della sotterranea abbandonata di Worlorn.
Il vento lo accompagnava sempre. Gli veniva da dietro le spalle, forte sulla schiena ed accettò volentieri quel po’ di velocità in più che gli regalava. Gli faceva sbattere il mantello tra le gambe mentre volava e parecchie volte gli aveva spinto i lunghi capelli sugli occhi. E lo sentiva muovere la foresta sotto di lui, facendo curvare gli alberi più elastici e facendo stormire le loro foglie, scuoteva gli alberi più robusti con fredde mani selvagge, fino a far loro cadere tutte le foglie. Solo i soffocatori parevano impenetrabili, ma laggiù c’erano un mucchio di soffocatori. Il vento emetteva un leggero sibilo selvaggio, mentre lottava con quei rami contorti. Il suono era quello giusto; questo era il vento di Kryne Lamiya, Dirk lo sapeva, nasceva al di là delle montagne ed era controllato dalle macchine del tempo di Cupalba e si muoveva verso il fato. Là davanti c’erano le torri bianche in attesa e le mani ghiacciate lo spingevano avanti.
C’erano anche altri rumori: fatali movimenti nei boschi sottostanti, gli stridii dei cacciatori notturni, il frusciare di un piccolo fiume sottile, il tuonare di una rapida. Dirk sentì parecchie volte lo strillo alto e cinguettante degli spettri-d’albero e vide piccole forme che saltavano da un ramo all’altro. I suoi occhi e le orecchie divennero stranamente sensibili. Passò sopra un ampio lago e senti qualcosa che si tuffava nelle acque nere, seguito da tante altre cose simili. In lontananza, sulla riva, un muggito strombettante risuonò nella notte. E dietro di lui una risposta come una sfida; un lungo gemito lamentoso. La banscea.
Quel suono lo raggelò, la prima volta che lo senti. Ma la paura passò subito. Quando era nudo nella foresta, la banscea era stata una minaccia terribile, era la morte circondata da ali. Ma adesso aveva un’arma al fianco e la creatura costituiva una minaccia secondaria. Forse, rifletté, poteva essere anche una alleata. Già una volta gli aveva salvato la vita. Forse io avrebbe fatto ancora.
La banscea emise il suo gemito agghiacciante una seconda volta… Era sempre dietro di lui, ma adesso era più alta e continuava ad alzarsi… Dirk sorrise soltanto. Salì anche lui per mantenere la bestia al di sotto e fece una lenta curva per cercare di vederla. Ma era ancora lontana ed era nera come il suo abito camaleontino e riuscì solo a distinguere un vago ondeggiare sullo sfondo della foresta. Forse non erano altro che rami che si muovevano nel vento.
Sempre stando in alto, consultò la bussola ancora una volta e volò in cerchio per riprendere il volo alla volta di Kryne Lamiya. Per altre due volte, quella notte, gli parve di sentire piangere la banscea, lontano da lui, ma il suono era troppo distante e debole e non poteva esserne sicuro.
Il cielo orientale aveva appena cominciato ad illuminarsi, quando sentì per la prima volta la musica, sparsi brandelli di disperazione, troppo noti per potergli piacere. La città di Cupalba era ormai vicina.
Rallentò e si librò, stringendo gli occhi. Aveva percorso la strada che secondo lui doveva aver fatto anche Jaan Vikary; ma non aveva visto niente. Poteva darsi che avesse sbagliato tutte le supposizioni. Forse Vikary aveva condotto i suoi inseguitori in tutt’altra direzione. Ma Dirk pensava di no. Era più probabile che lui ci fosse passato sopra, senza vederli e senza essere visto, nella notte buia.
Cominciò a ritornare indietro, ma adesso volava contro vento e sentiva le fredde dita spettrali di Lamiya-Bailis sulle guance. Con la luce il suo compito sarebbe staio più semplice, o almeno lo sperava.
Si sollevò Occhiodaverno ed uno dopo l’altro, i Soli Troiani. Riccioli di nuvole bianche e grige si muovevano in un cielo misero, mentre le nebbie del mattino strisciavano sul terreno della foresta. ì boschi sotto di lui divennero giallo-bruni e non erano più neri; dappertutto c’erano soffocatori, abbracciati come amanti scomposti e la luce rossa scintillava brevemente tra i loro rami pallidi. Dirk si alzò ancora ed il suo orizzonte si allargò. Vide i fiumi, il lampo del sole sull’acqua. E laghi troppo vasti, senza nessuna luminosità, scuri, coperti da uno strato galleggiante verdastro. Un prato ammantato di neve, o almeno così gli pareva, finché non si trovò sul posto e non vide che si trattava di una distesa coperta da funghi sporchi che imbiancavano la foresta.
Vide una linea di rottura, un taglio roccioso che attraversava i boschi da nord a sud, una linea diritta, come se fosse stata tracciata con una riga. E pianure di fango, bianche e marroni e puzzolenti, che si stendevano su entrambi i lati di un lento ed ampio corso d’acqua. E un dirupo fatto di pietra grigia, battuta dagli elementi, che sorgeva inatteso in mezzo alla foresta. I soffocatori si erano aggrappati sui suoi fianchi fino alla cima e spuntavano dalla cima inclinati secondo angoli pazzeschi, ma non ce n’era uno sulle pareti verticali, dove prosperavano solo licheni bianchi e la carcassa di una specie di uccello gigantesco, morto nel suo nido.
Ma non vide traccia di Jaan Vikary e dei cacciatori che lo inseguivano.
A metà mattinata i muscoli di Dirk dolevano dalla fatica ed il suo braccio aveva ripreso a pulsare. La speranza aveva cominciato a svanire. La foresta continuava all’infinito, chilometri e chilometri, un vasto tappeto giallo su cui lui cercava per ritrovare un mito, un mondo silenzioso avvolto in un sudario di luce crepuscolare. Si voltò di nuovo verso Kryne Lamiya, convinto di essere ritornato troppo indietro. Cominciò a girovagare, ripercorrendo la strada secondo una rotta sinuosa, invece di seguire la linea diretta. E cercava, cercava sempre. Era stanchissimo. Verso mezzogiorno, decise di volare in cerchio sopra l’area più probabile, muovendosi a spirale, in modo da cercare di scandagliare quanto più terreno possibile.
Ed udì gridare la banscea.
Questa volta riuscì anche a vederla. Volava bassa presso il livello degli alberi, lontano da lui. Pareva impossibilmente lenta ed immobile. Il nero corpo triangolare pareva quasi fermo; teneva le ali molto rigide e la creatura pareva galleggiare sul vento di Cupalba. Quando voleva voltare cercava una corrente ascendente e si faceva trasportare in un ampio cerchio, prima di ridiscendere. Dirk, che non aveva nient’altro da fare, cominciò a seguirla.
La bestia gridò ancora. Il suono persisteva.
E poi Dirk sentì una risposta.
Toccò la cialda metallica nel palmo della mano e cominciò a scendere rapidamente, con le orecchie tese, improvvisamente attento. Il rumore era stato debole, ma inconfondibile: una muta di cani Braith, che abbaiavano selvaggiamente per la rabbia e per la paura. Perse di vista la banscea — ormai non importava più — ed inseguì il rumore che spariva in fretta. Era venuto da nord, gli era sembrato. Volò verso nord.
Da qualche parte, vicino, un cane ululò.
Dirk si mise istantaneamente all’erta. Forse volava troppo basso ed i cani avrebbero potuto abbaiare verso di lui, lasciando perdere la banscea. Ad ogni modo era una situazione pericolosa. Il suo abito faceva quel che poteva per mantenere i colori del cielo di Worlorn, ma gli aeroscooter argentei potevano riflettere la luce verso il basso, rendendolo visibile se qualcuno decideva di alzare gli occhi. E con una banscea nelle vicinanze, non sarebbe stato improbabile.
Ma se voleva aiutare Jaan Vikary e la sua Jenny, non gli restavano molte altre possibilità. Afferrò strettamente la sua arma e continuò a scendere. Sotto di lui, c’era un fiume dalle acque verdi e azzurre, che scorreva velocemente e tagliava la foresta come un coltello. Voltò da quella parte, mentre scandagliava il terreno con gli occhi, avanti e indietro. Sentì il rumore delle rapide, andò da quella parte e le trovò. Apparivano veloci e pericolose viste dall’alto. Rocce nude si alzavano dall’acqua come denti cariati, bruni e informi, l’acqua ribolliva bianca e feroce attorno a loro, i soffocatori le premevano da tutte le parti. Al di sotto il fiume si allargava e diventava più calmo. Guardò per un momento da quella parte, poi di nuovo le rapide. Attraversò l’acqua, girò e riattraversò.
Un cane abbaiò forte. Altri si unirono alla canizza.
La sua attenzione venne rivolta alla parte inferiore del corso d’acqua. C’erano dei puntini neri in acqua, che guadavano il fiume dove la corrente pareva sopportabile. Volò in quella direzione.
I puntini si fecero più grandi e si trasformarono in forme umane. Un ometto quadrato vestito di giallo-bruno, che combatteva contro la corrente per poter attraversare. Un altro uomo gli era vicino, sulla riva, con sei cani giganteschi.
L’uomo nell’acqua tornò indietro. Aveva un fucile in mano, vide Dirk. Era un uomo molto grasso e basso. La faccia era pallida, il torace ampio, braccia e gambe pesanti… Saanel Larteyn, il grasso teyn di Lorimaar. E sulla riva c’era Lorimaar, che teneva la muta. Nessuno dei due guardava in alto. Dirk rallentò per non avvicinarsi troppo.
Saanel si arrampicò fuori dall’acqua. Si trovava sempre dal lato sbagliato del fiume, dove c’era anche Lorimaar, la sponda opposta a quella su cui si trovava Kryne Lamiya. Stava cercando di attraversare, però. Ma non qui. Adesso i due cacciatori avevano incominciato a spostarsi, andando ancora più verso la parte inferiore del fiume. Si muovevano goffamente tra i giunchi, le rocce ed i soffocatori che si affollavano sulla riva del fiume.
Dirk non li seguì. Lui aveva lo scooter e sapeva dove stavano andando; li avrebbe sempre potuti ritrovare in seguito, se fosse stato necessario. Ma dov’erano gli altri? Roseph e il suo teyn? Garse Janacek? Si voltò e risalì il fiume, provando un po’ più di fiducia di prima. Se il gruppo di cacciatori si era diviso, gli sarebbe stato più facile affrontarli. Volò basso sopra il fiume, veloce, le acque ruggivano un paio di metri al di sotto dei suoi piedi, mentre con gli occhi scrutava le rive per cercare di vedere un altro gruppo che cercava di attraversare.
A circa due chilometri a nord-est delle rapide — qui il canale era stretto e veloce — trovò Janacek in piedi al di sopra dell’acqua, con un’espressione incerta sul viso.
Pareva che fosse solo. Dirk lo chiamò. Janacek alzò gli occhi e sobbalzò, poi lo salutò con una mano.
Dirk scese accanto a lui. Fu un brutto atterraggio. La roccia su cui era Janacek era coperta di un verde muschio scivoloso e la parte inferiore dello scooter di Dirk scivolò e quasi cadde nel fiume. Janacek lo afferrò per il braccio. Dirk spense il controllo gravitazionale. «Grazie», mormorò. «Non sembra facile nuotare qua dentro».
«Era esattamente ciò che stavo pensando standomene qui», rispose Janacek. Appariva stravolto. La faccia ed i vestiti erano sporchi e la barba rossa era umida di sudore. Un lungo ricciolo di capelli gli attraversava la fronte, grasso e molle. «Stavo cercando di decidere se dovessi rischiare la sorte attraversando la corrente, o sprecare altro tempo continuando a risalire il fiume, nella vaga speranza di trovare un posto in cui si potesse attraversare». Un debole sorriso gli si dipinse sul volto. «Ma tu hai risolto il problema con il giocattolo di Gwen. Dove…?».
«Pyr», disse Dirk. Stava per raccontare a Janacek della sua fuga verso l’aerauto abbattuta.
«Ma sei vivo», disse rapidamente il Ferrogiada. «Posso anche fare a meno dei dettagli, t’Larien. Sono successe un mucchio di cose dall’alba di ieri. Hai visto i Braith?».
«Lorimaar e il suo teyn stavano andando in direzione della corrente», disse Dirk.
«Questo lo so», scattò Janacek. «Avevano attraversato?».
«No, non ancora».
«Bene. Jaan è molto vicino, ormai, forse solo mezz’ora più avanti di noi. Non lo devono raggiungere prima». Scrutò con gli occhi la riva opposta del fiume e sospirò. «Hai l’altro paio di scooter, o devo prendere i tuoi?».
Dirk mise giù il fucile sulla roccia e cominciò ad aprire lo zaino. «Ho preso l’altro», disse. «Dov’è Roseph? Che cosa succede?».
«Jaan ha fatto una fuga magnifica», disse Janacek. «Nessuno si sarebbe aspettato che riuscisse a coprire una distanza simile in così breve tempo. I Braith non se lo sarebbero aspettato di sicuro. Inoltre non si è limitato a scappare. Ha anche messo delle trappole». Si tirava indietro i capelli dalla fronte con il dorso della mano. «La notte scorsa si è accampato. Era piuttosto lontano da noi. Abbiamo trovato la cenere del suo fuoco. Roseph è finito in una buca nascosta ed ha infilato il piede su di un palo». Janacek sorrise. «È ritornato indietro, aiutato dal suo teyn. E tu dici che Pyr ed Arris sono morti?».
Dirk annui. Aveva tirato fuori gli stivali ed il secondo scooter dallo zaino.
Janacek li prese senza commentare. «I cacciatori diminuiscono. Credo che abbiamo vinto, t’Larien. Jaan Vikary sarà stanco. Ha corso senza dormire per un giorno e due. notti. Però sappiamo che non è ferito, che è armato e che è un Ferrogiada. Lorimaar e quel lumacone che si è preso come teyn, non lo acchiapperanno facilmente».
Si inginocchiò e cominciò a slacciarsi gli stivali, sempre continuando a parlare. «La loro folle idea di una nuova granlega qui, è morta sul nascere. Lorimaar diventa furioso solo a sognarsela. Io credo che la sua mente si sia disancorata fin da quando Jaan gli ha sparato con il laser a Sfida». Si tolse uno stivale. «Tu sai perché Chell e Bretan non erano con loro, t’Larien? Perché quei due erano troppo saggi per apprezzare l’idea di diventare alti-Larteyn! Roseph mi ha detto tutto durante la caccia. La verità, aveva detto lui, è questa: Lorimaar aveva cominciato a parlare di quella follia quando erano ritornati a Larteyn, dopo l’uccisione di Myrik. C’erano i sei che abbiamo incontrato nella foresta, più il vecchio Raymaar. Bretan Braith Lantry e Chell lib-Braith non c’erano. Loro hanno cercato di inseguire te e Jaantony, poi sono passati attraverso alcune delle città in cui loro pensavano che voi avreste potuto nascondervi. Per cui Lorimaar era essenzialmente privo di opposizione. Aveva sempre intimidito tutti gli altri, tranne forse Pyr e a Pyr non interessava mai nient’altro, se non la caccia ai falsuomini».
Janacek aveva qualche difficoltà ad entrare negli stretti stivali di Gwen. Faceva smorfie e spingeva a fondo, forzando il piede ad entrare dove invece non voleva saperne di entrare. «Quando Chell ritornò, era furioso. Non voleva continuare. Non voleva nemmeno ascoltare. Bretan aveva cercato di calmarlo, dichiarò Roseph, ma non ci fu niente da fare. Il vecchio Chell è un Braith e la nuova granlega di Lorimaar, per lui era solo un tradimento. Lanciò una sfida. Lorimaar era immune dalle sfide, per la verità, dato che era ferito, tuttavia accettò lo stesso. Chell era assai vecchio. Come sfidato, Lorimaar fece la prima delle quattro scelte, la scelta del numero»,
Janacek si alzò in piedi e batté forte per terra, sulla roccia scivolosa, per schiacciare il piede dentro lo stivale, «Non c’è bisogno di dire che lui scelse il combattimento singolo. Sarebbe stato tutto un altro duello se si fosse battuto anche con Bretan Braith e non solo con Chell Mani-Vuote. Lorimaar, anche se ferito, dispose del vecchio con relativa facilità. Scelsero il quadrato della morte e le spade. Chell si prese parecchi tagli, troppi tagli, forse. Roseph pensa che ora si trovi moribondo a Larteyn. Bretan Braith è rimasto con lui e, cosa ancora più importante, è restato Bretan Braith», Janacek allargò il suo aeroscooter.
«Hai scoperto qualcosa su Ruark?», gli chiese Dirk.
Il Kavalar si strinse nelle spalle. «È più o meno come avevamo sospettato. Ruark si era messo in contatto con Lorimaar alto Braith per visichermo… Fra l’altro, pare che nessuno sappia dove si trovi il Kimdissi… e gli offrì di rivelare dove si nascondeva Jaan, se Lorimaar lo avesse nominato korariel in modo da garantirgli la sua protezione. Lorimaar lo fece volentieri. Per fortuna, Jaan era già dentro la sua aerauto quando quelli arrivarono. Per cui si limitò a decollare ed a scappare. Loro gli corsero dietro ed alla fine Raymaar lo raggiunse appena al di là delle montagne, ma sì trattava di nuovo di un vecchio e non aveva certo l’esperienza di volo di Jaan Vikary». C’era una nota di orgoglio e di derisione nella voce di Janacek, come di un genitore che vanta l’abilità del suo bambino. «I Braith scesero per combattere, ma la macchina di Jaan era stata danneggiata pure, per cui fu costretto ad atterrare ed a scappare. Lui era già fuggito, quando gli altolegati scoprirono dove lui era precipitato. Avevano sprecato del tempo cercando di assistere Raymaar». Agitò una mano con impazienza.
«Perché ti sei separato da Lorimaar?», chiese Dirk.
«Tu cosa pensi? Jaan adesso è vicino. Devo raggiungerlo io, prima che lo raggiungano loro. Saanel insisteva che sarebbe stato più facile attraversare scendendo a valle ed io mi sono preso la libertà di pensarla diversamente. Lorimaar adesso è troppo stanco per essere sospettoso. Pensa solamente ad uccidere. La sua ferita è ancora infiammata, t’Larien! Penso che non veda altro che Jaan Vikary steso davanti a lui in un lago di sangue e si è perfino dimenticato chi è che va cacciando. Per cui io mi sono allontanato da loro e sono andato contro corrente e per una volta ho avuto paura di aver fatto uno sbaglio. Era più facile attraversare verso valle, che ne dici?».
Dirk annuì di nuovo.
Janacek rise. «Per cui è stata una fortuna che tu sia arrivato».
«Devi avere ancora un bel po’ di fortuna per riuscire a trovare Jaan», lo mise in guardia Dirk. «A quest’ora i Braith devono aver attraversato il fiume e loro hanno anche i cani».
«La cosa non mi preoccupa granché», disse Janacek. «Ormai Jaan corre diritto ed io so qualcosa che Lorimaar non sa. Io so verso cosa sta scappando. Una caverna, t’Larien! Il mio teyn è sempre stato attratto dalle caverne. Quando eravamo tutti e due dei ragazzi, a Ferrogiada, mi portava spesso a fare esplorazioni sottoterra. Mi trascinò in tante di quelle miniere abbandonate, che alla fine non ce la facevo più. Parecchie volte andammo ad esplorare sotto le antiche città, nelle rovine infestate dai demoni». Sorrise. «Granleghe devastate, tra l’altro, nuclei anneriti in antiche alteguerre, ancora brulicanti di spiriti inquieti. Jaan Vikary conosceva tutti questi posti. Mi conduceva attraverso queste zone e mi raccontava la storia, senza mai smettere, storie di Aryn alto-Pietraluce e Jamis-Leone Taal e dei cannibali dei Siti del Carbone Profondo. Era sempre un bel narratore. Riusciva a rendere attuali quegli antichi eroi, come pure gli orrori».
Dirk sì accorse di stare sorridendo. «Lo faceva per spaventarti, Garse?».
L’altro rise. «Spaventare me? Sì! Mi terrorizzava, ma a suo tempo sono diventato inattaccabile. Eravamo tutti e due giovani, t’Larien. Più tardi, molto più tardi, furono le caverne sotto i Colli Lameranì, dove ci vincolammo con ferro-e-fuoco».
«Bene», disse Dirk. «Sicché a Jaan piacciono le caverne…».
«Vicinissimo a Kryne Lamiya si apre un sistema di grotte», disse Janacek, ritornando ai fatti del momento, «con una seconda entrata vicinissima al punto in cui stiamo adesso. Le abbiamo esplorate tutti e tre, durante il primo anno di nostra permanenza a Worlorn. Ora penso che Jaan voglia concludere la sua fuga passando sottoterra, se gli sarà possibile. Per cui lo possiamo intercettare». Raccolse il fucile.
Dirk sollevò la sua arma. «Non potrai mai trovarlo nella foresta», disse. «I soffocatori lo nascondono troppo bene».
«Io lo troverò», disse Janacek, con la voce un po’ rotta e piuttosto adirata. «Ricordati del nostro vincolo, t’Larien. Ferro-e-fuoco».
«Solo ferro, al momento», disse Dirk, osservando vistosamente il polso destro di Janacek.
Il Ferrogiada rise con la sua risata dura e caratteristica. «No», disse. Mise la mano in tasca, la tirò fuori e l’aprì. Sul palmo della mano c’era una pietraluce. Un unico gioiello, tondo e rozzamente sfaccettato, circa due volte più grande della gemma mormorante di Dirk. La pietra era nera e quasi opaca nella luce rossa del mattino.
Dirk lo fissò, poi la toccò leggermente con un dito, sicché si mosse un poco nella mano di Janacek. «Pare… fredda», disse.
Janacek si accigliò. «No», disse. «Brucia, invece, proprio come fa sempre la luce del fuoco». La pietraluce scomparve di nuovo nella tasca. «Ci sono racconti, t’Larien, poesie in Antico Kavalar, fiabe che si raccontano ai bambini negli asili delle granleghe. Anche le eyn-kethi conoscono quelle storie. Le raccontano con le loro voci da donna, ma Jaan Vikary le racconta meglio. Ascoltalo qualche volta. Ascolta le cose che un teyn ha fatto per il suo teyn. Lui ti darà risposte di grandi magie e di più grandi eroismi, delle antiche glorie impossibili. Io non sono capace di raccontare le storie, altrimenti te le racconterei io. Forse allora riusciresti a capire in parte che cosa significhi essere teyn di un uomo e portare il vincolo del ferro».
«Forse l’ho già capito», disse Dirk.
Scese tra di loro un lungo silenzio mentre erano in piedi sulla roccia scivolosa di muschio, a mezzo metro l’uno dall’altro e si fissavano negli occhi. Janacek sorrideva leggermente, con lo sguardo abbassato verso Dirk. Sotto di loro il fiume scorreva instancabile ed il rumore dell’acqua li invitava ad affrettarsi.
«Tu non sei un uomo terribilmente debole, t’Larien», disse alla fine. «Sì, sei debole, lo so, ma nessuno ti ha mai chiamato forte».
In un primo momento pareva quasi un insulto, ma pareva anche che il Kavalar volesse dire qualcos’altro. Dirk si soffermò a pensarci e trovò anche un secondo significato. «Dà un nome ad una cosa?», disse. sorridendo.
Janacek annuì. «Ascoltami, Dirk. Non lo ripeterò un’altra volta. Ricordo quando per la prima volta da ragazzo a Ferrogiada, venni messo in guardia dai falsuomini. Una donna, una eyn-kethi… tu la chiameresti mia madre, anche se tale distinzione non ha alcun peso sul mio mondo… questa donna mi ha raccontato la leggenda. Però me ]’ha raccontata in maniera diversa. I falsuomini contro cui mi mise in guardia non erano demoni di cui avrei appreso più tardi dalle labbra degli altolegati. Questi erano semplici uomini, mi disse lei, non mostri alieni, non parenti di licantropi o succhiatori d’anima. Eppure erano persone che cambiavano aspetto, in un certo senso, dato che non avevano una vera forma. Erano uomini di cui non ci si poteva fidare, uomini che avevano dimenticato i loro codici, uomini senza vincoli. Non erano reali; erano semplici illusioni di umanità prive di sostanza. Mi capisci? La sostanza dell’umanità… è un nome, un vincolo, una promessa. È qualcosa che si ha dentro eppure la portiamo tra le braccia. Così mi disse. Ecco perché i Kavalari prendono un teyn, aveva aggiunto, ed escono a coppie… perché… perché l’illusione si può materializzare in fatti se viene vincolata nel ferro».
«Un bel discorso, Garse», disse Dirk quando l’altro ebbe finito. «Ma che effetto può avere l’argento sull’anima di un falsuomo?».
Sul viso di Janacek passò un’ombra di rabbia, come un’unica nuvola di temporale che passa e si allontana. Poi rise. «Avevo dimenticato il tuo umorismo da Kimdissi», disse. «Un’altra cosa che ho imparato in gioventù è stata quella di non discutere mai con un manipolatore». Rise, allungò una mano ed afferrò la mano di Dirk brevemente ma strettamente. «Basta», disse. «Non ci incontreremo mai da soli, comunque potrò ancora essere tuo amico se tu sarai capace di restare keth».
Dirk si strinse nelle spalle e si sentiva stranamente commosso. «Va bene», disse.
Ma Garse si era già allontanato. Aveva lasciato il braccio di Dirk, aveva stretto le dita nel palmo della mano e si era sollevato di un metro, poi si spostò al di sopra dell’acqua, muovendosi in fretta, piegato in avanti, volando agile ed elegante nell’aria. La luce del sole brillava sui suoi lunghi capelli rossi ed i suoi vestiti parevano muoversi e lampeggiare, cambiando colore. A metà del fiume gettò indietro il capo e gridò qualcosa a Dirk, ma il rumore e la velocità della corrente portarono via le sue parole e Dirk afferrò soltanto il tono: una ridente esaltazione, sanguinosa.
Rimase ad osservare finché Janacek non raggiunse l’altra parte del fiume, come se fosse troppo stanco per alzarsi subito in volo. La mano libera si infilò nella tasca del giubbotto e toccò la gemma mormorante. Non gli sembrava più fredda come prima e le promesse — oh, Jenny! — arrivarono, ma erano deboli.
Janacek galleggiava sopra gli alberi gialli, in un cielo grigio purpureo e la sua figura si faceva rapidamente più piccola.
Dirk lo seguì, stancamente.
Janacek poteva anche disprezzare gli scooter dicendo che erano giocattoli, però sapeva come farli volare. Si trovò subito in testa, ben lontano da Dirk, cavalcando il vento costante, a venti metri sopra la foresta. La distanza tra di loro parve incrementarsi regolarmente; al contrario di Gwen, Janacek non si fermava ad aspettare che Dirk lo raggiungesse.
Dirk si accontentò del suo ruolo di inseguitore. Il Ferrogiada si vedeva con facilità — c’erano solo loro nel cielo cupo — per cui non c’era nessun pericolo di perdersi. Dirk cavalcò di nuovo i forti venti Cupoli, accettando la spinta costante da dietro mentre si abbandonava a pensieri senza senso. Fece strani sogni ad occhi aperti, di Jaan e Garse, di vincoli di ferro e di gemme mormoranti, Di Ginevra e Lancillotto, che erano stati tutti e due — se ne rese conto all’improvviso — persone che avevano spezzato i vincoli.
Il fiume scomparve. Laghi tranquilli passavano e sparivano assieme ai cerchi di funghi bianchi posati sulla foresta come croste. Udì l’abbaiare dei cani di Lorimaar una volta, lontani dietro di lui. I deboli rumori gli erano portati dal vento. Non si sentiva preoccupato.
Voltarono verso sud. Janacek era un piccolo punto, nero, emetteva lampi argentei quando un raggio di soie colpiva la piattaforma su cui volava. Più piccolo, sempre più piccolo. Dirk lo seguiva, come un uccello fiacco. Alla fine Janacek cominciò a scendere a spirale, fino a livello degli alberi.
Era una regione selvaggia. Molto più rocciosa che altrove, con alcune colline ondulate ed affioramenti di rocce nere striate d’oro e d’argento. I soffocatori erano dappertutto, soffocatori e solo soffocatori. Gli occhi di Dirk si voltarono da una parte e dall’altra cercando un boscargento alto, un vedovo azzurro o un sottile, cupo albero spettro. Un labirinto giallo si stendeva ininterrotto da un orizzonte all’altro. Dirk sentiva i versi frenetici degli spettri d’albero e li vide sotto i suoi piedi che spiccavano brevi voli su piccole ali.
L’aria attorno a lui tremò al suono di una banscea che piangeva ed un brivido di freddo passò sulla schiena di Dirk, senza alcuna ragione apparente. Guardò rapidamente in alto, distante e vide un impulso luminoso.
Breve, pulsante nei suoi occhi stanchi e troppo intenso. Questo improvviso dito luminoso non era di questo mondo, apri di qui, non di questo grigio pianeta crepuscolare. Non gli apparteneva, ma c’era stato. Aveva colpito una sola volta venendo dal basso, un furioso fuoco sottile che subito si era perduto nel cielo.
Di fronte a lui Janacek pareva una piccola bambola di stracci accanto alla luce. Il sottile filo scarlatto lo aveva toccato, aveva colpito la piattaforma d’argento su cui posava i piedi, leggero e veloce. L’immagine persistette negli occhi di Dirk. Assurdamente Janacek cominciò a cadere, agitando le braccia. Dalle mani gli usci un bastone nero, roteando e lui scomparve tra i soffocatori, schiantandosi tra i rami intrecciati.
Rumori. Dirk senti dei rumori. Musica su questo interminabile vento invernale. Legno che si spezzava, seguito da grida di dolore e di rabbia, animali e umani, umani e animali, un po’ l’uno e un po’ l’altro e nessuno dei due. Le torri di Kryne Lamiya luccicavano sopra l’orizzonte, simili al fumo e trasparenti e gli cantavano una canzone di morti.
Le grida cessarono all’improvviso; le torri bianche svanirono e la bufera che lo spingeva avanti ne sparse i frammenti. Dirk scese in basso e sollevò il laser.
C’era un buco nero nel fogliame, dove era caduto Garse Janacek: rami gialli contorti e spezzati, un buco sufficiente a far passare il corpo di un uomo. Nero. Dirk si librò al di sopra, ma non riuscì a vedere Janacek o il terreno della foresta, perché le ombre erano fittissime. Ma sul ramo più alto vide un pezzo di vestito strappato che vibrava nel vento e cambiava colore. Al di sopra un piccolo spettro stava solennemente di guardia.
«Garse!», gridò, senza preoccuparsi del nemico che c’era sotto, l’uomo che aveva usato il laser. Gli spettri d’albero gli risposero con un coro di cinguettìi.
Udì dei rumori sotto gli alberi; la luce del laser brillò di nuovo, accecante. Questa volta non verso l’alto, ma orizzontamente, come un raggio di sole impossibile nel buio là sotto. Dirk rimaneva immobile e indeciso. Uno spettro d’albero apparve sul ramo proprio sotto di lui. stranamente coraggioso, che lo osservava con occhi liquidi, con le ali aperte strimpellando nel vento. Dirk puntò il laser e sparò, finché la bestiola non fu altro che una macchia di fuliggine sulla corteccia gialla.
Poi si mosse ancora, girando a spirale, finché non vide una apertura tra i soffocatori, abbastanza larga da permettergli di scendere. I! terreno della foresta era scuro; i soffocatori, che si intrecciavano al di sopra, schermavano i nove decimi della fioca luce di Occhiodaverno. Tutt’attorno apparivano tronchi giganteschi, con le dita gialle e nodose che si annodavano in continuazione, rigide ed artistiche. Sì chinò — il muschio per terra si stava decomponendo — e liberò gli stivali dalla griglia d’argento. Il metallo diventò molle. Poi le ombre tra i soffocatori si allontanarono ed uscì Jaan Vikary, che gli si mise davanti in piedi. Dirk alzò gli occhi.
La faccia di Jaan era vuota e tirata. Era coperta di sangue e nelle braccia aveva una cosa rossa e maciullata, che lui trasportava nel modo in cui una madre potrebbe portare un bambino malato. Garse aveva un occhio chiuso e l’altro occhio non c’era più, gli era stato strappato dal viso. Solo metà faccia era ancora al suo posto. La testa era appoggiata gentilmente contro il petto di Jaan.
«Jaan…».
Vikary indietreggiò. «Gli ho sparato io», disse. Tremando, lasciò andare a terra il corpo.