12

Dirk non ne fu stupito. Sotto gli abiti sentiva sempre la gemma mormorante a contatto della pelle, che gli ricordava le passate promesse ed i passati tradimenti. Aveva quasi cessato di preoccuparsi. Incrociò le braccia ed attese.

Janacek parve deluso. «Pare che non te ne importi», disse.

«Fa lo stesso, Garse», rispose Dirk. «Quando lasciai Kryne Lamiya, mi aspettavo di morire». Sospirò. «Comunque, come può ritornare utile a Jaan, tutto questo?».

Janacek non rispose subito; i suoi occhi azzurri soppesarono a lungo Dirk. «Stai cambiando, t’Larien», disse alla fine, senza più sorridere. «Davvero ti importa più del fato di Jaan Vikary che del tuo?».

«Come faccio a saperlo?», disse Dirk. «Vai avanti con il tuo piano!».

Janacek si accigliò. «Ho pensato di atterrare nell’accampamento dei Braith per un confronto diretto. Ma poi ho scartato l’idea. Il mio desiderio di morte non è stato nutrito tanto a lungo come il tuo. Se sfidassi a duello uno dei cacciatori, o molti cacciatori, sarebbe sempre una cosa fatta per aiutare un fuorilegge criminale. Non accetterebbero mai di affrontarmi. La mia situazione, per il momento è incerta; a causa di quello che ho detto ed ho fatto a Sfida, i Braith pensano ancora che io sia umano, anche se caduto in disgrazia. Tuttavia se cercassi di aiutare apertamente Jaan, ai loro occhi risulterei anche io tarato. La cortesia del codice non sarebbe valida per molto. Diventerei un criminale anch’io e probabilmente un falsuomo.

«La seconda alternativa sarebbe di attaccarli improvvisamente, senza preavviso, ed ucciderne il più possibile. Però non sono così depravato da poter prendere seriamente in considerazione questa idea. Perfino il comportamento tenuto da Jaan verso Myrik parrebbe onesto, di fronte a tanto crimine.

«La cosa migliore sarebbe, naturalmente, che noi volassimo fino dove si trova Jaan, lo prendessimo e lo portassimo segretamente in salvo. Però non vedo molte possibilità di riuscita. I Braith hanno i cani e noi no. Loro sono cacciatori esperti e cercatori di tracce, soprattutto Pyr Braith Oryan e Lorimaar alto-Braith. Io sono molto meno abile e tu sei inutilizzabile. Ci sono eccellenti possibilità che riescano loro per primi a trovare Jaan.

«Sì», disse Dirk. «Allora?».

«Aiutando Jaan io sarò per sempre un falso Kavalar», disse Janacek a voce bassissima e tormentata. «Perciò voglio essere un po’ meno falso. Ecco qual’è la nostra migliore possibilità. Voleremo là apertamente e ti consegnerò a loro, come ho già detto. La cosa sarà per lo meno un po’ credibile, da parte loro. Poi mi unirò ai cacciatori e farò il possibile per provocare degli omicidi. Magari ci potrebbe essere la possibilità di provocare una lite e sfidare qualcuno di loro a duello, in maniera che non dia atto a pensare che sto proteggendo Jaan Vikary».

«Potresti perdere», sottolineò Dirk.

Janacek annuì. «Abbastanza vero. Potrei perdere. Comunque credo di no. In un duello singolo, solo Bretan Braith Lantry è un antagonista davvero pericoloso e lui ed il suo teyn non fanno parte dei cacciatori, se le macchine che tu hai visto erano tutte quelle a loro disposizione. Lorimaar è abile, ma Jaan ha ferito anche lui a Sfida. Pyr è rapido e abile con il suo bastone, ma non con le lame o con le pistole. Gli altri sono tutti vecchi e deboli. Non perderò».

«E se non riuscirai a trascinarli in un duello?».

«Be’, potrò sempre essere nei paraggi quando raggiungeranno Jaan».

«E poi?».

«Non lo so. Comunque non lo prenderanno. Ti posso promettere questo, t’Larien. Non lo prenderanno».

«E intanto che ne sarà di me?».

Janacek sollevò ancora lo sguardo ed i suoi occhi azzurri erano fissi su di lui, pensosi. «Tu sarai in grande pericolo», disse il Kavalar, «ma non credo che ti uccideranno subito e certamente non quando io ti consegnerò a loro, legato ed inoffensivo. Vorranno darti la caccia. Può darsi che Pyr ti reclami come vittima. Spero che loro ti sleghino, ti spoglino e ti facciano fuggire nella foresta. Se qualcuno darà la caccia a te, dovrà distogliere la sua attenzione da Jaan. Ma c’è anche un’altra possibilità. A Sfida, Pyr e Bretan avevano quasi bisticciato per te. Se Bretan dovesse unirsi ai cacciatori, è probabile che riprendano a bisticciare. La cosa può esserci solo d’aiuto».

Dirk sorrise. «Il tuo nemico ha un nemico», disse sarcastico.

Janacek ghignò. «Io non sono Arkin Ruark», disse. «Se posso ti aiuterò. Prima di arrivare all’accampamento dei Braith, lasceremo cadere, il più segretamente possibile, questa arma da fuoco. La lasceremo presso la macchina che tu hai visto distrutta nel bosco: il tuo laser. Poi, dopo che ti avranno liberato e ti avranno fatto fuggire nudo per la foresta, tu andrai in cerca dell’arma e si spera che tu riesca a sorprendere quelli che ti verranno dietro». Si strinse nelle spalle. «La tua vita può dipendere dal fatto che tu sia in grado di scappare velocemente e nella giusta direzione e, naturalmente, dalla tua precisione nello sparare».

«Ammesso che sìa capace di ammazzare», aggiunse Dirk.

«Ammesso che tu sia capace di ammazzare», convenne Janacek. «Non ti posso dare altre vie d’uscita, t’Larien».

«Accetto quella che mi offri», disse Dirk. Poi volarono in silenzio per parecchio tempo. Ma quando i denti neri delle montagne furono scomparsi dietro di loro e Janacek ebbe spento tutte le luci dell’aerauto, cominciando la lenta, attenta discesa, Dirk si voltò per parlare ancora. «Che cosa avresti fatto», chiese, «se avessi rifiutato di seguire il tuo piano?».

Garse Janacek si girò sul sedile e posò la mano destra sul braccio di Dirk. Le pietreluci intatte ardevano debolmente contro il ferro del braccialetto. «Il vincolo di ferro-e-fuoco è più forte di qualsiasi vincolo che tu conosca», disse il Kavalar con voce grave, «e molto più forte di qualsiasi vincolo di fuggevole gratitudine. Se tu avessi rifiutato, t’Larien, ti avrei tagliato la lingua in modo che tu non potessi riferire i miei piani ai Braith e sarei andato avanti lo stesso. Volente o nolente, tu avresti dovuto recitare il tuo ruolo. Cerca di capirmi, t’Larien, io non ti odio, anche se tu ti saresti meritato il mio disprezzo un milione di volte. A volte ho addirittura scoperto che mi piacevi, come un Ferrogiada può provare simpatia per uno straniero. Non ti avrei colpito alle spalle. Però ti avrei colpito. Perché ci ho pensato parecchio ed il mio piano è l’unica speranza per Jaan Vikary».

Mentre parlava non c’era la minima traccia di sorriso sul viso di Janacek. Una volta tanto non stava scherzando.


Dirk non ebbe molto tempo per riflettere sulle parole di Janacek. Scesero nella notte come un masso incredibilmente lieve e scivolarono simili ad un fantasma sulle cime dei soffocatori. Il relitto ardeva ancora leggermente arancione (la luce trapelava dalla parte centrale di un albero caduto, annerito), e la nebbia fumigante ne nascondeva i contorni. Janacek rimase librato sul relitto, aprì una delle grandi porte corazzate e gettò il fucile a laser sul terreno della foresta, pochi metri più in basso. Quando Dirk insistette gettò anche il giubbotto dei Braith che Dirk aveva indosso, che sarebbe stato una benedizione per uno che scappava nudo per la foresta, essendo fatto di cuoio e di pelliccia.

Dopo di che si risollevarono di nuovo in alto, nel cielo e Garse legò Dirk mani e piedi. Le corde sottili erano tese e dolorose, minacciando di bloccare la circolazione sanguigna, per cui parevano anche più autentiche. Poi, accesi i fari ed attivate le lampade, Janacek si spostò verso il cerchio di luci.

I cani erano raggruppati fuori e dormivano vicino all’acqua, ma si svegliarono quando la strana aerauto scese e Janacek atterrò circondato dai loro ululati selvaggi. C’era solo un Braith in giro, il cacciatore pelle e ossa coi capelli neri e spettinati che gli stavano diritti come se fossero dei croccanti fritti fatti di carbone. Il teyn di Pyr, come ben sapeva Dirk, anche se non ne conosceva il nome. L’uomo era seduto vicino ad un piccolo fuoco accanto ai cani Braith, con un fucile a laser di fianco, quando lo videro la prima volta. Ma si sollevò velocemente in piedi, quando scesero.

Janacek apri nuovamente la porta massiccia, sollevandola in alto, facendo penetrare il freddo notturno nella cabina calda. Tirò in piedi Dirk e lo buttò rudemente fuori, costringendolo ad inginocchiarsi nella sabbia gelata.

«Ferrogiada», disse rocamente l’uomo di guardia. A quel punto i suoi kethi stavano già uscendo, strappati ai loro sacchi a pelo ed ammucchiandosi fuori dalle aerauto.

«Ho un regalo per voi», disse Janacek, con le mani ai fianchi. «Un’offerta da Ferrogiada a Braith».

I cacciatori erano sei in tutto, notò Dirk alzando gli occhi dal punto in cui stava inginocchiato; tutti quanti erano anche a Sfida. Pyr, calvo e massiccio dormiva fuori, accanto al suo teyn; fu il primo ad alzarsi. Subito dopo arrivò Roseph alto-Braith e il suo compagno muscoloso e calmo. Anche loro si erano addormentati fuori, vicino alla macchina. Per ultimo arrivò Lorimaar alto-Braith Arkellor, con la parte sinistra del torace fasciata con bende scure. Usci lentamente dall’aerauto a cupola, appoggiandosi al braccio dell’uomo grasso che già prima era con lui. Tutti e sei parevano un po’ addormentati… completamente vestiti ed armati.

«Il regalo», disse Pyr, «è apprezzabile, Ferrogiada». Portava una pistola legata ad una cintura nera metallica, ma non aveva il bastone e senza di quello pareva quasi incompleto.

«La tua presenza non è apprezzata», disse Lorimaar, mentre si avvicinava faticosamente agli altri. Si appoggiava quasi completamente al suo teyn, sicché pareva curvo e spezzato e non più il gigante che era stato un tempo. E Dirk guardandolo, ebbe l’impressione di distinguere nuove rughe nella sua pelle scura, profondamente segnata… canali dolorosi appena incisi.

«Adesso è perfettamente ovvio che i duelli per i quali sono stato nominato arbitro non si faranno mai», disse tranquillamente Roseph, e la sua voce non risentiva minimamente della pesante ostilità che gravava sulla voce di Lorimaar, «per cui non ho nessuna particolare autorità e non posso pretendere di parlare a nome di Alto Kavalaan, o di Braith. Comunque sono sicuro di poter parlare a nome di noi tutti. Noi non tollereremo la tua interferenza, Ferrogiada. Con o senza regalo di sangue».

«Vero», disse Lorimaar.

«Io non cerco di interferire», disse loro Janacek. «Io cerco di unirmi a voi».

«Noi diamo la caccia al tuo teyn», disse il compagno di Pyr.

«Lo sa benissimo», scattò Pyr.

«Io non ho teyn», disse Janacek. «C’è un animale che vaga per la foresta con su il mio ferro-e-fuoco. Vi aiuterò ad ucciderlo per riavere la cosa che è mia». Lo disse con durezza, in maniera molto convincente.

Uno dei cani continuava ad andare avanti e indietro, impaziente, attaccato alla catena. Ringhiò e si fermò abbastanza a lungo, arricciando il muso da ratto verso Janacek e snudando una fila di canini ingialliti. «È un bugiardo», disse Lorimaar alto-Braith, «Perfino i nostri cani sentono l’odore delle sue bugie. A loro non piace».

«Un falsuomo», aggiunse il suo teyn.

Garse Janacek voltò il capo lentamente. Il fuoco da campo accese riflessi rossi sulla sua barba, mentre lui sorrideva col suo sorriso sottile e minaccioso. «Saanel Braith», disse, «il tuo teyn è ferito e quindi può insultarmi impunemente, ben sapendo che non gli posso chiedere di fare le sue scelte. Ma tu non godi di questo privilegio».

«Per il momento », disse Roseph con voce stridula. «Questo è un trucco che non ti permetteremo, Ferrogiada. Non ti permetteremo di sfidarci a duello uno dopo l’altro, in modo da poter salvare il tuo teyn fuorilegge».

«Ho giurato che non ho nessuna intenzione di salvarlo. Non ho nessun teyn. Non potete spogliarmi dei miei diritti nell’ambito del codice».

Roseph, piccolo ed accartocciato — il più piccolo dei Kavalari di almeno mezzo metro — fissò Janacek e non recedette. «Siamo su Worlorn», disse. «E facciamo quel che ci pare». Molti altri mormorarono un assenso.

«Voi siete Kavalari», insistette Janacek, ma il suo viso fu scosso da un accenno di dubbio. «Voi siete Braith ed altolegati di Braith, vincolati alla vostra granlega, al vostro consiglio ed alle sue abitudini».

«Negli anni passati», disse Pyr con un sorriso, «ho visto molti dei miei kethi ed anche molti più uomini delle altre granleghe che abbandonavano l’antica saggezza. "Questo e questo e questo è sbagliato" direbbero gli ampollosi Ferrogiada. "Noi non li seguiremo". E quelle pecore di Rossacciaio vanno loro dietro, come gli effeminati uomini di Scianagate e purtroppo molti Braith. I miei ricordi sono falsi? Tu stai lì e ci predichi il codice, ma io mi ricordo che quando ero giovane i Ferrogiada mi avevano detto che non potevo più fare la caccia ai falsuomini. Mi ricordo forse male se penso a quei Kavalari di burro che furono mandati su Avalon per imparare la navigazione spaziale, le armi ed altre cose utili e che ritornarono pieni di menzogne su come si doveva cambiare un’abitudine, e l’altra, e che il nostro antico codice era una vergogna, anche se prima era sempre stato il nostro orgoglio? Dimmi, Ferrogiada, sbaglio?».

Garse non disse niente. Incrociò le braccia strettamente al petto.

«Jaan Vikary, un tempo alto-Ferrogiada, era il più grande di tutti i fautori di cambiamenti, di tutti i bugiardi. Tu non gli stavi molto lontano», disse Lorimaar.

«Io non sono mai stato su Avalon», disse semplicemente Janacek.

«Rispondimi», disse Pyr. «Tu e Vikary non avete cercato di cambiare le vecchie abitudini? Non avete forse deriso le parti del codice che non vi piacevano?».

«Io non ho mai spezzato il codice», disse Janacek. «Jaan… Jaan forse qualche volta…», balbettò.

«Lo ammette», disse il grasso Saanel.

«Abbiamo parlato tra di noi», disse Roseph con voce calma. «Se gli altolegati possono ammazzare al di fuori del codice, se le cose che secondo noi sono vere possono essere cambiate e disprezzate, allora possiamo fare dei cambiamenti anche noi e rifiutare i falsi insegnamenti che ci danno fastidio. Noi non siamo più vincolati a Braith, Ferrogiada. È la migliore delle granleghe, ma non è buona abbastanza, i nostri vecchi kethi hanno acquisito troppe bugie morbide nei loro cuori. Ma noi non saremo più trattati come giocattoli e piegati al loro volere. Torneremo alle vecchie verità, al credo che era già antico prima che crollasse Pugnodibronzo, anche ai giorni in cui gli altolegati di Ferrogiada, Taal e dei Siti del Carbone Profondo combatterono assieme contro i demoni nei Colli Lamerani».

«Vedi, Ferrogiada», disse Pyr, «tu ci chiami con nomi falsi».

«Non lo sapevo», disse Janacek, piuttosto lentamente.

«Chiamaci nel modo giusto. Noi non siamo Braith».

Gli occhi del Ferrogiada parevano bui ed ammantati. Teneva sempre le braccia incrociate. Fissò Lorimaar. «Tu hai fatto una nuova granlega», disse.

«C’è un precedente», disse Roseph. «Rossacciaio nacque da quelli che li allontanarono da Monte di Pietraluce e lo stesso Braith è nato da Pugnodibronzo».

«Io sono Lorimaar Reln Volpebianca alto-Larteyn Arkellor», disse Lorimaar con la sua voce dura, piena di dolore.

«Onore alla tua granlega», rispose Janacek, mantenendosi rigido, «onore al tuo teyn».

«Siamo tutti Larteyn», disse Roseph.

Pyr rise. «Siamo il consiglio degli altolegati di Larteyn e riconosciamo l’antico codice», disse.

Nel silenzio che seguì, gli occhi di Janacek passarono da un viso all’altro. Dirk, sempre immobilizzato ed inginocchiato nella sabbia, osservò il movimento della sua lesta, voltandosi ora verso uno, ora verso l’altro. «Voi avete preso il nome di Larteyn», disse alla fine Janacek, «per cui siete dei Larteyn. Tutte le antiche leggi sono d’accordo su questo. Comunque vi ricordo che tutte le cose di cui parlate, gli uomini, gli insegnamenti e le granleghe che invocate, sono tutte morte. Pugnodibronzo e Taal furono distrutte nelle alteguerre prima che voi tutti nasceste ed i Siti del Carbone Profondo erano già abbandonati ed allagati fin dal tempo del Fuoco e dei Demoni».

«La loro sapienza vive in Larteyn», disse Saanel.

«Siete soltanto sei», disse Janacek, «e Worlorn sta morendo».

«Sotto di noi prospererà ancora», disse Roseph. «La notizia si spargerà su Alto Kavalaan ed altri ci raggiungeranno. Qui naseranno i nostri figli, per cacciare in questi boschi di soffocatori».

«Come volete», disse Janacek. «Comunque per me è lo stesso. Ferrogiada non ha niente contro Larteyn. Sono venuto da voi scopertamente e vi ho solo chiesto di potermi unire a voi nella caccia». Fece cadere la mano sulla spalla di Dirk. «E vi ho portato un dono di sangue».

«Vero», disse Pyr e restò zitto per un attimo. Poi rivolto agli altri: «lo dico di lasciarlo venire».

«No», disse Lorimaar. «Non mi fido di lui. È troppo impaziente».

«C’è una buona ragione, Lorimaar alto-Larteyn», disse Janacek. «Sulla mia granlega è scesa una grande vergogna e pure sul mio nome. Sono impaziente di lavarla».

«Un uomo deve vendicare il suo onore, a prescindere da quanto possa essere doloroso», disse Roseph annuendo. «Ciò è piuttosto vero per tutti quanti».

«Lasciamolo cacciare», disse il teyn di Roseph. «Noi siamo sei e lui è solo. Come fa ad essere pericoloso?».

«È un bugiardo!», insistette Lorimaar. «Come ha fatto ad arrivare fino qui da noi? Chiedeteglielo un po’! E guardate!» Indicò il braccio destro di Janacek, dove le pietreluci brillavano come occhi rossi nelle loro incastonature. Ne mancavano solo alcune.

Janacek mise la mano sinistra sul coltello e lo sfilò dal fodero. Poi tese la destra a Pyr. «Aiutami a tenere fermo il braccio», disse in tono calmo e conversativo, «e strapperò i falsi fuochi di Jaan Vikary».

«Pyr fece ciò che gli era stato chiesto. Nessuno parlava. La mano di Janacek era rapida e sicura. Quando ebbe finito, le pietreluci giacevano nella sabbia simili a braci di un fuoco calpestato. Si chinò e ne prese una, la lanciò in alto e la riprese, come se volesse verificarne il peso, sempre sorridendo. Poi gettò all’indietro il braccio e la lanciò; la pietra si sollevò in alto e fece un lungo percorso prima di cominciare a cadere. Alla fine del suo arco, scendendo, pareva quasi una stella cadente. Dirk quasi si aspettava che sibilasse cadendo nelle scure acque del lago. Ma non si sentì nessun rumore, a quella distanza non si sentì nemmeno il tonfo.

Janacek raccolse tutte le pietreluci, le fece rotolare un istante sulla mano e le consegnò al lago.

Quando anche l’ultima fu sparita, si voltò verso i cacciatori e sollevò il braccio destro. «Vuoto ferro», disse. «Guardate. Il mio teyn è morto».

Dopo di ciò non vi furono altri inconvenienti.

«L’alba ci ha quasi raggiunto», disse Pyr. «Fate scappare la mia preda».

Così i cacciatori volsero l’attenzione a Dirk e le cose andarono proprio come gli era stato detto. Gli liberarono le mani e i piedi e gli diedero il tempo di soffregarsi polsi e caviglie per rimettere in circolo il sangue. Poi venne spinto contro un aerauto e Roseph ed il grasso Saanel lo tennero fermo mentre Pyr in persona gli tagliava i vestiti. Il cacciatore calvo maneggiava il coltellino con la stessa destrezza con cui manovrava il bastone, ma non fu morbido; fece un lungo taglio nella parte interna della coscia di Dirk ed uno più piccolo ma più profondo sul petto.

Dirk fece una smorfia quando Pyr lo colpì, ma non tentò di resistere. Quando infine fu completamente nudo e cominciò a tremare nel vento, la schiena premeva troppo forte contro il freddo fianco di metallo della macchina.

Pyr si accigliò all’improvviso. «E questo cos’è?», disse e avvolse la piccola mano bianca attorno alla gemma mormorante appesa al collo di Dirk.

«No», disse Dirk.

Pyr tirò forte con un movimento torcente. La sottile catenina d’argento scavò dolorosamente la gola di Dirk; la gemma si liberò dal fermaglio improvvisato.

«No!», gridò Dirk. Si gettò immediatamente in avanti e cominciò a lottare. Roseph inciampò e perse la presa del braccio di Dirk, poi cadde. Saanel si aggrappò ferocemente. Dirk lo colpì duro sul collo taurino, appena sotto il mento. Il grassone lo lasciò andare bestemmiando e Dirk girò attorno a Pyr.

Pyr aveva raccolto il suo bastone. Sorrideva. Dirk fece un unico passo veloce verso di lui e si fermò.

L’esitazione fu sufficiente. Saanel fece scivolare un grosso braccio attorno alla testa da dietro e cominciò ad applicare una morsa che gradualmente tendeva a soffocarlo.

Pyr guardava con disinteresse. Gettò il bastone nella sabbia e tenne la gemma mormorante tra pollice e indice. «Gioielli di falsuomini», disse sdegnato. Non vuol dir niente per lui; non c’erano risonanze nella sua mente con i modelli esperincisi nella pietra. Forse avrebbe notato che la piccola lacrima era molto fredda al tatto. Forse no… ma non udì sussurri. Chiamò il suo teyn che col piede stava gettando sabbia sul fuoco. «Ti piacerebbe un regalo da t’Larien?».

Senza dir niente l’uomo venne avanti, prese il gioiello, lo tenne in mano per un istante, poi lo mise nella tasca della giacca. Si voltò senza sorridere e cominciò a camminare attorno al perimetro del campo Braith, spegnendo le torce a mano elettriche che erano state piantate nella sabbia. Quando le luci si spensero, Dirk vide che l’orizzonte orientale era già arrossato dall’alba.

Pyr fece un cenno con il suo bastone a Saanel. «Lascialo», gli ordinò ed il grassone allentò la stretta e fece un passo indietro. Dirk fu di nuovo libero. Il collo gli faceva male e la sabbia asciutta sotto i piedi era ruvida e fredda. Si sentì molto vulnerabile. Senza la gemma mormorante aveva molta più paura adesso. Si guardò attorno per vedere Garse Janacek, ma il Ferrogiada era lontano dall’altra parte del campo che parlava attentamente con Lorimaar.

«L’alba è già qui», disse Pyr. «Io ti seguirò subito, falsuomo. Scappa».

Dirk guardò sopra la spalla. Roseph aggrottò la fronte e si massaggiò ia spalla; aveva fatto una brutta caduta quando Dirk si era liberato. Saanel, sogghignando, si era appoggiato contro un aerauto. Dirk fece alcuni passi allontanandosi da loro, esitante, avviandosi verso la foresta.

«Via, t’Larien, sono sicuro che tu sai correre più veloce di così», gli gridò Pyr. «Se corri abbastanza forte, puoi anche cavartela. Io ti sarò dietro tra poco, con il mio teyn e i nostri cani». Si tolse la pistola dal fianco e la lanciò, facendola roteare, verso Saanel, che l’afferrò, inglobandola nelle mani massicce dalle dita quadrate. «Non avrò laser, t’Larien», continuò Pyr. «Sarà una caccia purissima, alla vecchia maniera. Un cacciatore col coltello ed il pugnale da lancio, una preda nuda. Scappa, t’Larien, scappa!». Il suo compagno ossuto con i capelli neri, gli era venuto vicino per seguirlo. «Mio teyn», gli disse Pyr, «libera i cani».

Dirk roteò su se stesso e scattò verso il bordo della foresta.


Fu una corsa d’incubo.

Gli avevano preso gli stivali; non era nemmeno andato avanti per tre metri, che già si era fatto un taglio nel piede con una pietra aguzza nascosta nel buio e cominciò a zoppicare. C’erano un mucchio di pietre. Mentre correva gli pareva di trovarle tutte.

Gli avevano tolto i vestiti; stando al coperto degli alberi era un po’ meglio, perché non c’era il vento che soffiava forte, ma aveva ancora freddo. Molto freddo. Per un bel po’ ebbe la pelle d’oca, poi gli passò. Gli vennero altri dolori ed il freddo perse tutta la sua importanza.

La foresta di quel mondo era troppo scura e troppo luminosa. Troppo scura per poter vedere dove stava andando. Inciampava nelle radici, si sbucciò le ginocchia e le mani gli sanguinarono parecchio, cadde dentro i buchi. Ma era al tempo stesso troppo luminosa. L’alba stava arrivando troppo in fretta, troppo in fretta, la luce si spandeva scialba al di sopra degli alberi. Stava per perdere il suo punto di riferimento. Alzava gli occhi per vederlo ogni volta che raggiungeva una radura, ogni volta che gli era possibile vedere qualcosa attraverso il denso fogliame che penzolava dall’alto, alzava gli occhi e la vedeva. Una stella solitaria e rossa, la stella di Alto Kavalaan che fiammeggiava nel cielo di Worlorn. Garse gliela aveva indicata e gli aveva detto di seguirne la direzione se si fosse perduto. La stella lo avrebbe condotto attraverso la foresta al suo laser ed al suo giubbotto. Ma l’alba stava salendo, e saliva troppo in fretta; i Braith ci avevano impiegato troppo tempo a liberarlo. E tutte le volte che alzava gli occhi e cercava di seguire la direzione giusta — la foresta era fitta e confusa, i soffocatori formavano delle pareti impenetrabili in certi punti e lo costringevano a degli aggiramenti, tutte le direzioni parevano uguali e non ci voleva niente a perdere la strada — ogni volta che cercava il suo punto di riferimento, questo era sempre più debole, sempre più slavato. La luce orientale aveva assunto una colorazione rossastra: da qualche parte, laggiù, c’era Grasso Satana che sorgeva e presto la sua stella amica sarebbe stata cancellata dalla luce di quel falso crepuscolo. Tentò di correre più in fretta.

C’era meno di un chilometro da percorrere, meno di un chilometro. Ma un chilometro era una distanza notevole da percorrere in una foresta, nudo, sul punto di perdersi. Stava correndo da dieci minuti, quando sentì i cani Braith che abbaiavano selvaggiamente al suo inseguimento.

Dopo di ciò non pensò più a niente e non era nemmeno preoccupato. Correva.

Scappò, afferrato da un panico animalesco, respirando forte, sanguinante, con tutto il corpo che gli tremava e gli doleva. La corsa divenne una cosa senza fine, una cosa al di fuori del tempo, un sogno febbrile fatto di piedi che battevano freneticamente e frammenti di sensazioni vivide e dei rumori dei cani dietro di lui, che si facevano sempre più vicini… o per lo meno gli pareva. Correva e correva e non arrivava in nessun posto, correva e correva e non si muoveva. Finì in un folto cespuglio di rovi e le spine dalla punta rossa gli bucarono la pelle in un centinaio di posti e non gridò; correva, correva. Raggiunse una zona di lastre grige e lisce e cadde, cercando di superarle velocemente, e si ferì il mento battendo con uno schianto contro la pietra e si trovò la bocca piena di sangue che sì affrettò a sputare. C’era del sangue sulle pietre. Non c’era da meravigliarsi che fosse caduto; il suo sangue, tutto quel sangue, che gli era uscito dalle ferite dei piedi.

Si arrampicò sulle lastre lisce e raggiunse di nuovo gli alberi e corse ancora, selvaggiamente, finché gli venne in mente che non aveva più tenuto conto del suo punto di riferimento. E poi lo rivide, lo aveva alle spalle, un po’ di lato, molto sbiadito, un piccolo puntino scintillante nel cielo~ scarlatto. Si voltò e andò in quella direzione, inciampando in radici invisibili, strappando freneticamente con le mani il fogliame, scappando, scappando. Si imbatté in un ramo basso, cadde a terra e si rialzò tenendosi il capo, continuò a correre. Inciampò in uno scivoloso strato di muschio, nero, che sapeva di marcio, si alzò coperto di melma, puzzolente, corse, corse. Cercò la sua stella ed era scomparsa. Continuò ad andare. Doveva essere la strada giusta, doveva. I cani gli erano dietro e abbaiavano. C’era solo un chilometro, era meno di un chilometro. Stava gelando. Era tutto un fuoco. Il torace era pieno di coltelli. Continuò a correre, barcollò, inciampò e cadde, si alzò, continuò a correre. C’erano i cani dietro di lui, vicini, vicini, i cani gli erano dietro.

E poi improvvisamente — non seppe dire quando, non sapeva per quanto tempo avesse corso, non sapeva quanti chilometri avesse percorso, la stella era scomparsa — gli parve di sentire un leggero odore di fumo portato dal vento della foresta. Corse da quella parte ed usci dagli alberi in una piccola radura. Si lanciò dalla parte opposta dello spiazzo e si fermò.

I cani erano davanti a lui.

Per lo meno uno di loro. Venne fuori furtivamente dagli alberi ringhiando, con gli occhietti feroci, il muso privo di peli tirato indietro per mostrare le zanne orribili. Cercò di aggirarlo, ma quello gli fu sopra, sferzandolo e girando con lui, poi saltò. Dirk cadde sulle ginocchia; il cane lo circondò e chiudeva le mascelle tutte le volte che cercava di alzarsi in piedi. Gli aveva morso il braccio sinistro ed era uscito dell’altro sangue, ma non lo aveva ucciso, non gli aveva strappato la gola. Ammaestrato, pensò, era ammaestrato. Gli girava attorno, girava, ed i suoi occhi non lo abbandonavano mai. Pyr lo aveva mandato avanti e adesso veniva dietro con il suo teyn e gli altri cani. Questo serviva per intrappolarlo finché non arrivavano gli altri.

Improvvisamente Dirk balzò in piedi e si lanciò verso gli alberi. Il cane saltò, lo gettò di nuovo a terra, lottò con lui e quasi gli staccò un braccio. Questa volta non si alzò più. Il cane retrocedette di nuovo: aspettava, in posizione, con la bocca umida di sangue e di saliva. Dirk cercò di tirarsi su con il braccio sano. Strisciò per mezzo metro. Il cane ringhiò. Gli altri erano vicini. Dirk sentiva i latrati.

Poi, dall’alto, udì qualcos’altro. Alzò gli occhi, debole, fissando la sottile fetta di cielo solcato di nuvole, appena illuminato dai raggi dell’alba di Occhiodaverno e dei suoi attendenti. Il cane Braith, che era retrocesso di un altro metro, aveva alzato anche lui lo sguardo, ed il rumore si senti di nuovo. Era un gemito ed un grido di guerra, un ululato acuto e durevole, un ghigno mortale che aveva un’intensità quasi musicale. Dirk si chiese se non stesse morendo e non sentisse i suoni di Kryne Lamiya nella mente. Ma anche il cane aveva sentito. Stava acquattato, paralizzato, con il muso alzato.

Una forma scura cadde dal cielo.

Dirk la vide mentre cadeva. Era gigantesca, nerissima, quasi come la pece e la parte inferiore era perforata da migliaia di piccole bocche rosse, ed erano tutte aperte, tutte cantavano, tutte ripetevano quel terribile lamento tremolante. Non era visibile nessuna testa; era triangolare, una grande vela scura, una manta selvaggia, un mantello di cuoio che qualcuno aveva aperto nel cielo. Un mantello di cuoio con delie bocche, però, ed una lunga coda sottile.

Vide che la coda sciabolò una volta, all’improvviso e colpì il muso del cane Braith. Il cane sbatté gli occhi e retrocedette. La creatura volante rimase sospesa per un istante, battendo le sue vaste ali con squisita lentezza ondulata, poi si abbassò sopra il cane e gli si avviluppò attorno. Entrambi gli animali erano silenziosi. Il cane — l’enorme e muscoloso cane dalla faccia di topo, alto come un uomo — il cane era scomparso. L’altra bestia lo copriva completamente ed era stesa sull’erba e sulla terra come una salsiccia di cuoio nero di immense proporzioni.

Non c’era nessun rumore. Il lamento del cacciatore aveva azzittito tutta la foresta. Non si sentivano più gli altri cani.

Dirk si sollevò lentamente in piedi e si allontanò, zoppicando, aggirando il torbido mantello mortale. Pareva non si muovesse nemmeno. Nella mezza luce dell’alba, avrebbe potuto sembrare un grosso ceppo informe.

Dirk vedeva l’animale immobile, con la sua mente, come gli era sembrato in cielo: una forma nera, ululante, che cadeva, tutta bocche e ali. Per un istante, osservandone solo il profilo, aveva pensato che Jaan Vikary fosse venuto a salvarlo con la sua grande macchina a forma di manta.

Dall’altra parte della radura c’era un intrico di soffocatori, grossi, giallo-bruno e molto fitti. Ma il fumo veniva da là dietro. Faticosamente Dirk tirò, strinse e spostò i rami cerei, rompendoli se era il caso e si aprì la strada.

Il relitto aveva finito di bruciare, ma c’era ancora un sottile filo di fumo che si alzava nell’aria. Un’ala si era infilata nel terreno aprendo una grossa ferita nella terra ed abbattendo parecchi alberi prima di fracassarsi; l’altra ala era voltata in alto e l’aspetto da pipistrello appariva distorto perché il metallo si era fuso ed erano stati aperti dei buchi dal cannone a laser. La cabina era nera e informe, aperta nella parte superiore per via di un grande foro seghettato.

Dirk trovò il suo fucile a laser lì vicino. Scoprì anche delle ossa: due scheletri aggrovigliati tra di loro in un abbraccio mortale; le ossa erano scure e umide, ancora abbrunate dal sangue e da pezzetti di carne che ci stavano attaccati. Uno degli scheletri era umano, o lo era stato. Tutte e due le braccia e le gambe erano spezzate e quasi tutte le costole, che si erano frantumate, erano scomparse, ma Dirk riconobbe l’artiglio di metallo a tre punte al termine di un braccio rotto in due punti. Assieme allo scheletro, ed altrettanto morto, c’era ciò che rimaneva di un altro animale che doveva aver tirato fuori la carcassa dall’aerauto fumigante… una specie di spazzino con le ossa venate di nero e dall’aspetto gommoso, curve e gigantesche. La banscea doveva averlo sorpreso mentre mangiava. Non era quindi strano che i due scheletri fossero così vicini.

Non c’era traccia del giubbotto di pelle e di pelliccia che lui e Garse avevano gettato in questo punto. Dirk si trascinò verso il freddo scafo dell’aerauto e si arrampicò nel suo ventre ombroso. Si tagliò su un pezzo di metallo aguzzo, ma non se ne accorse quasi; che senso aveva un taglio in più o in meno? Si acquattò per aspettare, al riparo dal vento e sperando di essere sufficientemente nascosto sia dalla banscea che dai Braith. Quasi tutte le sue ferite parevano essersi rimarginate, notò senza interesse. Ormai sanguinava solo più irregolarmente, qui e là. Ma le croste scure che si erano formate erano tutte piene di terra e si chiese se avrebbe potuto fare qualcosa per combattere l’infezione. La cosa non gli sembrava importante, però; mise da parte quel pensiero e strinse un po’ più forte il laser, sperando che i cacciatori sarebbero arrivati presto.

Per quale ragione avevano rallentato? Forse avevano paura di disturbare la banscea; la cosa non era completamente insensata. Rimase sdraiato sulle fredde ceneri, posando la testa sul braccio e cercando di non pensare, di non avere sensazioni. I suoi piedi erano involucri di cruda agonia. Cercò di sollevarli goffamente in aria, in modo che non toccassero da nessuna parte. La cosa gli servì un poco, ma non aveva la forza di tenerli sollevati per molto tempo. Il braccio gli pulsava nel punto in cui era stato morso dal cane Braith. Ad un certo punto desiderò con tutto il cuore che il dolore cessasse, che la testa smettesse di girargli a quel modo. Poi cambiò idea. Il dolore, pensò, era probabilmente l’unica cosa che lo manteneva conscio. E se adesso si addormentava, pensava proprio che non si sarebbe svegliato mai più.

Vide Grasso Satana appeso al di sopra della foresta, con il disco sanguigno in parte oscurato da uno strato di rami blu-neri. Un’unica stella gialla gli scintillava accanto, assai brillante, una minima scintilla nel firmamento. Dirk strizzò un occhio. Erano vecchi amici.

Il rumore dei cani Braith lo fece ritornare attento. I cacciatori uscivano ansiosamente dagli alberi a dieci metri di distanza. Non così vicini come lui si sarebbe aspettato. Naturalmente, pensò, quelli avevano fatto il giro dei soffocatori invece di aprirsi una via in mezzo agli alberi. Pyr Braith era quasi invisibile, blu-nero come gli alberi contro cui si stagliava, ma Dirk vide il movimento ed il bastone che portava in mano e l’asta d’argento scintillante, un po’ più lunga, che portava nell’altra mano. Il suo teyn era un paio di passi più avanti, con due cani tenuti corti alla catena; i cani abbaiavano freneticamente e lo spingevano avanti quasi di corsa. Un terzo cane era al suo fianco, tenuto libero e si era diretto verso l’aerauto distrutta non appena era spuntato dal bosco.

Dirk, sdraiato sullo stomaco tra le ceneri, gli strumenti distrutti ed i relitti, trovò improvvisamente la cosa immensamente divertente. Pyr sollevò l’asta d’argento sul capo e cominciò a correre; finalmente era sicuro di aver raggiunto la sua preda. Ma non aveva nessun laser, mentre Dirk lo aveva. Dirk sollevò il fucile ghignando, un po’ stordito e prese attentamente la mira.

Quando sparò gli venne in mente un ricordo, improvviso e tagliente come l’impulso di luce che era scaturito dal suo laser. Janacek, solo poco tempo prima, con la faccia seria e sollevando le spalle: la tua vita può dipendere dalla velocità con cui saprai correre ed andare nella giusta direzione e dalla precisione che ci metterai nella mira, aveva detto. E Dirk aveva aggiunto: ammesso che sappia ammazzare. Il fatto di ammazzare gli era sembrato terribilmente importante; e invece era stata molto più difficile quella semplice corsa.

Ridacchiò di nuovo. La corsa era stata molto difficile. L’ammazzare era solo qualcosa che doveva fare ed era quasi facile. La luminosa lama bruciante del laser rimase sospesa nell’aria per un lungo secondo, infilandosi al centro del grande stomaco di Pyr che stava correndo verso il relitto. Il Braith inciampò e cadde in ginocchio. Spalancò assurdamente la bocca per un secondo prima di cadere a faccia in giù e sparire alla vista di Dirk. La lunga asta d’argento che portava rimase infilata nel terreno tormentato, oscillando avanti e indietro a seconda di come la spingeva il vento.

Il compagno di Pyr con i capelli neri lasciò andare le catene che aveva in mano e parve congelarsi nel momento in cui il suo teyn cadeva. Dirk mosse leggermente il laser e sparò di nuovo, ma non successe niente; l’arma si trovava ancora nel periodo dei quindici secondi di riciclaggio. Per questa ragione la caccia era uno sport; il gioco forniva una possibilità di scampo se si sbagliava. Si accorse che stava ancora ridacchiando.

Il cacciatore si riprese e si gettò a terra rotolando sul terreno nel lungo solco che efa stato aperto dall’ala della macchina. Giù nei fossi a cercare il laser, pensò Pirk, ma non lo avrebbe trovato.

I cani avevano circondato l’aerauto ed abbaiavano tutte le volte che Dirk cambiava posizione, oppure alzava la testa. Nessuno di loro cercò di entrare ad ucciderlo. Quello era compito del cacciatore. Dirk prese attentamente la mira e sparò a quello più vicino, alla gola. Cadde come un pezzo di carne e gli altri due recedettero. Dirk si mise in ginocchio e strisciò fuori dal suo riparo. Cercò di alzarsi, appoggiandosi con una mano sull’ala contorta. Il mondo prese a girare. Pugnalate dolorose gli trafiggevano le gambe e si accorse di non sentirsi più i piedi. Comunque riuscì a mettersi diritto.

Risuonò un urlo, qualcosa detto in Antico Kavalar; Dirk non conosceva quella parola. I cani giganteschi caricarono, uno dopo l’altro, con le bocche rosse e umide spalancate, ringhiando. E con la coda dell’occhio vide il cacciatore che si alzava, a due metri di distanza, con il coltello già snudato. Una delle braccia lunghe e sottili ebbe un moto circolare, un po’ lateralmente e colpì l’ala dell’aerauto contro cui si appoggiava Dirk. L’uomo si era già voltato e stava correndo e il cane più vicino era già lì, in aria. Dirk si lasciò cadere e sollevò il fucile. Le zanne scattarono, a vuoto, ma il corpo della bestia gli arrivò addosso, facendolo voltare e mettendosi sopra di lui dopo averlo schiacciato contro la polvere. In una maniera o nell’altra riuscì a trovare il grilletto. Ci fu un lampo breve e la puzza di pelo umido bruciato, poi un gemito terribile. Il cane fece di nuovo scattare le mascelle, ma debolmente, sputando il proprio sangue. Dirk spinse via la carcassa e cercò di alzarsi su un ginocchio. Il Braith aveva raggiunto il corpo di Pyr ed aveva sollevato la lunga spada d’argento. L’altro cane si era impigliato con la catena su di un bordo seghettato della macchina. Quando Dirk si alzò, il cane guaì e tirò ed il grande scafo carbonizzato parve scuotersi un po’ e spostarsi, ma la bestia rimase imprigionata.

Il cacciatore dai capelli neri aveva quella cosa d’argento. Dirk puntò il laser e sparò; il raggio passò lontano, ma un secondo è piuttosto lungo e Dirk spostò velocemente il fucile da destra a sinistra e da sinistra a destra.

L’uomo cadde, però aveva avuto il tempo di lanciare la sua arma. Si innalzò alcuni metri, scivolò sull’ala contorta e cadde per terra, dove oscillò avanti e indietro spinta dal vento.

Dirk continuava a fare oscillare il laser, sinistra destra, sinistra destra, sinistra destra, anche dopo che il cacciatore era caduto e la lama di luce era scomparsa. Alla fine del periodo di riciclo, ci fu un altro impulso di un secondo, che servì solo a bruciare una fila di soffocatori e Dirk, sobbalzando, lasciò la presa sul grilletto e fece cadere l’arma.

Il cane, ancora imprigionato, ringhiava e tirava. Dirk lo guardò, con la bocca spalancata, quasi senza capire. Poi ridacchiò. Cadde sulle ginocchia, ritrovò il laser e cominciò a strisciare contro i Kavalari. Ci volle un tempo tremendamente lungo. I piedi gli facevano male. Come il braccio, dove era stato morso. Alla fine il cane era stato zitto, ma non c’era silenzio. Dirk riusciva a sentire il grido, un piagnucolio basso e continuo.

Si trascinò attraverso la terra e la cenere sul tronco di un soffocatore bruciato, verso il punto in cui erano caduti i cacciatori. Giacevano l’uno accanto all’altro. Quello magro, quello di cui non aveva mai saputo il nome, che aveva cercato di ucciderlo con il coltello, con i cani e con la lama d’argento. Quello era immobile e la bocca era piena di sangue. Pyr, a faccia in giù, era l’origine dei piagnucolii; gli si inginocchiò vicino, gli passò una mano attorno al corpo e, con molta fatica, lo rivoltò. Aveva la faccia coperta di cenere e di sangue; cadendo si era rotto il naso e c’era un rivolo rosso e sottile che gli scendeva da una narice, lasciando un segno vivido sulle guance sporche di fuliggine. Aveva la faccia di un vecchio. Continuava a piangere e non pareva vedere affatto Dirk e con le mani si teneva lo stomaco. Dirk lo osservò per un bel po’. Gli toccò una delle mani — era stranamente morbida e piccola, pulita tranne un unico segno nero che attraversava il palmo, quasi la mano di un bambino che non poteva appartenere a quella faccia da vecchio calvo — e poi la lasciò andare e fece la stessa cosa con l’altra mano e guardò il buco che si era spalancato nella pancia di Pyr. Una grossa pancia ed un piccolo buco scuro; non avrebbe dovuto fargli troppo male. Non gli usciva nemmeno del sangue, tranne che dal naso. Era quasi divertente, ma Dirk scoprì di non essere più capace di ridacchiare.

Allora Pyr aprì la bocca e Dirk si chiese se quell’uomo non avesse voluto dirgli qualche cosa. Magari le sue ultime parole, una supplica di perdono. Ma il Braith riuscì solo ad emettere un unico suono che pareva un colpo di tosse, poi ricominciò a piangere sommessamente. Lì vicino c’era il suo bastone. Dirk lo raccolse ed avvolse la mano attorno al pomolo di legno duro e sistemò la lama sul torace di Pyr, dove doveva esserci il cuore e si appoggiò sopra con tutto il peso, pensando di poter dare pace all’altro. Il pesante corpo del cacciatore si contrasse orribilmente per un istante e Dirk estrasse la lama e la infilò un’altra volta, e poi ancora, ma Pyr non voleva rimanere immobile. La piccola lama era troppo corta, decise Dirk dopo un po’ di volte, per cui decise di usarla in maniera diversa. Trovò un’arteria nella gola spessa di Pyr, tenne ben stretto il bastone dalla parte a forma di coltello e premette contro la pelle grassoccia e pallida. Ci fu una terribile quantità di sangue allora, uno spruzzo che colpi Dirk proprio in faccia finché decise di abbandonare il bastone e tirarsi indietro. Pyr si contrasse di nuovo ed il collo continuava a sanguignargli nel punto in cui Dirk lo aveva tagliato e Dirk lo osservava, ma ogni fiotto era un po’ meno robusto di quello prima e dopo un po’ la fontana si trasformò in un semplice rivolo e dopo un altro po’ si fermò. La cenere e la terra avevano assorbito tutto il sangue, ma ce n’era ancora parecchio in giro, una piccola pozzanghera tra i due morti e Dirk non avrebbe mai supposto che un uomo avesse tanto sangue da poter formare una vera pozzanghera. Si sentiva male. Ma per lo meno Pyr era immobile ed il pianto era cessato.

Rimase seduto da solo, a riposarsi nella sbiadita luce rossa. Aveva molto freddo e molto caldo al tempo stesso e capì che doveva prendere dei vestiti ai due cadaveri per coprirsi, ma non riusciva a trovare la forza. I piedi gli facevano un male terribile ed il braccio gli era gonfiato fino a diventare due volte più grande del normale. Non dormiva, ma era appena cosciente. Guardò Grasso Satana che si alzava sempre più in alto nel cielo, avvicinandosi al mezzogiorno, con i soli gialli e brillanti che gli facevano dolorosamente corona. Sentì il cane Braith ululare parecchie volte ed una volta sentì il grido di caccia misterioso della banscea e si chiese se la creatura sarebbe ritornata per mangiare lui e gli uomini che aveva ucciso. Ma il grido pareva molto lontano e forse si trattava solo della sua febbre e forse era solo il vento.

Quando la pellicola umida e appicicosa che aveva sul viso si fu asciugata e diventò una crosta marrone e la piccola pozza di sangue nella polvere fu sparita, Dirk capì che si doveva spostare di nuovo, altrimenti sarebbe morto qui. Per parecchio tempo considerò l’idea della morte; gli parve un’idea molto buona, chissà perché, ma non riusciva a costringersi a farlo. Si ricordò Gwen. Strisciò fino al punto in cui si trovava il corpo del teyn di Pyr, cercando di ignorare il dolore che provava e frugò nelle tasche dell’uomo. Trovò la gemma mormorante.

Ghiaccio stretto nel pugno, ghiaccio nella mente, ricordi di promesse, bugie, amore. Jenny. La mia Ginevra e lui era Lancillotto. Lui non la poteva abbandonare. Lui no. Strinse forte la fredda lacrima nella mano e portò il ghiaccio nella sua anima. Si obbligò ad alzarsi.

Dopo di che fu più facile. Spogliò lentamente il morto e si rivestì con i suoi abiti, anche se tutto gli era troppo lungo e la camicia e la giubba di tessuto camaleontino erano state bruciate sul davanti e l’uomo aveva sporcato i pantaloni. Dirk tolse anche gli stivali al cadavere, ma erano troppo stretti per i suoi piedi insanguinati, piagati e fu costretto e usare quelli di Pyr. Pyr aveva dei piedi grossi.

Usando il fucile a laser ed il bastone di Pyr, si avviò barcollando su quegli appoggi verso la foresta. Pochi metri all’interno, si fermò e si guardò brevemente indietro. Il cane gigantesco stava abbaiando e ululando e cercava di liberarsi ed ogni volta che tirava l’aerauto rispondeva con un tremito metallico. Poteva vedere il corpo nudo sulla terra e più in là l’oggetto lungo e argento, che continuava ad oscillare nel vento. Quasi non riusciva a vedere Pyr. A causa delle macchie di sangue, l’abito del cacciatore era diventato nero e marrone e in certi punti rosso opaco, per cui si confondeva con il terreno su cui era morto.

Dirk abbandonò il cane ad abbaiare incatenato e si avviò zoppicando attraverso i soffocatori intrecciati.

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