Dirk attraversò la stanza.
Il fucile a laser era appoggiato alla parete. Lo sollevò ancora una volta, sentì il materiale vagamente oleoso che in realtà era plastica nera. Passò il pollice sulla testa di lupo. Sollevò l’arma all’altezza della spalla, prese la mira e sparò.
Il lampo di luce durò per lo meno un secondo, sospeso nell’aria. Mosse leggermente il fucile e la penna luminosa si mosse anche lei. Quando la luce sparì e sparì anche l’immagine che continuava a persistere sulla retina, vide che aveva aperto un buco irregolare nella finestra. Il vento vi si riversava soffiando forte, in una strana dissonanza con la musica di Lamiya-Bailis.
Gwen si alzò barcollando dal letto. «Che cosa? Dirk?».
Lui si strinse nelle spalle ed abbassò il fucile.
«Che cosa?», ripeté lei. «Che stai facendo?».
«Volevo essere sicuro di saperlo fare funzionare», spiegò lui. «Io… io vado».
Gwen aggrottò la fronte. «Aspetta», disse. «Cerco gli stivali».
Lui scosse il capo.
«Anche tu?». Lei aveva una faccia dura, brutta. «Non mi serve protezione, accidenti».
«Non è questo», disse lui.
«Se questa è una qualche mossa idiota per farti apparire un eroe ai miei occhi, ti dico subito che non ha funzionato», disse lei mettendo le mani sui fianchi.
Lui sorrise. «Per la verità, Gwen, questa è una qualche mossa idiota per farmi apparire un eroe ai miei occhi. I tuoi occhi… i tuoi occhi non hanno ormai più nessuna importanza».
«Ma allora perché?».
Lui bilanciò incerto il fucile. «Non lo so», ammise lui. «Forse perché mi piace Jaan e gli sono debitore. Forse perché debbo ripagargli il torto di essere scappato, dopo che lui aveva avuto fiducia in me e mi aveva nominato keth».
«Dirk», cominciò lei.
Lui gli fece cenno di star zitta. «Lo so… ma questo non è tutto. Forse è perché Kryne Lamiya ha più suicidi di qualsiasi altra città del festival, ed io sono uno di quelli. Scegli tu il motivo che preferisci, Gwen. Uno qualsiasi di quelli detti sopra». Un debole sorriso gli si dipinse sul viso. «Forse è perché qui ci sono solo dodici stelle, lo sai? Per cui che differenza può fare, che ne dici?».
«Che cosa credi di ppter fare?».
«Chi lo sa? E poi che importa? A te importa qualcosa, Gwen? Pensaci bene». Lui scosse il capo ed il movimento gli fece andare i capelli sulla fronte ancora una volta, così dovette interrompere il gesto e tirarsi indietro i capelli. «A me non importa che a te importi», disse con uno sforzo. «Tu hai detto, o sottinteso, che abitare a Sfida era stata una scelta egoista. Be’, può darsi. E forse lo sono ancora. Comunque ti voglio dire qualcosa. Qualsiasi cosa io voglia fare, non ti chiederò mai di guardarti le braccia prima, capisci cosa voglio dire?».
Era una buona battuta finale, ma arrivato vicino alla porta lui si intenerì un poco, esitò e si voltò indietro. «Rimani qui, Gwen», le disse. «Soltanto questo. Tu non sei ancora guarita. Se tu dovessi scappare, Jaan ha parlato di una caverna. Conosci qualche caverna?». Lei annuì. «Bene, allora vai là, se è necessario. Altrimenti resta qui». Agitò la mano in un goffo addio fatto con il fucile, poi si girò e se ne andò via troppo in fretta.
Giù sulla terrazza d’atterraggio le pareti erano pareti e basta… non c’erano spettri, né murali, né luci. Dirk raggiunse a tentoni l’aerauto che cercava, poi attese al buio che gli occhi si abituassero. Il suo relitto non era un prodotto della tecnologia Kavalar: era una piccola macchina a due sedili, una goccia di plastica un po’ nera e un po’ d’argento e di metallo leggero. Non era corazzata, si capisce, e l’unica arma che portava era il fucile laser che Dirk teneva sulle ginocchia.
Era solo un po’ meno morta di tutto il resto di Worlorn, ma quel po’ era sufficiente. Quando lui batté sul manometro dell’energia, la macchina si svegliò e gli strumenti illuminarono la cabina con i loro raggi pallidi. Mangiò in fretta una barretta di proteine e studiò i quadranti. La scorta di energia era bassa, troppo bassa, ma avrebbe dovuto bastare. Non avrebbe dovuto usare i fari; ce l’avrebbe fatta con la pallida luce stellare. E si poteva anche risparmiare sul riscaldamento, almeno finché avesse avuto il giubbotto di pelle che lo avrebbe riparato dal freddo.
Dirk abbassò la porta, chiudendosi all’interno e diede un colpetto al controllo di gravità. L’aerauto si sollevò, oscillò un po’ incerta, ma si sollevò. Afferrò la barra e la tirò a sé e subito si trovò fuori, in aria.
Ebbe un breve attimo di terrore. Se la griglia fosse stata troppo debole, lui lo sapeva benissimo, non si sarebbe affatto alzato, ma avrebbe ottenuto solo un debole rollio sul terreno soffocato dal muschio. La macchina oscillò e cadde in picchiata in maniera allarmante, una volta che si era sollevata. Tra l’altro, lui non era affatto ansioso di incontrare qualche viaggiatore notturno. In alto, con le luci spente, lui avrebbe visto qualsiasi altra aerauto che fosse passata sotto di lui, ma aveva buone possibilità di sfuggire al loro controllo.
Non abbassò lo sguardo per guardare Kryne Lamiya, ma sentiva la città sotto di sé, che lo guidava avanti, che gli lavava tutte le paure. La paura era una cosa stupida; non c’era niente di importante, meno di tutte la morte. La musica continuò anche quando la Città Sirena con le sue luci bianche e grigie era scomparsa. Scompariva la musica poco per volta e diventava più debole, ma era sempre con lui, sempre potente. Una nota, un sibilo sottile oscillante, durò più di tutte le altre. A più di trenta chilometri dalla città si sentiva ancora, mescolata al più profondo soffiare del vento. Alla fine si accorse che il suono veniva direttamente dalle sue labbra.
Smise di fischiare e cercò di concentrarsi sul volo.
Dopo aver volato per quasi un’ora, la montagna torreggiava su di lui, o piuttosto sotto di lui, perché si era portato piuttosto in alto e gli pareva di essere più vicino alle stelle ed alle galassie puntiformi che alle foreste in basso. Il vento era diventato penetrante e furioso e cercava di penetrare attraverso le fessure sottilissime dei portelli, ma Dirk ignorava il suono.
Nel punto in cui le montagne raggiungevano le foreste, Dirk vide una luce.
Fece virare la macchina, in un’ampia curva, e cominciò a scendere. Non avrebbero dovuto esserci luci in questa parte della montagna, lui lo sapeva; chiunque fosse, bisognava controllare.
Scese a spirale finché si trovò direttamente al di sopra della luce, poi fermò la macchina a mezz’aria e rimase sospeso per un breve istante, facendo scendere il controllo di gravità. Atterrò con infinita lentezza, oscillando avanti e indietro leggermente nei refoli di vento in una lenta caduta.
Era circondato da parecchie luci. L’illuminazione principale veniva da un fuoco. Adesso riusciva a distinguerlo; lo vedeva spostarsi ed oscillare a seconda di come il vento soffiava sulle fiamme, un po’ da una parte e un po’ dall’altra. Ma c’era un’altra zona con delle luci più piccole… erano immobili ed artificiali, messe in cerchio nel buio, non troppo distanti dal fuoco. Forse un chilometro, stimò, forse meno.
Nella piccola cabina la temperatura cominciò ad alzarsi e Dirk sentì di sudare, aveva tutti i vestiti inzuppati sotto il giubbotto pesante. Vide anche il fumo; arrivava a nuvole, nere e caliginose, si sollevava dal fuoco e gli impediva la vista. Aggrottò la fronte e spostò l’aeromobile finché non fu più direttamente al di sopra delle fiamme e continuò la discesa.
Il fuoco si alzò a salutarlo. Lunghe lingue arancione, che parevano brillantissime in contrasto con i pennacchi di fumo. Vide anche delle scintille, o tizzoni, o qualcosa del genere; uscivano dal fuoco in brillanti spruzzi incandescenti, impolverando la notte e svanendo subito. Dirk era ormai bassissimo e fu minacciato da un altro fenomeno: un crepitare furioso di fiamme bianco azzurre, seguite da un’acuto odore di ozono, che subito dopo scomparve.
Dirk arrestò l’aerauto quando il fuoco era ancora piuttosto lontano sotto di lui. C’era dell’altra gente attorno — il cerchio formato dalle immobili luci artificiali — e lui non temeva di essere visto. La sua macchina nera e argento, immobile contro il cielo nero, non sarebbe stata facile da individuare, ma la storia sarebbe stata diversa se lui si fosse delineato contro le fiamme. Anche se niente gli impediva la visuale dal punto in cui era librato, tuttavia non riusciva a distinguere che cosa stesse bruciando; al centro del fuoco c’era una forma oscura da cui uscivano ogni tanto delle scintille. Attorno poteva vedere l’intricato insieme di soffocatori, con i rami cerei che brillavano gialli sotto la luce riflessa. Parecchi erano nel punto in cui si era verificato lo scoppio ed erano loro che formavano la maggior parte del fumo nero, accartocciandosi e trasformandosi in cenere. Ma gli altri, il muro contorto che circondava la cosa nera che bruciava, rifiutavano di cedere. Il fuoco non si allargava, ma stava visibilmente spegnendosi.
Dirk attese e lo vide morire. Era già quasi sicuro che si trattasse di un aeromobile caduto; glielo dicevano soprattutto le scintille e l’odore di ozono. Voleva sapere di chi fosse quella macchina.
Quando le fiamme diminuirono e le scintille cessarono di fuoriuscire, ma prima che il fuoco si fosse estinto completamente trasformandosi in fumo grasso, Dirk riuscì a distinguere una forma. Per un istante; un’ala, vagamente simile a quella di un pipistrello, contorta secondo un’angolazione grottesca e puntata verso il cielo. Un muro di fuoco scivolava dietro l’ala. Gli bastava; non si trattava di nessuna macchina che lui conoscesse, anche se era chiaramente di costruzione Kavalar.
Si allontanò immediatamente dal fuoco morente, come un oscuro spettro sopra la foresta ed andò verso il cerchio di illuminazione artificiale. Questa volta mantenne una distanza superiore. Non aveva nessun bisogno di andare più vicino. Le luci erano molto brillanti e la scena pareva scolpita in minuti dettagli.
Vide una vasta radura, circondata da torce elettriche, sulle rive di un lago con l’acqua immobile, molto largo. Tre aerauto erano posate a terra e lui le conosceva tutte e tre; lo stesso terzetto che aveva già visto sotto l’albero Emereli a Sfida, quando Myrik Braith aveva assalito Gwen. Una di quelle macchine, quella con la cupola più grande e la corazza rosso scura, apparteneva a Lorimaar alto-Braith. Le altre due erano più piccole, quasi identiche, solo che adesso erano piuttosto diverse, poiché una delle due era visibilmente danneggiata e si vedeva bene anche da distante. Era posata in maniera goffa, mezza sommersa dall’acqua ed in parte era sformata ed incandescente. La porta corazzata era leggermente aperta.
Figure sottili si muovevano attorno al relitto. Dirk non se ne sarebbe quasi accorto se quelli non si fossero mossi, poiché si mimetizzavano perfettamente con lo sfondo. Lì vicino, qualcuno portava i cani Braith facendoli uscire da una porta sulla fiancata della macchina di Lorimaar.
Dirk si accigliò e toccò il controllo di gravità, facendo sollevare il suo aeromobile, finché uomini e macchine sparirono alla vista e sotto di lui non rimase nient’altro che un punto luminoso nella foresta. Per la verità, erano due punti, ma il fuoco si era ormai trasformato in un pallido tizzone arancione, che diventava visibilmente meno luminoso.
Dirk si soffermò a pensare, al sicuro nel buio ventre del cielo.
La macchina danneggiata era quella di Roseph, la stessa macchina che loro avevano rubato a Sfida, la macchina con cui Jaan Vikary aveva volato fino a Larteyn quel mattino. Di questo ne era sicuro. I Braith lo avevano trovato, chiaro, e lo avevano inseguito nella foresta, abbattendolo. Eppure gli pareva improbabile che lui fosse morto; altrimenti, quale era lo scopo dei cani Braith? Lorimaar non aveva certo fatto uscire la muta per farle fare una passeggiata. Era assai più probabile che Jaan fosse sopravvissuto e fosse poi scappato nella foresta e adesso i Braith stavano andando a dargli la caccia.
Dirk ci pensò su un momento, cercando di pensare ad un sistema di fuga, ma le prospettive parevano scarse. Lui non aveva nessuna idea su come fare a scovare Jaan in un mondo straniero e per di più ammantato di tenebre notturne. I Braith erano molto meglio equipaggiati per una battuta di quel tipo.
Dirk riprese la sua rotta verso le montagne, al di là delle quali c’era Larteyn. Nella foresta, solo com’era, anche se armato, non poteva fare davvero molto per aiutare Jaan Vikary. Nella Fortezza di Luce, invece, mal che andasse poteva sempre terminare l’incarico del Ferrogiada e chiudere la partita con Arkin Ruark.
La montagna gli scivolò sotto e Dirk si rilassò ancora di più, anche se continuava a tenere una mano sul fucile a laser poggiato sulle ginocchia.
Il volo durò meno di un’ora; poi, addossata sulla montagna si cominciò a vedere Larteyn, rossa e brillante. Pareva proprio morta, proprio vuota, ma Dirk sapeva che la sensazione era menzognera. Lui si mantenne basso per non perdere tempo e si lanciò attraverso le basse terrazze quadrate e le piazze di pietraluce verso l’edificio che qualche tempo prima lo aveva accolto assieme a Gwen Delvano, i due Ferrogiada ed il Kimdissi bugiardo.
C’era solo un’altra aerauto sulla terrazza battuta dal vento: il pezzo da museo, corazzato di stile militare. Non c’era nessun segno del piccolo velivolo giallo di Ruark e mancava anche la manta grigia. Dirk si chiese per un attimo che cosa ne fosse stato di quell’apparecchio, abbandonato a Sfida, poi mise da parte il pensiero e si apprestò a scendere.
Tenne stretto il laser in mano mentre usciva. Il mondo era calmo e cremisi. Si avviò in fretta verso gli ascensori e scese nell’appartamento di Ruark.
Le stanze erano vuote.
Le setacciò con cura, rivoltando le cose da una parte e dall’altra, senza preoccuparsi di dare fastidio a qualcuno, senza curarsi di ciò che distruggeva. Tutti gli averi del Kimdissi erano ancora al loro posto, ma Ruark non c’era e non c’era nemmeno nessun segno che gli permettesse di capire dove fosse andato.
C’erano anche le cose di Dirk, le poche cose che si era lasciato alle spalle quando lui era scappato con Gwen. Si trattava di pochi abiti leggeri che si era portato da Braque. Inutili qui nel gelo di Worlorn. Dirk mise giù il laser, si inginocchiò e cominciò a rovistare nelle tasche dei suoi pantaloni sporchi. Poi la trovò… infilata in fondo, ancora nel suo involucro di argento e di velluto. Allora si rese conto che quella era la vera ragione per cui era ritornato a Larteyn.
Nella stanza da letto di Ruark trovò una cassettina di gioielli personali: anelli, ciondoli, braccialetti intricati e corone, orecchini di pietre semipreziose. Rovistò nella cassetta finché non trovò una sottile catenina con un gufo in filigrana d’argento inglobato nell’ambra e sospeso con un fermaglio. Dirk strappò via l’ambra ed il gufo e lo sostituì con la gemma mormorante.
Poi si sbottonò il giubbotto e la camicia pesante e si appese la catena al collo, in modo che la lacrima rossa e gelida fosse proprio vicina alla pelle nuda, a mormorare i suoi sussurri, a promettere le sue bugie. Il sottile pugnale di ghiaccio faceva male al petto, ma per lui andava bene così; era Jenny. Dopo un momento si fu abituato e tutto passò. Lacrime salate gli rotolarono lungo le guance. Lui non se ne accorse. Sali le scale.
Il laboratorio che Ruark aveva condiviso con Gwen era tutto ingombro, come se lo ricordava lui, ma il Kimdissi non c’era. E non c’era nemmeno nell’appartamento superiore, dove Dirk aveva chiamato Ruark quando era stato a Sfida. C’era solo un ultimo posto dove andarlo a cercare.
Salì velocemente in cima alla torre. La porta era aperta. Esitò un momento, poi entrò, tenendosi pronto con il laser.
Il grande soggiorno era sommerso dal caos e dalla distruzione. Il visischermo era stato spaccato, oppure era esploso; c’erano frammenti di vetro dappertutto. Le pareti erano deturpate da colpi di laser. I divani erano stati rivoltati ed erano rotti in decine di punti, dove l’imbottitura usciva fuori a manciate ed era sparsa da tutte le parti. In parte si era rovesciata nel caminetto, dove aveva contribuito a creare il fumo caliginoso che impregnava l’ambiente. Una delle cariatidi, priva di testa e messa al contrario era appoggiata alla base del camino. La testa, con tutte le pietraluci, era stata gettata nella cenere nera del camino. L’aria sapeva di vino e di vomito.
Garse Janacek dormiva sul pavimento, senza camicia, la barba rossa macchiata era anche più rossa per via del vino che la inzaccherava e la bocca era aperta. Puzzava come tutta la stanza. Russava forte e stringeva ancora in una mano la sua pistola laser. Dirk vide la camicia appallottolata in una polla di vomito che Janacek aveva tentato di asciugare un po’ come veniva.
Dirk gli girò attorno con cautela e tolse il laser dalle dita molli di Janacek. Il teyn di Vikary non era affatto il ferreo Kavalar che Jaan si immaginava.
Sul braccio destro di Janacek c’era ancora il vincolo di ferro-e-pietraluce. Alcune gemme rosse e nere erano state scalzate dalla loro incastonatura; i buchi vuoti parevano osceni. Ma la maggior parte del braccialetto era intatto, tranne nel punto in cui erano state praticate delle lunghe deturpazioni. Anche l’avambraccio di Janacek, al di sopra del braccialetto, era ferito. Erano ferite profonde e spesso proseguivano le striature fatte nel ferro. Sia il braccio che il braccialetto erano incrostati di sangue secco.
Accanto agli stivali di Janacek, Dirk vide il lungo coltello macchiato di sangue. Poteva immaginarsi il resto. Ubriaco, questo era certo, con la mano sinistra in parte impedita dall’antica ferita, aveva cercato di scalzare le pietreluci, poi aveva perso la pazienza ed aveva colpito selvaggiamente, affondando la lama nel suo dolore e nella sua rabbia.
Dirk arretrò leggermente, evitò la camicia bagnata di Janacek, si fermò presso la porta, sollevò il fucile e gridò: «Garse!».
Janacek non si mosse. Dirk ripeté il grido. Questa volta il volume della ronfata diminuì sensibilmente. Incoraggiato, Dirk si chinò e raccolse il primo oggetto che gli venne in mano — una pietraluce — e lo lanciò verso il Kavalar. Colpi Janacek sulla guancia.
L’uomo si mise a sedere lentamente sbattendo gli occhi. Vide Dirk e lo fissò con sguardo truce.
«Alzati», disse Dirk. Gli fece un cenno con il laser.
Janacek si alzò barcollando e si guardò attorno cercando la sua arma.
«Non troverai niente», gli disse Dirk. «L’ho presa io».
Gli occhi di Janacek erano stanchi ed arrossati, ma ormai la sua ubriachezza era quasi del tutto scomparsa. «Perché sei qui, t’Larien?», disse lentamente, con voce da cui traspariva più la stanchezza che l’effetto del vino. «Sei venuto a prendermi in giro?».
Dirk scosse il capo. «No. Mi dispiace per te».
Janacek lo fissò. «Ti dispiace per me?».
«Non ti sembra di fare pietà? Guardati attorno!».
«Attento», gli disse Janacek. «Sfottimi ancora un po’ t’Larien, e scoprirò subito se hai abbastanza fegato da usare quel laser che tieni in maniera tanto balorda».
«No, Garse», disse Dirk. «Per piacere. Mi serve il tuo aiuto».
Janacek rise, gettando indietro il capo in un ruggito.
Quando ebbe finito, Dirk gli disse tutto ciò che era capitato fin da quando Vikary aveva ucciso Myrik Braith a Sfida. Janacek rimase rigido e immobile mentre ascoltava, con le braccia incrociate strettamente sul petto nudo e ferito. Rise ancora una volta… quando Dirk gli disse le sue conclusioni circa Ruark. «I manipolatori di Kimdiss», mormorò Janacek. Dirk lo lasciò brontolare, poi fini la storia.
«Allora?», domandò Janacek quando l’altro ebbe finito. «Cosa ti fa pensare che queste cose mi interessino?».
«Ho immaginato che tu non avessi avuto intenzione di permettere ai Braith di dar la caccia a Jaan come se fosse un animale», disse Dirk.
«È lui che ha voluto diventare un animale».
«Questo secondo i Braith, immagino», rispose Dirk. «Tu sei un Braith?».
«Io sono un Kavalar».
«Allora tutti i Kavalari sono uguali?». Fece un gesto verso la testa di pietra della cariatide nel caminetto. «Vedo che anche tu prendi dei trofei adesso, proprio come Lorimaar».
Janacek non disse niente. I suoi occhi erano durissimi.
«Forse avevo torto», disse Dirk. «Ma quando sono venuto qui e ho visto tutto questo, ho cominciato a pensare. Ho cominciato a pensare che forse tu avevi dei sentimenti umani verso l’uomo che una volta era stato il tuo teyn. Mi sono ricordato che mi avevi detto che tra te e Jaan c’era un vincolo più forte di qualsiasi altro io avessi mai conosciuto. Però penso che questa fosse una bugia».
«Era la verità. È stato Jaan Vikary a spezzare il vincolo».
«Gwen ha spezzato tutti i vincoli che c’erano tra di noi parecchi anni fa», disse Dirk, «eppure io sono venuto quando lei ha avuto bisogno di me. Oh, è poi venuto fuori che lei non aveva proprio bisogno di me ed io sono venuto per un mucchio di motivi egoistici. Comunque sono venuto. Non puoi negarmelo, Garse. Ho mantenuto la mia promessa». Fece una pausa. «E non permetterò a nessuno di farle del male, ammesso che riesca a fermarli. Pare che noi fossimo vincolati da qualcosa che era assai più forte del vostro ferro-e-fuoco Kavalar».
«Dì quel che ti pare t’Larien. Le tue parole non cambiano niente. L’idea di te che mantieni le promesse è ridicola. Che mi dici delle promesse che avevi fatto a Jaan e a me?».
«Le ho tradite», disse rapidamente Dirk. «Lo so. Per cui tu ed io siamo pari, Garse».
«Io non ho tradito nessuno».
«Tu stai abbandonando quelli che ti sono stati più vicini. Gwen, che è stata la tua cro-betheyn, che ha dormito con te, ti ha amato e ti ha odiato tutto assieme. E Jaan. Il tuo prezioso teyn».
«Io non li ho mai traditi», disse Janacek accalorandosi. «Gwen ha tradito me e la giada-e-argento che indossava fin dal giorno in cui si è unita a noi. Jaan ha abbandonato tutto ciò che era valido per il modo in cui ha ucciso Myrik. Mi ha ignorato, ha ignorato i doveri del ferro-e-fuoco. Non devo niente a loro».
«Tu no, davvero?». Dirk sentiva la gemma mormorante sotto la camicia, dura contro la pelle, che lo inondava di parole e memorie, che avevano un senso per l’uomo che una volta lui era stato. Era molto arrabbiato. «E questo spiega tutto? Tu non devi niente a loro, e allora chi se ne frega? Tutti i vostri dannati vincoli Kavalari non sono altro, in definitiva, che debiti ed obblighi. Tradizioni, antica saggezza delle granleghe, come il codice duellesco e la caccia ai falsuomini. Non starci a pensare, ma segui le tradizioni. Ruark aveva ragione su una cosa: non c’è amore in nessuno di voi, tranne forse in Jaan e non ne sono nemmeno completamente sicuro. Che cosa diavolo avrebbe fatto se Gwen non avesse più avuto il suo braccialetto?».
«Sarebbe stato lo stesso!».
«Davvero? E tu? Avresti sfidato Myrik solo perché aveva fatto male a Gwen? O non è stato forse perché aveva danneggiato la tua giada-e-argento?». Dirk sbuffò. «Può darsi che Jaan avrebbe fatto la stessa cosa, ma non tu, Janacek. Tu sei Kavalar come lo stesso Lorimaar, rigido come Chell o Bretan. Jaan voleva che la sua gente fosse migliore, ma immagino che tu volessi solo fare una scorreria e non ci hai creduto nemmeno un istante». Estrasse il laser di Janacek dalla cintura e lo gettò attraverso la stanza con la mano libera. «Ecco», gridò, abbassando il fucile. «Va a cacciare falsuomini!».
Janacek sobbalzò, afferrò l’arma a mezz’aria quasi per riflesso condizionato. La strinse goffamente e si accigliò. «Potrei ucciderti adesso, t’Larien», disse.
«Fallo, oppure non far niente», disse Dirk. «Fa lo stesso. Se tu avessi davvero amato Jaan…».
«Io non amo Jaan», scattò Janacek. «Lui è il mio teyn!».
Dirk lasciò sospese le parole del Kavalar in aria per un lungo minuto. Si grattò il mento pensoso. «È?», disse. «Vuoi dire che Jaan era il tuo teyn, non è vero?».
Il rossore di Janacek scomparve così com’era venuto. Sotto la barba un angolo della bocca ebbe un guizzo in modo che a Dirk ricordò Bretan. I suoi occhi si spostarono, quasi furtivamente, in parte vergognosi, verso il pesante braccialetto di ferro che era sempre attaccato al braccio insanguinato.
«Tu non hai tolto tutte le pietreluci, non è vero?», disse gentilmente Dirk.
«No», disse Janacek. La sua voce era stranamente morbida. «No, non le ho tolte. Naturalmente non vuol dire granché. Il ferro fisico non vuol dire niente quando il ferro dell’anima è scomparso».
«Ma non è scomparso, Garse», disse Dirk. «Jaan mi ha parlato di te quando eravamo assieme a Kryne Lamiya. Lo so. Può darsi che lui si senta vincolato co! ferro anche a Gwen e forse in questo sbaglia. Non chiederlo a me. Tutto ciò che so è che per Jaan quell’altro ferro c’è ancora. A Kryne Lamiya portava ancora il braccialetto di ferro-e-fuoco. E continuerà a portarlo anche quando i cani Braith lo abbatteranno, suppongo».
Janacek scosse il capo. «t’Larien», disse, «giurerei che tua madre venisse da Kimdiss. Infatti non riesco a resisterti. Sei un manipolatore nato». Fece un ampio sorriso; era l’antico ghigno, quello che gli aveva lanciato quel mattino quando aveva puntato il laser su Dirk e gli aveva chiesto se la cosa lo allarmasse. «Jaan Vikary è il mio teyn», disse. «Che cosa vuoi farmi fare?».
La conversione di Janacek, anche se un po’ riluttante, risultò però abbastanza completa. Il Kavalar si mise al lavoro quasi immediatamente. Dirk pensava che dovessero andarsene subito e discutere i piani mentre andavano, ma Janacek insistette che avrebbero avuto il tempo per fare una doccia e per rivestirsi. «Se Jaan è ancora vivo, sarà abbastanza al sicuro fino all’alba. I cani non ci vedono bene di notte ed ai Braith non verrà certo la voglia di infilarsi in un bosco di soffocatori con il buio. No, t’Larien, si accamperanno ed aspetteranno. Un uomo solo ed a piedi non può certo andare lontano. Per cui abbiamo tutto il tempo per incontrarci con loro da veri Ferrogiada».
Quando furono pronti a partire, Janacek era riuscito a togliere quasi ogni traccia della sua rabbia da ubriaco. Lui era snello ed immacolato, con un vestito di tessuto camaleonti.no bordato di pelliccia, con la barba ripulita e pettinata, i capelli rosso scuro accuratamente sistemati all’indietro. Il braccio destro era stato bendato e ripulito attentamente, ma era ancora gonfio ed era l’unica traccia rimasta del suo stato precedente. Ma le ferite non parevano avergli recato grossi danni; i suoi movimenti erano eleganti e fluidi mentre caricava il laser e lo controllava, per poi farlo scivolare nella cintura. Oltre alla pistola, Janacek portava anche un coltello a doppia lama ed un fucile come quello di Dirk. Sorrise allegramente mentre lo sollevava.
Dirk si era lavato e rasato mentre aspettava, ed aveva colto l’occasione per mangiare il suo primo vero pasto della giornata. Si sentiva molto più forte quando si avviarono verso la terrazza.
L’interno della grande macchina squadrata di Janacek era stretto come quello de! piccolo relitto con cui Dirk aveva volato provenendo da Kryne Lamiya, anche se la macchina di Janacek aveva quattro piccoli sedili invece di due soli. «La corazzatura», disse Janacek quando Dirk gli fece notare la limitatezza dello spazio. Legò Dirk in un sedile rigido e scomodo con delle strette cinghie da battaglia e fece lo stesso per sé, poi decollò velocemente.
La cabina era leggermente illuminata e completamente chiusa, con calibri e strumenti da tutte le parti, anche sopra le porte. Non c’erano finestre; su un pannello c’erano otto piccoli video che davano otto diverse visuali al pilota dello spazio esterno. Le pareti non erano dipinte, prive di ornamenti in lega di metallo duro.
«Questo veicolo è più vecchio di noi due», disse Janacek mentre si alzava. Pareva che avesse abbastanza voglia di parlare ed era piuttosto amichevole anche se manteneva il suo stile sarcastico. «Ed ha visto più mondi di quelli che hai visto tu. Ha una storia affascinante. Questo particolare modello risale a circa quattrocento anni standard fa. Fu costruito dalle Sapienze di Dam Tullian, ben dentro il Velo Tentatore ed è stato usato in tutte le guerre contro Erikan e Speranza del Vagabondo. Dopo un secolo, più o meno, è stato disattivato e abbandonato. Gli Erikani lo ricuperarono durante un periodo di pace e lo rivendettero agli Angeli d’Acciaio su Bastion. Lo adoperarono in parecchie campagne, finché non venne catturato dai Prometeani. Un commerciante Kimdissi lo prese su Prometeo e me lo vendette ed io lo adattai secondo il codice duellesco. Da quel momento non mi ha più sfidato nessuno al combattimento aereo. Guarda». Allungò una mano e premette il pulsante scintillante e ci fu un’improvvisa accelerazione che spinse Dirk contro il sedile. «Tubi di impulsi ausiliari per velocità di emergenza», disse Janacek ghignando. «Saremo laggiù in meno di metà tempo di quello che ti sarebbe occorso, t’Larien».
«Bene», disse Dirk. C’era qualcosa che lo tormentava. «Hai detto che l’hai comprato da un commerciante Kimdissi?».
«Proprio così», disse Janacek. «I pacifici Kimdissi sono grandi commercianti d’armi. Non rispetto molto i manipolatori, come ben sai. ma naturalmente non mi rifiuto di trarre vantaggio da offerte convenienti».
«Arkin ha menato gran vanto sul fatto di essere non violento», disse Dirk. «Immagino che questo sia un’altra menzogna».
«No», disse Janacek. Guardò Dirk e sorrise. «Sorpreso, t’Larien? Forse la verità è più bizzarra. Noi non chiamiamo i Kimdissi manipolatori senza una buona ragione. Tu hai studiato la storia su Avalon, immagino?».
«Un po’», disse Dirk. «La storia di Vecchia Terra, l’Impero Federale, la Doppia Guerra, l’espansione».
«Comunque non hai studiato la storia dei mondi esterni». Janacek chiocciò. «C’era da aspettarselo. Per tutti i mondi e per tutte le culture dell’impero umano, c’è una storia diversa. Perfino i nomi sono troppi per impararli tutti. Ascolta che ti spiego qualcosa. Quando sei atterrato su Worlorn, hai fatto caso al cerchio di bandiere?».
Dirk lo fissò con sguardo vacuo. «No».
«Può darsi che non siano più al loro posto. Comunque una volta, durante il festival, la piazza subito fuori lo spazioporto era circondata da quattordici bandiere svolazzanti. Si trattava di un’assurda idea Toberiana, comunque era stata accettata come una moda, anche se le bandiere planetarie in dieci casi su quattordici, non rappresentavano niente. C’erano mondi come Eshellin e la Colonia Dimenticata che non sapevano nemmeno che cosa fosse una bandiera, mentre all’estremo opposto, gli Emereli avevano una bandiera diversa per ognuna delle loro cento torri urbane. I Cupoli ci risero dietro ed alzarono una bandiera completamente nera». La cosa pareva divertirlo molto. «Per quanto riguarda Alto Kavalaan, non avevamo una bandiera che rappresentasse tutto il mondo. Comunque ne trovammo una. La prendemmo dalla storia. Un rettangolo suddiviso in quattro quadranti di colori diversi: una banscea verde su campo nero per Ferrogiada, il pipistrello argentato in caccia per Scianagate su campo giallo, spade incrociate in campo cremisi per Rossacciaio e per Braith un lupo bianco su campo purpureo. Era l’antico stendardo della Lega Altolegata.
«La lega venne creata più o meno al tempo in cui le navi spaziali ritornarono per la prima volta su Alto Kavalaan. Ci fu un uomo, un grande leader, chiamato Vikor alto-Rossacciaio Corben. Dominò il consiglio degli altolegati di Rossacciaio per una generazione e quando vennero gli alieni era convinto che tutti i Kavalari dovessero riunirsi per dividere conoscenze e salute in parti uguali. Così formò la Lega Altolegata, con la bandiera che ti ho descritto. Purtroppo l’unione ebbe vita breve. I commercianti Kimdissi, spaventati dalla forza che avrebbe potuto avere un Alto Kavalaan unito, fecero in modo di fornire armi moderne esclusivamente ai Braith. Gli altolegati Braith si erano uniti alla Lega solo per paura; per la verità, loro cercavano di sfuggire alle stelle, che secondo loro erano piene di falsuomini. Comunque non si rifiutarono di accettare i laser da quegli stessi falsuomini.
«Così incominciò l’ultima altaguerra. Ferrogiada, Rossacciaio e Scianagate uniti soggiogarono Braith, malgrado le armi dei Kimdissi, ma Vikor alto-Rossacciaio venne ucciso ed il prezzo in vite umane fu spaventoso. La Lega Altolegata sopravvisse al suo fondatore per pochissimi anni. I Braith, malamente battuti, si rafforzarono nel convincimento di essere stati giocati ed adoperati dai falsuomini Kimdissi e per questa ragione si attaccarono ancora di più alle antiche tradizioni. Per sanzionare la pace nel sangue e per renderla durevole, la Lega — ormai dominata dagli Altolegati di Scianagate — trascinò tutti i commercianti Kimdissi su Alto Kavalaan e, per buona misura, anche una nave di Toberiani. Li dichiarò tutti criminali di guerra — tra l’altro questo è un termine che ci hanno insegnato gli stranieri — li hanno liberati sulle pianure per farli cacciare come falsuomini. Le banscee ne uccisero molti, altri morirono di fame, ma i più vennero catturati dai cacciatori che portavano a casa le loro teste per trofeo. Si dice che gli Altolegati Braith godessero particolarmente nello scuoiare gli uomini da cui erano stati armati e da cui avevano ricevuto consiglio.
«Al giorno d’oggi non siamo più troppo fieri di quella caccia, comunque ne capiamo le ragioni. La guerra era stata la più lunga e la più sanguinosa fin dal Tempo del Fuoco e dei Demoni. Furono epoche di gran dolore e di odio immenso e la Lega Altolegata ne uscì distrutta. L’Unione Ferrogiada cercò di trattenere i cacciatori, dichiarando che i Kimdissi erano umani. Venne immediatamente seguita da Rossacciaio. Gli uccisori di falsuomini erano solo Braith e Scianagate, per cui la Fortezza di Scianagate rimase isolata. La bandiera di Vikor venne presto abbandonata e dimenticata, finché non ce ne ricordammo per via del festival».
Janacek fece una pausa e guardò Dirk. «Capisci la verità adesso t’Larien?».
«Riesco a capire perché Kavalari e Kimdissi non si amino molto», ammise Dirk.
Janacek rise. «La cosa va al di là della nostra storia», disse. «Kimdiss non ha fatto nessuna guerra, eppure è un mondo con le mani insanguinate. Quando Tober-nel-Velo attaccò Lupania, i manipolatori fornirono armi ad entrambe le parti. Quando la guerra civile scoppiò su di-Emerel, tra le urbanità il cui universo è costituito da un unico edificio ed i disaffezionati cercatori di stelle che erano impazienti di trovare più ampi orizzonti, Kimdiss si sentì chiamato in causa e diede i mezzi alle urbanità per vincere il conflitto in maniera conclusiva». Rise. «Per la verità t’Larien, ci sono anche delle voci che parlano di complotti Kimdissi fin dentro il Velo Tentatore. Si dice che furono i Kimdissi a mettere gli Angeli d’Acciaio e gli Uomini Modificati di Prometeo gli uni contro gli altri, che fecero deporre il Quarto Cuchulainn di Tara poiché rifiutò di commerciare con loro, che hanno interferito su Braque per mantenere sopita la tecnologia sotto il peso dei preti Braqui. Conosci l’antica religione dei Kimdissi?».
«No».
«Tu la approveresti», disse Janacek. «Si tratta di un credo pacifico e civile, estremamente complesso. Può servire per giustificare tutto, tranne la violenza personale. Eppure il loro grande profeta, il Figlio dei Sognatori — ormai una figura mitica anche se continuano a riverirlo — una volta disse: "Ricordatevi, il vostro nemico ha un nemico". Proprio così. Questo è il fulcro della saggezza Kimdissi».
Dirk si agitò a disagio sul sedile. «Vorresti dire che Ruark…».
«Io non dico niente», lo interruppe Janacek. «Trai tu stesso le tue conclusioni. Non è necessario che io ti fornisca le mie. Ho detto tutto questo una volta anche a Gwen Delvano, perché lei era la mia cro-betheyn ed io ero preoccupato. La cosa la diverti parecchio. La storia non significava niente, mi disse. Arkin Ruark era solo se stesso, non l’archetipo della storia degli altri mondi. Così mi informò. Lui era anche suo amico, mi fu detto, e mi spiegò questo vincolo, questa amicizia», disse la parola con voce acida, «era qualcosa che in qualche modo trascendeva il fatto che quello era un bugiardo ed un Kimdissi. Gwen mi disse di guardare la mia storia. Se Arkin Ruark doveva essere considerato un manipolatore solo perché era nato su Kimdiss, allora io ero un cacciatore di teste di falsuomini, solo perché ero Kavalar».
Dirk ci pensò un po’. «Lei aveva ragione, sai», disse tranquillamente.
«Ah! Davvero?».
«La sua argomentazione era giusta», disse Dirk. «Pare che avesse torto nella fiducia che aveva per Ruark, ma in generale…».
«In generale è meglio non fidarsi di tutti i Kimdissi», disse deciso Janacek. «Tu stesso sei stato tradito ed adoperato, t’Larie’n, eppure non hai ancora imparato. Sei molto simile a Gwen. Adesso basta».
Batté una nocca su di un video. «Siamo ormai vicini alle montagne. Non ci vorrà ancora molto».
Dirk aveva afferrato strettamente il fucile a laser. Si asciugò le mani sudate sui pantaloni. «Tu hai un piano?».
«Sì», disse Janacek, ghignando. Così dicendo si piegò in avanti, superando lo spazio che li divideva e tolse delicatamente di mano il laser a Dirk. «Un piano semplicissimo, per la verità», continuò, mettendo l’arma a terra con cura, lontana dalla sua portata. «Ti riconsegnerò a Lorimaar».