Fecero di nuovo le corse sulle montagne e questa volta Dirk si comportò un po’ meglio, perdendo meno terreno di quello che aveva perso prima, ma il suo umore non migliorò granché. Per la maggior parte dello stanco viaggio, volarono in silenzio, separati, Gwen alcuni metri più avanti di lui. Alle loro spalle c’era la Ruota di Fuoco spezzata, mutata, e Gwen era una vaga figura di strega che si stagliava contro il cielo, sempre irraggiungibile. La malinconia delle foreste morenti di Worlorn era gocciolata nelle carni di lui e vedeva Gwen tra le palpebre contaminate, una figura di bambola con un abito scolorito come la disperazione, i neri capelli coperti di oleosa luce rossa. Gli vennero in mente delle cose in un caos di colori mentre il vento gli passava accanto ed una cosa era più insistente delle altre. Lei non era la sua Jenny, non lo era e non lo era mai stata.
Per due volte durante il volo, Dirk vide — o gli parve di vedere — il lampo della giada-e-argento, che dava fastidio, come gli aveva dato fastidio quando erano nella foresta. Si costrinse ogni volta a guardare da un’altra parte e vide nuvole nere, lunghe e sottili, che scorrevano per il cielo nudo e vuoto.
L’aerauto a forma di manta e la macchina da guerra verde oliva se ne erano andate dal tetto, quando essi raggiunsero Larteyn. Solo l’apparecchio a forma di goccia di Ruark era rimasto. Loro atterrarono lì accanto — Dirk fece un altro atterraggio goffo e cadde, ma questa volta non era ridicolo, solo stupido — si tolsero gli scooter e le scarpe di volo sulla terrazza, da dove poi le portarono via. Dissero qualche parola presso la cabina, ma Dirk non riuscì a ricordarsi le parole, nemmeno un momento dopo che le aveva dette. Poi Gwen lo lasciò.
Arkin Ruark attendeva pazientemente nelle sue stanze alla base della torre. Dirk trovò un letto reclinabile tra le pareti color pastello, le sculture ed i vasi di piante Kimdissi. Si sdraiò e voleva solo riposarsi, senza pensare, ma lì c’era Ruark che ridacchiava e scuoteva il capo e faceva danzare i capelli biondi e bianchi e che gli metteva un alto bicchiere verde in mano. Dirk lo prese e si sedette. Il bicchiere era di un bel cristallo sottile, liscio e senza fronzoli, con solo una patina di ghiaccio che si scioglieva rapidamente. Bevve ed il vino era molto verde e freddo, incenso e cinnamomo giù per la gola.
«Lei mi pare essenzialmente stanco, Dirk», disse il Kimdissi dopo essersi preso a sua volta qualcosa da bere e si sedette sulla sedia a sdraio di tela con un tonfo, sotto l’ombra di una pianta nera e spiovente. Le foglie lanceolate gettavano ombre striate sul suo viso sorridente e paffuto. Sorseggiò, succhiando rumorosamente la bibita e per un breve momento Dirk lo disprezzò.
«Una giornata lunga», disse vagamente.
«Vero», convenne Ruark. «Eh, la giornata dei Kavalari è sempre lunga. La dolce Gwen, poi Jaantony ed alla fine Garse, ce n’è abbastanza per far sembrare eterna una qualsiasi giornata. Che ne dice?».
Dirk non disse niente.
«Ma adesso», disse Ruark, sorridendo, «ha visto. Volevo proprio questo io, che lei vedesse. Prima di parlarle. Ma avevo promesso che gliene avrei parlato, una promessa che avevo fatto a me stesso. Gwen, lei me ne ha parlato. Si parla, sa, da amici ed io conoscevo la ragazza ed anche Jaan fin da quando si era su Avalon. Ma qui ci siamo conosciuti meglio. Lei non ne parla volentieri, mai, ma con me parla, per lo meno lo ha fatto, ed io devo dirglielo. Senza far violenza alla verità. Lei è proprio la persona che deve sapere».
Il liquore mandava dita gelate nel suo stomaco e Dirk sentì che la stanchezza se ne andava. Gli pareva di essere mezzo addormentato, come se Ruark avesse continuato a parlare per un tempo lunghissimo e come se lui non avesse capito niente. «Di che sta parlando?», disse. «Cos’è che dovrei sapere?».
«Ma come? Che Gwen ha bisogno di lei», disse Ruark. «Perché ha mandato… la cosa. La lacrima rossa. Lo sa. Io lo so. Me lo ha detto lei».
Improvvisamente Dirk fece attenzione, interessato ed incuriosito. «Glielo ha detto», cominciò, poi si fermò. Gwen gli aveva chiesto di aspettare e la promessa che lui aveva fatto tanto tempo fa… però corrispondeva. Forse avrebbe dovuto ascoltare, forse era difficile per lei dirglielo. Ruark doveva sapere. Era suo amico, aveva detto lei nella foresta, l’unico con cui poteva parlare. «Che cosa?».
«Deve aiutarla, Dirk t’Larien, in un modo o nell’altro. Non so come».
«Ma cosa debbo fare?».
«Ad essere libera. A scappare».
Dirk mise giù il bicchiere e si grattò la testa. «Da chi?».
«Da loro. I Kavalari».
Si accigliò. «Vuol dire Jaan? L’ho incontrato stamani, lui e Janacek. Gwen ama Jaan. Non capisco».
Ruark rise, succhiò la sua bibita, rise ancora. Era vestito con un abito a tre pezzi a quadri alternati marroni e verdi, come un buffone e visto lì, seduto a sputar sentenze, pareva davvero un matto.
«Lo ama, sì, lei ha detto così?», disse Ruark. «Lei ne è proprio sicuro, sì? Davvero?».
Dirk esitò e cercò di ricordarsi le parole, mentre conversavano presso il placido lago verde. «Non ne sono sicuro», disse. «Ma era qualcosa del genere. Lei è… come ha detto?».
«Betheyn?», suggerì Ruark.
Dirk annuì. «Sì, betheyn, moglie».
Ruark ridacchiò. «No, essenzialmente sbagliato. Ho sentito anch’io in macchina. Gwen non ha detto la verità. Be’, non proprio, così lei è giunto ad una conclusione sbagliata. Betheyn non vuol dire moglie. Una parziale verità è la più grande di tutte le bugie, si ricorda? Che cosa crede che sia teyn?».
La parola lo fermò. Teyn. Aveva sentito quella parola centinaia di volte su Worlorn. «Amico?», provò ad indovinare, perché non sapeva ciò che significasse.
«Betheyn è più moglie di quanto teyn sia amico», disse Ruark. «È meglio che lei impari il linguaggio dei mondi esterni, Dirk. No. Betheyn è una parola in antico Kavalar che indica un rapporto di una donna verso un uomo, che vuol dire facente le funzioni di moglie vincolata dalla giada-e-argento. Ora, ci può essere grande affetto nella giada-e-argento, molto amore, sì. Ma lei conosce la parola di origine terrestre e quel significato non c’è nell’antico Kavalar. Interessante, no? Si può amare se non c’è nemmeno una parola per dirlo, amico t’Larien?».
Dirk non rispose. Ruark si strinse nelle spalle, bevve e continuò. «Be’, non importa, ma ci pensi. Ho parlato di giada-e-argento e sì, succede spesso che questo vincolo abbia dell’amore, amore della betheyn per l’altolegato. È più raro dall’altolegato verso la betheyn. Se non è amore, per lo meno si piacciono. Ma non sempre e non necessariamente! Mi capisce?».
Dirk scosse il capo.
«I vincoli Kavalar sono un costume ed un obbligo», disse Ruark, piegandosi in avanti per dar più enfasi al discorso, «e l’amore è completamente accidentale. Gente violenta, le ho detto. Legga la storia, guardi le leggende. Gwen incontrò Jaan su Avalon, lei lo sa, e lei è una che non legge. Non a sufficienza. Lui era Jaan Vikary di Alto Kavalaan, e che era mai, un pianeta da qualche parte? La ragazza non ne sapeva niente. Vero. Così cominciarono a piacersi — se vuole lo possiamo chiamare amore — qualche rapporto sessuale, poi lui le offre la sua giada-e-argento con una forma tutta lavorata. Ed ecco che lei diventa immediatamente la sua betheyn, sempre senza saperne niente. In trappola».
«In trappola? Perché in trappola?».
«Legga la storia! La violenza di Alto Kavalaan è di antica data, la sua cultura è immutata. Gwen è betheyn di Jaan Vikary, betheyn pseudomoglie, sua moglie, sì, la sua amante ed ancora di più. Proprietà e schiava, lei è pure questo, un dono. Lei è il dono che lui ha fatto all’Unione Ferrogiada, con lei lui ha comperato i suoi aitinomi, si. Lei dovrà avere dei bambini, se lui glielo ordina, sia che lei lo voglia o no. Inoltre deve prendere anche Garse come amante, che lo voglia o no. Se Jaan dovesse morire in duello con un uomo di una granlega diversa da Ferrogiada, un Braith, oppure un Rossacciaio, lei passerebbe a quell’uomo come se fosse una valigia, proprietà… per diventare la sua betheyn, oppure una semplice eyn-kethi se il vincitore ha già la sua giada-e-argento. Se Jaan muore per cause naturali, oppure in duello con un altro Ferrogiada, Gwen passa a Garse. Quello che ne pensa lei non ha nessuna importanza in questo affare. Chi se ne frega se lei lo odia? Non certo i Kavalari. E se dovesse morire Garse? Be’, a suo tempo diventerebbe una eyn-kethi, una allevatrice della granlega, degradata per sempre, di libero utilizzo per uno qualsiasi dei kethi. Kethi significa confratelli della granlega, più o meno, gli uomini della famiglia. L’Unione Ferrogiada è un’enorme famiglia, fatta da migliaia e migliaia di famiglie ed uno qualunque la può avere. Com’è che ha chiamato Jaan, marito? No. Carceriere. Ecco che cosa è. Tutti e due, lui e Garse. Carcerieri-amanti, magari, se lei pensa che questa parola possa avere per loro lo stesso significato che ha per lei e per me. Jaantony onora la nostra Gwen ed è ben logico, visto che lei adesso è una Ferrogiada, lei è il suo dono-betheyn e se lei muore o lo lascia, lui diventa un lib-Ferrogiada, un vecchio, deriso, a mani vuote, senza alcuna voce in consiglio. Ma lui la rende schiava, non l’ama ed ormai son passati anni dai tempi di Avalon, lei è più vecchia e più saggia ed ora ha capito». Ruark disse le ultime parole senza fiato e rabbiosamente, con le labbra tirate.
Dirk esitò. «Allora lui non l’ama?».
«Nello stesso modo in cui lei ama le cose di sua proprietà. È così che un altolegato ama la sua betheyn. Si tratta di un vincolo stretto, giada-e-argento, che non si può spezzare, ma è un vincolo di obblighi e di possesso. Non d’amore. L’amore esiste, ammesso che i Kavalar ne siano capaci, in altre cose, come scelto-per-fratello, nello scudo-e-l’amico-del-cuore e l’amoroso guerriero gemello, nel sempre-leale procuratore-di-piacere ed il portatore-di-colpi e nel sollevatore-delle-pene, nel gran-vincolo della vita».
«Teyn», disse Dirk come intorpidito, mentre con la mente correva.
«Teyn!», annui Ruark. «Malgrado la loro violenza, i Kavalari hanno una grande poesia. La maggior parte dei poemi celebra il teyn, il vincolo di ferro-e-pietraluce, ma nessuno parla della giada-e-argento».
Le cose cominciarono a sistemarsi lentamente al loro posto. «Lei dice», cominciò Dirk, «che Gwen e Jaan non si amano, che Gwen non è altro che una schiava. Eppure non lo pianta?».
La faccia paffuta di Ruark era tutto un fuoco. «Piantarlo? Essenzialmente assurdo! Si limiterebbero a costringerla a tornare. Un altolegato deve tenersi e proteggere la sua betheyn. E uccidere tutti quelli che cercano di rubargliela».
«E lei mi ha mandato il gioiello…».
«Gwen parla con me, io so tutto. Aveva forse delle altre speranze? I Kavalari? Jaantony ha già ucciso due volte in duello. Nessun Kavalar la toccherebbe. Che ne ricaverebbero se lo facessero? Io? Le sembro di poter essere una speranza, io?». Si spazzolò il vestito con le mani morbide e parve disprezzarsi. «Lei t’Larien. Solo lei è la speranza di Gwen. Lei è sua. Una volta l’ha amata».
Dirk senti la propria voce che pareva venire da lontano. «Io la amo ancora», disse.
«Bene. Penso che lei sappia, che Gwen… anche se credo che non lo direbbe mai, credo… anche lei le vuol bene. Come una volta. Cosa che non è mai successa per Jaantony Riv Lupo alto-Ferrogiada Vikary».
La bibita, quello strano vino verde, lo aveva colpito più di quanto si sarebbe immaginato. Un bicchiere solo, un unico bicchiere alto e la camera estranea che lo circondava aveva preso a girare. Dirk t’Larien si risollevò con uno sforzo e riuscì a sentire cose impossibili e cominciò a farsi domande. Ruark diceva cose senza senso, pensò, eppure avevano fin troppo senso. Aveva spiegato tutto, in maniera plausibile e tutto era chiaro e brillante ed era chiaro anche ciò che doveva fare Dirk. Ma era quello? La stanza oscillò, si fece scura e poi di nuovo chiara, scura e poi chiara e Dirk era per un secondo sicurissimo e poi non era più sicuro per niente. Che cosa doveva fare? Qualcosa, qualcosa per Gwen. Doveva scoprire la realtà delle cose, poi…
Si portò una mano alla fronte. Tra le ciocche di capelli grigi e bruni che gli ballavano sugli occhi c’erano perle di sudore. Improvvisamente Ruark si alzò, con il viso allarmato. «Oh», disse il Kimdissi, «il vino l’ha fatta star male! Sono stato essenzialmente uno stupido! Ho sbagliato io. Vino dei mondi esterni e stomaco di Avalon, ecco tutto. Ci vorrebbe del cibo, sa. Cibo». Sgattaiolò via, sfregando contro le nere foglie lanceolate che cominciarono a ballare e ballonzolare davanti agli occhi di Dirk.
Dirk sedette quasi immobile. Udì in distanza il tintinnare dei piatti e delle pentole, ma non ci fece caso. Continuava a sudare con la fronte aggrottata per pensare, ma la cosa gli riusciva stranamente difficile. La logica pareva eluderlo, ed anche la cosa più chiara svaniva nel momento in cui gli pareva di afferrarla. Tremava, mentre sogni morti ricominciavano a vivere, mentre i boschi di soffocatori avvizzivano nella sua mente e la Ruota riprendeva a bruciare calda e fiera sui boschi fioriti di un caldo mezzogiorno a Worlorn. Lui poteva farlo capitare, costringere la natura, far risvegliare tutto, metter fine al lungo crepuscolo e riavere Jenny, la sua Ginevra, sempre al suo fianco. Si. Sì!
Quando Ruark ritornò con le forchette, le tazze di formaggio molle e dei tuberi rossi con carne calda, Dirk era più calmo, di nuovo freddo. Prese una scodella e mangiò, un po’ in trance, mentre il suo ospite cicalava. Domani, promise a se stesso. Li avrebbe incontrati a colazione, avrebbe parlato con loro, avrebbe cercato di capire quale fosse la verità. Poi avrebbe agito. Domani.
«…non è inteso alcun insulto», stava dicendo Vikary. «Tu non sei uno sciocco Lorimaar, ma in questo caso direi che ti comporti in modo sciocco».
Dirk rimase impietrito presso la porta, la pesante porta di legno che egli aveva aperto senza pensare di bussare. Tutti si voltarono a guardarlo, quattro paia di occhi. C’ultimo a voltarsi fu Vikary, e non prima di aver terminato ciò che stava dicendo. Gwen gli aveva detto di venire a far colazione con loro quando si erano salutati la sera prima (lui da solo, perché Ruark ed i Kavalari preferivano non incontrarsi se era possibile). Questa era proprio l’ora giusta, appena dopo l’alba. Ma la scena non era quella che lui si sarebbe aspettato di vedere.
Ce n’erano quattro nella stanza di soggiorno cavernosa. Gwen stava seduta sul bordo del divano di legno e cuoio posto di fronte al caminetto ed alle cariatidi che gli facevano la guardia ed aveva i capelli scarmigliati e gli occhi pieni di sonno. Garse era in piedi accanto a lei con le braccia incrociate ed il viso corrucciato, mentre Vikary ed un altro si tenevano testa presso la cappa. Tutti e tre gli uomini erano vestiti in maniera molto formale ed erano armati. Janacek indossava gambali e camicia larga di color grigio antracite, con il colletto largo ed una doppia fila di neri bottoni di ferro lungo il torace. La manica destra della camicia era stata tagliata per far vedere il pesante braccialetto di ferro e di pietraluce che brillava debolmente. Anche Vikary era tutto vestito di grigio, ma non aveva le file di bottoni; la parte davanti della camicia era a forma di V che arrivava fin quasi alla cintura ed aveva un medaglione di giada appeso ad una catena di ferro che scintillava contro i peli neri del petto.
Quello nuovo, lo stranièro, fu il primo a parlare con Dirk. Aveva la schiena voltata verso la porta, ma si voltò quando gli altri voltarono gli occhi da quella parte e corrugò la fronte. Era più alto di tutta la testa sia di Vikary, che di Janacek e torreggiava al di sopra di Dirk, anche se era distante parecchi metri. Aveva la pelle molto scura, soprattutto pareva scura in confronto all’abito bianco latte che indossava al di sotto di un corto mantello pieghettato di color violetto. Aveva capelli grigi striati di bianco, che gli ricadevano sulle larghe spalle ed i suoi occhi… erano schegge di ossidiana incastonate nel volto bruno che aveva centinaia di piccole rughe e rughette… Quegli occhi non erano amichevoli. Nemmeno la sua voce. Lanciò un rapido sguardo a Dirk, poi disse, molto semplicemente: «Se ne vada».
«Come?». Non ci poteva essere una risposta più stupida, pensò Dirk dopo aver detto quella parola, ma non gli venne in mente altro.
«Ho detto di uscire», ripeté il gigante vestito di bianco. Aveva tutti e due gli avambracci scoperti, come Vikary, per far vedere i due braccialetti quasi gemelli: giada-e-argento al braccio sinistro e ferro-e-fuoco sul destro. Ma la forma e le incastonature dei braccialetti dello straniero erano molto differenti. L’unica cosa che era uguale a quella di Vikary, esattamente, era la pistola che aveva al fianco.
Vikary intrecciò le braccia, come aveva già fatto Janacek. «Qui è casa mia, Lorimaar alto-Braith. Non hai alcun diritto di fare il prepotente con quelli che vengono perché io li ho invitati».
«Non credo che tu sia stato invitato, Braith», aggiunse Janacek con un sottile sorriso velenoso.
Vikary fissò il suo teyn, poi scosse il capo decisamente e vigorosamente. No. Ma perché? Si chiese Dirk.
«Vengo da te con grande mestizia, Jaantony alto-Ferrogiada, per parlare seriamente», ruggì il Kavalar vestito di bianco. «Dobbiamo proprio trattare davanti ad uno che viene da altri mondi?». Fissò ancora Dirk, sempre con la fronte aggrottata. «Un falsuomo, per quel che ne so».
La voce di Vikary era tranquilla ma decisa quando rispose. «Abbiamo finito di trattare, amico. Ti ho già dato la mia risposta. La mia betheyn è sotto la mia protezione, così come il Kimdissi, ed anche quest’uomo»… indicò Dirk con un gesto della mano, poi incrociò di nuovo le braccia… «e se prendi una di queste persone, allora preparati a prendere anche me».
Janacek sorrise. «Lui non è nemmeno un falsuomo», disse asciutto l’uomo con la barba rossa. «Si tratta di Dirk t’Larien, korariel di Ferrogiada, che ti piaccia o no». Janacek si voltò di pochi centimetri verso Dirk ed indicò lo straniero vestito di bianco. «t’Larien, questo è Lorimaar Reln Volpebianca alto-Braith Arkellor».
«Uno dei nost’ri vicini», disse Gwen dal divano, parlando per la prima volta. «Anche lui abita a Larteyn».
«Lontano da voi, Ferrogiada», disse l’altro Kavalar. Non pareva felice. Il cipiglio che aveva sul viso era profondamente incavato e gli occhi neri si muovevano da uno all’altro, pieni di rabbia gelida, poi si posarono su Vikary. «Tu sei più giovane di me, Jaantony alto-Ferrogiada, ed il tuo teyn è più giovane ancora e non ho nessuna voglia di fronteggiarvi in duello. Del resto il codice ha le sue regole, come tu ed io sappiamo bene e nessuno di noi desidera andare troppo oltre. Voi, giovani altolegati, vi spingete sovente un po’ troppo vicini a questi limiti, mi pare, e la cosa capita soprattutto agli altolegati di Ferrogiada, e…»
«E, tra quelli di Ferrogiada, succede soprattutto a me», disse Vikary, terminando la frase al posto dell’altro.
Arkellor scosse il capo. «Un tempo, quando io ero appena un bambinetto nella granlega di Braith, si faceva un duello quando solamente uno interrompeva un altro, come hai fatto adesso tu. È vero: i vecchi tempi sono andati. Gli uomini di Alto Kavalaan si fanno dei mollaccioni davanti ai miei occhi»:
«Tu pensi che io sia un mollaccione?», chiese calmo Vikary.
«Sì e no, alto-Ferrogiada. Tu sei strano. Possiedi una certa durezza che nessuno può negare, e questa è una buona cosa, ma Avalon ti ha lasciato il puzzo da falsuomo, ti ha toccato con la debolezza e la stoltezza. Non mi piace la tua vacca-betheyn e non mi piacciono i tuoi "amici". Se fosse capitato quando ero più giovane… sarei venuto da te furibondo e ti avrei mostrato l’antica saggezza della granlega, quella che tu pari aver tanto facilmente dimenticato».
«Ci chiami ai duello?», chiese Janacek. «Dici cose forti».
Vikary districò le braccia e fece un gesto vago con la mano. «No, Garse. Lorimaar alto-Braith non ci sta chiamando al duello. Che ne dici, amico altolegato?».
Arkellor attese per diversi momenti, fin troppo prima di rispondere. «No», disse. «No, Jaantony alto-Ferrogiada, non era inteso alcun insulto».
«Nessun insulto è stato acquisito», disse Vikary, sorridendo.
L’altolegato Braith non sorrise. «Buona fortuna», disse malvolentieri. Andò presso la porta a lunghi passi, aspettando solo l’istante che occorse a Dirk per levarsi di torno in gran fretta, poi passò oltre e si avviò verso il tetto. La porta si chiuse alle sue spalle.
Dirk fece per andare verso gli altri, ma il gruppo si stava muovendo. Janacek aggrottò la fronte e fece un cenno con il capo, poi si avviò verso un’altra stanza, velocemente. Gwen si alzò, pallida e scossa e Vikary fece un passo verso Dirk.
«Questa era una cosa che tu non dovevi sentire», disse il Kavalar. «Ma forse servirà ad illuminarti. Comunque mi dispiace che tu fossi presente. Non vorrei che tu avessi la stessa impressione di Alto Kavalaan che ha il Kimdissi».
«Non capisco», disse Dirk. Vikary gli mise un braccio attorno alle spalle e lo trascinò verso la sala da pranzo. Gwen stava subito dietro a loro. «Di che cosa si stava parlando?».
«Ah, di tante cose. Ti spiegherò. Ma ti devo confessare una seconda cosa che non mi è piaciuta: che non fosse ancora stata preparata la colazione che ti era stata promessa». Sorrise.
«Posso aspettare». Entrarono nella sala da pranzo e si sedettero. Gwen era sempre silenziosa e preoccupata. «Com’è che mi ha chiamato Garse?», chiese Dirk. «Kora-qualcosa, che cosa vuol dire?».
Vikary parve esitare. «La parola è korariel. Si tratta di una parola in antico Kavalar. In tutti questi secoli il suo significato originale è cambiato. Oggi e in questo posto, se usata da Garse, o da me, significa protetto. Protetto da noi, dai Ferrogiada».
«Questo è ciò che tu vorresti significasse, Jaan», disse Gwen, con la voce spinosa ed arrabbiata. «Digli il significato vero!».
Dirk aspettò. Vikary incrociò le braccia e gli occhi cominciarono a spostarsi dall’uno all’altra. «Benissimo, Gwen, se lo vuoi tu». Si voltò verso Dirk. «Il vecchio significato è letteralmente proprietà protetta. Spero proprio che tu non ti senta insultato per questo. Non è inteso insulto. Korariel è usato per tutte le persone che non fanno parte di una granlega, ma vengono considerate e rispettate».
Dirk si ricordò delle cose che Ruark gli aveva detto la sera prima, di quelle parole che lui aveva a mala pena percepito in mezzo alla foschia provocatagli dal vino verde. Sentì la rabbia che gli si arrampicava addosso come una marea rossa e dovette farsi forza per tenerla a freno. «Non sono abituato ad essere una proprietà», disse mordacemente, «e non me ne importa niente se sono molto considerato. E da che cosa mi dovresti proteggere?».
«Da Lorimaar e dal suo teyn Saanel», disse Vikary. Si piegò attraverso il tavolo ed afferrò Dirk saldamente per un braccio. «Può darsi che Garse abbia usato la parola un po’ troppo leggermente, t’Larien, però al momento gli deve essere senz’altro sembrata la cosa migliore: una vecchia parola per un vecchio concetto. Sbagliato… sì, non ho difficoltà ad ammetterlo. È sbagliato per te che sei un essere umano e non appartieni a nessuno. Però era la parola giusta da usarsi con uno come Lorimaar alto-Braith, che capisce solo questo e poco altro. Se la cosa ti disturba tanto — e so quanto fastidio dia a Gwen — allora sono enormemente dispiaciuto che il mio Teyn abbia usato questa parola».
«Va bene», disse Dirk, cercando di dimostrarsi ragionevole, «ti ringrazio per le scuse, ma non bastano. Io non so ancora che cosa sta succedendo. Chi era Lorimaar? Che cosa, voleva? E perché dovrei essere protetto da lui?».
Vikary sospirò e lasciò andare il braccio di Dirk. «La questione non si risolve semplicemente rispondendo alla tua domanda. Ti dovrei raccontare la storia del mio popolo, quel poco che so e quel molto che ho immaginato». Si voltò verso Gwen. «Potremmo mangiare mentre parliamo, se siamo tutti d’accordo. Puoi portare la colazione?».
Lei annui e si allontanò, ritornando parecchi minuti più tardi con un grande vassoio ed un’altissima pila di pane nero, tre tipi diversi di formaggio e uova sode con i gusci blu vivace. E birra, si capisce. Vikary si piegò in avanti, in modo da poggiare i gomiti sul tavolo. Gli altri mangiavano e lui parlava.
«Alto Kavalaan è stato un mondo violento», disse. «È il più vecchio dei mondi esterni, fatta eccezione per la Colonia Dimenticata, e la sua lunga storia è una storia di lotte. Purtroppo, questi fatti sono largamente costruiti e leggendari, pieni di bugie etnocentriche. Eppure a queste favole ci si credeva, fino al tempo in cui ritornarono le navi spaziali subito dopo l’Interregno.
«Nelle granleghe dell’Unione Ferrogiada, ad esempio, si insegnava ai bambini che l’universo ha solo trenta stelle ed Alto Kavalaan è al centro. La razza umana si è generata lì, dove Kay Ferro-Fabbro ed il suo teyn Rolando Lupo-Giada nacquero dall’unione tra un vulcano ed una tempesta. Uscirono fumiganti dalla bocca del vulcano e camminarono in un mondo pieno di demoni e di mostri e se ne andarono in giro per diversi anni un po’ qua e un po’ là, avendo varie avventure. Alla fine giunsero in una profonda caverna al di sotto di una montagna e dentro ci trovarono una decina di donne, le prime donne del mondo. Le donne avevano paura dei demoni e non volevano uscire fuori. Allora Kay e Rolando si fermarono, afferrarono bruscamente le donne e le fecero diventare eyn-kethi. La caverna diventò la loro granlega, le donne ebbero molti figli e così cominciò la civiltà dei Kavalari.
«La strada non era delle più facili, ci dice la leggenda. I ragazzi che nascevano dalle eyn-kethi erano della stessa pasta di Kay e Rolando, irosi, pericolosi e con una volontà di ferro. Ci furono un mucchio di litigi. Uno dei figli, l’astuto e malvagio John Nero-Carbone, era solito uccidere i suoi kethi, i suoi fratelli di granlega, in momenti di invidia causati dal fatto che lui non riusciva a cacciare bene come loro. Sperando di acquistare anche lui un po’ della loro abilità e fòrza, cominciò a mangiare i loro corpi. Rolando lo trovò un giorno mentre stava celebrando uno di questi festini e corse dietro al ragazzo per le colline e lo batté con una grande frusta. Dopo di che, John non ritornò a Ferrogiada, ma fondò la sua granlega in una miniera di carbone e per teyn si prese un demone. Così nacque la granlega di altolegati cannibali detta Siti del Carbone Profondo.
«Nello stesso modo vennero fondate le altre granleghe, anche se Ferrogiada dà ben più credito agli altri ribelli di quanto ne abbia dato a Nero John. Rolando e Kay erano dei padroni inflessibili ed era difficile starci assieme. Shan lo Spadaccino, ad esempio, era un bravo ragazzo, forte, che lasciò il suo teyn e la sua betheyn dopo una violenta disputa con Kay, che non aveva rispettato la sua giada-e-argento. Shan fu il fondatore della Fortezza di Scianagate. I Ferrogiada hanno riconosciuto pienamente umana la sua linea, da sempre. Così è stato per quasi tutte le granleghe. Quelle che poi si sono estinte, come i Siti del Carbone Profondo, sono piombate ben presto nella leggenda.
«Queste leggende sono piuttosto ampie e molte sono anche illuminanti. Ad esempio c’è la storia dei kethi disobbedienti. I primi Ferrogiada sapevano che l’unico posto in cui l’uomo potesse abitare si trovava sotto terra, una fortezza nella roccia, una caverna o una miniera. Eppure quelli che vennero dopo non ci credettero; le pianure parevano aperte ed invitanti ai loro occhi ingenui. Per cui uscirono, con le eyn-kethi ed i bambini ed eressero alte città. Questa fu la loro follia. Dal cielo caddero fuochi che li distrussero, fusero e contorsero le torri che avevano eretto, bruciarono gli uomini delle città ed i sopravvissuti fuggirono terrorizzati sottoterra, dove le fiamme non avrebbero potuto raggiungerli. E quando le loro eyn-kethi ebbero dei bambini, questi furono dei demoni, non più degli uomini. A volte si aprirono la strada al di fuori del grembo materno mangiando le carni della madre».
Vikary fece una pausa e trasse un sorso dal boccale. Dirk aveva quasi finito la colazione e spinse un paio di croste di formaggio sul piatto, senza nessun motivo e corrugò la fronte. «È una cosa molto affascinante», disse, «Ma non vedo che cosa c’entri, temo».
Vikary bevve di nuovo e diede un rapido morso al formaggio. «Abbi pazienza», disse.
«Dirk», disse Gwen asciutta, «le storie delle quattro coalizioni di granlega che sono sopravvissute sono sotto molti aspetti differenti, ma ci sono due grossi avvenimenti sui quali tutti sono d’accordo. Questi sono le pietre miliari del mito dei Kavalari. Ognuno di loro ha una diversa versione dell’ultima storia, cioè l’incendio delle città. Viene chiamato il Tempo del Fuoco e dei Demoni. Una leggenda successiva, la Peste Dolorosa, viene ripetuta in pratica parola per parola in tutte le granleghe».
«Vero», disse Vikary. «Queste storie… questi sono solo i resoconti degli antichi giorni su cui dovevo lavorare io. Fin da quando sono nato io, non c’era nessun Kavalar sano di mente che credesse a queste cose».
Gwen tossicchiò significativamente.
Vikary la guardò e sorrise. «Sì, Gwen mi corregge», disse. «Ci sono pochi Kavalari sani di mente che ci credono». Poi proseguì. «Eppure quelli che non sono convinti non hanno molte altre cose in cui credere, nessuna verità alternativa a cui aderire. Ai più la cosa non interessa granché. Quando sono ripresi i viaggi spaziali e ad Alto Kavalaan sono arrivati i Lupani, i Toberiani e più tardi i Kimdissi, ci hanno trovati tutti ansiosi di imparare la perduta arte della tecnologia ed infatti ci insegnarono proprio questo, in cambio delle nostre gemme e dei metalli pesanti. In breve tempo avemmo le navi spaziali, ma ci mancava ancora una storia». Sorrise. «Durante i miei studi su Avalon, io ho scoperto le verità che attualmente possediamo. Erano poca cosa, però abbastanza. Nascoste nella grande banca di dati dell’Accademia, ho trovato le registrazioni relative alla colonizzazione originaria di Alto Kavalaan.
«È stato verso la fine della Doppia Guerra. Un gruppo di coloni parti da Tara per raggiungere un mondo al di là del Velo Tentatore, dove speravano di trovare la pace, sfuggendo agli Hrangani ed alle razze-schiave degli Hrangani. I computer indicarono che per qualche tempo ci riuscirono. Scoprirono un pianeta brullo e straniero, eppure ricco. In breve tempo costituirono una colonia ad alto livello, basata sulle operazioni minerarie. Nelle registrazioni c’è traccia dei traffici tra Tara e la Colonia per circa vent’anni, poi il pianeta al di là del Velo è improvvisamente scomparso dalla storia umana. Tara quasi non se ne accorse. Questi furono gli anni più cruenti di tutta la guerra».
«E tu pensi che quel pianeta fosse Alto Kavalaan?», chiese Dirk.
«È un fatto noto», rispose Vikary. «Le coordinate coincidono, così come altri affascinanti pezzi di informazione. La colonia si chiamava Cavanaugh, ti dice niente? Forse anche più impressionante, il capo della prima spedizione si chiamava Kay Smith, cioè Kay Fabbro, una donna».
Gwen sorrise a sentire queste parole.
«C’era anche qualcosa d’altro che scoprii», continuò Vikary, «quasi per caso. Ti devi ricordare che la maggior parte dei mondi esterni non furono mai coinvolti nella Doppia Guerra. Le civiltà del Margine sono Figlie del Collasso, o addirittura comparvero nel post-collasso. Nessun Kavalar ha mai visto un Hrangano, né tanto meno una delle razze-schiave. Nemmeno io, finché non venni su Avalon e non cominciai ad interessarmi degli aspetti più vasti della storia umana. Allora, in un resoconto che parlava del conflitto nei convolvi, vidi delle illustrazioni che riproducevano vari schiavi semi-senzienti degli Hrangani, che avevano lo scopo di spaventare le truppe dei mondi che secondo loro non erano meritevoli della loro immediata attenzione. Senza dubbio, dato che tu sei un uomo dei convolvi, conosci queste razze aliene, mio caro Dirk. I guerrieri notturni Hruun, che erano avvezzi alle alte gravità, di forza immensa ed estremamente selvaggi, quelli che vedevano bene negli infrarossi. I Dattiloidi alati, che hanno preso il loro nome perché somigliavano più o meno a certe bestie preistoriche terrestri. Ma peggiori ancora erano i githyanki, i succhiatori d’anima, con i loro terribili poteri psi».
Dirk annuiva. «Ho visto un paio di Hruun durante i miei viaggi. Le altre razze sono quasi estinte, non è vero?».
«Può darsi», disse Vikary. «Ho osservato a lungo le illustrazioni che avevo trovato ed ogni tanto ritornavo a guardarle. C’era qualcosa che mi disturbava. Alla fine riuscii ad intrawedere la verità. Gli Hruun, i dattiloidi ed i githyanki… ogni razza conservava l’aspetto delle cariatidi che sono poste davanti agli ingressi di ogni granlega Kavalari. Capito Dirk? Erano i demoni dei nostri miti!».
Vikary si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, continuando a parlare con voce piana e controllata e dimostrando il proprio eccitamento nel solo atto di andare su e giù. «Quando Gwen ed io ritornammo su Alto Kavalaan, io esposi la mia teoria, basata sulle vecchie leggende, sul ciclo dei Demoncanti del grande poeta-avventuriero Jamis-Leone Taal e sulla banca di dati dell’Accademia. Traduci tutto in termini storici: la colonia di Cavanaugh era, con le sue città, sulle pianure ed eseguiva operazioni minerarie. Gli Hrangani livellano le città con delle bombe nucleari. I sopravvissuti vivono solo in profondi rifugi, altrimenti nelle miniere. Per appropriarsi del pianeta, gli Hrangani fanno atterrare anche dei contingenti delle loro razze-schiave. Poi se ne vanno e non ritornano più per un secolo. Le miniere diventano le prime granleghe, altre sono costruite in seguito, scavate profondamente nella pietra. Dato che le città non ci sono più, i minatori si orientano verso un tipo di cultura che garantisce la sopravvivenza. Per innumerevoli generazioni combattono contro le razze-schiave e tra di loro. Ad un certo momento, ecco che sorgono delle mutazioni umane, tra le rovine radioattive delle città…».
A questo punto Dirk scattò in piedi. «Jaan», disse.
Vikary smise di camminare, si voltò e corrugò la fronte.
«Sono stato maledettamente paziente», disse Dirk. «Capisco che queste sono cose che a te interessano moltissimo. È il tuo lavoro. Ma io voglio delle risposte e le voglio subito». Alzò una mano e conteggiò le domande sulle dita. «Chi è Lorimaar? Che cosa voleva? E perché io devo essere protetto da lui?».
Anche Gwen si alzò. «Dirk», disse lei. «Jaan si limita a fornirti le informazioni base che ti servono per capire. Cerca di non…».
«No!», Vikary la fece zittire con un cenno della mano. «No, t’Larien ha ragione, io mi entusiasmo un po’ troppo quando parlo di queste cose». Poi disse a Dirk: «Allora ti risponderò direttamente. Lorimaar è un Kavalar assai tradizionale, talmente tradizionale che è fuori posto anche su Alto Kavalaan. È una creatura di un’altra epoca. Ti ricordi l’altra mattina, quando ti ho dato la spilla e sia io che Garse esprimemmo preoccupazione per la tua salute al calar del giorno?».
Dirk annuì. Sollevò una mano e toccò la piccola spilla, strettamente attaccata al suo colletto. «Sì».
«Lorimaar alto-Braith ed altri del suo tipo erano il motivo per cui noi eravamo preoccupati, t’Larien. Le ragioni non sono facili da spiegare».
«Permetti», disse Gwen. «Dirk, ascolta. I Kavalari altolegati, la gente delle granleghe, si sono sempre rispettati l’uno con l’altro attraverso i secoli… Be’, hanno combattuto e guerreggiato, a tal punto che una ventina di granleghe e di coalizioni sono andate distrutte completamente e sono rimasti solo quattro grandi gruppi, che sono le granleghe attuali. Comunque si riconoscevano l’un l’altro come esseri umani, soggetti alle regole dell’altaguerra ed al codice duellesco dei Kavalari. Ma c’erano altri, sai… gente solitaria delle montagne, gente che abitava al di sotto delle rovine delle città, agricoltori. Si tratta di idee — mie e di Jaan — ma il punto è che questa gente effettivamente esiste, sopravvissuti al di fuori dei campi minerari. Bene, gli altolegati non riconoscono questi sopravvissuti come autentici uomini e donne. Vedi, Jaan ha lasciato qualcosa fuori da tutta questa storia… Oh, insomma, calmati. Lo so che era una storia lunga, ma era importante. Tu ti ricordi di quelle tre ragazze-schiave degli Hrangani che corrispondevano ai demoni del mito Kavalar? Bene, l’unico problema era che c’erano tre razze-schiave, ma c’erano quattro tipi di demoni. I demoni più cattivi e pericolosi erano i falsuomini».
Dirk aggrottò la fronte. «Falsuomini? Lorimaar mi ha chiamato falsuomo. Pensavo che volesse dire qualcosa come non-uomo, più o meno».
«No», disse Gwen. «Non-uomo è un termine comune, mentre falsuomo è usato solo su Alto Kavalaan. Cambia-aspetto, li chiama la leggenda, licantropi e mentitori. Possono assumere qualsiasi forma, ma assumono preferibilmente quella di uomini e cercano di infiltrarsi nelle granleghe. Una volta dentro, travestiti da uomini, possono colpire in segreto ed uccidere.
«Questi altri superstiti — gli agricoltori, le famiglie delle montagne, i mutanti, gli sfortunati, gli altri esseri umani che stavano su Cavanaugh — questi erano i falsuomini, i licantropi. Loro non potevano arrendersi, perché le regole dell’altaguerra per loro non venivano applicate. I Kavalari li sterminarono, mai credendo che potessero essere umani. Erano considerati degli animali alieni. Dopo parecchi secoli, quelli che erano rimasti venivano cacciati per sport. Gli uomini delle granleghe cacciano sempre a due a due, teyn-e-teyn, in modo che ognuno dei due possa giurare sull’umanità del compagno quando fanno ritorno».
Dirk pareva atterrito. «E questa cosa va ancora avanti?».
Gwen si strinse nelle spalle. «Raramente. I Kavalari moderni ammettono lo sbaglio dei loro antenati. Ancor prima che ritornassero i viaggi spaziali, Ferrogiada e Rossacciaio, le coalizioni più progressiste, avevano bandito la caccia ai falsuomini. I cacciatori avevano un’usanza. Quando non volevano uccidere immediatamente un falsuomo, per una ragione qualsiasi, ma lo volevano tenere come loro preda personale per più tardi, lo segnavano come korariel e nessun altro lo poteva toccare, pena la possibilità di essere sfidato a duello. I Ferrogiada ed i Rossacciaio allora, andarono fuori a prendere tutti i falsuomini che potevano, li sistemavano nei villaggi e cercavano di riportarli ad un buon grado di civiltà, perché nel frattempo erano diventati selvaggi. Tutti quelli che prendevano venivano detti korariel. Ci fu anche una breve altaguerra per queste cose, Ferrogiada contro Scianagate. Vinse Ferrogiada e korariel assunse il nuovo significato di proprietà protetta».
«E Lorimaar?», domandò Dirk. «Che cosa c’entra lui?».
Lei sorrise maliziosamente; per un secondo gli fece venire in mente Janacek. «In ogni cultura ci sono cose dure a morire, cose credute vere, dogmatiche. Braith è la più conservatrice delle coalizioni e per lo meno un decimo di loro — secondo le stime di Jaan — crede ancora nei falsuomini. Si tratta soprattutto di cacciatori, che vogliono crederci a tutti i costi. Sono quasi tutti dei Braith. Lorimaar ed il suo teyn, oltre ad un pugno di altri kethi sono qui per cacciare. Il gioco è più vario che non su Alto Kavalaan e non c’è nessuno che li obblighi a seguire certe regole del gioco. Infatti qui non ci sono regole. I patti in vigore per il festival sono caduti parecchio tempo fa. Lorimaar può uccidere chiunque».
«Anche gli esseri umani», disse Dirk.
«Se riescono a trovarli», disse lei. «Larteyn ha venti abitanti, credo… ventuno con te. Noi ed un poeta chiamato Kirak Rossacciaio Cavis, che abita su di una vecchia torre d’osservazione ed un paio di regolari cacciatori di Scianagate. Gli altri sono Braith. Cacciano i falsuomini e fanno altri giochi quando non riescono a trovare dei falsuomini. Una generazione più vecchia di quanto è Jaan, per lo più, e sono tutti assetati di sangue. Non sanno niente delle vecchie cacce, tranne le storie che hanno sentito nella loro granlega e forse qualche uccisione illecita di uomini che hanno visto sulle Colline Lameraane. Conoscono solo le leggende. Tutti quanti sono pieni di tradizioni e di frustrazioni».
Gwen sorrise.
«E la cosa continua? Nessuno fa niente?».
Jaan Vikary incrociò le braccia. «Ti devo fare una confessione t’Larien», disse in tono grave. «Ti abbiamo mentito, ieri. Garse ed io, quando tu ci avevi chiesto perché fossimo qui. Per la verità, sono stato io a mentirti. Garse ti aveva detto per lo meno una parziale verità… dobbiamo proteggere Gwen. Lei è una che viene da altri mondi, non è una Kavalar ed i Braith la ucciderebbero volentieri dichiarandola un falsuomo, se non avesse la protezione di Ferrogiada. Lo stesso vale per Arkin Ruark, che non sa niente di tutto questo, nemmeno che ha la nostra protezione. Eppure è così. Anche lui è korariel di Ferrogiada.
«Comunque la ragione per cui siamo qui va al di là di queste motivazioni. Era una cosa vitale per me lasciare Alto Kavalaan nel momento in cui l’ho fatto. Quando ho assunto i miei aitinomi ed ho pubblicato le mie teorie, sono immediatamente diventato assai potente nel consiglio degli altolegati ed anche molto odiato. Molti uomini di religione hanno considerato un insulto personale la mia affermazione che Kay Ferro-Fabbro era una donna. Fui sfidato sei volte, solo per quel motivo. Nell’ultimo duello Garse uccise un uomo, mentre io ferii il suo teyn in malo modo, sicché non potrà mai più camminare. Non volevo che una cosa del genere continuasse. Pareva che qui a Worlorn non ci fossero nemici. Alle mie sollecitazioni, il consiglio di Ferrogiada assegnò il progetto ecologico a Gwen.
«Però, nello stesso tempo, venni a conoscenza delle attività di Lorimaar quaggiù. Lui aveva già guadagnato il suo primo trofeo e ne era giunta voce a Braith e quindi a noi. Garse ed io discutemmo della cosa e decidemmo di por fine a questa attività. La situazione è estremamente esplosiva. Se i Kimdissi venissero a sapere che i Kavalari stanno di nuovo dando la caccia ai falsuomini propagherebbero la notizia a tutti i mondi esterni. Non corre molta simpatia tra Kimdiss ed Alto Kavalaan, come tu certo saprai. Noi non temiamo i Kimdissi, che hanno aderito ad una religione e ad una filosofia di non-violenza, come anche gli Emereli. Altri mondi del Margine sono più pericolosi. I Lupani sono sempre in movimento, erratici; i Toberiani possono por termine ai loro commerci se sanno che i Kavalari cacciano i loro turisti pelandroni. Forse anche Avalon si rivolterebbe contro di noi, se tali notizie dovessero arrivare al di là del Velo e noi saremmo banditi dall’Accademia. Questo è un rischio che non possiamo correre. Lorimaar ed i suoi amici non se ne curano ed i consigli delle granleghe non possono farci niente. Non hanno alcuna autorità qui e solamente i Ferrogiada si preoccupano un po’ di quello che capita su di un mondo morente a parecchi anni luce di distanza. Sicché Garse ed io siamo da soli a combattere contro i cacciatori di Braith.
«Fino ad adesso non siamo ancora giunti ad un conflitto aperto. Viaggiamo in lungo ed in largo, visitiamo tutte le città, a cercare quelli che ancora abitano su Worlorn. Tutti quelli che troviamo li facciamo diventare korariel. Ne abbiamo trovati pochi… un bambino che viveva allo stato selvaggio, abbandonato durante il festival, alcuni Lupani che andavano attorno a Città di Haapala, un cacciatore di ferrocorni di Tara. A tutti ho dato un segno della mia stima», sorrise, «una piccola spilla di ferro fatta a forma di banscea. È una specie di segnale di preavviso, che serve a far capire ad un cacciatore che è troppo vicino a qualcosa che non deve cacciare. Se toccassero qualcuno che indossa la mia spilla, uno dei miei korariel, sarebbe un’offesa meritevole di un duello. Lorimaar può blaterare ed arrabbiarsi fin che vuole, ma non farebbe mai un duello con noi. Sarebbe la sua fine».
«Capisco», disse Dirk. Allungò una mano verso il colletto, aprì la piccola spilla di ferro e la gettò sul tavolo tra i resti della loro colazione. «Be’, è una cosa simpatica, ma ti puoi riprendere la tua spilla. Io non appartengo a nessuno. Ho badato a me stesso per tanto tempo e posso continuare a badare a me anche adesso».
Vikary si incupì. «Gwen», disse, «non lo puoi convincere che sarebbe più sicuro se…».
«No», disse lei decisa. «Apprezzo ciò che stai tentando di fare, Jaan, tu lo sai. Ma capisco ciò che prova Dirk. Non piace nemmeno a me di essere protetta e rifiuto di essere considerata proprietà». La sua voce fu secca, decisa.
Vikary la fissò senza speranza. «Benissimo», disse. Raccolse la spilla che Dirk aveva scartato. «Ti devo dire qualcosa t’Larien. Siamo stati più fortunati dei Braith a trovare la gente, perché noi abbiamo cercato nelle città, mentre loro vanno a cacciare nelle foreste, in quanto sono rimasti irrevocabilmente schiavi delle vecchie abitudini. È ben raro che riescano a trovare qualcuno nelle foreste. Fino ad adesso non hanno mai capito ciò che facevamo Garse ed io. Ma questa mattina Lorimaar alto-Braith è venuto da me assai rattristato perché il giorno prima erano usciti lui ed il suo teyn per seguire il loro gioco e non erano riusciti a giocare.
«La loro preda era un uomo che indossava un aeroscooter e volava da solo sulla montagna». Sollevò la spilla a forma di banscea. «Senza di questa», disse, «ti avrebbe costretto ad atterrare o ti avrebbe abbattuto a colpi di laser, ti avrebbe rincorso in mezzo alla foresta e finalmente ti avrebbe ucciso». Si mise la spilla in tasca, fissò significativamente Dirk per un minuto e se ne andò.