Nella foresta non c’era nessun rumore, tranne il respiro greve di Vikary ed i deboli rumori provocati dagli svolazzamenti degli spettri d’albero.
Dirk si avvicinò a Janacek e lo rivoltò. C’erano dei pezzetti di muschio che si erano attaccati al corpo ed avevano assorbito il sangue come spugne. Gli spettri d’albero gli avevano squarciato la gola e la testa di Garse dondolava in maniera oscena quando Dirk lo mosse. I suoi abiti pesanti non erano serviti a proteggerlo; gli animali avevano morso attraverso i vestiti ed il vestito camaleontino era ridotto ad una serie di brandelli umidi ed arrossati. Le gambe di Janacek erano ancora unite assieme dall’ormai inutile lastra argentea dell’aeroscooter; ma si erano rotte durante la caduta; frammenti di ossa seghettati spuntavano fuori dalle caviglie, che presentavano fratture composte quasi identiche fra loro. Ma la cosa peggiore era la faccia… mangiata. L’occhio destro non c’era più. L’orbita vuota era gonfia di sangue che colava lentamente lungo la faccia fino a terra.
Non si poteva fare più niente. Dirk lo fissò disperato. Fece lentamente scivolare una mano in una tasca di Janacek, nel giubbotto strappato e prese la pietraluce, poi si risollevò guardando in faccia Vikary. «Tu hai detto…».
«Avevo detto che non avrei mai potuto sparargli», terminò per lui Vikary. «So bene cosa ho detto, Dirk t’Larien. E so anche bene cosa ho fatto». Parlava lentissimamente; ogni parola gli cadeva dalle labbra, pesante come se fosse di piombo. «Non volevo che capitasse. Non volevo. Ho solo cercato di fermarlo, di farlo cadere dallo scooter. Ma lui è caduto in un nido di spettri d’albero. Un nido di spettri d’albero».
Il pugno di Dirk era stretto attorno alla pietraluce. Non disse niente.
Vikary si scosse; la sua voce diventò più animata e c’era una punta di disperazione nel suo tono. «Mi stava dando la caccia. Arkin Ruark mi aveva avvertito quando parlai con lui per visischermo a Larteyn. Mi disse che Garse si era unito ai Braith ed aveva giurato di abbattermi. Io non ci credevo». Tremò. «Io non ci credevo! Eppure era la verità. Mi ha inseguito, è venuto a cacciarmi assieme a loro, proprio come aveva detto Ruark. Ruark… Ruark non è con me… non abbiamo mai… invece sono arrivati i Braith. Non so se lui… Ruark… può darsi che loro lo abbiano ammazzato. Non lo so».
Pareva stanco e confuso. «Dovevo fermare Garse, t’Larien. Lui sapeva della caverna. Dovevo anche pensare a Gwen. Ruark aveva detto che Garse nella sua follia aveva promesso di consegnare Gwen a Lorimaar ed io gli avevo detto che era un bugiardo, ma poi ho visto Garse che mi inseguiva. Gwen è la mia betheyn e tu sei korariel. Sotto la mia responsabilità. Dovevo restar vivo. Mi capisci? Non volevo che questo capitasse. Io gli sono andato vicino, mi sono aperto la strada con il laser… Quelle bestiacce erano tutte nel nido e lo sommergevano, erano bianchicce, anche gli adulti… io li ho arrostiti, li ho arrostiti e l’ho portato fuori».
Il corpo di Vikary fu scosso da un pianto senza lacrime; non poteva permettersi di far uscire le lacrime. «Guarda. Portava il solo ferro. Era venuto per darmi la caccia. Io lo amavo e lui mi dava la caccia!».
La pietraluce era una pepita piena di incertezza nella mano chiusa di Dirk. Guardò ancora una volta Garse Janacek, con i vestiti che erano diventati de! color del sangue secco e del muschio marcio. Poi sollevò lo sguardo verso Jaan Vikary, che era molto prossimo a cedere, che era in piedi con la faccia pallida e con le spalle robuste scosse da sussulti. Dà un nome ad una cosa, pensò Dirk; ed ora doveva assolutamente dare un nome a Jaantony alto-Ferrogiada.
Fece scivolare il pugno chiuso nel buio della sua tasca. «Dovevi farlo», menti. «Ti avrebbe ucciso e dopo anche Gwen. Me lo aveva detto. Sono lieto che Arkin sia riuscito ad avvertirti».
Le parole parvero rinfrancare Vikary. Annuì senza parlare.
«Sono venuto per darti una mano», continuò Dirk, «visto che non eri ancora ritornato. Gwen era preoccupata. Sono venuto per aiutarti. Garse mi aveva catturato e mi aveva disarmato per poi consegnarmi a Lorimaar e Pyr. Aveva detto che ero un dono di sangue».
«Un dono di sangue», ripeté Vikary. «Era pazzo; t’Larien. Ecco la verità. Garse Ferrogiada Janacek non era così; lui non era come un Braith, non recava mai doni di sangue. Mi devi credere».
«Sì», disse Dirk. «Non era a posto. Hai ragione. Te lo posso confermare per il modo in cui parlava. Si». Si sentiva molto vicino a piangere e si chiese se si vedeva. Era come se tutta la paura e la rabbia di Jaan fosse stata riversata nel suo animo; il Ferrogiada pareva più forte e più risoluto man mano che i secondi passavano, mentre la pena si dipingeva negli occhi di Dirk.
Vikary abbassò lo sguardo verso il corpo ancora disteso sotto gli alberi. «Piangerò per lui, per le cose che era stato e per le cose che possedeva, ma adesso non c’è tempo. I cacciatori ci stanno inseguendo con i cani. Dobbiamo andarcene». Si inginocchiò presso il corpo di Janacek per un istante e tenne una delle mani morte presso la sua. Poi baciò la faccia rovinata del morto, proprio sulle labbra e con la mano libera tirò indietro i capelli incollati.
Ma quando si risollevò teneva in mano un braccialetto di nero ferro e Dirk vide che il braccio di Janacek era nudo e sentì una fitta di improvviso dolore. Vikary mise il ferro vuoto in tasca. Dirk trattenne le lacrime e la lingua e non disse niente.
«Dobbiamo andare».
«Ma dobbiamo abbandonarlo qui?», chiese Dirk.
«Abbandonarlo?», Vikary corrugò la fronte. «Ah, capisco. I Kavalari non fanno sepolture, t’Larien. Abbandoniamo i nostri morti nella foresta, per tradizione e non ci vergognamo di lasciarli in pasto agli animali. La vita deve alimentare la vita. Non ti sembra più utile che questa sua forte carne possa nutrire un veloce predatore, invece che delle sporche larve ed i vermi di un camposanto?».
Così si apprestarono ad abbandonarlo dove Vikary lo aveva posato, in un piccolo spazio aperto tra l’interminabile macchia giallo-bruna. Così si allontanarono nel sottobosco alla volta di Kryne Lamiya. Dirk portava il suo aeroscooter e cercava di tenere il passo più rapido di Vikary. Camminava solo da pochi istanti, quando si ritrovarono presso ad un dirupo fatto di rocce contorte e nere.
Quando Dirk raggiunse la barriera, Jaan era già quasi arrivato alla cima. Il sangue di Janacek era diventato una crosta marrone sui vestiti di Jaan e, da sotto, Dirk ne vedeva chiaramente le tracce. Altrove, i vestiti del Kavalar erano diventati neri. Si arrampicava con regolarità, con il fucile appeso dietro alla schiena, muovendo le mani robuste con sicurezza da un appiglio all’altro.
Dirk allargò la stoffa argentea del suo aeroscooter e volò fine in cima al dirupo.
Era appena salito a! di sopra dei rami più alti dei soffocatori, quando udì il grido della banscea per un momento, non troppo distante. Girò gli occhi attorno, cercando il grande predatore. La piccola radura dove avevano lasciato Janacek si vedeva bene da quel punto, una macchia color tramonto vicinissima; nel centro della radura c’era una massa viva fatta di piccoli corpi gialli. Mentre osservava altre figure minuscole volarono dai rami circostanti per unirsi al festino.
La banscea spuntò dal nulla e rimase sospesa immobile sul campo di battaglia, piangendo con il lungo gemito terribile, ma gli spettri d’albero continuarono la folle zuffa, senza curarsi del grido, cinguettando e mordendosi l’uno con l’altro. La banscea precipitò. La sua ombra li coprì tutti, le sue grandi ali si contrassero e si piegarono mentre scendeva; poi rimase una cosa sola: spettri e cadavere avvolti in una stretta affamata. Dirk si senti stranamente rincuorato.
Ma durò un solo istante. Mentre la banscea giaceva inerte, si sentì un acuto squittio e Dirk vide un batuffolo veloce che scattava in cima al mucchio. Venne seguito da un altro. Poi un altro. Poi dieci, dodici, tutti assieme. Dirk sbatté gli occhi e gli parve che gli spettri fossero improvvisamente raddoppiati. La banscea dispiegò di nuovo le sue vaste ali triangolari e le sbatté debolmente, senza energia, ma non riusci a risollevarsi. I pestiferi animali erano dappertutto, mordendo, artigliando, buttando a terra la vittima e straziandola. La banscea era schiacciata a terra e non poteva nemmeno emettere il suo grido di dolore. Morì in silenzio, con il suo pranzo ancora intrappolato sotto il suo corpo.
Nel frattempo Dirk era sceso dallo scooter, ormai in cima al dirupo e la radura era di nuovo una massa pullulante di piccole cose gialle, proprio come era apparsa la prima volta che l’aveva vista. E non c’era più nessun segno della banscea, come se non fosse mai scesa in quel punto. La foresta era assai silenziosa. Aspetto che Jaan Vikary lo raggiungesse. Ripresero assieme il loro cammino silenzioso.
La caverna era fredda e scura ed infinitamente silenziosa. Passarono ore al di sotto della terra, in cui Dirk si era limitato a seguire la torcia elettrica di Jaan Vikary. La luce lo guidò attraverso tortuose gallerie sotterranee, per camere echeggiami dove l’oscurità non se ne andava mai, per stretti passaggi che davano la claustrofobia, dove dovevano strisciare con le mani e con le ginocchia. La luce era il suo universo; Dirk aveva perduto ogni senso di tempo e di spazio. Non avevano niente da dirsi, lui e Jaan, così non dicevano niente; gli unici rumori erano provocati dai loro stivali sulla roccia polverosa ed ogni tanto da echi risonanti. Vikary conosceva bene la sua caverna. Non esitava mai e non perse mai la strada. Zoppicavano e strisciavano attraverso ia segreta anima di Worlorn.
Ed emersero sul fianco di una collina degradante, tra i soffocatori, in una notte piena di fuoco e di musica.
Kryne Lamiya stava bruciando. Le torri ossute gridavano una frammentaria canzone di dolore.
C’erano fiamme dappertutto nella pallida necropoli, luminose sentinelle che camminavano su e giù per le strade. La città scintillava come una strana illusione, in onde di calore e di luce; pareva un incorporeo spettro arancione. Mentre osservavano, uno dei ponti sottili e ricurvi cadde e si spezzò; per prima cosa si spezzò la parte centrale annerita, come se scoppiasse, e le altre pietre la seguirono. Il fuoco lo consumò e si alzò più in alto, crepitando e stridendo, mai sazio. Un edificio lì vicino emise uno scoppio sordo ed implose, cadendo in una grande nube di fumo e di fiamme.
A trecento metri dalla collina su cui stavano loro, alta sui boschi di soffocatori, c’era una torre a forma di mano bianca come il gesso che non era ancora stata toccata dall’incendio. Ma sottolineata dalla terribile luminosità, parve muoversi come una cosa viva, che si contorceva e cercava di afferrarsi dolorante.
Al di sopra del ruggito delle fiamme, Dirk poté sentire la debole musica di Lamiya-Bailis. La sinfonia Cupola appariva spezzata e trasformata; le torri erano scomparse, le note erano perdute, per cui la canzone era piena di misteriosi silenzi ed il crepitare delle fiamme forniva un contrappunto battente ai lamenti, ai sibili ed ai gemiti. I venti Cupoli soffiavano all’infinito dalle montagne per far cantare la Città Sirena, quegli stessi venti che alimentavano le grandi fiamme che divoravano Kryne Lamiya, che oscuravano la sua maschera di morte con ceneri e fuliggine ed infine ne domandavano la quiete.
Jaan Vikary si tolse il fucile a laser da dietro le spalle, Aveva il viso nero e stranito, illuminato dal riflesso del grande incendio. «Ma come…?».
«La macchina-lupo», disse Gwen.
Era in piedi a pochi metri di distanza, un po’ più in basso di loro, Essi la guardarono senza sorprendersi. Dietro di lei, all’ombra di un vedovo azzurro che scendeva verso la base della collina, Dirk vide la macchina gialla di Ruark.
«Bretan Braith», disse Vikary.
Gwen li raggiunse all’entrata della caverna ed annuì. «Sì. La macchina è passata avanti e indietro sulla città parecchie volte ed hanno sparato con il laser»,
«Chell è morto», disse Vikary.
«Ma tu sei vivo», rispose Gwen. «Cominciavo a dubitarne».
«Siamo vivi tutti e due», disse lui. Lasciò cadere il fucile dalle dita molli. «Gwen», disse, «ho ucciso il mio teyn».
«Garse?», disse lei, sorpresa. Gwen aggrottò la fronte.
«Mi aveva consegnato ai Braith», disse Dirk rapidamente. I suoi occhi toccarono quelli di Gwen. «E stava dando la caccia a Jaan, al fianco di Lorimaar. Doveva farlo».
Lei spostò gli occhi da Dirk a Jaan. «È questa la verità? Arkin mi aveva detto qualcosa del genere. Io non gli avevo creduto».
«È la verità», disse Vikary.
«Arkin è qui?», chiese Dirk.
Gwen annuì. «Dentro la macchina. È venuto in volo da Larteyn. Si vede che gli avevate detto dov’ero. Aveva cercato di darmi a bere alcune menzogne. L’ho messo fuori combattimento. Al momento è disperato».
«Gwen», disse Dirk, «abbiamo sbagliato malamente a giudicare Arkin». Sentiva il fondo della gola amaro di bile. «Non mi capisci, Gwen? Arkin aveva avvisato Jaan che Garse lo avrebbe tradito. Se non fosse stato per quest’avviso, Jaan non lo avrebbe mai saputo. Forse avrebbe avuto fiducia in Janacek e non gli avrebbe neanche sparato. Così sarebbe stato preso ed ucciso». La sua voce era roca e urgente. «Mi capisci? Arkin…».
Il fuoco metteva freddi riflessi negli occhi di lei che osservava Dirk. «Capisco», disse con voce impastata e tremolante. Si voltò di nuovo verso Vikary. «Oh, Jaan», disse lei. Gli tese le mani.
E lui le si avvicinò e posò il capo sulla sua spalla e le avvolse il braccio strettamente attorno alla vita. E lui cominciò a piangere,
Dirk li lasciò e si avviò verso l’aerauto.
Arkin Ruark era legato strettamente ad uno dei sedili. Era vestito con abiti pesanti ed aveva la testa abbassata, in modo che il mento posava contro il petto. Quando Dirk entrò egli alzò gli occhi, con uno sforzo. Tutta la parte destra del viso era rossastra e gonfia per un’ammaccatura. «Dirk», disse debolmente.
Dirk si tolse lo zaino ingombrante e lo mise sul pavimento. Si appoggiò contro il cruscotto. «Arkin», disse tranquillamente.
«Aiutami», disse Ruark.
«Janacek è morto», gli disse Dirk. «Jaan lo ha abbattuto con il laser e lui è caduto in un nido di spettri d’albero».
«Garsey», disse Ruark, con qualche difficoltà. Aveva le labbra gonfie e sanguinanti e gli tremava la voce. «Vi avrebbe uccisi tutti e due. Assolutamente vero, assolutamente. Ho avvisato Jaan, davvero, lo ho avvisato. Credimi, Dirk».
«Oh, ti credo», disse Dirk annuendo.
«Ho cercato di aiutare, si. Gwen, quella è impazzita. Ho visto i Braith prendere Jaan, quando stavo andando con lui e loro sono arrivati per primi. Ero preoccupato per lei, ero preoccupato. Venivo ad aiutare. Lei mi ha picchiato, ha detto che ero un bugiardo, mi ha legato e mi ha portato qui. È matta, Dirk, amico Dirk, tutta matta, matta come un Kavalar. Quasi come Garse, non certo come la dolce Gwen. Penso che abbia intenzione di uccidermi. E pure te, forse, non lo so. Vuole ritornare con Jaan, questo lo so. Aiutami, devi aiutarmi. Fermala». Piagnucolava.
«Non ucciderà nessuno», disse Dirk. «Adesso c’è Jaan qui e ci sono io. Sei in salvo, Arkin, non ti preoccupare. Metteremo le cose a posto noi. Dobbiamo farti un sacco di ringraziamenti, ti pare? Soprattutto Jaan. Se non fosse stato per i tuoi consigli, chissà cosa sarebbe successo».
«Si», disse Ruark. Sorrise. «Sì, vero, assolutamente vero».
Gwen apparve all’improvviso, sulla porta dell’aerauto. «Dirk», disse lei, ignorando Ruark.
Lui si voltò. «Sì?».
«Ho fatto stendere Jaan per un po’. È stanchissimo. Vieni fuori che così possiamo parlare».
«Aspetta», disse Ruark. «Slegatemi prima, eh? Fatelo. Le mie braccia, Dirk, le mie braccia…».
Dirk uscì. Jaan era lì vicino, con il capo contro un albero che osservava senza vederli i fuochi in lontananza. Si allontanarono da lui, nel buio dei soffocatori. Alla fine Gwen si fermò e si voltò a guardarlo in faccia. «Jaan non dovrà mai sapere», disse lei. GeUò una lunga ciocca di capelli neri all’indietro con la mano destra.
Dirk la guardò. «Il tuo braccio», disse.
Attorno al braccio destro Gwen portava il ferro, nero e vuoto. Il braccio di lei rimase immobile alle parole di Dirk. «Sì», disse. «Le pietreluci verranno in un secondo tempo».
«Capisco», disse Dirk. «Teyn e betheyn, allo stesso tempo».
Gwen annuì. Allungò una mano e prese le mani di Dirk nelle sue. Aveva la pelle fredda e secca. «Rallegrati per me, Dirk», disse con voce debole e triste. «Ti prego’».
Lui le strinse le mani, cercando di apparire rassicurante. «Sono lieto», disse, senza molta convinzione. Tra di loro scese un lungo silenzio ed una grande amarezza.
«Hai un aspetto terribile», disse Gwen alla fine, cercando di sorridere. «Hai tagli da tutte le parti. Tieni il braccio in un modo strano, cammini in un modo strano. Stai bene?».
Lui si strinse nelle spalle. «I Braìth non sono proprio dei giocherelloni», disse. «Soprawiverò». Le lasciò andare le mani ed infilò una mano in tasca. «Gwen, ho qualcosa per te».
Aprì il pugno: c’erano due gemme. La pietraluee rotonda e grossolanamente sfaccettata, brillava leggermente, bruciando nel cavo della mano. E la gemma mormorante, più pìccola, più scura; morta e fredda.
Gwen le prese senza parlare. Le fece rotolare nella mano per un momento, accigliandosi. Poi mise in tasca la pietraluce e restituì la gemma mormorante a Dirk.
Lui l’accettò. «L’ultima cosa che mi rimane di Jenny», disse mentre chiudeva la mano attorno all’echeggiante goccia ghiacciata e la faceva sparire di nuovo sotto il vestito.
«Lo so», disse lei. «Ti ringrazio per l’offerta. Ma se devo dire la verità, non mi mormora più nessuna parola. Penso di essere cambiata troppo. Sono anni che non sento più un sussurro».
«Già», disse lui. «Avevo sospettato qualcosa del genere. Ma ho voluto offrirtela… assieme alle promesse. Le promesse sono sempre le tue, Gwen, se questo servisse a qualcosa. Fa conto che sia il mio ferro-e-fuoco. Tu non vuoi trasformarmi in un falsuomo, non è vero?».
«No», rispose lei. «E l’altra…».
«L’ha salvata Garse, quando ha gettato le altre nel lago. Ho pensato che forse tu avresti potuto incastonarla di nuovo, con quelle nuove. Jaan non si accorgerà mai della differenza».
Gwen sospirò. «Va bene», disse. Poi: «Mi rendo conto di essere dispiaciuta per Garse, dopotutto. Non è curioso? In tutti gli anni che abbiamo passato insieme, difficile che non ci fosse giorno in cui non ci saltavamo alla gola, con il povero Jaan intrappolato tra di noi, lui che ci amava tutti e due. Ci furono giorni in cui ero quasi sicura che l’unica cosa che stava tra me e la felicità era Garse Ferrogiada Janacek. Solo che adesso lui se ne è andato e io trovo la cosa difficile da credere. Continuo ad aspettare di vederlo arrivare con la sua aerauto, armato fino ai denti, sorridente, pronto a rabuffarmi e a rimettermi al mio posto. Penso che quando finalmente mi convincerò che è tutto vero, allora riuscirò a piangere. Non pensi che sia curioso?».
«No», disse Dirk. «No».
«Potrei quasi piangere anche per Arkin», disse lei. «Sai cosa ha detto? Quando è venuto da me a Kryne Lamiya? Dopo che gli avevo detto che era un bugiardo, l’ho colpito e l’ho sbattuto per terra… sai che cosa ha detto?».
«Dirk scosse il capo e attese.
«Ha detto che mi amava», disse Gwen, sorridendo cupamente. «Ha detto che mi ha sempre amata, fin da quando ci siamo incontrati su Avalon. Non giurerei che dicesse la verità. Garse ha sempre detto che i manipolatori sono astuti ed Arkin non aveva bisogno di essere un genio per capire che la rivelazione mi aveva colpita. Quasi lo lasciavo libero quando me lo disse. Pareva piccolo e degno di pietà e poi singhiozzava. Invece… l’hai visto in faccia?». Lei esitava.
«L’ho visto», disse Dirk. «Brutto».
«Invece io gli ho fatto quello», disse Gwen. «Ma adesso penso di credergli. In un certo modo balordo, lui mi amava. E lui vedeva ciò che mi stavo facendo; e lui lo sapeva che, se fosse stato per me, non avrei mai lasciato Jaan, per cui ha deciso di usare te, di usare tutte le cose che io gli avevo detto, fidandomi di lui… ha pensato, in questo modo, di allontanarmi da Jaan. Immagino che lui pensasse che tu ed io avremmo finito per lasciarci, come era già successo su Avalon, così io mi sarei accontentata di lui. O magari lui la sapeva più lunga. Non lo so. Lui protesta che pensava solo a me, alla mia felicità, che non poteva sopportare di vedermi con giada-e-argento. Che lui non pensava a se stesso. Dice di essere mio amico». Gwen sospirò disperata. «Mio amico», ripeté lei.
«Non prendertela troppo per lui, Gwen», la ammoni Dirk. «Non avrebbe esitato a mandarmi verso la morte, assieme a Jaan. Non avrebbe avuto un attimo di esitazione. Garse Janacek è morto ed anche molti Braith e gli innocenti Emereli di Sfida… e tu puoi tranquillamente addossare la colpa di tutto all’amico Arkin. Ti pare?».
«Adesso sei l’unico che parli come Garse», disse lei. «Che mi dici? Dici che io avevo occhi di giada? Guarda i tuoi, Dirk! Eppure penso che tu abbia ragione».
«Adesso che ne facciamo di lui?».
«Lasciamolo libero», disse lei. «Per il momento. Jaan non dovrà mai sospettare la verità, altrimenti lo distruggerebbe, Dirk. Per cui Arkin Ruark deve ridiventare il nostro amico. Capisci?».
«Sì», disse lui. Il ruggito del fuoco era diminuito, trasformandosi in un debole crepitare, notò Dirk; c’era quasi silènzio. Guardando indietro, in direzione della macchina, vide che l’inferno si stava estinguendo. C’erano alcuni fuochi sparsi che fiammeggiavano debolmente tra le rovine, e gettavano dei riflessi attraverso la città fumosa e distrutta. Quasi tutte le torri sottili erano cadute e quelle rimaste erano completamente silenziose. Il vento ormai era solamente vento.
«Tra poco sorgerà l’alba», disse Gwen. «Dobbiamo metterci in viaggio».
«In viaggio?».
«Dobbiamo ritornare a Larteyn, ammesso che Bretan non abbia distrutto anche quella».
«Ha un modo violento di piangere», convenne Dirk. «Ma Larteyn è sicura?».
«Il tempo di fuggire e di nascondersi è finito», gli disse Gwen. «Ormai non sono più incosciente e non sono più una disperata betheyn che ha bisogno di essere protetta». Sollevò il braccio destro; distanti fiamme illuminarono il ferro vuoto. «Sono teyn di Jaan Vikary, anche con il sangue ed ho preso le mie armi. E tu… Anche tu sei cambiato, Dirk. Tu non sei più korariel, e lo sai. Tu sei keth.
«Per il momento siamo assieme. Siamo giovani e siamo forti e sappiamo quali sono i nostri nemici e come fare a trovarli. E nessuno di noi potrà mai essere un Ferrogiada… Io sono una donna, Jaan è un fuorilegge e tu sei un falsuomo. Garse è stato l’ultimo dei Ferrogiada. Garse è morto. Le cose giuste e le cose sbagliate di Alto Kavalaan e dell’Unione Ferrogiada sono morte con lui, credo, per lo meno per quanto riguarda questo mondo. Su Worlorn non ci sono codici, ricordi? Nessun Braith e nessun Ferrogiada, solo bestie che cercano di uccidersi le une con le altre».
«Ma che stai dicendo?», disse Dirk, anche se pensava di saperlo bene.
«Sto dicendo che sono stanca di essere cacciata ed inseguita dai cani e minacciata», disse Gwen. La sua faccia era in ombra e pareva fatta di ferro puro; i suoi occhi bruciavano incadescenti e feroci. «Sto dicendo che è ormai tempo che diventiamo noi i cacciatori!».
Dirk la fissò in silenzio per un bel po’. Lei era bellissima, pensò, bella nello stesso modo in cui era stato bello Garse Janacek. Lei era un po’ come la banscea, decise lui, e pianse un poco per la morte della sua Jenny. La sua Ginevra che non era mai esistita. «Hai ragione», disse a fatica.
Lei gli venne più vicino e lo circondò tra le sue braccia a cerchio prima che lui potesse rifiutarsi e lo strinse con tutta la sua forza. Le mani di Dirk si sollevarono lentamente; anche lui la strinse e rimasero così per almeno dieci minuti, schiacciati l’uno contro l’altra, la guancia liscia di lei contro la sua ispida. Quando finalmente lei si allontanò da lui, sollevò gli occhi, aspettando che lui la baciasse e così fece. Lui chiuse gli occhi; le labbra di Gwen erano asciutte e dure.
La Fortezza di Luce era fredda all’alba. Il vento roteava in mulinelli martellanti; il cielo era grigio e nuvoloso.
Sul terrazzo della loro torre trovarono un cadavere.
Jaan Vikary si sporse fuori con attenzione, con il fucile laser in mano, mentre Gwen e Dirk lo coprivano, nascondendosi dietro alla relativa protezione fornita loro dall’aerauto. Ruark sedeva terrorizzato sul sedile posteriore. Lo avevano liberato prima di allontanarsi da Kryne Lamiya e per tutta la strada era stato d’umore cupo ed abulico, senza sapere cosa pensare.
Vikary controllò il corpo, che giaceva scompostamente davanti agli ascensori, poi tornò all’aerauto. «Roseph alto Braith Kelcek», disse brevemente.
«Alto-Larteyn», gli ricordò Dirk.
«Davvero», convenne lui, aggrottando la fronte. «Alto-Larteyn. È morto da parecchie ore, direi. Quasi metà del torace gli è stato portato via da un’arma a proiettili. La sua pistola è ancora nel fodero».
«Un’arma a proiettile?», disse Dirk.
Vikary annuì. «Bretan Braith Lantry è noto per usare armi di quel tipo in duello. È un noto duellatore, ma credo che abbia scelto il suo fucile a proiettili solo un paio di volte, rare volte in cui non voleva accontentarsi di vincere per ferita. Un laser da duello è uno strumento preciso e pulito. Non così questa pistola di Bretan Braith. Un’arma simile è stata fatta per uccidere, anche se la mira è approssimativa. È una cosa sporca e selvaggia, fatta apposta per brevi duelli mortali».
Gwen fissava il punto in cui Roseph giaceva come un mucchio di stracci. I suoi abiti avevano lo stesso colore sporco della terrazza e svolazzavano nel vento. «Questo non è stato un duello», disse Gwen.
«No», convenne Vikary.
«Ma perché!», chiese Dirk. «Roseph non costituiva certo una minaccia per Bretan Braith, vi pare? Tra l’altro il codice duellesco… Bretan resta sempre un Braith, non è vero? Per cui non dovrebbe essere ancora vincolato?».
«Certo che Bretan è ancora un Braith, ed è proprio questo il suo motivo, Dirk t’Larien», disse Vikary. «Questo non è più un duello. Questa è un’altaguerra, Braith contro Larteyn. In altaguerra ci sono pochissime regole; ogni maschio adulto della granlega nemica è considerato una valida preda, finché non viene stipulata la pace».
«Una crociata», disse Gwen, ridacchiando. «La cosa non suona troppo logica per un Bretan, Jaan».
«Però suona molto logica per il vecchio Chell, direi», rispose Vikary. «Sospetto che il suo teyn gli abbia fatto giurare di comportarsi in questo modo mentre giaceva morente. Se questa è la verità, Bretan uccide sotto giuramento, non solo perché è addolorato. Avrà ben poca misericordia».
Arkin Ruark si chinò in avanti dal sedile posteriore, eccitato. «Ma questo ci tornerà assai utile!», esclamò. «Si, statemi a sentire, questa è una bella cosa. Gwen, Dirk, Jaan amico mio, ascoltami. Bretan li ucciderà tutti per noi, che ne dite? Li ucciderà uno per uno, si. Lui è nemico dei nostri nemici, abbiamo le migliori speranze, assolutamente vero».
«Il tuo proverbio Kimdissi in questo caso è fuori luogo», disse Vikary. «L’altaguerra tra Bretan Braith ed i Larteyn non li rende certo nostri amici, se non per caso. Sangue e dolori non sono cose che si dimenticano tanto facilmente, Arkin».
«Sì», aggiunse Gwen. «Lui non sospettava certo che a Kryne Lamiya si nascondesse Lorimaar, sai. Lui ha bruciato quella città, sperando di prendere noi».
«Ha tirato ad indovinare, un semplice tentativo», borbottò Ruark. «Forse aveva altri motivi, motivi suoi, chi lo sa? Magari è diventato matto, impazzito per il dolore, sì».
«Dicci un po’, Arkin», disse Dirk. «Noi ti depositiamo all’aperto e se arriva Bretan Braith tu gli chiedi i suoi motivi».
Il Kimdissi fece un passo indietro e lo guardò in modo strano. «No», disse. «No, è più sicuro stare con voi, amici miei, perché voi mi proteggerete».
«Ti proteggeremo», disse Jaan Vikary. «Tu hai fatto parecchio per noi». Dirk e Gwen si scambiarono uno sguardo.
Vikary fece muovere all’improvviso la loro aerauto. Si alzarono e si allontanarono rapidamente dalla terrazza, al di sopra delle strade di Larteyn illuminate dall’alba pallida.
«Dove…?», chiese Dirk.
«Roseph è morto», disse Vikary. «Comunque non era l’unico cacciatore. Dovremmo fare un censimento, amici, faremo un censimento».
L’edificio in cui Roseph alto-Braith Kelcek abitava con il suo teyn, non era lontano dalla residenza dei Ferrogiada ed era vicinissimo alla sotterranea. Era una grande casa quadrata con il tetto a cupola di metallo ed un portico sostenuto da colonne di ferro puro. Atterrarono nelle vicinanze e si avvicinarono furtivamente.
Due cani Braith erano stati incatenati alle colonne di fronte alla casa. Erano tutti e due morti. Vikary si avvicinò ad osservare. «Li hanno colpiti alla gola con uh laser da caccia. Il colpo è stato sparato da una certa distanza», riferì. «Un modo di uccidere sicuro e silenzioso».
Rimase all’esterno, con il fucile a laser in mano, attento, sempre in guardia. Ruark gli stava appiccicato al fianco. Gwen e Dirk furono mandati a perquisire l’edificio.
Trovarono molte camere vuote ed una stanzetta con i trofei in cui c’erano quattro teste; tre erano vecchie e rinsecchite, con la pelle tirata e cuoiosa, dall’aspetto quasi bestiale. La quarta, secondo Gwen, era quella di un bambino di gelatina Nerovino, appena staccata, a giudicare dall’aspetto. Dirk toccò sospettosamente le coperture in pelle di molti mobili, ma Gwen scosse il capo facendo segno di no.
Un’altra stanza, li vicino, era piena di figurine in miniatura: banscee e branchi di lupi, soldati che combattevano con il coltello e con la spada, uomini che affrontavano mostri grotteschi in strani combattimenti. Tutte le scene erano eseguite con cura, in ferro, rame e bronzo. «Il lavoro di Roseph», disse consciamente Gwen quando Dirk si fermò, malgrado tutto, e sollevò una delle figurine per osservarla. Lei gli fece cenno di muoversi.
Il teyn di Roseph stava mangiando. Lo trovarono nella camera da pranzo. La sua pietanza — uno spesso stufato di carne e verdura fatto in un sugo sanguigno, con grandi pezzi di pane nero di fianco — era fredda e mezza consumata. Un boccale di peltro pieno di birra scura era lì vicino, sul lungo tavolo di legno. Il corpo del Kavalar era a circa un metro di distanza, ancora sulla sua sedia, ma la sedia era sul pavimento e c’era una macchia scura sulla parte subito dietro. L’uomo non aveva più nessuna faccia.
Gwen lo guardò da vicino, accigliata, col fucile appeso al braccio in maniera casuale, rivolto verso il pavimento. Prese la birra e la assaggiò, prima di passarla a Dirk. Era tiepida ed insapore, il gusto se ne era andato già da tempo.
«Lorimaar e Saanel?», chiese Gwen quando uscirono fuori di nuovo, sotto le colonne di ferro.
«Dubito che siano ritornati dalla foresta», disse Vikary. «Può darsi che Bretan Braith si trovi da qualche parte a Larteyn, per aspettarli. Indubbiamente ha visto arrivare Roseph e Chaalyn ieri. Può darsi che si nasconda da qualche parte qui vicino, sperando di sorprendere i suoi nemici uno ad uno, mentre ritornano alla città. Però non credo».
«Perché?». Questo era Dirk.
«Pensaci, t’Larien, noi siamo arrivati qui all’alba e con una macchina non corazzata. Lui non ci ha attaccato. I casi sono due, o dormiva, o non era qui attorno».
«Dove pensi che sia?».
«Nella foresta, a cacciare i nostri cacciatori», disse Vikary. «Ci sono solo due Larteyn che restano vivi in grado di affrontarlo, ma Bretan Braith non ha nessun modo per saperlo. Per quello che lui sa, Pyr, Arris ed anche il vecchio Raymaar Una-Mano sono ancora vivi e devono essere contati. Direi che deve essere volato via per coglierli di sorpresa, forse nel timore che altrimenti avrebbero potuto tornare in città in gruppo, avrebbero scoperto i loro kethi uccisi e sarebbero così stati avvisati delle sue intenzioni».
«Dovremmo scappare allora, sì, prima che torni indietro», disse Arkin Ruark. «Andiamo in qualche posto sicuro, lontani da questa follia Kavalar. Dodicesimo Sogno, sì, a Dodicesimo Sogno. Oppure Musquel, oppure Sfida, da qualsiasi parte. Presto arriverà una nave, allora saremo in salvo. Che ne dite?».
«Io dico di no», rispose Dirk. «Bretan ci troverà. Ti ricordi la maniera quasi soprannaturale con cui è riuscito a scoprire Gwen e me a Sfida?» Guardò apertamente verso Ruark. Per la verità, il Kimdissi riuscì a mantenere il viso immobile con ammirabile calma.
«Rimarremo a Larteyn», disse Vikary deciso. «Bretan Braith Lantry è solo un uomo. Noi siamo quattro e tre di noi sono armati. Se rimaniamo assieme, siamo al sicuro. Stabiliremo dei turni di guardia. Saremo pronti».
Gwen annuì e fece scivolare il braccio attorno a quello di Jaan. «Io sono d’accordo», disse. «Bretan potrebbe anche non sopravvivere a Lorimaar».
«No», le disse il Kavalar. «No, Gwen. Penso che tu abbia torto. Bretan Braith sopravviverà a Lorimaar. Di questo sono assolutamente certo».
All’insistenza di Vikary, setacciarono il grande garage sotterraneo, prima di abbandonare la zona in cui risiedeva Roseph. L’azione ebbe dei risultati. Dato che la loro aerauto era stata rubata a Sfida e successivamente distrutta, Roseph e il suo teyn si erano fatti imprestare l’aeromobile di Pyr per ritornare dalla caccia nella foresta; ora era parcheggiata là sotto. Jaan se ne appropriò. Anche se non era ancora il pesante residuato bellico verde oliva di Janacek, era comunque assai più formidabile della piccola macchina di Ruark.
Dopo di che trovarono gli appartamenti. Lungo le mura della città di Larteyn, affacciate sullo strapiombo a picco, fissando il distante Comune, c’era una serie di torri di guardia, con postazioni per sentinelle e feritoie in alto e acquartieramenti nella parte inferiore, al di qua delle mura stesse. Le torri, ognuna con una grande cariatide di pietra appollaiata sul tetto, erano esclusivamente ornamentali, un abbellimento per rendere la città del festival autenticamente Kavalar. Comunque erano facilmente difendibili e fornivano un’eccellente panoramica della città. Gwen ne scelse una a caso e loro vi si trasferirono, saccheggiando il precedente appartamento per trovare effetti personali, cibo e registrazioni riguardo alle ormai quasi dimenticate (almeno per Dirk) ricerche ecologiche che Gwen e Ruark avevano condotto nelle foreste di Worlorn.
Una volta al sicuro, si apprestarono ad attendere.
Fu quella, decise in seguito Dirk, la cosa peggiore che potessero fare. Sotto la pressione della loro inattività, tutte le spaccature vennero in evidenza.
Avevano studiato un sistema di spostamenti sovrapposti, in modo che c’erano sempre due persone di guardia alla torre, armati di laser e del binocolo da campo di Gwen. Larteyn era grigia, vuota e desolata. C’era poco da fare per le sentinelle, oltre a studiare il lento crescere e fluire della luce nelle strade e chiacchierare un po’. Per lo più chiacchieravano.
Arkin Ruark faceva i suoi turni con tutti gli altri ed accettò anche il fucile a laser che Vikary gli impose, anche se con qualche riluttanza. Insistette più volte che lui non era adatto alla violenza, che non sarebbe mai riuscito a sparare con il laser, per nessun motivo. Comunque consentì a tenerlo, perché glielo aveva chiesto Jaan Vikary. I suoi rapporti con tutti loro erano radicalmente cambiati. Rimaneva vicino a Jaan finché poteva, rendendosi conto che il Kavalar era adesso il suo vero protettore. Con Gwen era cordiale. Lei gli aveva chiesto di dimenticare Kryne Lamiya, proclamando che la paura ed il dolore l’avevano temporaneamente spinta verso la paranoia. Ma per Ruark non fu mai più la «dolce Gwen»; l’amarezza tra di loro veniva a galla ogni giorno di più. Verso Dirk, il Kimdissi manteneva un atteggiamento sospettoso, di disagio, passando alternativamente dall’amicizia alla formalità, quando fu chiaro che Dirk non intendeva ammorbidirsi. I commenti di Ruark durante la prima guardia che fecero assieme, indicarono a Dirk che il grasso ecologo attendeva disperatamente il traghetto del Margine Teric neDahlir, che avrebbe dovuto atterrare la settimana successiva. Pareva che non gli interessasse nient’altro se non rimanere nascosto e al sicuro e poi poter salpare il più presto possibile.
Gwen Delvano aspettava qualcosa di completamente diverso, pensava Dirk. Mentre Ruark controllava l’orizzonte con apprensione, Gwen fremeva nell’attesa. Si ricordò le parole che aveva detto quando avevano parlato assieme nell’ombra di Kryne Lamiya distrutta dal fuoco. «È ora che noi diventiamo i cacciatori», aveva detto lei. Lei ne era ancora convinta. Quando lei e Dirk fecero la guardia insieme, Gwen fece tutto il lavoro. Lei rimase seduta presso la finestra lunga e stretta con impazienza quasi infinita, con il binocolo appeso tra i seni, le braccia posate sul davanzale, giada-e-argento accanto al ferro vuoto. Parlava con Dirk senza nemmeno guardarlo; tutta la sua attenzione era diretta all’esterno. Facevano eccezione solo le visite alla toeletta, altrimenti Gwen rifiutò di abbandonare la finestra. Ogni tanto sollevava il binocolo e studiava un qualche lontano edificio dove le pareva di aver visto del movimento e meno frequentemente chiedeva a Dirk di dargli un pettine e cominciava a pettinarsi i lunghi capelli neri, che il vento continuava a scompigliarle.
«Spero che Jaan abbia torto», disse una di quelle volte in cui si spazzolava i capelli. «Preferirei vedere ritornare Lorimaar e il suo teyn, piuttosto che Bretan». Dirk aveva borbottato un commento favorevole, basandosi sul fatto che Lorimaar — molto più vecchio ed anche ferito — sarebbe stato molto meno pericoloso del duellatore con un occhio solo che dava la caccia a lui. Ma quando lui glielo disse, Gwen si limitò a posare la spazzola e lo fissò in maniera curiosa. «No», disse lei, «no, questa non è affatto la ragione».
Per Jaantony Riv Lupo alto-Ferrogiada Vikary, l’attesa pareva essere la cosa che lo feriva di più. Finché si era mantenuto in azione, finché si richiedevano delle cose da lui, era restato il vecchio Jaan Vikary: forte, deciso, un capo. Ma immobile era un uomo diverso. Non aveva nessun ruolo da giocare; però aveva un tempo illimitato per pensare. La cosa non gli faceva bene. Anche se Garse Janacek venne menzionato raramente in quegli ultimi giorni, era chiaro che Jaan era ossessionato dallo spettro del suo teyn con la barba rossa. Troppo spesso Vikary era incupito e cominciò a piombare in bui silenzi che a volte duravano ore.
In un primo tempo aveva insistito che tutti loro avrebbero costantemente dovuto rimanere in casa; ma adesso lo stesso Jaan aveva cominciato a fare lunghe camminate all’alba ed al tramonto quando non era di guardia. Durante le sue ore in cui faceva la guardia sulla torre, quasi tutte le sue conversazioni erano piene di ricordi della sua infanzia nelle granleghe dell’Unione Ferrogiada e di racconti presi dalla storia, di eroi martirizzati come Vikor alto-Rossacciaio e Aryn alto-Pietraluce. Non parlava mai del futuro e solo raramente della loro situazione attuale. Osservandolo, Dirk sentiva che se avesse voluto poteva vedere il tormento interno di quell’uomo. Nel giro di pochi giorni, Vikary aveva perso tutto: il suo teyn, il suo pianeta d’origine e la sua gente, perfino il codice per cui aveva vissuto. Lo stava combattendo… aveva già preso Gwen come teyn, l’aveva accettata con una pienezza ed una totale dipendenza che lui non aveva mai dimostrato né verso di lei, né verso Garse individualmente. E a Dirk pareva che Jaan stesse tentando di seguire comunque il suo codice, attaccandosi fortemente ai pezzetti di onore Kavalar che gli erano rimasti. Era Gwen e non Jaan, che parlava di caccia e di cacciatori, di animali che si uccidevano tra di loro adesso che erano scomparsi tutti i codici. Lei diceva le cose come se parlasse per il suo teyn oltre che per se stessa, ma Dirk non credeva che fosse proprio così. Quando Vikary parlava delle sue prossime battaglie, pareva sempre sottintendere che avrebbe dovuto duellare con Bretan Braith. Nelle sue lunghe passeggiate nella città si esercitava sia con il fucile che con la pistola. «Se dovrò affrontare Bretan, devo essere pronto», era solito dire e faceva la sua pratica giornaliera come un automa, solitamente fuori dalla vista dell’attore, preparandosi in entrambi i modi di duello dei Kavalari. Un giorno sarebbe stato nel quadrato della morte a dieci passi ed avrebbe arrostito i suoi antagonisti fantasma e il giorno dopo sarebbe stato lo stile libero ed il passa-la-linea e poi il colpo singolo e di nuovo il quadrato della morte. Quelli che erano di guardia lo avrebbero coperto pregando che nessun nemico avesse osservato gli insistenti impulsi luminosi. Dirk aveva paura. Jaan era la loro forza ed egli appariva perduto nella sua delusione marziale, nella sua previsione detta a mezza voce, che Bretan Braith sarebbe ritornato e gli avrebbe offerto le garanzie del codice, malgrado tutto. Malgrado tutta l’abilità che Vikary vantava nel duello, malgrado il rituale dell’esercitazione, pareva a Dirk sempre più improbabile che il Ferrogiada potesse trionfare su Bretan in un combattimento singolo.
Il sonno di Dirk era maledetto da incubi ricorrenti in cui era coinvolto Braith con la sua mezza faccia: Bretan con la strana voce e l’occhio luccicante, con il tic grottesco, Bretan sottile e con le guance lisce ed innocenti, Bretan il distruttore di città. Dirk si svegliava da quei sogni sudato ed esaurito, attorcigliato alle lenzuola e si ricordava le grida di Gwen (strilli acuti e terrificanti come quelle torri di Kryne Lamiya) ed il modo in cui Bretan lo guardava. Per scacciare queste visioni aveva solo Jaan e adesso Jaan era circondato da un consumato fatalismo, anche se poteva ancora superare le emozioni.
Era stata la morte di Janacek, si diceva Dirk… e soprattutto, le circostanze di quella morte. Se Garse fosse morto in maniera più normale, Vikary sarebbe stato un vendicatore più irato ed impietoso ed invincibile di Myrik e Bretan messi assieme. Da come erano andate le cose, però, Jaan era convinto che il suo teyn lo avesse tradito, gli avesse dato la caccia come ad una bestia o ad un falsuomo e questa convinzione lo distruggeva. Più di una volta, seduto con il Ferrogiada in una piccola stanza di guardia, Dirk sentì l’impulso di dirgli la verità, di affrontarlo e gridargli: no, no! Garse era innocente, Garse ti amava, Garse sarebbe morto per te! Eppure non disse niente. Se Vikary stava morendo in questo modo, consumato dalla malinconia e dalla sensazione di essere stato tradito ed in definitiva dal fatto di aver perso la fede, allora tanto più velocemente lo avrebbe ucciso la verità.
Così i giorni passavano e le fratture si allargavano. Dirk osservava i suoi tre compagni con sempre crescente apprensione. Ruark aspettava di poter scappare, Gwen di vendicarsi e Jaan Vikary di morire.