L’italiano scritto

L’italiano scritto è, purtroppo, una lingua fossile. Gli italiani che devono usarlo finiscono in una specie di magma infernale dal quale escono carbonizzati. Le categorie più colpite sono i funzionari delle stazioni dì polizia e i carabinieri. Anche i notai finiscono sempre per naufragare in un mare di merda. Pochissimi, infatti, arrivano vivi in fondo alla lettura di un atto di compravendita. A volte anche fino alle stanze delle segretarie, o addirittura giù in strada, arriva il rimbombo di violentissimi colpi di fronte sui tavoli in noce dei clienti che si addormentano durante la lettura. E ci viene il sospetto che, quella dei notai, sia una lingua inventata per ipnotizzare e truffare i clienti.

Ma un vero psicodramma è assistere a una denuncia in un commissariato di polizia. Il caso è, per esempio, lo smarrimento della patente. Sarebbe semplicissimo, vero? “Sono il tal dei tali e ho perso la patente… Posso firmare?”

E invece ecco uno spettacolo avvincente: un appuntato si siede a una rudimentale macchina da scrivere. Si vede subito che è spaventato, suda come un orso, respira profondamente, beve una bicchierata d’acqua gelata, si assesta meglio sulla sedia e fa un’impercettibile scoreggia. Poi allarga le braccia ad angelo e si butta sulla tastiera.

«Addì, 2 aprile ecc. ecc. Lo scrivente, appuntato…» Qui suona il telefono: «Brando, ma che cazzo vuoi, sto lavorando!» e butta giù. «Scusate, è mia moglie. Dungue… Essendo convenuto davanti a me medismo il dichiarante stesso, tal dei tali, si dichiara che in data stessa odierna…» Ancora il telefono: «Ma che cazzo… Oh, mi scusi colonnello, sì, sì signore, sì, sì, sì signore, sì, d’accordo, c’ha ragione, mi scusi signore, finisco in un lampo un verbalino e arrivo». Dopo un’ora e 28 minuti siete impantanati, incapaci di uscirne vivi. Alla domanda: «Avete dei sospeddi su chi può averle soddraddo frodolentamente frodo… lautamente la padente di guida?» tu rispondi: «No, nessun sospetto»; e allora lui, che ha perso ormai il controllo: «No! Un nome me lo deve fare, si usa così». Alla fine, disperato, dici: «Be’… forse… potrebbe essere stato mio zio Peppuccio».

«Siete sicuro di quello che dite?»

«No, guardi, meglio! Ora ricordo: forse me la sono rubata io.»

E lui, implacabile: «Il dichiarante stesso medesimo dichiara che, presumibalamente, lui stesso medesimo avrebbe potuto sottrarsi fragolautamente… frogorosamente… la stessa medesima patente di gloria guida… — scusate, mi sono confuso — … oggetto di codesta denuncia che lui, però, reo confesso, non gli sovviene il sito in cui se la savrebbe autosottrattasi.

«Firmato lo scrivente reo confesso, tal dei tali».

Tu firmi velocemente fingendo di rileggere, e quando sei sulla porta lui fa: «Siete sicuro che non è stato questo zio Peppuccio?»; e tu, disperato: «Sì, sono sicuro, perché lo zio Peppuccio è morto da dieci anni».

L’appuntato si blocca e con una fissità da rinoceronte: «Fermatevi! Bisogna riaprire il caso».

Qui, allora, conviene scappare dalla finestra.

Poi c’è l’ italiano delle ricette mediche. In genere noi crediamo sempre di avere a che fare con dei luminari. Il luminare è un grande esperto di pittura, di logica aristotelica e di storia dell’ Islam. Ma quando si entra nel vivo e gli domandi: «Sì, va bene professore, Maometto è stato un grande, ma io che cos’ho?» quello sorride: «È ansioso lei, si vede. E scommetto che ha anche paura di morire. Comunque non si sa esattamente cos’ha, ma io consiglio una serie di esami: colonscopia, gastroscopia, encefalogramma, doppler aortici, coronarografia, fonocardiogramma, ecocardiogramma, tomografia, TAC, risonanza magnetica a colori e tridimensionale totale. Nell’ attesa le devo prescrivere alcuni farmaci». E qui non usa più quell’ italiano chiaro e brillante che usava parlando di Aristotele, ma il “medichese”, la lingua scritta dei ricettari: un geroglifico egizio. Se lui intuisce che stai per capire quello che scrive, con cattiveria infantile passa alla scrittura cuneiforme.

In questa lingua maledetta non si scrive più “al giorno” ma “al dì” e “prima di andare a dormire” diventa “bed time”. Compare spesso in cirillico microscopico la misteriosa dicitura “al bisogno”, che va tradotta con “quando cazzo volete”. Però c’è sotto inteso un consiglio inquietante, scritto in armeno: “Non fatelo mai, che è pericoloso”. Una volta ho visto un luminare scrivere in turco, suggerendo un potente veleno: dieci pastiglie di cianuro “al bisogno”.

C’è poi la lingua parlata dai tassisti romani.

I tassisti a Roma sono fortunati, hanno messo a punto una frase polivalente che usano in ogni circostanza: «A dottò, io quelli l’ ammazzerebbe tutti!».

Si parla di politici? Di destra, di centro e di manca? Loro abitualmente sono qualunquisti e per uscirne vivi usano quella scorciatoia travolgente. È una scudisciata geniale che va così interpretata: “Mi fanno tutti schifo, non voglio parlarne e poi, in fondo, dottò, a me della politica e dell’ Italia non me ne frega un cazzo. Mi piacciono molto solo Totti con Ilary e i rigatoni all’ amatriciana”.

Si parla del buco nell’ ozono? Della pandemia di aviaria? Di un possibile meteorite che potrebbe spaccare in due il pianeta? La risposta anche qui è perfetta: «Dottò, quelli l’ ammazzerebbe tutti! A me me piasce solo Totti e l’ amatriciana!».

Solo il papa si salva, con lui sono più clementi e scivolano via veloci come anguille, dicendo; «Lassamo perde va’! A me me piasce solo Totti».

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