L’italiano parlato

L’italiano parlato è una lingua abbastanza diversa dall’ italiano scritto. Pochi parlano bene l’ italiano, tranne i fiorentini, i pisani e i senesi, che hanno la fortuna di usare il loro dialetto con la presunzione e l’ arroganza d’essere gli unici “parlatori” della corretta lingua madre della Penisola.

Alessandro Manzoni ha collaborato a questa fama dei toscani quando, prima di dare alle stampe Gli sposi promessi, ha confessato d’essere andato di nascosto a “sciacquare i panni in Arno”. S’è fermato vestito da pescatore, con canna e lenza, piedi in acqua per tre mesi. Cosa che gli è costata l’ artrite deformante che gli ha rovinato la vita e ci ha salvati da un altro romanzo. Però i suoi personaggi parlano: l’ innominato, un dialetto più vicino al milanese della sindachessa Letizia Moratti che al fiorentino; don Rodrigo, con la mandria dei suoi “bravi”, castigliano puro; don Ferrante, durante la rivolta del pane al Cordusio, ha sussurrato al cocchiere: «Adelante ma con judicjo…»; don Abbondio, Agnese, Renzo e Lucia, ai giorni nostri sarebbero scambiati per turisti poveri svizzeri, di Lugano o Bellinzona.

Insomma, l’ italiano non è mai stato una lingua omogenea. Fino all’ inizio del Novecento ognuno nella sua zona parlava una lingua regionale: i famigerati dialetti. Quelli del Sud venivano facilmente intuiti in tutta l’ Italia centrale, mentre i “polentoni” del Nord non capivano un cazzo della lingua di quei maledetti “terroni”.

È successo, però, che dopo la Seconda guerra mondiale una grande massa di “terroni” è andata al Nord a cercare lavoro. Si vergognavano del loro accento da poveri e così la seconda generazione ha creato una nuova poltiglia linguistica.

Gli unici che con accanimento hanno continuato a parlare a modo loro sono stati i toscani, ma ormai quegli strani accenti aspirati sono usati soltanto dai comici in difficoltà. I valdostani, che si rifiutano di parlare italiano, hanno imposto nella loro costituzione regionale il patois, pronunciato “patuà”, una via di mezzo tra il savoiardo e il piemontese; gli altoatesini parlano e scrivono per dispetto solo in tedesco, e i friulani, che per motivi alcolici non sono mai riusciti a esprimersi in italiano, parlano ancora una lingua fossile impressionante, hanno un alito come se al mattino avessero bevuto una tazza di merda e l’ abitudine di ruttare violentemente.

Per finire, i sardi si esprimono malamente in sardo, una lingua straniera che sta tra il catalano e il maiorchino delle isole Baleari.

Poi è arrivata la televisione, i dialetti sono stati sterminati e, nonostante gli sforzi patetici di qualche vecchio conservatore, ha preso forma un neoitaliano.

È una lingua povera, con forti cadenze romane e lombarde, perché la televisione Berlusconi la fa a Milano, e la RAI a Roma.

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