Dove oggi si trovano i famigerati “li Castelli” romani, famosi per le agghiaccianti gite fuori porta e per il vino pestilenziale, soprattutto nella cittadina di Albano Laziale, mentre i ricchi e i ladri andavano a Saint Moritz, i poveri si ubriacavano con bicchierate di zolfo cantando: “Er vino de li Castelli è più mejo de lo Sciampagne!”
Lì, intorno all’ anno Mille a.C., c’era un piccolo villaggio di pastori che si chiamava Alba Longa. Era un posto su una collina deprimente dalla quale si vedeva una palude piena di zanzare e rane.
Gli abitanti parlavano una lingua povera chiamata “latino”. Questo linguaggio elementare fu poi esportato dai famosi gemelli Romolo e Remo sui “colli fatali di Roma”. I due, però, non andavano molto d’accordo e la cosa purtroppo finì a schifìo. Ma i villani del posto, che vivevano di rughetta, ricotta, rognonata d’abbacchio alla brace e “cofane” di rane bollite, continuarono ugualmente a usare quell’ ignobile parlata albalonghese.
Poi una notte, di colpo, intorno al 736 a.C., arrivarono dal mare i Fenici, che nel Lazio si fecero chiamare Etruschi e, a Cartagine, Punici. Questi Etruschi avevano una cultura di gran lunga superiore a quella dei pastori dei colli romani, e sotto la loro guida li fecero diventare i padroni del mondo conosciuto.
Fatti fuori i nemici più pericolosi, che erano i Cartaginesi, i Romani conquistarono anche la Grecia, la culla della civiltà più importante del mondo antico. E qui siamo costretti a una citazione latina: Graecia capta ferum victorem cepit. Ovvero: “La Grecia, conquistata (dai Romani), conquistò il suo feroce vincitore”. Ecco quindi una lingua imperiale arricchita dall’ etimo di molte parole dell’ Eliade: il latino di Virgilio, Orazio, Cicerone, Catullo, Tibullo e Tito Livio. Nel 476 d.C., di notte, Roma fu conquistata da orde di barbari affamati, e tutto il grande impero, in pochi anni, fu sgretolato da quegli extracomunitari che parlavano una lingua che assomigliava al tedesco di oggi, che ruttavano in maniera devastante e odiavano gli ebrei.
In pochi anni quei ruttatori da competizione furono conquistati dalla cultura imperiale e il latino divenne la loro lingua ma, purtroppo, anche la lingua ufficiale della Chiesa. E così, con il passar dei secoli, in Spagna, in Provenza, nel resto della Francia e in Italia si parlarono le lingue così dette neolatine, o “volgari”: lo spagnolo, il portoghese, il francese, il romeno, l’ italiano e il sardo.
Erano lingue rozze; per farvi un esempio, l’ italiano era esattamente quello che ai nostri giorni parla un certo Di Pietro, un ex giudice che ha fatto carriera in politica.