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Frank tornò immediatamente nella sua stanza e cominciò a fare chiamate dal cellulare, parlando con una decina di persone diverse a Washington. Due ore più tardi la prima chiamata che aveva fatto ebbe risposta. Appoggiò il telefono sulla guancia coperta dalla barba. «Nobilio» disse.

«Dottor Nobilio, per favore attenda in linea per Olympus.»

Frank aspettò circa un minuto, poi la voce che conosceva arrivò. «Frank?»

«Salve, signor presidente.»

«Frank, abbiamo un problema, vero?»

«Sì signore. Temo di sì.»

«Da quando la CNN ha dato la notizia dell'arresto i telefoni hanno squillato all'impazzata. Non c'è un solo paese sulla Terra che sia contento del fatto che la California intende processare uno degli alieni.»

«Immagino, signore» disse Frank. «Non sono un avvocato, ma la California ha la giurisdizione?»

«L'omicidio è una questione federale solo se commesso sui territori federali o contro funzionali federali, oppure se un fuggitivo attraversa il confine» disse il presidente, che era un avvocato. «Nel nostro caso non c'è nessuna di queste condizioni.» Sospirò. «Diversi ambasciatori hanno chiesto perché non insabbiamo questo casino di Calhoun e…»

«No, signore.»

«Prego, Frank?»

«No… ascolti, signore, Clete era mio amico. Lui…» Frank s'interruppe, sorpreso dal sentire la sua stessa voce che si incrinava. «Era un brav'uomo, signore, e un caro amico. Io… io capisco che a livello internazionale si abbia la sensazione che forse facciamo un errore a processare un extraterrestre, ma non dovremmo dimenticare Calhoun. Mai, signore.»

«Lo so» disse a bassa voce il presidente. «E, come i miei collaboratori hanno cercato di spiegare agli ambasciatori stranieri, abbiamo una rigida separazione tra esecutivo e legislativo. Non posso interferire ufficialmente con un processo, ma…»

«Sì, signore?»

«Be', non manca molto al Super Tuesday. Il vicepresidente aveva già accettato di apparire a Primetime Live stanotte, prima che uscisse la notizia; Sam Donaldson lo farà a pezzi. Sembra che tutti stiano lì a chiedere perché Washington non ha saputo prevenire questo casino.»

«Capisco» disse Frank. «Chi manderete qui per occuparsi della cosa?»

«Nessuno, Frank. Sei tu. Tu sei il mio uomo.»

«Io, signore?»

«Mi piacerebbe essere lì a fare da mediano d'apertura con il procuratore generale, ma sarebbe un suicidio per me intromettermi direttamente. Tu sei già lì, fai parte dell'entourage dei Tosok, hai un ruolo legittimo apparentemente slegato dall'omicidio. Dovrai occuparti di coordinare una difesa per Hask, senza essere affatto coinvolto ufficialmente.»

«E per i soldi, signore? Dovrò ingaggiare un avvocato.»

«Questo è un problema. Non possiamo sostenere ufficialmente la difesa in nessun modo.»

Frank sospirò, contemplando l'entità del compito che gli spettava. «Farò del mio meglio, signore.»

«Lo so, Frank.»

Olympus chiuse il collegamento.


Frank andò nella stanza di Kelkad a Valcour Hall. «Capitano,» disse «avremo bisogno di soldi per ingaggiare un avvocato che difenda Hask.»

«Soldi?» disse Kelkad. «Quella roba di carta verde? Sono sicuro che l'ingegner Rendo può duplicare tutto ciò che ci serve a bordo dell'astronave madre.»

Frank si concesse il primo debole sorriso dopo l'omicidio. «No, non potete farlo. Duplicare i soldi è un reato.»

«Oh. Noi non ne abbiamo.»

«Lo so» disse Frank. «Forse conosco un modo…»


Nel corso dei suoi sessantasette anni di vita, Dale Rice si era sentito chiamare uomo di colore, negro, nero, afro-americano. Quando era nato, c'erano ancora alcuni che erano stati chiamati schiavi.

Dale aveva i capelli bianchi e le sopracciglia nere, e delle grosse borse sotto gli occhi catarrosi. Il naso era largo e deforme. Il corpo di oltre centotrenta chili somigliava a una piramide Azteca; sopra, indossava di solito una camicia Armani grigio antracite, e pantaloni tenuti dalle bretelle.

Il suo volto largo e soffice aveva visto un sacco di storia. Dale era nato a Montgomery, Alabama. Era giovane nel 1955, quando Rosa Parks fu arrestata per aver rifiutato di cedere il suo posto sull'autobus a un bianco.

Nel 1961 Dale era diventato un Cavaliere della Libertà e aveva messo alla prova l'ordine della Corte Suprema che vietava la segregazione nelle stazioni degli autobus. Quando l'autobus su cui si trovava entrò ad Anniston, Alabama, uno squadrone di uomini bianchi con bastoni, mattoni, tubi di metallo e coltelli era lì ad aspettare. Il bus venne incendiato, e i passeggeri bianchi e neri che fuggivano vennero selvaggiamente picchiati; fu durante quella battaglia che ruppero il naso a Dale.

Nel 1965 lui e altre duecentocinquantamila persone marciarono su Washington, D.C., e ascoltarono il discorso 'Ho fatto un sogno…' del reverendo Martin Luther King, Jr.

Dale Rice aveva conosciuto King, e anche Malcolm X. Conosceva Jessie Jackson e Louis Farrakhan. C'era chi diceva che era il top degli avvocati per i diritti civili negli Stati Uniti. Lo stesso Dale pensava che probabilmente era vero; pensava anche che fosse molto triste che dopo tutto quel tempo gli Stati Uniti avessero bisogno di avvocati per i diritti civili.

L'apparecchio di comunicazione interna sulla sua scrivania suonò. Premette il pulsante con un dito a salsiccia. «Sì?» disse, con una voce bassa e profonda.

«Dale,» disse una voce di donna «c'è qui un uomo che vuole vederti. Non ha appuntamento, ma…»

«Sì, Karen?»

«Mi ha mostrato un tesserino di identificazione. Lavora per il presidente degli Stati Uniti.»

Le sopracciglia scure si sollevarono verso la nuvola di capelli bianchi. «Mandamelo.»

Un bianco molto magro entrò nella stanza. Aveva gli occhiali con la montatura dorata e un vestito grigio che sembrava meno costoso di quello di Dale. «Mr. Rice,» disse con una voce leggermente nasale «mi chiamo Francis Nobilio. Sono il consulente scientifico del presidente.»

Dale stava seduto e guardava Frank da sopra le mezze lenti degli occhiali da vista. Dale era un uomo di pochi movimenti, e non tese la mano. Indicò una delle poltroncine che erano davanti alla scrivania. Non lo fece con un gesto, ma con un semplice cenno dei suoi occhi vecchi e stanchi. «L'ho vista in TV» disse. «Lei fa parte dell'entourage che vive con quegli alieni.»

«È esatto signore. Ed è per questo che sono qui. Uno dei Tosok è stato arrestato per omicidio.»

Dale annuì. «Ero in tribunale oggi. Ne parlavano tutti. La vittima era un signore della PBS, vero?»

«Sì, Cletus Calhoun.»

«E lei vuole che io difenda il Tosok?»

«Sì.»

«Perché io?»

Frank alzò le spalle, come se fosse ovvio. «Il suo curriculum.»

«Ci sono molti buoni avvocati in questa città.»

«È vero. Ma, ecco…» Fece una pausa, apparentemente incerto su cosa dire. «Guardi, non si tratta esattamente di un caso di diritti civili, ma…»

«Ma io sono un nero.»

Frank distolse lo sguardo. «Appunto.»

«E molti dei miei casi più importanti hanno coinvolto imputati neri.»

«Sì.»

«Compreso un certo numero di neri accusati di aver ucciso dei bianchi.»

Frank si spostò in avanti sulla poltroncina. «Be', sì.»

«Quindi ha pensato che io sia un esperto nella difesa di individui che la corte potrebbe considerare come cittadini di seconda classe.»

«Io non la metterei in questi termini.»

«Ma questo è il punto, non è vero? La sua preoccupazione è che i giurati considerino il Tosok inferiore agli umani.» Dale aveva una voce da James Earl Jones; ogni sillaba che pronunciava era come un giudizio dall'alto.

«Quest'idea ha sfiorato la mia mente, sì.»

Lo sguardo di Dale era risoluto. «Sarebbe venuto da me se il morto fosse stato un nero?»

«Io… non lo so. Non ci ho mai pensato.»

«Cadavere nero, killer alieno — non sarebbe proprio la stessa cosa, eh? Una giuria probabilmente si infuria meno per la morte di un nero.»

«Preferirei pensare che il colore della vittima non faccia differenza.»

Gli occhi di Dale continuarono per qualche secondo a perforare il cranio di Frank. «Ma non è così» disse semplicemente.

«Senta, devo trovare qualcuno che rappresenti Hask entro oggi. Ho chiamato Janet Reno e Janet dice che è lei il migliore che ci sia. Ma se non vuole l'incarico…»

«Non ho detto questo. Voglio solo essere sicuro che sia la cosa giusta per me… e che le sue aspettative siano realistiche. Mi offrono cento cause al giorno; le rifiuto quasi tutte.»

«Lo so. Le hanno chiesto di far parte del Dream Team per il processo a O.J. Simpson.»

«È vero. E ho rifiutato.»

«Perché?»

Dale si fermò un momento a pensare se voleva rispondere a questa domanda. Alla fine disse: «Troppi capi, troppi ego. Io non lavoro in quel modo. Vogliono me, hanno me…e con me uno dei miei associati. Buona parte del motivo per cui il processo Simpson è durato tanto, è che ognuno dei signori che sedevano al tavolo della difesa doveva avere il suo momento di attenzione.»

«Lei sarebbe il difensore principale. Il resto del team risponderebbe a lei.»

Dale si fermò a pensare. «Lei ha citato Simpson, dottor Nobilio. Lasci che le faccia una domanda. Perché è stato dichiarato innocente?»

Frank si mordicchiò il labbro inferiore. Sembrava che stesse cercando di trovare una risposta diplomatica. Alla fine, alzò le spalle. «Abilità degli avvocati.»

«Lei pensa che sia stato lui? Pensa che abbia ucciso Nicole Brown e Ronald Goldman?»

«Be', sì.»

«In quel processo è stata fatta giustizia?»

Frank scosse la testa.

«Lei ha bisogno di un altro avvocato. La mia segretaria le consiglierà alcuni nomi.» Dale sollevò il corpo massiccio dalla poltrona di pelle e questa volta tese una mano nerboruta.

Frank non si alzò. «Non mi mandi via, Mr. Rice. Ho bisogno di lei. Se pensa che la mia opinione sia sbagliata, mi dica perché.»

Dale sapeva che la sua espressione naturale era accigliata; ora fece vedere a Frank com'era quando era veramente accigliato. Ma poi si rimise a sedere, e la sedia scricchiolò sotto il suo peso. «I giurati per Simpson hanno deliberato in quattro ore» disse Dale. «Sa perché? Perché era un caso ovvio.»

Frank inarcò le sopracciglia. «Ovvio!»

«Certamente. Alla giuria è stata fatta una sola domanda: esiste un ragionevole dubbio sulla colpevolezza di O.J. Simpson? E la risposta era semplice: naturalmente sì. Lei e la maggior parte dell'America bianca volevate che la domanda fosse: è stato Simpson? Ma non si chiede mai a una giuria di decidere questo. Quello che si chiede, invece, è se c'è un ragionevole dubbio. E un dubbio c'era, su decine di piani diversi. La prova lampante che Mark Fuhrman avesse giurato il falso sul banco dei testimoni, l'idea che avesse potuto far sparire delle prove, la EDTA nei campioni di sangue di Simpson, la possibilità della contaminazione del DNA, i guanti che non andavano, eccetera, eccetera, eccetera. Ecco un ragionevole dubbio.»

Frank non disse niente.

«Dato che esisteva un ragionevole dubbio, è stato liberato. L'abilità degli avvocati non c'entra niente.»

Frank aveva un tono incerto. «Ah.»

«Johnnie, Lee e gli altri non hanno fatto nessun miracolo per Simpson. Tutto ciò che hanno fatto è stato mettere in evidenza il ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza. Qualsiasi avvocato competente poteva fare la stessa cosa — in quel caso. Ma lei, dottor Nobilio, è in cerca di uno che faccia miracoli?

«Prego?»

«Esiste un ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell'alieno?»

Dale vide la sorpresa sul volto di Frank. «Certo che c'è. Hask non avrebbe mai commesso un omicidio.»

«Come fa a saperlo?»

«Io… be', voglio dire, è un alieno e…»

«L'ho vista a Nightlife un paio di settimane fa» disse Dale. «Ha detto qualcosa sul fatto che se i Tosok sono evidentemente superiori a noi dal punto di vista tecnologico, devono esserlo anche moralmente. Loro hanno affrontato tutti i demoni dell'adolescenza tecnologica e ne sono usciti.»

«Sì, l'ho detto. E non ho cambiato idea.»

«Monty Ajax non lo avrebbe accusato se non avesse pensato di avere una causa eccezionale» disse Dale.

«Io… suppongo di sì» disse Frank. Dalla sua espressione era chiaro che non aveva mai pensato alla possibilità che Hask fosse colpevole.

«Se il suo alieno è colpevole, probabilmente verrà dichiarato tale» disse Dale. «Questa non è la Los Angeles di Perry Mason. In questa città il procuratore distrettuale vince nel novanta per cento dei casi.»

La sorpresa attraversò di nuovo il viso di Nobilio. «Pensavo… pensavo fosse la metà delle volte.»

«Siamo noi a eleggere i procuratori distrettuali, dottore. Lei pensa che gli elettori continuerebbero a votare per qualcuno se di solito non vince? Se accetto questa causa, le sue aspettative devono essere realistiche. Se è stato il suo alieno, e se ha premeditato il crimine, allora sarà probabilmente dichiarato colpevole di omicidio di primo grado.»

«No. Bisogna che sia liberato.»

«Non posso garantirlo. E se è colpevole, se la polizia non ha violato i suoi diritti — cosa da non dare per scontata, mi creda — non c'è motivo per cui dovrebbe essere liberato.»

«Qui c'è in ballo ben di più del sapere semplicemente chi ha ucciso Cletus Calhoun. Questo è il nostro primo contatto con gli alieni, Dio santo. Se qualcosa va storto, le ripercussioni potrebbero andare ben oltre l'immaginabile. Senta, mi ha colto alla sprovvista prima. Non sono venuto da lei perché è un nero. Sonò venuto per la carriera che ha alle spalle. Lei segue casi che implicano sempre questioni più grandi — cause per i diritti civili, contro le leggi ingiuste. È per questo che sono qui. È per questo che voglio lei.»

Dale ci pensò su. Mantenne un'espressione impassibile; l'unico rumore nella stanza era il leggero soffio del suo respiro. «Naturalmente la mia razza non dovrebbe essere un fattore… e ammettiamo che non lo sia. Ma una realtà rivolta a gente di tutte le razze deve ancora realizzarsi. Lei è un uomo abbastanza giovane, dottor Nobilio, ma io ho quasi settant'anni. Ho una casetta in Georgia dove intendo ritirarmi. Questa causa potrebbe essere estremamente complessa e lunga.»

«Non posso negarlo» disse Frank. «E non posso dire che lei abbia bisogno di questa causa come coronamento; lei sarà ricordato per una decina di grandi processi.»

La voce di Dale fu secca. «Solo una decina?» Rimase per un po' in silenzio, poi aggiunse: «Richiedo un anticipo di cinquantamila dollari. Il mio onorario è di cinquecento dollari per ogni ora del mio tempo, più duecento dollari l'ora per i miei associati, più le spese.»

«Ah, questo è il problema?»

«Credeva che avrei lavorato gratis

«No, no. Lei merita di essere pagato, lo capisco. Ma i Tosok non hanno soldi, e naturalmente il mio ufficio non può essere coinvolto.»

«Che cosa propone?»

«Ovviamente la tecnologia Tosok verrà introdotta nella società terrestre; il capitano Kelkad ha accettato di concedere la licenza per la tecnologia a bordo della nave, e di pagare per i suoi servizi un onorario pari a un quarto dell'uno per cento di tutte le entrate che deriveranno dalla cessione della licenza per la tecnologia.»

«In perpetuo?» disse Rice. «E indipendentemente dall'esito della causa?»

«In perpetuo» accettò Frank. «Sia che perda, sia che vinca.» Sorrise. «Prima di rendersene conto, potrebbe ritrovarsi più ricco di Bill Gates.»

«Non bramo il denaro, dottor Nobilio, ma…»

«Ma pensi a tutto il bene che potrebbe fare.»

Dale annuì. «Va bene.»

«Accetta l'incarico?»

«Sì.»

«Grazie. Grazie. Quando può vedere Hask?»

«Dov'è? Al Parker Center?»

Frank annuì.

«Dirò a Karen di cancellare i miei impegni per il pomeriggio.» Si alzò di nuovo, lentamente, pesantemente. «Andiamo.»

Frank si alzò. «Dovremo vedere il suo alibi, naturalmente.»

Dale si era spostato da dietro la sua grande scrivania di quercia. Piazzò una gigantesca mano sul braccio di Frank. «Niente 'noi', figliolo.»

Frank batté gli occhi. «Prego?»

«Lei non è un avvocato. Non può essere con Hask quando parlerò con lui.»

«Cosa? Perché?»

«Perché le conversazioni tra me e lui sono confidenziali — ma solo se sono in privato. Se non lo sono, allora chiunque partecipi — lei, ma anche lui o io — è sotto mandato di comparizione.»

«Ma io voglio essere presente. Diavolo, il presidente vuole che lo sia.»

«Capisco… ma non può.»

«Non potrebbe — non so — farmi una delega? Qualcosa del genere?»

«Farla diventare agente, intende dire. No, non posso farlo — dopo tutto ci sono buone probabilità che venga chiamato a deporre come testimone da una delle parti.» Dale cominciò a muoversi verso le porte di mogano del suo ufficio.

«Mi spiace, figliolo, ma ora mi ha ingaggiato e deve fidarsi di me.»

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