26

«La prossima questione di cui dobbiamo occuparci» disse Dale Rice, appoggiato alla spalliera della sua poltrona di pelle, «sono le parti mancanti del corpo.»

C'era qualcosa di diverso dal solito nell'ufficio di Dale. Frank ci mise qualche istante a capire cosa fosse. La sua poltrona era sulla sinistra, mentre quella per i Tosok era a destra; dovevano averle spostate per pulire con l'aspirapolvere il lussuoso tappeto marrone. E in effetti, nella luce del tardo pomeriggio, i segni dell'aspirapolvere erano chiaramente visibili.

Sul tavolo dall'altra parte della stanza c'era l'ultimo puzzle di Dale con i buchi dei pezzi mancanti.

«Mi piacerebbe avere un'idea del perché siano state prese quelle parti» disse Frank.

Dale annuì. Aveva messo delle persone nella lista dei testimoni in merito alte questione, ma non aveva ancora deciso se le avrebbe chiamate tutte a deporre. «La domanda che abbiamo fatto alla nostra giuria ombra è questa» disse. «'Data l'insolita scelta delle parti del corpo mancanti — un occhio, la gola, e l'appendice — siete più propensi a credere che nel delitto sia implicato un alieno?' La risposta, naturalmente, è sì.»

«Allora facciamo bene a parlare della questione delle parti mancanti?» chiese Frank.

«Be', puoi stare sicuro che Linda batterà su quel tasto nella sua arringa conclusiva, perciò…»

Frank rimase in silenzio un istante, a pensare. Improvvisamente si alzò dalla poltrona. «E il caso Simpson?» disse. «Il DNA nel processo Simpson.»

«Che cosa?» disse Dale.

«Be', tu hai detto che la giuria penale ha semplicemente ignorato tutta la questione. Da una parte c'era Robin Cotton che presentava la visione dell'Accusa in merito alla prova del DNA, dall'altra gli esperti della Difesa che presentavano la loro. Hai detto che la giuria ha fondamentalmente alzato le mani dicendo che, diamine, se quegli esperti non riuscivano a capire la verità, non potevano certo farlo loro. E quindi hanno finito con l'ignorare tutta quella serie di prove.»

Dale allargò le braccia, assecondando il profano. «Però Linda non ha presentato niente cui possiamo controbattere, durante il dibattimento dell'Accusa.»

«È vero» disse Frank «ma se fossimo noi a presentare dei testi in conflitto sulla questione? Se facessimo deporre due persone che diano delle interpretazioni reciprocamente contraddittorie, la giuria potrebbe ignorare la prova. Dopo tutto, un umano avrebbe potuto usare lo strumento da taglio dei Tosok; le parti mancanti sono la cosa che indica più di tutto un esecutore alieno — e fare in modo che la giuria le ignori è quanto di meglio possiamo fare.»

Dale aprì la bocca per dire qualcosa, la richiuse, e poi rimase lì seduto, con un'aria accigliata e pensosa.


Il giorno dopo, nell'aula al nono piano del giudice Pringle, Dale Rice si avvicinò al leggio. «La Difesa chiama il dottor James Wills.»

Wills, un bianco sui cinquanta con i capelli castani, era seduto in terza fila e faceva le parole crociate sul New York Times con una stilografica d'argento antica. Rimise il cappuccio alla penna, si alzò e andò a giurare. «James MacDonald Wills» disse. «James scritto normalmente, anche se di solito mi chiamano Jamie, M-A-C-maiuscola-D-O-N-A-L-D, e Wills, W-I-L-L-S.»

Dale si soffermò sulle credenziali di Wills, era un professore di anatomia all'Università di Irvine. Era alto un metro e settanta e pesava sui settanta chili. Frank notò che non portava l'orologio, ma era decisamente ben vestito per essere un professore.

«Dottor Wills,» disse Dale «l'Accusa ha speso parecchio tempo sulle parti mancanti — le parti apparentemente rimosse dal corpo del dottor Calhoun da chi lo ha ucciso. Potrebbe cominciare col dire alla giuria quali sono le caratteristiche significative della gola umana e della mascella inferiore?»

«Certamente» disse Wills, che aveva una piacevole voce profonda. «La forma della cavità composta dalla mascella inferiore e dalla gola è ciò che ci permette di produrre la complessa gamma di suoni di cui siamo capaci. In altre parole, rende possibile il linguaggio umano.»

«La forma della gola è significativa per qualcos'altro?»

«Be', il pomo d'Adamo è una caratteristica sessuale secondaria negli umani; è molto più prominente nei maschi adulti.»

«Nient'altro?»

«Non so bene cosa intende.»

Dale era compiaciuto della prestazione di Wills; anche la Difesa era brava a fare il gioco del 'guardate, noi non facciamo le prove di testimonianza esperta'. «Bene,» disse Dale «prendiamo la gola di uno scimpanzé e quella di un umano. Che differenza c'è?»

Wills si aggiustò gli occhiali con la montatura di metallo. «L'angolo formato dal tratto tra le labbra e la faringe è piuttosto diverso. Negli umani è un angolo retto; in una scimmia è una curva morbida.»

«E questo causa dei problemi?»

«Non per la scimmia» disse Wills con un sorriso, invitando tutti nell'aula a ridere della sua battuta.

«Che cosa intende?»

«Negli umani c'è uno spazio sopra la laringe in cui il cibo può incastrarsi. Mentre mangiamo noi possiamo morire soffocati, mentre una scimmia no.»

«Grazie, dottor Wills. Ora, cosa ci dice dell'appendice? Ne abbiamo tutti sentito parlare, ma ci può dire qualcosa in più?»

«Certo. L'appendice è un tubo vuoto di tessuto linfoide lungo dai due ai venti centimetri, circa dello stesso spessore di una matita. In altre parole, sembra un verme — è per questo che la chiamiamo processo vermiforme, a forma di verme — appunto. Un'estremità di questo verme è attaccata al cieco, che è la parte iniziale dell'intestino crasso. L'altra estremità è chiusa.»

«E che cosa fa l'appendice?»

Wills strizzò i suoi occhi azzurri. «L'opinione comune è che non faccia nulla; è solo un organo rudimentale. I primati nostri progenitori erano erbivori, e nella sua forma originaria l'appendice aveva probabilmente qualche utilità nel facilitare la digestione — gli erbivori attuali hanno un intestino cieco esteso che somiglia a una versione allungata della nostra appendice. Ma per noi l'appendice fa poco, se non niente.»

«Ed esistono pericoli associati all'appendice?»

«Oh, sì. È soggetta a infezione e infiammazione. Circa una persona su quindici nel corso della sua vita ha un'appendicite.»

«È una condizione minore, vero?»

«No. È un problema serio, acuto e potenzialmente fatale. Di solito l'appendice deve essere rimossa chirurgicamente.»

«Grazie professore. A lei il teste, avvocato Ziegler.»

Ziegler si consultò brevemente con Trina Diamond e poi scrollò le spalle. «Nessuna domanda.»

«Va bene» disse il giudice Pringle. «Data l'ora tarda, ci aggiorniamo a domani mattina alle dieci.» Guardò la giuria. «Vi prego di ricordare le mie ammonizioni. Non discutete il caso tra di voi, non formatevi alcuna opinione, non prendete alcuna decisione, e non permettete a nessuno di comunicare con voi in merito al processo.» Batté il martelletto. «La Corte si ritira.»


Hask passava ancora le notti nella sua stanza alla Valcour Hall. Come sempre Frank lo riaccompagnava a casa, insieme a quattro poliziotti della Polizia di Los Angeles — due in macchina con loro e altri due in una seconda auto. L'unico problema con la Valcour Hall era che anche se l'edificio era stato completato, il parcheggio adiacente non era ancora pronto; così la macchina della polizia doveva far scendere Hask a circa due metri dal residence. Tutt'intorno erano stati piantati dei picchetti di legno nell'erba, con un nastro adesivo giallo che andava da uno all'altro su cui era scritto 'Polizia — non oltrepassare'. Però, ogni giorno dopo l'udienza, centinaia di studenti, impiegati universitari e altri cittadini aspettavano dietro la linea per vedere Hask. Frank e Hask scesero insieme dall'auto della polizia. Come al solito, Frank aveva dei problemi a stare dietro al Tosok, che faceva dei passi molto più lunghi dei suoi. Erano solo le quattro e quaranta del pomeriggio. Il Sole era ancora alto nel cielo limpido.

All'orecchio di Frank i due suoni sembrarono simultanei, ma naturalmente uno di essi doveva aver preceduto l'altro. Il primo suono fu uno schiocco così forte da far male agli orecchi, come un tuono, un osso che si rompeva, o un lago ghiacciato che si frantumava sotto il peso di un uomo incastrato. Riecheggiò sulle pareti di vetro e pietra, risuonando per diversi secondi.

Il secondo suono era acuto e trillante, qualcosa che Frank non aveva mai sentito prima. Era in parte il suono di un vetro infranto, in parte quello delle ruote di un treno in frenata sui binari di metallo, e in parte il gemito di cento telefoni lasciati troppo a lungo staccati.

Frank aveva pensato — sperato — che il primo suono fosse lo scoppio di un motore di una macchina, ma non lo era. In una confusione di movimenti, due dei quattro poliziotti si lanciarono avanti, correndo verso la folla che era dietro la striscia gialla. Misero a terra un uomo quasi immediatamente. Frank si guardò il torace e vide uno schizzo rosa a ragnatela sulla giacca, la camicia e la cravatta.

E a quel punto realizzò cos'era stato il secondo suono.

Hask era ancora in piedi, ma mentre Frank lo guardava si accasciò a terra come al rallentatore; ognuna delle gambe si piegò prima alla giuntura inferiore, poi a quella superiore. Il tronco cadde all'indietro, e l'urlo dell'alieno si spense mentre il quadrato della bocca si rimpiccioliva finché non rimase niente se non la fessura orizzontale che segnava l'apertura esterna. Continuò a cadere, con il braccio posteriore che si stendeva dietro di lui. Frank si buttò avanti, cercando di prenderlo, ma il collasso del Tosok si concluse prima che l'umano lo raggiungesse.

L'assalitore, un bianco sulla trentina, era inchiodato a terra. Gridava: «È morto il demonio? È morto il demonio?»

Il buco del proiettile nella tunica di Hask era evidente, circondato dal rosa del sangue Tosok. Meno evidente, però, era cosa bisognasse fare. Gli spettatori ormai stavano ignorando il nastro della polizia, ed erano corsi intorno all'alieno, affollandosi a cerchio vicino a lui. Frank mise un orecchio vicino a uno degli orifizi da cui Hask respirava. Usciva aria, la sentiva sulla guancia. Ma non aveva idea di dove sentire le pulsazioni. Dalla ferita non era uscito molto sangue — forse un segno che i quattro cuori dell'essere avevano smesso di pompare.

Frank alzò lo sguardo, per dire a qualcuno di chiamare un'ambulanza, ma uno dei poliziotti lo stava già facendo dalla radio dell'auto. Frank prese il suo cellulare dalla tasca della giacca. Premette i tasti di selezione veloce e fece il numero del telefonino che era stato dato al capitano Kelkad, poi — senza aspettare che lui rispondesse — passò il telefono all'altra poliziotta. Frank si piegò di nuovo su Hask. «Hask» disse. «Hask, mi senti?»

Non ci fu nessuna risposta. Frank si allentò la cravatta, se la sfilò dalla testa e la usò appallottolata come benda di compressione sulla ferita. Non aveva idea se fosse la cosa giusta da fare, considerato quanto poco sapeva della fisiologia Tosok, ma…

«Frank» disse la poliziotta. «Ho Kelkad al telefono.» Gli passò il cellulare. Lo prese con la mano sinistra, mentre con la destra continuava a premere la cravatta appallottolata.

«Kelkad, che devo fare?» disse Frank. «Hanno sparato ad Hask.»

Kelkad e gli altri Tosok erano in macchine separate, e stavano tornando dal Tribunale Penale. La linea era disturbata. Ci fu una lunga pausa, poi una raffica di parole indistinte in lingua Tosok — ma non era la voce di Kelkad — poi ancora qualcos'altro in Tosok; questa volta era Kelkad. E poi la voce del traduttore. «Descrivi la ferita, e il modo in cui è stata fatta.» Frank realizzò che Kelkad doveva passare continuamente il telefono dal traduttore all'orecchio.

Frank sollevò la mano dal bendaggio. Sebbene la cravatta fosse coperta di sangue Tosok — che si stava cristallizzando come un sottile strato di ghiaccio, invece di coagulare come il sangue umano — il volume totale dell'emorragia sembrava minimo. «È stato colpito da un proiettile di metallo — presumibilmente di piombo. È disteso sulla schiena, respira ancora, ma sembra svenuto. Il proiettile è entrato tra il braccio frontale e la gamba sinistra, circa venti centimetri sotto l'orifizio di respirazione. Non so come si sia mosso dentro il corpo. Stavo facendo pressione sulla ferita, ma sembra che abbia smesso di sanguinare, e il sangue si sta cristallizzando.»

Si sentì un suono da Kelkad, e dei rumori dal traduttore — più i rumori del traffico e una sirena. La macchina su cui si trovava Kelkad si stava precipitando sul posto.

«Probabilmente non gli farai del male se lo giri» disse Kelkad. «Il proiettile ha attraversato il corpo?»

Frank passò il telefono alla poliziotta e afferrò la parte superiore della gamba sinistra di Hask con tutte e due le mani, sentendo lo strano scheletro alieno sotto la pelle, e poi girandolo di novanta gradi. Esaminò il retro della tunica di Hask, ma non trovò alcun foro d'uscita. Guardò la poliziotta. «Gli dica che non ci sono segni di uscita del proiettile.»

Lo fece, e poi rimase un momento ad ascoltare. «Kelkad chiede di confermare che il numero atomico del piombo è ottantadue.»

«Cosa?» disse Frank. «Cristo, non ne ho idea.»

«Dice che il piombo è altamente tossico per i Tosok. Dice che il proiettile dovrà essere rimosso entro un'ora.»

«Dov'è quella dannata ambulanza?» disse Frank.

«Sta arrivando» disse l'altro poliziotto, che li aveva raggiunti. Indicò in lontananza. Si stava avvicinando un furgone bianco con sopra la sirena.

Frank si alzò in piedi. Uno degli altri poliziotti gli si avvicinò. «L'assalitore si chiama Donald Jensen, secondo i documenti. Ho fatto controllare; ha qualche precedente — soprattutto per disturbo della quiete pubblica.»

Frank guardò l'uomo, che ora era in piedi ammanettato, con le mani dietro la schiena. Aveva i lineamenti marcati, i capelli corti e biondi, e indossava una giacca con le toppe sui gomiti. Il lato sinistro del viso si era malamente graffiato quando i poliziotti lo avevano costretto a terra. Aveva dei grandi occhi blu. «Morte a tutti i demoni!» gridò.

L'ambulanza frenò, e ne scesero due uomini robusti. Aprirono immediatamente le porte posteriori e portarono una barella fino ad Hask.

Appena dietro l'ambulanza arrivarono le macchine che portavano gli altri Tosok. Gli sportelli si spalancarono, e i sei alieni arrivarono di corsa, con dei passi giganti. A seguirli, molto indietro, c'erano i poliziotti che dovevano far loro da scorta.

Frank sembrava aspettarsi un linciaggio. «Portatelo via di qui» ordinò ai poliziotti indicando l'uomo biondo. «Portatelo subito via.»

I poliziotti annuirono e spinsero l'assalitore in una macchina. Nel frattempo i due portantini avevano messo l'alieno sulla barella e lo stavano sollevando da terra.

Arrivarono i Tosok. La respirazione attraverso gli orifizi sembrava affannata, e allontanarono tutti le braccia dal corpo, forse per far disperdere il calore. Kelkad e Stant si avvicinarono immediatamente ad Hask e iniziarono a guardare la ferita. Parlarono tra di loro, poi il traduttore di Stant disse: «Non c'è tempo sufficiente per portarlo sull'astronave. I vostri germi non sono un problema per noi, perciò non abbiamo bisogno di un posto particolarmente sterile per lavorare. Ma avremo bisogno di strumenti chirurgici.»

«Lo stiamo portando al Centro medico universitario della Contea di Los Angeles» disse uno degli infermieri. «È un grande ospedale; lì avranno tutto quello che vi serve.»

«Vengo con voi» disse Frank.

Sistemarono il corpo dell'alieno nel retro dell'ambulanza, dove entrarono anche Kelkad e uno degli infermieri. L'altro andò al volante e Frank vicino a lui, nel posto del passeggero. L'ambulanza partì, scortata da una macchina della polizia che portava anche Stant.

«Frank» disse la voce di Kelkad, dal retro dell'ambulanza. Frank si voltò indietro. «Chi è il responsabile, Frank?»

«Lo abbiamo preso» disse Frank. «Mi è sembrato un fanatico religioso. Non preoccuparti, Kelkad. Pagherà per i suoi crimini.»

«Sparare a uno dei nostri potrebbe essere interpretato come un atto di guerra» disse Kelkad.

«Lo so, lo so. Credimi, avrete tutte le scuse possibili, e ti prometto che l'uomo verrà punito.»

«Un fanatico, hai detto?»

«Chiamava Hask demonio — un diavolo, una creatura soprannaturale.»

«Allora il suo avvocato tenterà la difesa dell'infermità mentale.»

I freni dell'ambulanza gracchiarono quando l'autista fece una curva stretta. Frank alzò le spalle. «È possibile.»

«Fate in modo che la mia fiducia in questa cosa che voi chiamate giustizia non sia tradita.»

Proseguirono verso l'ospedale, a sirene spiegate.

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