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Il detective Jesus Perez uscì dall'ascensore al sesto piano della Valcour Hall, accompagnato da cinque poliziotti in divisa. Sei Tosok — Kelkad, Rendo, Torbat, Dodnaskak, Stant e Ged — erano seduti nella hall, e guardavano un film in videocassetta.

«Chi di voi è Kelkad?» disse Perez.

Il capitano alieno toccò un comando sul suo traduttore. «Io sono Kelkad.»

«Kelkad,» disse Perez «lei è in arresto.»

Il ciuffo di Kelkad si mosse indicando disgusto mentre si alzava in piedi. «Ecco la giustizia umana! Il vostro processo contro Hask sta fallendo e volete processare me?»

«Ha il diritto di rimanere in silenzio» disse Perez, leggendo da una carta. «Se rinuncia al diritto di non parlare, ciò che dirà potrà essere usato contro di lei in tribunale. Se vuole un avvocato e non può permetterselo, ne verrà nominato uno d'ufficio. Capisce i diritti che le ho letto?»

«Questo è un oltraggio!» disse Kelkad.

«Capisce i diritti?»

«Sì, ma…»

«Bene. Chi di voi è Rendo?»

«Sono io»

«Rendo, la dichiaro in arresto. Ha il diritto…»

«Che cosa sta facendo?» chiese Kelkad. «Vuole arrestarci tutti

«Esatto» disse Perez.

«Ma è una follia» disse Kelkad. «Mi sono informato sulle vostre leggi. Non potete arrestare diversi sospetti contemporaneamente per un crimine che ha chiaramente un solo esecutore. Nessuno di noi è coinvolto nell'omicidio del dottor Calhoun.»

«Chi ha parlato del dottor Calhoun?» disse Perez. «Siete accusati di complotto per commettere un omicidio.»

«L'omicidio di chi?» domandò Kelkad.

«Di tutti» disse Perez.

«È assurdo! Siamo vostri ospiti. Non abbiamo fatto niente di male.»

«Il vostro piano, una volta riparato il motore della vostra nave, è di usare un'arma chimica sulla Terra.»

Kelkad rimase in silenzio per un istante. «Come vi è venuta un'idea del genere?»

«Avrete modo di affrontare il vostro accusatore durante il processo.»

«Ma chi può…» Kelkad batté la mano anteriore e quella posteriore. «Hask! Ve lo ha detto Hask. Che sistema di giustizia è questo? Hask è accusato di omicidio — direbbe qualsiasi cosa per distogliere l'attenzione da se stesso.»

«Fino a oggi, lei ha pubblicamente affermato che Hask era innocente.»

«Innocente? No, è chiaramente un assassino. Chiaramente malato di mente. Ha sentito anche lei la deposizione — secondo i vostri standard è uno squilibrato. E le dico che lo è anche secondo i nostri.»

«Hask è l'unico Tosok rispettabile che io abbia incontrato.» Perez fece una pausa. «Be', uno degli unici due rispettabili.»

Kelkad ruotò il corpo guardando a turno ognuno dei suoi compagni. «Quindi uno di voi è in combutta con Hask?» disse.

«Oh, non è uno di loro, Kelkad» disse Perez. «Michaelson, hai il video?»

«Sì, è qui, signore.»

«Mostralo.»

Michaelson andò verso il videoregistratore, tirò fuori la cassetta che i Tosok stavano vedendo — Star Trek II: L'ira di Khan — e inserì il nastro che aveva con sé.

«Questo è stato registrato circa un'ora fa» disse Michaelson, premendo il tasto 'play'.

Ci volle un secondo perché l'immagine si stabilizzasse. Mostrava l'interno della nave Tosok, chiaramente filmate da una videocamera montata sul corpo di uno di loro; di tanto in tanto entrava in campo una mano o parte di un piede a U. Il Tosok fluttuava lungo il corridoio dell'astronave, con dei grandi dischi luminosi gialli — che simulavano la luce solare di Alfa Centauri A — alternati a dischi più piccoli arancioni, che simulavano invece i raggi di Alfa Centauri B.

Il corridoio finiva su una porta quadrata, che si apriva. Kelkad, che era in piedi vicino a Perez, fece un suono che non venne tradotto. Ma Perez capì che era scioccato nel vedere quale porta si stesse aprendo.

Mentre il Tosok si spingeva con i piedi tra soffitto e pareti, l'immagine ballava. La voce narrante del video era quella del traduttore; era quasi impossibile sentire la vera voce Tosok al di sotto. «Bene,» diceva «mi trovo davanti all'unità di controllo principale dell'arma. Datemi un momento…» Nell'immagine comparivano le mani, che tiravano via un pannello da una delle tastiere della strumentazione. «Eccolo lì» disse la voce. «Vedete quel blocco rosso al centro? Quello è il circuito controllato dal trasmettitore di Kelkad.» L'immagine traballò ancora, e il blocco rosso uscì dall'inquadratura mentre il Tosok si rimetteva in posizione. «È collegato a tre linee.»

Una voce umana femminile da una radio: «Proprio come pensavo. Niente di complicato — ovviamente chi lo ha progettato ha dato per scontato che nessuno avrebbe mai tentato di disattivare il congegno a distanza di Kelkad da quella postazione. Ora usi il voltometro che le ho dato…»

La voce umana e il Tosok si consultarono per una decina di minuti. Alla fine la voce umana disse: «Okay, tagli il filo blu.»

Il Tosok esitò. «Naturalmente» disse la voce tradotta «c'è una piccola possibilità che staccando la linea io faccia partire l'arma. Suppongo sia opportuno dire le ultime parole, in caso dovesse accadere.» Una pausa. «Che ve ne pare di 'Puoi scegliere i tuoi amici, ma non i tuoi vicini'?»

Nelle immagini riapparvero le mani. Questa volta il Tosok impugnava dei piccoli strumenti e l'inquadratura tornò sulla scatola rossa. «Eccoci qui…» Uno degli strumenti tagliò quello che sembrava un cavo a fibre ottiche che arrivava alla scatola.

«L'arma non ha scaricato il colpo» disse la voce Tosok.

«Ora il comando a distanza dovrebbe essere disattivato» disse la voce umana.

Nella hall del sesto piano, Torbat disse: «Hask morirà per il suo tradimento.»

Come se ci fosse un copione, la voce registrata aggiunse: «Come direste voi umani, questa va sui libri di storia. Quindi credo che dovrei farmi una bella inquadratura.» L'immagine si oscurò e la mano afferrò la videocamera. Si sentì lo scatto dell'apparecchio che si staccava dalla tuta. L'immagine ruotò velocemente e mostrò il Tosok…

«Seltar!» disse Kelkad. Il suono della parola non tradotta era leggermente diverso. «Kestadt pastalk getongk!»

«Se significa 'pensavo che fossi morta!'» disse Perez di gusto «allora c'è un'altra cosa in arrivo.»

«Questo dovrebbe bastare» disse Seltar, sul video. «Potete procedere con l'arresto degli altri.»

Michaelson spense il videoregistratore. L'immagine tornò sui programmi televisivi, con La ruota della fortuna.

«Ora,» disse Perez «chi di voi è Dodnaskak?»

Una mano anteriore si alzò docilmente.

«Dodnaskak, lei ha il diritto di rimanere…»

«Dov'è Hask?» disse Kelkad.

«Non si preoccupi di questo» disse Perez.

«È qui, vero?»

«Non ha importanza» disse Perez. «Le consiglio di non dire nulla fino a quando non avrà consultato un avvocato.»

«È qui» disse Kelkad. Gli orifizi da cui respirava si dilatarono. «Sento il suo odore.»

«Rimanga dov'è, Kelkad.» Perez fece un cenno a uno degli agenti, che mise la mano sulla fondina.

«Non mi minacciare, umano.»

«Non posso permetterle di andarsene» disse Perez.

«Abbiamo sopportato abbastanza la vostra stupidità primitiva» disse Kelkad. Iniziò a camminare all'indietro, con gli occhi frontali fissi su Perez.

«Fermo Kelkad!» gridò Perez. Michaelson tirò fuori la pistola. Un istante dopo gli altri quattro agenti fecero lo stesso. «Fermo o spariamo!»

«Non ucciderete un ambasciatore» disse Kelkad, che con i suoi lunghi passi era praticamente arrivato all'ascensore.

«Abbiamo la facoltà di usare la forza con quelli che resistono all'arresto» disse Perez.

Michaelson aveva Kelkad sotto tiro, gli altri quattro avevano puntato sui cinque Tosok, che stavano perfettamente immobili, tranne i ciuffi — che si muovevano come spighe di grano agitate dal vento.

«So che Hask è in questo edificio» disse Kelkad «e dovrà rispondermi di tutto ciò.»

«Non faccia un altro passo» disse Perez.

Michaelson spostò leggermente la mira, sui pulsanti per chiamare l'ascensore. Sparò un solo colpo. Il rumore fu forte, e la pistola fece una piccola fiammata. I pulsanti dell'ascensore esplosero in una pioggia di scintille.

«Lei è il prossimo» disse Michaelson, puntando di nuovo la pistola su Kelkad.

«Molto bene» disse Kelkad. Si fermò, e iniziò a sollevare la mano anteriore verso il soffitto. Anche quella posteriore, nascosta dal corpo, doveva essersi alzata, perché appena la mano ripassò sulla testa a cupola, Perez si accorse che le quattro dita stringevano un oggetto bianco e lucido.

Nel palmo di Kelkad si vide un lampo di luce, e si udì un suono forte, come di un foglio di metallo che si piegava. Michaelson venne scaraventato contro il muro. Perez si girò. Un buco netto, forse di tre centimetri, in mezzo al torace dell'uomo. Il cadavere stava scivolando sul pavimento, lasciando una lunga scia di sangue sul muro dietro di sé.

Quattro lampi veloci, quattro suoni di alluminio, e gli altri quattro agenti erano morti. «Non mi costringa a uccidere anche lei, detective Perez» disse Kelkad. «Pensava che dopo l'attentato ad Hask me ne sarei andato in giro disarmato?»

Perez si abbassò immediatamente a raccogliere la pistola di Miachaelson, che era ormai sul pavimento. Il tempo di prenderla e Kelkad era già sparito giù per l'ala destra dell'edificio. Perez scivolò di lato, tenendo l'arma puntata sui cinque Tosok, che sembravano disarmati. Prese la pistola di un altro agente. Un'altra arma però era finita vicino a uno dei Tosok. Perez non poteva raggiungerla senza esporsi a un assalto fisico e non poteva rincorrere Kelkad senza che gli altri Tosok prendessero quella e gli altri due revolver. Perez infilò una delle pistole nella cinta dei pantaloni e, tenendo l'altra puntata sui Tosok, afferrò il cellulare con la sinistra per chiamare rinforzi.


Hask era nella sua stanza al secondo piano della Valcour Hall, e stava portando via i suoi effetti personali. Con gli altri Tosok in prigione, non aveva molto senso che lui continuasse a vivere in quel residence gigante, che oltre tutto serviva alla USC per altri scopi.

Era abbastanza brutto essere un traditore del proprio popolo e sapere che non avrebbe mai rivisto la propria casa, ma almeno i suoi pochi oggetti lo avrebbero aiutato a ricordare il passato. Prese il disco lostartd che aveva decorato la sua stanza. La crepa al centro, dove le due metà erano state incollate, era visibile solo tenendolo inclinato alla luce. Preparò con cura la valigia che Frank gli aveva dato, avvolgendola in due delle sue tuniche per proteggerla.

All'improvviso sentì uno sparo. Veniva dal piano di sopra. I suoi quattro cuori presero a martellargli in modo asincrono — il rumore gli ricordava il colpo che lo aveva ferito sul prato davanti all'edificio. Qualche istante dopo sentì cinque scariche di un'arma da fuoco Tosok. Dio — uno di loro doveva aver portato con sé un'arma! Hask non aveva pensato che potessero esserci armi a bordo; dopo tutto, non si prevedeva alcun contatto diretto con gli alieni.

Collegò gli spari ai fatti. Gli altri Tosok stavano opponendo resistenza all'arresto. Il suo udito sensibile percepì un altro suono, lontano — l'eco di passi Tosok sul cemento. Uno degli altri stava venendo giù per le scale.

Gli spari dell'arma Tosok erano stati cinque — presumibilmente ora c'erano cinque umani morti. E il Tosok armato stava venendo a prendere lui.

Valcour Hall era grande. Se Kelkad — chi se non il capitano poteva avere un'arma? — era al sesto piano, doveva scenderne quattro. Il suono veniva chiaramente dalle scale in fondo all'altra ala dell'edificio; questo significava che doveva anche percorrere l'intero piano per raggiungere la stanza di Hask.

Pensò a una via di fuga, rompendo il vetro della finestra e saltando giù. La gravità sulla Terra era minore di quella del suo mondo; era un bel volo, ma probabilmente poteva sopravvivere. Poi avrebbe dovuto tentare di fuggire attraversando il campus. Ma l'arma aveva una gittata di diverse centinaia di chilometri — Kelkad non avrebbe avuto difficoltà a prenderlo. No, no. Doveva rimanere lì.

Ora Hask conosceva le leggi umane: stava per essere attaccato con un'arma ad altissima potenza, e credeva onestamente che la sua vita fosse in pericolo. Quindi era autorizzato a rispondere con forza micidiale.

Se solo avesse avuto un'arma…


Il capitano Kelkad percorse una rampa di scale dopo l'altra. Fu diverse volte sul punto di perdere l'equilibrio; gli scalini umani erano troppo corti per lui, e il corrimano era inutilizzabile. Ma continuò a scendere fino a quando raggiunse il secondo piano. Con la mano spinse la maniglia a sbarra che teneva chiusa la porta. Fece un passo indietro, rimanendo protetto dalla porta. Si guardò intorno: nessun segno di Hask, né di altri. Si fermò un attimo. Gli orifizi per la respirazione si contraevano per gli spasmi, inghiottendo aria e odori. Sentiva i feromoni di Hask. Doveva essere nella sua stanza, dall'altra parte del piano.

Il posto giusto per la morte di un traditore.


C'era voluto un minuto per prepararsi, ma ora Hask era pronto. Sentiva il passo deciso di Kelkad che veniva giù per il corridoio perpendicolare. Hask guardò fuori della porta. A dieci metri di distanza c'era una delle porte di vetro e metallo che normalmente servivano ad attutire i rumori; quando la Valcour Hall si sarebbe riempita di studenti, sarebbe stata utile qualsiasi cosa in grado di isolare i suoni. La porta era rimasta quasi sempre aperta, nel periodo in cui i Tosok avevano utilizzato la struttura; sotto c'era un fermo di legno a tenerla.

Sicuramente Kelkad sapeva che Hask non era armato; a giudicare dal suono, stava arrivando a tutta velocità. Ma Hask conosceva bene il suo capitano: non avrebbe fatto fuoco subito. Prima avrebbe voluto confrontarsi con Hask, accusandolo di essere un traditore…

Improvvisamente nella hall tra le due ali dell'edificio comparve Kelkad. Hask si schiacciò contro la parete della sua stanza, tenendo solo la testa fuori, per guardare. Quando cambiava direzione Kelkad perdeva velocità ma ben presto arrivò nel corridoio, sapendo che non aveva molto tempo e che altri agenti di polizia stavano sicuramente precipitandosi al campus.

«Hask» gridò Kelkad. Uno dei vantaggi di avere canali separati per le bocche e l'apparato respiratorio era che poteva parlare pur essendo senza fiato. «Distalb! Traditore! Sei un…»

Aprì la porta in mezzo alla hall, e all'improvviso smise di parlare.

L'impeto di Kelkad — tutta quella rabbia, la velocità, e la massa — lo portò dall'altro lato della porta.

Proseguì per un metro circa oltre la soglia e poi iniziò a barcollare…

… Iniziò a cadere a pezzi da tutte le parti, come un blocco di costruzioni fatto da un bambino…

… Cubi di carne ossa e muscoli, coperti di sangue rosa, cadevano a terra — alcuni addirittura rimbalzavano…

Hask uscì dalla sua stanza e andò verso i pezzi che prima erano stati il suo capitano. Alcune parti pulsavano, ma la maggior parte giaceva completamente immobile.

Naturalmente non c'era molto sangue; le valvole delle arterie e delle vene funzionavano ancora, anche dopo la morte.

Con la mano posteriore Hask si toccò il ciuffo, sentendolo ondeggiare di sollievo. Guardò il telaio della porta e l'arnese da taglio attaccato con la Krazy Glue sulla parte sinistra dello stipite a circa un metro da terra. Si vedevano anche dodici granelli blu incollati sul lato dello stipite, sull'architrave e sulla soglia di metallo alla base della porta. Ciò che non si vedeva era il monofilamento stesso, teso in una griglia di linee orizzontali e verticali da un lato all'atro della porta.

Le parole del suo caro amico Cletus Calhoun gli tornarono in mente. «Taglia!» diceva Clete. «Trita!»

Era davvero così.

Hask si guardò la mano anteriore. Si era tagliato un dito nella fretta di costruire la sua trappola. Ma col tempo il dito sarebbe ricresciuto.

Hask sentì altri rumori: il suono delle sirene che si avvicinavano. Presto la polizia sarebbe stata lì.

Almeno per questo crimine sapeva che non sarebbe stato condannato.

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