I comitati erano stati la sua vita, ammise la gran dama di fronte a se stessa, e c’era stato un tempo in cui aveva pensato a quella realtà attuale come ad un’attività di comitato. Un altro comitato, si era detta, cercando di dominare la paura di ciò che aveva accettato, cercando di ridurlo a termini comuni e comprensibili per lei, in modo che non lasciasse adito alla paura. Eppure, ricordava, quella paura era stata controbilanciata da un’altra. E perché, si chiese, perché il movente doveva essere la paura? Allora, naturalmente, tranne in certi momenti segreti, non aveva ammesso di aver paura. Aveva detto a se stessa, inducendo anche gli altri a crederlo, di aver agito per puro altruismo, di non aver altro pensiero che il bene dell’umanità. Le avevano creduto, o almeno pensava che le avessero creduto, perché quel movente e quel gesto si inquadravano così bene in ciò che aveva fatto per tutta la vita. Era conosciuta per le sue buone azioni, per la profonda pietà verso l’umanità sofferente, ed era facile supporre che la sua dedizione al bene della gente della Terra l’avesse condotta a quel sacrificio finale.
Eppure, a quanto poteva ricordare, non l’aveva mai considerato un sacrificio. Era stata disposta, ricordò, a lasciare che gli altri lo ritenessero tale, e qualche volta aveva addirittura incoraggiato quella convinzione. Sembrava un atto molto nobile sacrificarsi, e lei voleva essere ricordata per le sue azioni nobili, e quell’ultima era la più grande di tutte. Nobiltà ed onore, pensò; erano state le cose più preziose, per lei. Ma, dovette riconoscere, non una nobiltà tranquilla ed un onore silenzioso, perché in tal caso lei non sarebbe stata notata. E quello sarebbe stato impensabile, perché aveva bisogno di attenzione e di approvazione. Presidentessa, ex presidentessa, delegata, rappresentante nazionale, segretaria, tesoriera di organizzazioni ed organizzazioni, fino a quando non aveva più avuto tempo per pensare, con tutti gli istanti occupati, sempre in movimento.
Senza tempo per pensare? si chiese. Era la giustificazione di tutti i suoi sforzi frenetici? Non l’onore e la gloria, ma non essere costretta a pensare? Non dover pensare ai matrimoni falliti, agli uomini che si allentavano da lei, al vuoto che sentiva via via che passavano gli anni?
Per questo era lì, e lo sapeva. Perché era stata una fallita… perché aveva deluso non solo gli altri, ma anche se stessa, ed alla fine aveva riconosciuto di essere una donna che cercava freneticamente qualcosa che le mancava, che le era mancato, forse, perché non ne aveva riconosciuto il valore se non quando era stato troppo tardi.
E in quanto a questo, l’attuale impresa era andata bene, sebbene in molte occasioni ne avesse dubitato.
Non c’è mai stato un momento in cui io abbia dubitato, disse lo scienziato. Io sono sempre stato sicuro.
Hai spiato, disse la gran dama, amaramente. Hai spiato i miei pensieri. Non esiste più l’intimità? I pensieri personali dovrebbero restare segreti. Spiare e una scortesia.
Noi siamo una cosa sola, disse lo scienziato, o dovremmo esserlo. Non più tre personalità, non più una donna e due uomini. Ma una niente, una mente sola. Eppure restiamo isolati. Siamo separati per un tempo più lungo di quanto stiamo insieme. Ed è per questo che abbiamo fallito.
Non abbiamo fallito, disse il monaco. Abbiamo appena incominciato. Abbiamo l’eternità, ed io sono quello che può definire l’eternità. Ver tutta la vita ho vissuto l’eternità, sempre sospettando che per me l’eternità non ci sarebbe stata. Né per me, né per nessuno. Ma ora so che sbagliavo. Abbiamo trovato l’eternità, noi tre… se non l’eternità in atto, ciò che potrebbe esserlo. Siamo cambiati e cambieremo ancora, e negli eoni che trascorreranno prima che questa nave materialistica si riduca in polvere, indubbiamente diverremo una mente eterna, che non avrà bisogno della Nave e neppure dei cervelli biologici in cui sono ora racchiuse le nostre menti. Diventeremo un’unica entità libera, che potrà vagare per sempre nell’infinito. Ma credo di avervi detto che avevo una definizione di eternità. Non è una definizione, in realtà, ma una graziosa fiaba. La Chiesa, dovete capire, nel corso dei secoli formulò molte fiabe graziose. Questa parla ài una montagna alta un miglio e di un uccello. Ogni mille anni l’uccello, che ai fini della storia era estremamente longevo, sorvolava la montagna, e la sfiorava con la punta di un’ala, logorandone un segmento infinitesimale. Ogni mille anni l’uccello ritornava: ed alla fine, con l’impatto dell’ala, consumava la montagna, la spianava. E questo, voi direste, questo logoramento d’una montagna compiuto dall’ala di un uccello ogni mille anni, sarebbe l’eterniià. Ma sbagliereste. Non sarebbe altro che l’inizio dell’eternità.
È una fiaba sciocca, disse lo scienziato. Eternità non è un termine che si presti ad una definizione. È vago e generico, e non possiamo assegnargli un valore, come non possiamo assegnarlo ad infinito.
A me la fiaba è piaciuta, disse la gran dama. Suona bene. È il tipo di storia semplice che io trovavo tanto eloquente nei discorsi che pronunciavo davanti a tanti gruppi diversi, per tante cause diverse. Ma se adesso mi chiedeste di elencare quei gruppi e quelle cause, mi sarebbe molto difficile. Vorrei aver conosciuto allora la tua fiaba, Monaco. Sono sicura che avrei trovato l’occasione di usarla. Sarebbe stata molto efficace. Avrebbe scatenato un uragano di applausi.
È una storia sciocca, disse lo scienziato, perché molto tempo prima che il tuo uccello longevo fosse riuscito a lasciare un segno lievissimo sulla montagna, le forze naturali dell’erosione l’avrebbero ridotta in pratica ad una pianura.
E tu hai un vantaggio su noi due, disse il monaco, in tono di disapprovazione. Hai una logica scientifica che guida i tuoi pensieri e interpreta le tue esperienze.
La logica dell’umanità, disse lo scienziato, è un bastone ben misero cui appoggiarsi. È dettata dall’osservazione, e nonostante i nostri strumenti meravigliosi, le nostre osservazioni erano molto limitate. Ora noi tre dobbiamo formulare una logica nuova, basata sulle osservazioni attuali. Sono sicuro che scopriremo molti errori nella nostra logica terrestre.
Io conosco poco la logica, a parte quella che ho studiato come uomo di chiesa, disse il monaco, e si basava su oscure ginnastiche intellettuali più che sulle osservazioni scientifiche.
Ed io, disse la gran dama, non agivo in base alla logica, bensì a certe tecniche usate per promuovere le attività in cui mi ero impegnata, anche se ora non sono certa che impegnata sia la parola adatta. Proprio adesso, cercavo di ricordare quanto ero impegnata nelle cause per cui mi adoperavo. In tutta franchezza, credo non fossero tanto le cause a motivarmi, quanto l’occasione che mi offrivano di acquisire e utilizzare certe posizioni di potere. Pensandoci ora, quelle posizioni di potere che mi sembravano tanto desiderabili ed esaltanti si dileguano nel nulla. Ma in verità, debbo essermi distinta agli occhi dell’opinione pubblica, altrimenti non mi sarebbe stato concesso l’onore accordato a noi tre, quando si decise che uno di noi doveva essere una donna. Perciò suppongo che dirigere numerosi comitati, far parte di molte commissioni, partecipare a varii gruppi di studio su argomenti di cui non sapevo nulla, e parlare ad assemblee grandi e piccole, dovesse apparire una cosa molto degna. E dopo tanto tempo, quando cerco di capire se è giusto che io sia qui, ne sono lieta. Sono lieta di essere qui. Se non ci fossi, Monaco, non sarei in nessun posto, perché non credo di essere mai riuscita a credere nella tua invenzione di un’anima immortale.
Non è una mia invenzione, disse il monaco. Neppure io credevo nella vita eterna. Cercavo di crederlo, perché nella mia attività crederlo era fondamentale. E c’era la mia paura della morte e, suppongo, anche della vita.
Tu accettasti il tuo posto, qui con noi, disse la gran dama, perché avevi paura della morte, ed io perché era un onore… perché non ero capace di rifiutare onore e stima. Temevo di venire spinta con l’inganno a fare qualcosa di cui mi sarei pentita, ma avevo cercato le luci della ribalta per troppo tempo per essere costituzionalmente capace di rifiutare. Almeno, mi dicevo, era un modo di andarmene con un clamore pubblicitario più grande di quanto avessi mai sognato.
E adesso, disse lo scienziato, ti pare che tutto vada bene? Sei convinta di aver avuto ragione ad accettare?
Ne sono convinta, disse lei. Comincio addirittura a dimenticare, ed è una fortuna. C’erano Ronny e Doug ed Alphonse…
Chi erano? chiese il monaco.
Gli uomini con cui sono stata sposata. Loro ed un paio d’altri di cui non ricordo il nome. Non mi dispiace dirvi, anche se un tempo mi sarebbe dispiaciuto, che ero un po’ una donnaccia. Una donnaccia regale, ma comunque una lurida donnaccia.
Mi sembra, disse lo scienziato, che stiamo andando come si voleva. Impiegando più tempo, molto probabilmente, di quanto si prevedesse. Ma tra altri mille anni, forse, saremo riusciti a diventare ciò che dovevamo. Siamo sinceri con noi stessi e l’uno nei confronti degli altri, e immagino che c’entri anche questo. Non possiamo spogliarci completamente della nostra umanità in così poco tempo. La razza umana ha impiegato due milioni d’anni a realizzarla, e non è possibile gettarla via come fosse un vestito.
E tu, Scienziato?
Io?
Sì, tu. Noialtri due siamo finalmente sinceri. E tu?
Io? Non ci ho mai pensato. Non ho mai avuto un dubbio. Ogni scienziato, soprattutto un astronomo come me, avrebbe dato l’anima pur di partire. E pensandoci bene, figurativamente, forse ho dato l’anima. Ho intrigato per venire eletto in questo conglomerato di umanità, o come preferite chiamarlo. Ho intrigato per riuscirci. Avrei combattuto, per questo. Avevo supplicato certi amici, privatamente e discretamente, di assecondare la mia candidatura. Avrei fatto qualunque cosa. Non consideravo un onore la selezione. Non ho agito come voi due, per paura: eppure, in un certo senso, posso averlo fatto per la stessa ragione. Stavo invecchiando, vedete, e cominciavo a provare la sensazione assillante che mi rimanesse poco tempo, che la sabbia della clessidra stesse per esaurirsi. Sì, pensandoci bene, può esserci stata un po’ di paura, una paura inconscia. Ma sostanzialmente, era la sensazione che non potevo permettermi di sprofondare nella tenebra finale quando c’era ancora tanto da fare. Non che quello che ora osservo o deduco possa avere qualche effetto sulla Terra, perché non faccio più parte della Terra.
Ma in ultima analisi, non credo che abbia mai avuto importanza. Lavoravo, non per la Terra né per i miei simili, ma per me stesso… per la mia soddisfazione personale. Non cercavo gli applausi. Diversamente da te, cara signora, io mi nascondevo. Rifuggivo la pubblicità. Non concedevo interviste e non scrivevo libri. Articoli scientifici, certo, per dividere le mie scoperte con i miei colleghi, ma niente per l’uomo della strada. Credo, tutto sommato, di essere o di esser stato un uomo estremamente egoista. Mi preoccupavo solo di me stesso. E adesso sono lieto di dirvi che con voi due mi trovo a mio agio. Come se fossimo vecchi amici, sebbene prima non lo fossimo mai stati; e forse nessuno di noi è veramente amico degli altri due secondo la definizione classica dell’amicizia. Ma se andiamo d’accordo, credo che, date le circostanze, possiamo chiamarla amicizia.
Che bell’equipaggio, siamo, disse il monaco. Uno scienziato egoista, una cacciatrice di gloria, e un monaco che aveva paura.
Aveva?
Non ho più paura. Non c’è più nulla che possa toccare me o voi. Ce l’abbiamo fatta.
Abbiamo ancora molta strada da percorrere, disse lo scienziato. Questo non è il posto né il momento per gloriarsi. Umiltà, umiltà, umiltà.
Sono stato umile per tutta la mia vita terrena, disse il monaco. Ora non lo sono più.