19

Ulisse arrivò al crepuscolo avanzato, quando era quasi buio. Enoch e Lucy avevano appena finito di cenare ed erano ancora seduti a tavola, quando Enoch sentì il rumore dei passi.

L’alieno si teneva nell’ombra, e guardandolo Enoch trovò che somigliasse più che mai a un pagliaccio crudele. Il corpo magro e fluido aveva il colore del cuoio conciato. I colori combinati della pelle mandavano una debole luminescenza e gli angoli repentini della faccia, la lucida calvizie e le orecchie appuntite ma incollate al cranio gli conferivano un aspetto sinistro e pauroso.

Chi non lo conoscesse per la persona gentile che era, si sarebbe spaventato a morte.

— Ti stavamo aspettando — disse Enoch. — Il caffè è sul fuoco.

Ulisse avanzò lentamente di un passo, poi si fermò.

— C’è qualcuno con te. Un altro essere umano, direi.

— Non c’è pericolo — lo rassicurò Enoch.

— È di un altro sesso. Hai trovato una compagna?

— No — rispose Enoch. — Non è la mia compagna.

— Ti sei comportato saggiamente per molti anni — osservò Ulisse. — Data la tua posizione, una compagna non è consigliabile.

— Ti ho già detto che non devi preoccuparti. È malata, non può comunicare. Non è in grado di parlare né di sentire.

— Malata?

— Sì, è nata così. Non ha mai parlato né sentito. Quindi non può raccontare niente di quello che ha visto qui.

— Si esprime a gesti?

— No, si è rifiutata d’imparare.

— È tua amica.

— Sì, da anni. È venuta a cercare protezione da me, perché suo padre la frustava.

— Suo padre sa che è qui?

— Pensa di sì, ma non è sicuro.

Ulisse uscì lentamente dall’ombra e si fermò in piena luce.

Lucy lo guardò senza terrore. I suoi occhi erano fermi e sereni, non distolse affatto lo sguardo.

— La prende bene — osservò Ulisse. — Non scappa e non urla.

— Non potrebbe urlare nemmeno se volesse — disse Enoch.

— Eppure devo sembrarle ripugnante, a prima vista.

— Lei non vede solo l’aspetto. Sa guardare anche dentro.

— Credi che avrebbe paura se le facessi un inchino alla vostra maniera?

— Credo — disse Enoch — che le farebbe molto piacere.

Ulisse fece un inchino formale ed esagerato, con una mano sul petto color cuoio e il busto piegato fino a metà. Lucy sorrise e batté le mani.

— Guarda — esclamò Ulisse, soddisfatto. — Credo di esserle simpatico.

— Allora perché non ti siedi? — lo invitò Enoch. — Così prendiamo tutti il caffè.

— Ah, non ci pensavo più. La vista di quest’altro essere umano mi ha fatto dimenticare il caffè.

Sedette a tavola, dove la terza tazzina era già pronta per lui, e Lucy andò subito a prendere il bricco.

— Ci ha sentiti? — domandò Ulisse.

Enoch fece segno di no con la testa. — Ti sei seduto davanti alla tazza e la tazza era vuota.

Lucy versò il caffè, poi andò a sedersi sul divano.

— Non rimane con noi? — chiese Ulisse.

— Le interessano tutti quegli oggetti strani. È riuscita a farne funzionare uno.

— Hai intenzione di tenerla qui?

— Non è possibile — rispose Enoch — perché la cercherebbero. Dovrò riaccompagnarla a casa.

— Non mi piace questa faccenda — disse l’altro.

— Non piace nemmeno a me. Di’ pure che ho fatto male a portare qui la ragazza, ma non ho avuto il tempo di ragionare.

— No, non hai fatto niente di male — lo consolò Ulisse.

— E lei non può danneggiarci — aggiunse Enoch. — Non potendo comunicare…

— Non è questo — riprese Ulisse. — Si tratta di un’altra complicazione, e a me non piacciono le complicazioni. Enoch, sono venuto per dirti che abbiamo dei guai.

— Guai? Perché?

Ulisse bevve una lunga sorsata di caffè: — È buono — disse. — Quando porto i chicchi a casa e lo faccio da me, il gusto è diverso.

— Allora, questi guai? — insisté Enoch.

— Ricordi il vegano che morì qui alcuni anni fa?

— Sì, lo splendente — rispose Enoch.

— Aveva un nome proprio.

Enoch rise. — Non vi piacciono i nomignoli che diamo noi.

— Non rientra nelle nostre abitudini — fece Ulisse.

— È un modo di dimostrare affetto — spiegò Enoch.

— Tu l’hai seppellito.

— Nel cimitero di famiglia — disse Enoch. — Come se fosse uno dei miei. E ho letto un verso sulla tomba.

— È stato molto bello da parte tua, è così che si fa — dichiarò Ulisse. — Ti sei comportato nel modo migliore, ma adesso il cadavere è scomparso.

— Scomparso? Ma è impossibile — protestò Enoch.

— È stato tolto dalla tomba.

— Come l’hai saputo? — protestò Enoch. — Come fai a saperlo?

— Non io, ma i vegani. Loro lo sanno.

— Ma se sono lontani anni-luce…

Improvvisamente non ne fu tanto sicuro. La notte in cui aveva avvertito la Centrale Galattica che il vecchio filosofo era morto, gli avevano detto che i vegani erano già informati e che non serviva il certificato, perché sapevano di cosa fosse morto.

La cosa sembrava impossibile, ma nella galassia c’erano tante cose impossibili che un uomo non poteva mai sapere quanto fidarsi del buonsenso.

Probabilmente ogni vegano era in contatto mentale con i suoi simili, oppure esisteva una specie di ufficio anagrafico (per dare un nome umano a qualcosa che restava incomprensibile) in comunicazione diretta con ogni individuo e al corrente di tutto quello che gli capitava.

Sì, pensò Enoch, doveva trattarsi di qualcosa del genere; non andava al di là delle stupefacenti possibilità in cui ci si imbatteva continuamente nella galassia. Ma mantenere il contatto anche coi morti, era un altro paio di maniche.

— Il corpo è scomparso — ripeté Ulisse. — Posso assicurarti che è la verità. E tu sei ritenuto responsabile.

— Dai vegani?

— Dai vegani, sì. E dalla galassia.

— Ho fatto del mio meglio — disse Enoch accalorandosi, — Ho fatto quello che mi è stato chiesto. Ho eseguito alla lettera i dettami della legge vegana, ho tributato al morto le onoranze in uso presso la mia gente. Non è giusto che la mia responsabilità si estenda indefinitamente. E comunque, non riesco a credere che il corpo sia scomparso. Nessuno può averlo preso, nessuno ne sapeva niente.

— Secondo la logica umana hai ragione tu — ribatté Ulisse. — Ma non secondo la logica vegana. E in questo caso, la Centrale Galattica è dalla loro parte.

— I vegani sono amici miei — disse Enoch, testardo. — Non ne ho mai conosciuto uno che non mi piacesse o con cui non potessi andare d’accordo. Vedrai che riuscirò a intendermi con loro.

— Se si trattasse solo dei vegani sono certo che ci riusciresti e non mi preoccuperei — continuò Ulisse. — Ma la situazione è più complessa di quanto credi. Vista da fuori sembra una questione da nulla, invece sono in gioco altri fattori. I vegani sapevano già da tempo che il cadavere era scomparso e, inutile dirlo, ne erano turbati. Ma erano disposti a mantenere il silenzio per i loro buoni motivi.

— Hanno fatto male. Dovevano venire da me. Non so che cosa sia successo…

— Non lo hanno fatto per riguardo a te, ma per altre ragioni — interruppe Ulisse. Finì il suo caffè e se ne versò una seconda tazza. Riempì anche quella di Enoch e allontanò il bricco.

Enoch aspettava.

— Forse non lo sapevi, ma quando fu installata la stazione terrestre parecchie razze della galassia si opposero — ricominciò Ulisse. — Le ragioni erano molte, come capita sempre in casi del genere, ma il motivo fondamentale era l’eterna competizione per la supremazia locale o razziale. Una situazione simile, io credo, a quella della Terra, dove vari gruppi e nazioni sono in lotta fra loro più o meno apertamente, per ottenere la supremazia economica. Nella galassia, naturalmente, le questioni economiche provocano tensioni solo di rado, ma esistono altre cause di attrito.

Enoch annuì. — Ne avevo avuto sentore, anche se non ultimamente. Non mi ero eccessivamente preoccupato.

— È innanzitutto una questione di direzioni — spiegò Ulisse. Quando la Centrale Galattica ha cominciato a espandersi in questa parte della spirale, ha voluto dire implicitamente che non valeva la pena sprecare tempo e sforzi in altre direzioni. Ma vi è un grosso gruppo di razze che da secoli sogna di potersi espandere negli ammassi globulari vicini. Sono ambizioni che hanno qualche fondamento, perché grazie alla nostra tecnologia il grande salto verso gli ammassi più prossimi è senz’altro possibile. C’è un’altra cosa: a quanto sembra gli ammassi sono liberi da polveri e da gas, per cui una volta raggiunti consentirebbero un’espansione più rapida che in tante zone della nostra galassia. Ma nella migliore delle ipotesi si tratta di supposizioni, perché in realtà non sappiamo che cosa troveremmo. Forse dopo tanti sforzi e un’enormità di tempo ci accorgeremmo che ci sono soltanto un po’ di appezzamenti da lottizzare, come i tanti che abbiamo già nella galassia. Ma per razze di una certa mentalità, gli ammassi globulari hanno un fascino tutto particolare.

Enoch assentì. — Capisco. Sarebbe la prima spedizione extra-galattica, il primo passo verso altre galassie.

Ulisse lo scrutò. — Anche tu — disse. — Avrei dovuto saperlo.

Enoch ribatté, convinto: — Condivido quel tipo di mentalità.

— Be’, comunque. Quando abbiamo cominciato a espanderci in questa direzione, il partito pro-ammassi globulari (voi lo chiamereste così) si è opposto in ogni modo possibile. Come certo avrai capito, l’esplorazione in questa zona dello spazio è appena all’inizio: abbiamo installato solo una decina di stazioni e ne occorrono un centinaio. Passeranno secoli prima che la rete sia completa.

— Ma gli oppositori non hanno rinunciato alla lotta — disse Enoch. — Sono ancora in tempo per fermare l’espansione in questo braccio della spirale.

— Proprio così, e questo mi preoccupa. Il partito ha intenzione di approfittare dell’incidente del cadavere scomparso per mettere in dubbio la bontà del nostro progetto. Alla loro fazione si sono uniti recentemente altri gruppi, che spinti da particolari interessi pensano di raggiungere meglio i loro scopi se riusciranno a sabotare i nostri progetti in questa zona.

— Sabotare?

— Sì. Non appena la notizia della scomparsa del cadavere si diffonderà, cominceranno a strillare che questo è un pianeta barbaro e che la Terra non è adatta a mantenere una stazione. Insisteranno perché venga abbandonata.

— Ma non possono fare una cosa del genere.

— Possono, invece — ribatté Ulisse. — Sosterranno che non è dignitoso né sicuro mantenere una stazione su un pianeta dove vengono violate le tombe, un pianeta dove gli onorevoli morti non possono riposare in pace. È il tipo di argomento capace di attirare le simpatie e gli appoggi di molte razze della galassia. I vegani hanno tentato di non fare pubblicità all’incidente per non nuocere al nostro progetto. Non avevano mai fatto niente del genere. Sono un popolo fiero e sensibile alle questioni d’onore, forse più di altre razze, ma sarebbero disposti a sopportare il disonore per il bene più grande. Purtroppo la notizia è trapelata ugualmente, direi grazie a un ottimo sistema di spionaggio. Ormai i vegani non possono tollerare la vergogna pubblica. Un loro rappresentante arriverà qui stasera per consegnare una protesta ufficiale.

— A me?

— A te e per tuo tramite alla Terra.

— Ma la Terra non c’entra. Non ne sa niente.

— Naturale. Ma per quel che riguarda la Centrale Galattica, tu sei la Terra. Il rappresentante della Terra.

Enoch scosse la testa. Era un modo di pensare pazzesco, e tuttavia non si meravigliò; era il tipo di ragionamento che avrebbe dovuto aspettarsi. Lui era troppo legato al particolare, aveva una mentalità troppo ristretta. Era stato abituato a vedere le cose dal punto di vista umano e nonostante gli anni di servizio alla stazione, non era ancora cambiato: ogni prospettiva diversa gli sembrava automaticamente sbagliata.

Non che abbandonare la stazione fosse più giusto. Era sbagliato, non aveva senso, perché una decisione simile non avrebbe mandato a monte il progetto, avrebbe semplicemente distrutto sul nascere le speranze che Enoch nutriva per il futuro dell’umanità.

— Se abbandonaste la Terra — obiettò — potreste installare una stazione su Marte. Ci sono altri pianeti, nel caso voleste mantenere un piede nel sistema solare.

— Tu non ti rendi conto — ribatté Ulisse. — Questa stazione è una testa di ponte, un inizio. Lo scopo è rovinare il progetto della Centrale Galattica per dedicare tempo e sforzi ad altre cose. Se riescono a costringerci ad abbandonare la stazione, saremo completamente screditati. Qualsiasi nostra opinione e disegno verranno passati al setaccio.

— Ma anche se il progetto naufragasse, nessuno dei gruppi sarebbe certo di guadagnarci — obiettò Enoch. — Si ricomincerebbe a discutere su come impiegare il tempo e le energie disponibili. Hai detto che alcune fazioni si sono unite in un partito, nell’intento di opporsi a noi. Ammesso che vincano, cominceranno a litigare fra loro.

— È proprio così — ammise Ulisse. — D’altra parte ognuna avrebbe una lontana possibilità di ottenere ciò che vuole, o almeno così crede. In realtà non esiste nessuna possibilità: quando le varie fazioni fossero riuscite a mettersi d’accordo, il progetto non sarebbe più realizzabile. All’estremità opposta della galassia c’è un gruppo che ha deciso di esplorare una delle zone meno popolate di un certo settore dell’orlo. Quella gente crede tuttora in un’antica leggenda secondo la quale discenderebbe dagli immigrati di un’altra galassia che, sbarcati sull’orlo, nel corso di molti anni galattici si sarebbero fatti strada verso l’interno. I discendenti pensano che se raggiungessero l’orlo la leggenda diventerebbe storia, tornando a loro maggior gloria. Un altro gruppo vuole addentrarsi in un piccolo braccio della spirale a causa di una vaghissima tradizione secondo cui, in tempi remoti, i loro antenati avrebbero captato dei messaggi indecifrabili provenienti da quella direzione. La tradizione si è arricchita via via di particolari e i suoi sostenitori sono convinti che in quel particolare braccio della spirale esista una razza di giganti dell’intelletto. Per non parlare, ovviamente, delle pressioni di quelli che vogliono spingersi verso il centro galattico. Devi tener presente che abbiamo appena cominciato, che la galassia è ancora in gran parte inesplorata e le migliaia di razze che formano la Centrale Galattica sono razze pioniere. Ecco perché l’organizzazione è continuamente sottoposta a pressioni di ogni genere.

— Mi sembra — disse Enoch — che tu abbia poche speranze di conservare la stazione sulla Terra.

— Quasi nessuna — dichiarò Ulisse. — Ma per quel che ti riguarda, avrai una possibilità di scelta. Potrai restare qui e vivere una normale vita terrestre o essere destinato a un’altra stazione. La Centrale spera che rimarrai con noi.

— Sembra una cosa definitiva.

— Temo di sì — ribatté Ulisse. — Mi spiace di averti portato brutte notizie, Enoch.

Enoch era tanto abbattuto che non trovò niente da dire. Brutte notizie! Era molto peggio, era la fine di tutto.

Sentiva che non soltanto il suo mondo andava in frantumi, ma anche le speranze della Terra. Una volta scomparsa la stazione, il pianeta sarebbe ricaduto nel dimenticatoio della galassia: senza speranza di aiuto, senza la minima possibilità di un riconoscimento e ignaro delle risorse che si trovavano nello spazio. Sola e indifesa, la razza umana avrebbe continuato a percorrere la stessa strada, annaspando incerta verso un futuro cieco e folle.

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