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Improvvisamente, gli uomini che avevano sempre svolto il loro lavoro avrebbero scoperto di esserne incapaci. La situazione, riguardando tutti, avrebbe escluso qualsiasi possibilità di aiuto e collaborazione; nessuno avrebbe posseduto le cognizioni necessarie, e quanto a servirsi dell’esperienza si sarebbe dimostrato impossibile. La gente avrebbe provato, insistito per un po’, ma poi sarebbe stata costretta a rinunciare. Nell’impossibilità di produrre, stabilimenti, officine, fabbriche e aziende avrebbero chiuso i battenti. Nessun atto formale o legale avrebbe sancito la cessazione dell’attività, che si sarebbe verificata ugualmente. La mancanza di gente capace di decifrare il senso del lavoro e di mandarlo avanti sarebbe stata un motivo; l’altro, che i mezzi di trasporto e comunicazione grazie ai quali è possibile il commercio sarebbero andati fuori uso.

Le locomotive non avrebbero funzionato e così aeroplani e navi, perché nessuno avrebbe saputo adoperarli. Gli uomini che un tempo li avevano fatti funzionare si sarebbero resi conto di aver perso ogni capacità; alcuni avrebbero tentato lo stesso, con tragiche conseguenze. Altri, forse, avrebbero vagamente ricordato come si guidasse un’automobile, un camion o un autobus: in fondo, metterli in moto è semplice e l’abitudine alla guida talmente radicata negli uomini da costituire come una seconda natura. Ma una volta che si fossero guastati, nessuno sarebbe stato in grado di ripararli.

Nello spazio di qualche ora il genere umano si sarebbe trovato di nuovo a dover affrontare il problema delle distanze. Il mondo sarebbe tornato più grande, gli oceani avrebbero rappresentato una barriera e un paio di chilometri sarebbero stati giudicati un bel tragitto. In pochi giorni l’umanità avrebbe ceduto al panico e alla disperazione di fronte a una situazione che nessuno sarebbe stato in grado di capire.

Quanto tempo ci sarebbe voluto, pensò Enoch, prima che una città consumasse tutti i viveri conservati nei magazzini e cominciasse a soffrire la fame? Cosa sarebbe successo quando gli impianti elettrici non avessero più funzionato? In una situazione simile, per quanto tempo il denaro avrebbe mantenuto il suo valore?

La distribuzione dei beni si sarebbe interrotta, il commercio e l’industria sarebbero finiti; il governo si sarebbe ridotto a un’ombra: senza gli strumenti e le informazioni che gli permettessero di fare il proprio dovere, senza comunicazioni, la legge e l’ordine si sarebbero disintegrati e il mondo sarebbe nuovamente precipitato nella barbarie, da cui avrebbe cominciato a uscire con lentezza solo dopo molto tempo. Il processo di riadattamento sarebbe durato anni, durante i quali malattie, miseria, disperazione e morte avrebbero trionfato. Col tempo il mondo si sarebbe adattato a un nuovo sistema di vita, ma nel collasso di quello vecchio molti sarebbero morti, altri avrebbero perso quanto per loro era ragione di vita.

Tutto questo sarebbe stato orribile come una guerra?

Molti sarebbero morti, è vero, di freddo, di fame e di malattia (perché le medicine avrebbero fatto la fine di tutto il resto), ma l’umanità non sarebbe stata decimata dalle esplosioni atomiche. Dal cielo non sarebbe caduta pioggia contaminata dalle radiazioni, le acque sarebbero rimaste limpide e pure, il terreno fertile come un tempo. Dopo la prima fase di assestamento, l’umanità avrebbe potuto ancora vivere in modo normale e incamminarsi verso la ricostruzione della società.

Se la guerra fosse scoppiata con certezza Enoch non avrebbe esitato, ma esisteva sempre la possibilità di evitare il conflitto, di mantenere la pace, per quanto appesa a un fragile filo, e in questo caso la drastica cura proposta dalla Centrale Galattica sarebbe stata inutile. Prima di decidere, bisognava essere sicuri. Il diagramma parlava senz’altro di guerra, molti diplomatici e osservatori terrestri prevedevano che la conferenza per la pace non avrebbe fatto altro che accelerare lo scoppio delle ostilità, eppure… rimaneva il dubbio.

E se anche fosse stato certo che era impossibile evitare la guerra, avrebbe potuto lui, da solo, assumersi la responsabilità di agire come un dio nei confronti di tutta l’umanità? Con quale diritto avrebbe preso una decisione a nome di miliardi di suoi simili, e in avvenire, come avrebbe giustificato la sua scelta?

Tra l’orrore della guerra e quello dell’incapacità mentale non era facile scegliere. A lui, perlomeno, sembrava di essere fra i due corni di un dilemma; nell’uno e nell’altro caso, prevedere l’entità del disastro era impossibile.

Forse, se avesse avuto più tempo avrebbe saputo giudicare meglio e decidere a ragion veduta, in modo che la decisione, anche se non completamente giusta, fosse compatibile con la sua coscienza.

Enoch si alzò e andò alla finestra. Il rumore dei passi echeggiò nella stazione deserta. Guardò l’ora: era già passata mezzanotte.

Sapeva che nella galassia esistevano razze capaci di prendere con rapidità la decisione giusta su qualunque problema: andavano dritto allo scopo, senza tortuosità psicologiche, usando una logica molto più profonda di quella umana. Certo la risolutezza era un’ottima cosa, ma agendo in modo così drastico non si rischiava di sottovalutare (o di ignorare del tutto) le sfaccettature della situazione, che per la razza umana erano forse più importanti della decisione stessa?

Enoch guardò i campi illuminati dalla luna e il profilo dei boschi. Il vento aveva spazzato le nuvole, la notte era calma e serena. Quell’angolo di mondo non avrebbe probabilmente mai conosciuto la guerra, appartato e lontano com’era da ogni obiettivo importante. Lì, salvo qualche zuffa nei tempi preistorici, non si era mai combattuto. Eppure nemmeno quei boschi sarebbero sfuggiti al destino comune della terra avvelenata e dell’acqua contaminata, se nell’ora più tremenda della storia l’umanità avesse fatto uso delle armi nucleari. Il cielo si sarebbe riempito di ceneri atomiche che lentamente, ma ineluttabilmente, avrebbero finito col depositarsi, e allora nessun angolo del mondo sarebbe stato sicuro. Presto o tardi la guerra sarebbe arrivata anche lì: se non sotto forma di una mostruosa esplosione di energia, come neve mortale che cadeva dal cielo.

Enoch tornò alla scrivania, raccolse i giornali arrivati al mattino e li ammucchiò, notando che Ulisse aveva dimenticato di prendere quelli che gli aveva messo da parte. Doveva essere turbato, per dimenticarli. "Dio ci aiuti tutti e due" pensò Enoch. "Si preparano brutti giorni."

Oggi aveva avuto da fare e aveva letto solo due o tre articoli del "Times", tutti relativi alla nuova conferenza per la pace. Erano state ore piene di avvenimenti minacciosi.

Per cento anni, pensò, tutto era filato liscio: c’erano stati momenti belli e altri spiacevoli, ma nel complesso era stata una vita serena e senza avvenimenti preoccupanti. Poi era spuntato oggi, ed era bastato a disperdere tanti anni tranquilli.

Una volta aveva sperato che la Terra diventasse un membro dalla famiglia galattica, con lui a fare da tramite dell’importante riconoscimento. Ora quel desiderio sfumava, non solo perché avrebbero probabilmente chiuso la stazione, ma perché la chiusura sarebbe avvenuta per colpa della barbarie umana. La Terra diventava una pecora nera, marchio che non si toglie facilmente. E anche ammettendo che un giorno l’avessero riabilitata, per il suo bene avrebbero potuto decidere di applicare una cura drastica quanto umiliante.

Ma Enoch sapeva che almeno qualcosa poteva essere salvato. Bisognava che rimanesse fedele alla Terra e rivelasse le informazioni che aveva raccolto per anni, insieme alle sue impressioni e osservazioni, nei numerosissimi volumi dell’archivio. Che diffondesse le opere originali degli alieni, di cui era riuscito a ottenere qualche copia e che aveva pazientemente collezionato; che mostrasse gli oggetti avuti in regalo. Da tutto questo l’uomo avrebbe potuto imparare qualcosa che, in ultima analisi, l’avrebbe aiutato a raggiungere le stelle e a familiarizzare con i princìpi dell’intelligenza di grado superiore che forse avrebbe rappresentato la sua eredità, come quella di qualunque essere pensante. Ma gli avvenimenti di quel giorno avrebbero reso l’attesa più lunga, forse lunghissima, e le informazioni che lui aveva faticosamente raccolto durante un secolo di lavoro erano nulla in confronto a quello che avrebbe potuto imparare in altri cento o mille anni. Un ben misero regalo per la sua gente…

"Se avessi tempo" pensò. Ma sapeva di non averne, e non era questione del momento contingente. Domani sarebbe stato lo stesso. Del resto, anche se le cose fossero andate diversamente, quello che avrebbe potuto vedere e scoprire sarebbe stato ridicolmente poco in confronto alla realtà delle cose.

Si lasciò cadere pesantemente sulla sedia davanti alla scrivania, pensando per la prima volta come avrebbe fatto; in che modo avrebbe abbandonato la Centrale, barattato l’intera galassia con un solo pianeta, anche se era il suo.

Continuò a riflettere cercando una risposta, ma la sua mente non fu capace di trovarla.

"Un uomo solo" pensò.

"Un uomo solo non può mettersi contro la Terra e la galassia."

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