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— Per favore, mi dia quella matita — chiese Lewis.

Hardwicke smise di rigirarsela fra i palmi e gliela tese.

— Anche un foglio? — domandò.

— Sì, grazie — rispose Lewis.

Poi, chinatosi sulla scrivania, disegnò rapidamente qualcosa.

— Ecco — disse, tendendo il foglio ad Hardwicke.

L’altro aggrottò la fronte.

— Ma non ha alcun senso! — esclamò. — Tranne l’ultimo segno.

— La cifra otto disposta orizzontalmente. Sì, lo so, è il simbolo dell’infinito.

— E il resto?

— Non saprei — rispose Lewis. — Questa è l’iscrizione della terza tomba. L’ho copiata com’è.

— E adesso la sa a memoria.

— Direi. L’ho studiata parecchio.

— In vita mia non ho mai visto niente di simile. Non che sia competente in materia… anzi, m’intendo poco di cose del genere.

— Si metta il cuore in pace, nessuno è riuscito a decifrarla. Non somiglia lontanamente a nessuna scrittura conosciuta, per quanto antica o poco usata. Ho consultato almeno una dozzina di esperti, dicendo che si tratta di un’iscrizione che ho trovato incisa su una rupe, e son certo che quasi tutti mi hanno preso per matto: per uno di quei tipi convinti che i romani, i fenici o gli irlandesi avessero fondato colonie in America prima dell’arrivo di Colombo.

Hardwicke posò il foglio.

— Ora capisco perché ha detto di avere un maggior numero di domande senza risposta che all’inizio delle indagini. Non si tratta più di risolvere il problema di un uomo d’aspetto giovanile che in realtà ha passato da un pezzo il secolo: c’è anche quello della casa e dell’iscrizione sulla terza tomba. Non ha mai parlato con Wallace, vero?

— Nessuno parla con lui, all’infuori del postino. Esce solo una volta al giorno e porta sempre il fucile.

— Hanno tutti paura di avvicinarlo?

— Perché porta il fucile, è questo che intende.

— Già, immagino di aver avuto questo nella mente. Mi domandavo perché uno come lui debba andare in giro armato.

Lewis scosse la testa. — Non lo so. Ho tentato d’indagare e, a quanto sembra, non ha mai sparato un colpo. Ma non credo che la gente lo eviti per paura del fucile: quell’uomo è un anacronismo vivente, una reliquia di un’altra epoca. Nessuno ne ha paura, di questo sono sicuro, è troppo tempo che lo vedono in giro per temerlo. È familiare, fa parte del paesaggio come un albero o un macigno… eppure, in sua presenza ci si sente a disagio. Immagino che quando un altro abitante della zona si trova faccia a faccia con lui, provi una curiosa sensazione. Forse perché è diverso: ha qualcosa in più rispetto agli altri, ma anche molto meno. È come se si fosse allontanato dalla natura umana. Credo che in cuor loro molti vicini si vergognino di lui, perché, per qualche misterioso e forse ignobile motivo, non è invecchiato come succede a tutti… il che sarà un limite ma è forse anche uno dei diritti dell’umanità. Può darsi che tale segreta vergogna spieghi quella certa riluttanza a parlare di lui.

— Lo ha tenuto d’occhio a lungo?

— Sì, per un certo tempo l’ho fatto. Ma ora ho trovato degli aiutanti che sorvegliano costantemente Wallace e la sua casa, a turno. Lo teniamo d’occhio da una decina di punti diversi e ogni tanto ci spostiamo. Non c’è ora del giorno in cui la casa di Wallace non sia sotto osservazione.

— Vedo che fate sul serio.

— Ne vale la pena — disse Lewis. — Ma non le ho ancora fatto vedere tutto.

Si chinò a prendere la borsa che aveva messo sotto la sedia ed estrasse un fascio di fotografie che porse a Hardwicke.

— Cosa gliene pare? — domandò.

Hardwicke le prese e s’irrigidì alla prima occhiata, impallidendo visibilmente. Le mani cominciarono a tremargli, tanto che fu costretto a rimettere le fotografie sulla scrivania. Aveva dato un’occhiata solo alla prima e non guardò le altre.

Lewis gli lesse la domanda negli occhi e disse: — Si trovava nella tomba su cui era incisa l’iscrizione incomprensibile.

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