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In un angolo della cucina vi erano alcune scatole vuote ammucchiate, scatole di cui Winslowe si era servito per portargli le provviste che lui ordinava di tanto in tanto.

Mise i diari, in bell’ordine, nella scatola più grande. Con alcuni vecchi giornali avvolse accuratamente le dodici bottiglie di diamante disposte sulla mensola del camino e le sistemò per bene in un’altra scatola, in modo che non si rompessero. Prese la scatola musicale vegana e, dopo averla incartata, la mise in una quarta scatola insieme con le opere appartenenti alla letteratura delle diverse razze. Sul ripiano della scrivania e nei cassetti c’erano solo cianfrusaglie. Trovò il suo diagramma, l’accartocciò e la gettò nel cestino dei rifiuti.

Ammucchiò le scatole già pronte vicino alla porta, per far più presto a portarle fuori quando fosse il momento. Lewis gli aveva promesso un furgone e lui preferiva avere tutto pronto, perché non voleva nessuno a caricare la sua roba.

Doveva portar via le cose più importanti. Ma quali? I diari e i testi letterari erano senza dubbio importantissimi, ma il resto? Era probabile che ogni cosa, alla stazione, avesse un valore inestimabile, ogni singolo oggetto. Se avesse avuto il tempo e il modo, avrebbe portato con sé l’intero contenuto della casa e della cantina. Era roba sua e aveva il diritto di tenersela, perché gli era stata regalata. Ma poteva darsi che la Centrale Galattica facesse obiezioni e gli proibisse di portare con sé i suoi tesori. Se questo fosse avvenuto, avrebbe dovuto tentare di salvare almeno gli oggetti di cui conosceva l’uso.

Rimase a guardarsi intorno, indeciso; il tavolo era pieno delle cose più disparate, tra cui la piramide di sfere scintillanti che Lucy era riuscita a mettere in movimento.

Mentre guardava si accorse che Cucciolo, strisciando, era caduto giù dal tavolo. Si chinò a raccoglierlo e lo tenne fra le mani per osservarlo meglio.

Dall’ultima volta che l’aveva guardato gli erano cresciute altre due protuberanze e aveva preso un delicato color rosa, mentre prima era blu cobalto.

Forse sbagliava a chiamarlo Cucciolo, perché non era certo che fosse un essere vivente. E ammesso che lo fosse, era diverso da tutte le creature che aveva mai incontrato. Non era né di pietra né di metallo, ma aveva qualcosa sia dell’una che dell’altro. Aveva provato a limarlo, ma non l’aveva neppure scalfito, e non aveva neppure avvertito i colpi di martello con cui l’aveva picchiato. Cresceva, per quanto molto lentamente, e si muoveva, anche se non si capiva in che modo lo facesse. Se lo stava a guardare, rimaneva immobile, ma bastava che distogliesse lo sguardo anche per poco, ed ecco che si spostava, sia pur di qualche centimetro. Pareva che sentisse quando l’osservavano e che si rifiutasse di muoversi. Inoltre, non mangiava né produceva escrementi. Cambiava colore, ma senza una ragione apparente e indipendentemente dall’ambiente che lo circondava.

Glielo aveva regalato un paio d’anni prima un abitante di un pianeta della zona del Sagittario, che Enoch ricordava di aver descritto minuziosamente nel diario. Era una creatura stranissima, simile a una pianta pur senza esserlo, capace di muoversi e dotata di numerose ramificazioni che mandavano un tintinnio argentino quando venivano scosse.

Enoch ricordava di aver domandato a quella creatura delle spiegazioni sul dono che gli aveva portato, ma la "pianta" s’era limitata a riunire i rami intorno al tronco, con il caratteristico tintinnio, e non aveva risposto.

Enoch aveva posato il dono sullo scrittoio, e qualche ora dopo, quando il donatore era già partito, l’aveva trovato nell’angolo opposto della scrivania.

Poiché gli sembrava impossibile che un oggetto simile avesse la facoltà di muoversi, pensò di essersi sbagliato. Qualche giorno più tardi, però, fu costretto a riconoscere che si muoveva davvero.

Rimase immobile, con il Cucciolo in mano; forse era meglio portarsi via quello, invece della piramide di sfere o di qualche altro oggetto. Ma perché poi, improvvisamente, si era deciso a imballare tutto quanto?

Agiva come se avesse ormai stabilito di lasciare la stazione, come se avesse scelto la Terra e abbandonato la galassia. Ma quando e come aveva deciso? Prima di arrivare a una decisione bisogna soppesare e ponderare, e lui non aveva soppesato né ponderato niente. Non aveva esaminato i pro e i contro, non aveva considerato tutti gli aspetti della situazione. D’improvviso, e senza che se ne rendesse conto, la decisione gli si era imposta: decisione che gli era sembrata impossibile ma che invece aveva preso con molta facilità.

"Forse" pensò "inconsciamente ho imparato a comportarmi come gli esseri non-umani con cui ho avuto a che fare in questi anni, e me ne rendo conto solo adesso."

Fuori, nel ripostiglio, c’erano altre due scatole; bisognava prendere anche quelle. Poi avrebbe dovuto tornare in cantina per scegliere gli oggetti da portare con sé… Guardando distrattamente verso la finestra si accòrse che doveva affrettarsi, perché si avvicinava il tramonto. Fra poco sarebbe scesa la sera.

Gli venne in mente che non aveva ancora mangiato, ma non aveva tempo. Ci avrebbe pensato dopo.

Si voltò per posare Cucciolo sul tavolo, quando all’improvviso un piccolo rumore lo paralizzò.

Era il lieve ticchettio del materializzatore. Non poteva sbagliarsi, l’aveva sentito troppe volte. Inoltre, doveva trattarsi del materializzatore ufficiale, perché i viaggiatori normali venivano sempre annunciati da un messaggio della Centrale.

Si disse che doveva essere Ulisse o un altro rappresentante della Centrale.

Si avvicinò per vedere meglio, mentre già dal materializzatore usciva una figura alta e sottile.

— Ulisse! — esclamò Enoch. Ma si accorse di avere sbagliato. Il viaggiatore non era il suo amico.

Per un attimo gli sembrò di scorgere un cappello a cilindro, una cravatta bianca e un abito a code… Poi vide che l’essere era una via di mezzo tra un uomo e un topo: camminava eretto sulle zampe posteriori ma era coperto di pelo scuro e aveva il muso aguzzo proprio dei roditori.

Gli occhi, piccoli e rossi, scintillavano. Solo in un secondo tempo Enoch si accorse che portava un’arma a bandoliera, e che il metallo mandava bagliori nell’ombra.

C’era qualcosa di strano. Di solito, appena arrivati, i viaggiatori lo salutavano: quello, invece, si era limitato a lanciargli un’occhiata furtiva e si era rintanato nell’angolo.

Poi lo strano essere estrasse l’arma. Somigliava proprio a un fucile. "È questo il modo in cui vogliono chiudere la stazione" pensò Enoch. Uno sparo, il guardiano ucciso, l’impianto inutilizzabile… Ecco perché non avevano mandato Ulisse, che era suo vecchio amico.

Ma l’alieno non si mosse: sempre fermo nell’angolo, sollevò lentamente l’arma.

Enoch mandò un grido e, alzato il braccio, gli scagliò addosso Cucciolo. Dopo un attimo d’incertezza aveva capito quale fosse l’intento del visitatore: non uccidere lui, ma distruggere gli impianti della stazione. Infatti nell’angolo in cui si era rifugiato, e dal quale non si scostava, c’era il complesso dei comandi.

Se fosse riuscito a devastarlo, la Centrale avrebbe dovuto mandare una squadra di tecnici specializzati con un’astronave e sarebbero passati lunghi anni prima che la stazione potesse ricominciare a funzionare.

Al grido di Enoch la strana creatura si voltò e Cucciolo la colpì in pieno stomaco, facendola stramazzare a terra.

Enoch partì alla carica, e con un colpo ben assestato fece cadere l’arma che l’uomo-topo continuava a impugnare. Poi gli fu, sopra e, mentre cercava d’immobilizzarlo, sentì un odore disgustoso.

Circondò con le braccia il corpo dell’avversario, sollevandolo, e si stupì nel sentirlo tanto leggero. Allora lo alzò, e lo scaraventò nell’angolo opposto del locale. L’uomo-topo andò a sbattere contro una sedia, ma si rialzò con lo scatto di una molla, e si precipitò per riprendere la sua arma. Ma Enoch lo prevenne. Con un balzo lo raggiunse e lo afferrò per il collo, scuotendolo con furia selvaggia, tanto che la valigetta, che l’altro stringeva in pugno, gli sbatté più volte contro le costole.

Il fetore diventava insopportabile: Enoch aveva l’impressione che un martello gli picchiasse sulle tempie e una fiamma gli bruciasse la gola. La puzza che proveniva dal corpo dello sconosciuto era come un fiotto di gas venefico e toglieva il respiro. Enoch barcollò, sentendosi venir meno, con la nausea che gli torceva lo stomaco. D’istinto, lasciò la presa e si portò le mani al viso… Vide confusamente l’uomo-topo afferrare con un balzo l’arma, e precipitarsi verso la porta. Non lo sentì pronunciare la parola d’ordine, ma vide la porta aprirsi.

Un attimo dopo, lo sconosciuto era scomparso.

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