17. Martin

Martin si allontanò dalla strada e diresse il suo vecchio e cigolante veicolo verso una discesa che portava a un torrente asciutto. La batteria era di nuovo scarica, e prima di ritornare utilizzabile occorreva che si ricaricasse per alcune ore attraverso i pannelli solari. Quando l'automobile si fermò, notò con soddisfazione che risultava invisibile dalla strada. Non c'era molto traffico in quel paese di miserabili ma era meglio nascondere il veicolo. Era vecchio, ma conteneva ancora parti che si potevano rubare, se il proprietario non era in grado di difendere la sua proprietà.

Un mondo miserabile, si disse; senza denaro, senza credito, con poche occasioni di guadagno, e con il senso della legge più basso che si potesse immaginare: ciascuno si faceva la sua legge, se aveva muscoli a sufficienza per farla rispettare.

C'era una depressione economica su scala mondiale, se Martin aveva capito bene. Non poteva averne la certezza, poiché non aveva dati e nessuno pareva conoscere cosa succedeva nel mondo. C'era ancora la radio, gli avevano detto, anche se, nel paesucolo in cui si era ritrovato, nessuno possedeva un apparecchio radio, né tanto meno un televisore, ammesso che esistesse ancora la televisione. Quando aveva chiesto se ci fossero giornali, gli abitanti del villaggio lo avevano guardato senza capire.

Quando, alcune settimane prima, era giunto al villaggio, la gente si era allontanata da lui impaurita, unendosi in piccoli gruppi per fissarlo come se fosse stato un animale selvaggio disceso dalla sua tana fra le montagne.

Dopo qualche tempo, un vecchio che pareva avere una certa autorità si era avvicinato a lui e gli aveva parlato in una lingua sufficientemente comprensibile, anche se piena di parole e di intonazioni sconosciute. Udendo il racconto di Martin, non gli aveva creduto. Si era portato un dito alla tempia e l'aveva girato in tondo, come per indicare un debole di mente.

Per pura bontà di cuore, gli avevano dato del cibo e un letto. Nei giorni seguenti, parlando con gli uomini del villaggio, aveva saputo di trovarsi sulla Terra, nel ventitreesimo secolo, anche se nessuno sapeva l'anno esatto. Udendo questo, maledisse fra sé il mostro dal Muso di Cavallo, che senza dubbio era quello che lo aveva cacciato fuori dalla rete.

Rimase nel villaggio per qualche settimana, anche se non tenne il conto del tempo. In quel villaggio era facile perdere il conto di tutto. Aiutò a zappare nei campi di granturco, attività a lui poco congeniale, e a portare acqua da un piccolo fiume che scorreva a circa un chilometro dal villaggio. Imparò a mettere trappole per i conìgli e cercò di imparare l'uso dell'arco, ma con poca perizia.

Parlando con gli abitanti del villaggio era venuto a conoscenza di una strada poco più larga del sentiero che lo aveva condotto al villaggio, collocata poco più a nord: una strada che si congiungeva con una grande strada diritta che correva da est a ovest. Seguendo quella strada si arrivava infine alle città. Martin aveva l'impressione che anche queste fossero poco più che villaggi, ma con un maggior numero di persone e condizioni di vita meno pesanti.

Dalle notizie sulla scarsità di lavoro, sulla diminuzione dei traffici, sulla scomparsa del denaro, capì di trovarsi in un paese e in un secolo sprofondati in un collasso economico che non aveva risparmiato nessuna nazione del mondo.

Per caso aveva scorto il vecchio veicolo a energia solare, fermo sotto una tettoia, accanto a una delle baracche che componevano il villaggio. Esaminandolo, si era convinto che era ancora in grado di funzionare. Quando finalmente trovò il proprietario, gli fu chiaro che quell'uomo non ne aveva bisogno: non intendeva andare in nessun posto, e non sapeva guidare il veicolo. Dopo qualche contrattazione, Martin cedette il suo prezioso orologio da polso, oggetto che all'uomo serviva quanto il veicolo, poiché a nessuno, nel villaggio, interessava sapere l'ora del giorno.

E adesso Martin si trovava laggiù seduto sul letto di un torrente, in attesa che la batteria si ricaricasse. Il giorno prima aveva raggiunto la strada ampia che gli avevano descritto: una delle grandi autostrade transcontinentali che attraversavano la nazione da una costa all'altra. Si era diretto a ovest, perché pensava di trovarsi in qualche punto del sudovest americano, non lontano dalla costa del Pacifico: laggiù poteva trovare qualcuna delle grandi città, che forse erano solo la pallida immagine di quelle che conosceva, ma che rappresentavano pur sempre un'alternativa migliore di quel villaggio.

Nel corso della giornata passata sull'autostrada era stato sorpassato da tre soli veicoli. Uno era a energia solare, anche se era un modello più recente e meglio costruito del suo. Gli altri due erano azionati da motori a combustione interna. L'odore dolciastro dei gas di scarico faceva pensare che usassero come combustibile l'alcool.

Fermata la macchina si alzò stancamente dal sedile. Anche sulla superficie liscia dell'antica autostrada il viaggio era assai scomodo. Gli faceva male ogni muscolo a causa degli scossoni.

Si allontanò di qualche passo e si stirò. Non si udiva alcun rumore: né vento né insetti. Il cielo sopra di lui era azzurro pallido, e vi si scorgeva un solo uccello, molto in alto: forse un'aquila, più probabilmente una poiana.

Da entrambi i lati le pareti del canalone scendevano a strapiombo, consumate dall'erosione. Qua e là spuntavano piccoli massi e strati di pietre. Ai piedi delle pareti, dove scorreva il torrente che in quel momento era asciutto, si scorgevano mucchi di detriti.

A poca distanza da lui, il canale faceva una curva e poi prendeva un'altra direzione. Martin s'incamminò da quella parte e dopo un poco si fermò per osservare la parete alla sua sinistra. Si scorgeva il bianco dell'osso e lo scuro del corno: l'erosione aveva riportato alla luce un cranio che era rimasto sepolto fino a quel momento.

Era un cranio bovino, ma era così massiccio, e il corno era così grosso e lungo, che non poteva essere appartenuto a una delle locali mucche longhorn.

Doveva essere un bisonte, ma non un bisonte del vecchio West. Quello che aveva davanti agli occhi, si disse, era un bisonte preistorico, una delle bestie mostruose a cui avevano dato la caccia i primi uomini giunti in America. Guardando sul letto del fiume, sotto il cranio, vide altri pezzi d'osso.

Quanti anni erano passati, si domandò, da quando l'animale aveva brucato l'erba della prateria che oggi era un deserto? Almeno ventimila, forse di più. Forse in passato una simile scoperta avrebbe potuto fruttargli del denaro, pensò, ma se il mondo del presente era davvero nella situazione da lui immaginata, non c'era niente da guadagnare.

Una piccola sporgenza aveva resistito all'erosione. Girando attorno a essa, un riflesso metallico gli colpì lo sguardo. Si fermò, incuriosito. Il luccichio veniva da un oggetto incastrato nella parete. Dalla posizione in cui era Martin, il riflesso del sole non gli colpiva più gli occhi, ma l'oggetto luccicava ancora.

Raggiunse lentamente l'oggetto lucido e si fermò a osservarlo. Era una sfera levigatissima, simile a quelle usate dai ciarlatani per predire il futuro. Era grossa come un pallone da calcio, e talmente lucida che Martin vi vide riflessa la propria faccia come in uno specchio.

Tese le mani per staccarla dalla parete e la sfera gli parlò.

“Gentile signore” disse “prendetemi in mano e tenetemi con voi. Datemi il calore di un'altra vita e la vostra amorevole gentilezza. Sono rimasto solo per così tanto tempo”.

Martin s'immobilizzò, con le mani sollevate, ma senza avvicinarsi alla sfera. Aveva paura. Qualcosa gli aveva parlato nella mente, poiché non aveva udito suoni e parole: lo stesso modo di parlare di quel balordo pupazzo, il Cappello.

“Liberatemi” implorava la voce. “Portatemi con voi. Sarò per voi un amico, un servitore fedele. Vi chiedo soltanto di tenermi con voi. Non potrei sopportare il dolore di non essere accettato, di vedervi allontanare da me”.

Martin cercò di parlare. Ma le parole gli morirono nella gola.

“Non abbiate paura di me” disse la voce. “Nelle condizioni in cui mi trovo, non posso costituire un pericolo, e anche se potessi non ne avrei l'intenzione. Ho atteso tanto a lungo: un'eternità. Vi prego, gentile signore, abbiate pietà di me. Siete la mia unica speranza. Non posso affrontare nella solitudine l'eternità”.

Infine Martin riuscì a parlare.

Disse in fretta: — Chi sei? Stai parlando proprio con me?

“Sto parlando proprio con voi” disse la sfera. “Vi ascolto nella mia mente e vi parlo dalla mia mente. Le parole che voi pronunciate non significano niente per me. Non posso udire alcun suono. Un tempo avevo il senso dell'udito, ma l'ho perduto molto tempo fa”.

— Ma che cosa sei?

“È una storia lunga. Basterà dire che sono un antico manufatto di una razza misteriosa di cui non sopravvivono tracce”.

Questo maledetto aggeggio mente, pensò Martin.

La sfera protestò: “Non mento. Perché dovrei mentire a voi, che siete il mio salvatore”?

— Non ho detto che mentivi. Non ho detto neppure una parola.

“Avete formulato il pensiero nella vostra testa. Pensavo che fosse indirizzato a me”.

— Mio Dio! — esclamò Martin. — Tu mi leggi nella mente. Puoi leggere nella mente di qualsiasi persona?

“È la mia maniera di conversare” disse la sfera. “E, certo, posso leggere nella mente di ogni creatura pensante che sia abbastanza vicina”.

— Benissimo — disse Martin. — Benissimo.

Fece un passo avanti e staccò la sfera dalla parete; sul terriccio rimase la sua impronta. La sfera dava un senso di solidità, ma non era pesante. La tenne sul palmo per un momento, poi la posò sul fondo del canalone e si sedette.

“Gentile signore” chiese la sfera “intendete tenermi”?

— Sì, penso che ti terrò con me.

“Non ve ne pentirete mai” disse la sfera. “Sarò il vostro migliore amico, sarò…”

— Lasciamo perdere, per il momento — disse Martin. — Ne parleremo più tardi.

Raccolse la sfera e ritornò verso la sua vettura. “Dove andiamo, signore”?

— Ti porto nella mia auto — disse Martin. — Ti lascio lì dentro. Ho alcune cose da fare. Aspettami nella macchina. Ritorno più tardi.

“Ritornate davvero? Gentile amico, mi promettete di ritornare”?

— Te lo prometto — disse Martin.

Portò la sfera nella vettura e si allontanò, diretto verso la sorgente del canalone, finché non ebbe raggiunto un punto abbastanza lontano da quello dove aveva trovato la sfera. Qui, si disse, convinto e soddisfatto, non riuscirà a leggermi nella mente. Aveva in testa un'idea, e voleva pensarci da solo.

Il fatto era abbastanza strano, si disse. Doveva esserci il modo di guadagnarci qualcosa. Usata nel modo giusto, quella sfera poteva assicurargli una vita migliore, in quel mondo abbandonato da Dio. Valutò rapidamente alcune possibilità. Esaminò un'idea dopo l'altra. Nella sfera c'erano molte promesse, e lui doveva pensare bene al suo impiego.

In quel mondo immerso nel buio doveva esserci qualcosa che esercitava ancora un richiamo. Era un mondo in cui era morta la speranza, e forse era proprio la speranza, la cosa su cui fare leva. Non si poteva promettere ricchezze alla gente. La speranza di ricchezza era una speranza vuota, e tutti lo sapevano: in quel mondo non c'erano ricchezze da dare. Ma la speranza in se stessa… la pura e incontaminata speranza… poteva essere qualcosa di diverso. Bastava trovare il modo di dare a quella gente la speranza, e la gente avrebbe abboccato. Sarebbe accorsa a frotte, per averne una briciola. Ma doveva essere qualcosa di più che una semplice speranza a parole. Doveva riuscire a scatenare urla e fanatismo.

Pensò a come si potesse utilizzare il fanatismo, ma non riuscì a trovare la soluzione. Si mise a camminare avanti e indietro, pensando alla speranza e al fanatismo, e a quel che avrebbe potuto guadagnare diffondendo una fede fanatica. Una vita più comoda, forse, ma non certo le ricchezze. O forse avrebbe potuto guadagnare posizione e potere. E un uomo abile, una volta ottenuti posizione e potere, poteva arrivare da qualsiasi parte.

Continuò a pensare a questa idea e al mistero di quel manufatto antichissimo, anche se aveva i suoi dubbi sull'effettiva antichità della sfera.

Una nuova religione poteva essere la sua carta vincente. Sì… una nuova religione! Un nuovo messia e un antichissimo manufatto, che si mostravano avvolti in una sacra veste di mistero.

Si sedette su un sasso e continuò a riflettere. Occorreva iniziare in modo sommesso, senza grandi clamori, senza imbonimenti da circo. Una partenza umile e limitata, facendosi pubblicità a voce, da una persona all'altra.

E per dare inizio alla sua crociata, doveva dire alla gente quello che la gente voleva sentirsi dire. Doveva gradualmente trovare ciò che desiderava, e poi darglielo.

Rimaneva un ultimo problema: che cos'era la sfera? Non certo l'antico manufatto di una razza dimenticata, come gli aveva detto. Anche se la cosa, vera o no, poteva venirgli utile nella crociata religiosa che aveva in mente. Cercò di immaginare la possibile origine della sfera e scartò una dopo l'altra varie possibilità. Infine si disse che era una perdita di tempo. Non aveva bisogno di sapere che cos'era veramente la sfera. Poteva usarla senza saperlo.

Tornò a pensare al suo progetto di una religione della speranza, e ne esaminò ogni aspetto, per individuare possibili ostacoli. Non ne trovò nessuno che non si potesse superare. In fin dei conti, un popolo privo di speranza non avrebbe fatto troppe domande, nel vedersela offrire. Avrebbero accolto immediatamente «la promessa di una futura salvezza, avrebbero gridato per averne ancora. Era un piano a prova di errore, se veniva gestito nel modo corretto. Occorreva ancora studiare i particolari, ma non vedeva grandi problemi. Il piano era buono, e lui era la persona adatta per realizzarlo.

Si diresse verso la vettura. Era rimasto nel canalone più del previsto. Il sole era quasi al tramonto.

“Siete ritornato!” gridò gioiosamente la sfera, nella sua testa. “Avevo paura di non vedervi più. Ho molto sofferto al pensiero di perdervi”.

— Non c'era bisogno che soffrissi — disse Martin. — Sono qui.

Controllò la batteria e vide che era carica al massimo della capacità. Posò la sfera sul pavimento della vettura e si sedette al posto del guidatore.

— Una sola domanda — chiese alla sfera. — Come sono i tuoi principi? Hai delle riserve morali?

“Che cosa vuol dire 'morali'?” domandò la sfera. “Spiegatemi il significato della parola”.

— Lascia perdere — disse Martin. — Non c'è problema. Faremo una bella coppia.

Girò la vettura e ritornò sulla strada principale.

Загрузка...