CAPITOLO NONO

Dopo due settimane di lavoro quasi ininterrotto, la ditta Edfrank — Gioielli su misura aveva prodotto la sua prima serie completa. I pezzi erano stati disposti su due assi ricoperte di velluto nero, all’interno di un cestino riquadrato di vimini di fattura giapponese. Ed McCarthy e Frank Frink avevano anche preparato i loro biglietti da visita. Si erano serviti di una gomma da disegno sulla quale avevano inciso il loro nome; con questo stampavano l’intestazione in rosso e poi completavano il biglietto con una stampatrice rotante per bambini. L’effetto (avevano usato del cartoncino colorato per auguri natalizi, di alta qualità) era sbalorditivo.

In ogni aspetto del lavoro si erano rivelati dei professionisti. Guardando i gioielli, i biglietti e il campionario, non c’era niente di dilettantesco. E perché mai avrebbe dovuto essere il contrario? pensò Frank Frink. Siamo due professionisti; non tanto nella creazione di gioielli, ma nella lavorazione artigianale in genere.

Sulle assi era esposta una buona varietà di prodotti. Braccialetti di ottone, di rame, di bronzo e anche di ferro nero lavorato a caldo. Pendenti prevalentemente di ottone con piccoli ornamenti argentati. Orecchini d’argento. Spille d’argento o di ottone. L’argento gli era costato piuttosto caro, e avevano speso una bella somma anche per acquistare il saldatore. Avevano acquistato anche un po’ di pietre semipreziose, per montarle sulle spille: perle barocche, spinelli, giade, schegge di opale. E se gli affari fossero andati bene, avrebbero provato con l’oro e magari con diamanti di non grande valore.

Era l’oro a garantire i migliori margini di guadagno. Avevano già cominciato a cercare frammenti d’oro, pezzi antichi già fusi privi di valore artistico… che avevano un prezzo molto inferiore a quello dell’oro nuovo. Ma anche così, si trattava sempre di una spesa assai rilevante. Eppure una spilla d’oro avrebbe fruttato più di quaranta spille di ottone. Potevano chiedere il prezzo che volevano, sul mercato al dettaglio, per una spilla d’oro ben disegnata e lavorata… nell’ipotesi, come aveva fatto osservare Frink, che i prodotti si vendessero.

Non avevano ancora cercato di mettere in vendita il materiale. Avevano risolto quelli che sembravano i problemi di fondo; avevano il banco da lavoro con tanto di motori, cavo flessibile, tornio e mole per lucidare. Disponevano in effetti di una serie completa di attrezzi per la rifinitura, che andavano dalle spazzole di fil di ferro grezzo a quelle di ottone, fino alle mole di Cratex, e poi i tessuti più delicati per lucidare, cotone, lino, pelle, camoscio, che si potevano utilizzare con ogni tipo di composti, quali smeriglio, pomice e gli ossidi rossi più delicati. E naturalmente avevano il saldatore ad acetilene, le bombole, i contatori, i tubi, le punte, le maschere…

E straordinari strumenti per l’oreficeria. Pinze tedesche e francesi, micrometri, trapani con la punta di diamante, seghe, mollette, pinzette, attrezzature di terza mano per la saldatura, morse, tessuti per lucidare, forbici, piccoli martelli forgiati a mano… file e file di strumenti di precisione. E ancora una fornitura di lingotti per saldare di diversi diametri, fogli di metallo, sostegni per spille, maglie di catene, mollette per orecchini. Avevano già speso ben più di metà dei duemila dollari, e nel conto in banca intestato alla Edfrank ne rimanevano ormai appena duecentocinquanta. Ma avevano aperto un’attività in piena regola; avevano anche l’autorizzazione rilasciata dal governo americano. Non rimaneva altro che vendere.

Nessun negoziante, pensò Frink mentre osservava l’assortimento, può esaminarli con più attenzione di noi. Certo hanno un bell’aspetto, questi pochi pezzi selezionati, ognuno scrupolosamente controllato alla ricerca di saldature imperfette, bordi ruvidi o troppo aguzzi, macchie di colore… Il controllo di qualità è stato eccellente. La minima traccia di opacità, il più piccolo graffio provocato dalla spazzola, e il negoziante gli avrebbe rimandato indietro il pezzo. Non possiamo permetterci di offrire un lavoro rozzo o incompleto; una impercettibile macchietta nera su una collana d’argento e siamo finiti.

Il primo negozio che compariva sul loro elenco era quello di Robert Childan. Ma poteva andarci solo Ed; Childan si sarebbe certamente ricordato di Frank Frink.

«Sarai tu a occuparti di quasi tutte le vendite,» disse Ed, ma era rassegnato all’idea di contattare Childan; si era comprato un bel vestito, una cravatta nuova, una camicia bianca, proprio per fare una buona impressione. Ciononostante sembrava a disagio. «So che siamo in gamba,» disse per la milionesima volta. «Però… al diavolo.»

La maggior parte dei gioielli erano astratti, fili arrotolati, occhielli, disegni che in qualche modo il metallo fuso aveva assunto da solo. Alcuni avevano la leggerezza e la delicatezza di una ragnatela, altri una vigoria massiccia, possente, quasi barbarica. C’era una straordinaria varietà di forme, considerando l’esiguo numero di pezzi che erano stati esposti; eppure un negozio, si rese conto Frink, potrebbe acquistare tutto ciò che abbiamo realizzato. Visiteremo ogni negozio una sola volta… se dovesse andare male. Ma se ce la faremo, se riusciremo a piazzare i nostri prodotti, torneremo a prendere gli ordini per il resto della nostra vita.

I due uomini riposero insieme le tavolette ricoperte di velluto all’interno del cestino di vimini. Nella peggiore delle ipotesi, potremo sempre ricavare qualcosa dal metallo, si disse Frink. E poi ci sono gli strumenti e l’attrezzatura; dovremo rivenderli sottocosto, ma è sempre meglio di niente.

Questo è il momento di consultare l’oracolo. Domanda: come se la caverà Ed, in questo suo primo tentativo di vendita? Ma era troppo nervoso. Avrebbe potuto ricavarne un auspicio negativo, e non si sentiva in grado di sopportarlo. In ogni caso, ormai il dado era stato gettato; gli esemplari erano pronti, il laboratorio attrezzato… qualsiasi cosa potesse blaterare in merito l’I Ching.

Non può vendere i gioielli per conto nostro… non è lui che può darci la fortuna.

«Proverò con il negozio di Childan, per primo» disse Ed. «Tanto vale chiudere la faccenda una volta per tutte. Poi proverai tu, con altri due o tre negozi. Vieni con me, sul camioncino, vero? Parcheggerò appena girato l’angolo.»

Dio solo sa se Ed è un buon venditore, o se lo sono io, pensò Frink mentre salivano sul camioncino con il loro cesto di vimini. Forse può andarci bene, con Childan, ma occorre saperci fare, come dicono loro.

Se Juliana fosse qui, pensò, potrebbe entrare in quel negozio e cavarsela senza battere ciglio; è bella, sa parlare con chiunque, ed è una donna. In fondo si tratta di gioielli femminili. Potrebbe anche indossarli, dentro il negozio. Chiuse gli occhi e cercò di immaginare che aspetto avrebbe avuto Juliana con uno dei loro braccialetti. O una delle grandi collane d’argento. Con i capelli neri e la carnagione pallida, e gli occhi tristi, indagatori… con una camicetta grigia di jersey, un po’ troppo aderente, e l’argento adagiato sulla pelle nuda, il metallo che si alza e si abbassa al ritmo del suo respiro…

Dio, era ancora così vivida nella sua mente, adesso. La vide mentre prendeva ogni pezzo con le dita forti e sottili, e lo esaminava attentamente, con la testa rivolta all’indietro, il gioiello sollevato verso l’alto. La vide mentre sceglieva, che constatava ciò che lui aveva fatto.

Ma avrebbe portato ancora meglio gli orecchini, decise. Quelli lucidi, a pendente, specialmente quelli di ottone. Con i capelli raccolti all’indietro con una spilla, oppure tagliati corti in modo da mostrare il collo e le orecchie. E potremmo scattarle delle foto, e utilizzarle come pubblicità. Lui e Ed avevano discusso dell’eventualità di fare un catalogo, così da poter vendere per posta anche ai negozi stranieri. Juliana sarebbe stata magnifica… la sua pelle è perfetta, piena di salute, senza pieghe e senza rughe, e ha un colorito stupendo. Lo farebbe, se riuscissi a rintracciarla? Qualsiasi cosa possa pensare di me; qui la nostra vita personale non c’entra. Si tratterebbe di una faccenda strettamente commerciale.

Diavolo, non sarei nemmeno io a fare le fotografie. Ci serviremmo di un fotografo professionista. Questo le farebbe piacere. Probabilmente la sua vanità è quella di sempre. Si è sempre compiaciuta quando gli uomini la guardavano, la ammiravano; non importa chi fossero. Penso che quasi tutte le donne siano così. Desiderano sempre attirare l’attenzione. In un certo senso sono infantili.

Juliana non potrebbe mai vivere da sola, pensò; dovevo esserci sempre io, con lei, a lusingarla. I bambini sono così; sentono che se i genitori non osservano quello loro fanno, allora tutto ciò non è reale. Ci sarà certamente qualcuno con lei, adesso, a corteggiarla. A dirle quanto sia bella. Le sue gambe. Il suo stomaco liscio, piatto…

«Cosa succede?» gli disse Ed, dandogli un’occhiata. «Sei nervoso?»

«No,» rispose Frink.

«Non ho nessuna intenzione di andare lì a fare la bella statuina,» disse Ed. «Sono arrivato a qualche conclusione. E ti dirò un’altra cosa; non ho paura. Non mi lascio intimidire solo perché quello è un posto di lusso e io devo mettermi il vestito elegante. Ammetto che non ci tengo molto a vestirmi. Ammetto di non sentirmi a mio agio. Ma questo non significa un bel niente. Ho ancora intenzione di andare là dentro e di fargliela vedere, a quella faccia da culo.»

Meglio per te, pensò Frink.

«Cavolo, se tu sei stato capace di entrare là, come hai fatto,» proseguì Ed, «facendogli credere di essere l’attendente di un ammiraglio giapponese, io dovrei riuscire a dirgli la verità, che questa è ottima gioielleria, originale, creativa, fatta a mano, che…»

«Lavorata a mano,» lo corresse Frink.

«Va bene. Lavorata a mano. Voglio dire, io entrerò in quel negozio e non ne uscirò finché non avrà cacciato i soldi. Non può non acquistare questa merce. Se non lo fa vuol dire che è proprio scemo. Mi sono guardato intorno; non c’è niente di simile in vendita, da nessuna parte. Dio, quando penso che magari potrebbe guardarla, ma non acquistarla… mi fa talmente uscire dai gangheri che mi metterei a urlare.»

«Ricordati di dirgli che non sono placcati,» gli disse Frink. «Che il rame è rame massiccio, e l’ottone, ottone massiccio.»

«Lascia che trovi l’approccio migliore,» disse Ed. «Ho delle ottime idee in testa.»

L’unica cosa che posso fare è questa, si disse Frink. Posso prendere un paio di esemplari — a Ed non importerà — impacchettarli e spedirli a Juliana. Così lei vedrà quello che faccio. Le autorità postali la rintracceranno; glieli spedirò all’ultimo indirizzo conosciuto. Che cosa dirà quando aprirà il pacchetto? Dovrò allegare un biglietto per spiegarle che li ho fatti io; che sono uno dei titolari di una nuova piccola ditta specializzata nella creazione di gioielli. Accenderò la sua immaginazione, le accennerò solo qualcosa, in modo che vorrà saperne di più, e si interesserà alla cosa. Le parlerò delle gemme e dei metalli, dei posti in cui vendiamo, dei negozi alla moda…

«Non è da queste parti?» disse Ed, rallentando il veicolo. Si trovavano del bel mezzo del caotico traffico del centro; i palazzi nascondevano il cielo. «Sarà meglio che parcheggi.»

«Altri cinque isolati,» disse Frink.

«Hai una di quelle sigarette alla marijuana?» gli chiese Ed. «In questo momento una mi calmerebbe.»

Frink gli passò il pacchetto di T’ien-lai, marca “Musica Celeste”, che aveva imparato a fumare alla W-M Corporation.

Lo so che vive con qualcuno, si disse Frink. Che dorme con lui. Come se fosse sua moglie. Conosco Juliana. Non potrebbe sopravvivere in altro modo; so come diventa quando si fa sera. Quando comincia a fare freddo e tutti se ne stanno a casa seduti nel soggiorno. Non è mai stata tagliata per la vita solitaria. E nemmeno io, si rese conto.

Forse quel tizio è un brav’uomo. Uno studente timido che lei si è portata in casa. Sarebbe la donna ideale per un ragazzo che non abbia mai avuto il coraggio di accostare una donna. Non è dura o cinica. Gli farebbe un gran bene. Spero con tutto il cuore che non stia con qualcuno più vecchio. Non lo sopporterei. Magari un tipo vissuto, volgare, con lo stuzzicadenti che gli spunta all’angolo della bocca, e che si prende gioco di lei.

Sentì che cominciava a respirare affannosamente. L’immagine di un energumeno peloso, dalla faccia bovina, che si approfittava di Juliana, le faceva condurre una vita squallida… so che lei finirebbe per uccidersi, pensò. È scritto nelle sue carte, se non trova l’uomo giusto… e questo significa un giovane, magari uno studente educato, sensibile, dolce, uno che sia in grado di apprezzare i suoi ragionamenti.

Io ero troppo rozzo per lei, si disse. Eppure non sono così male; ci sono un mucchio di uomini peggiori di me. Non avevo difficoltà a sentire ciò che lei pensava, ciò che voleva, quando si sentiva sola, o di cattivo umore, oppure depressa. Ho passato un sacco di tempo accanto a lei, a preoccuparmi, a farmi carico dei suoi problemi. Ma non era abbastanza. Lei meritava di più. Lei merita molto, pensò.

«Parcheggio,» disse Ed. Aveva trovato un posto e stava facendo marcia indietro, guardando al di sopra della spalla.

«Senti,» disse Frink. «Posso mandare un paio di pezzi a mia moglie?»

«Non sapevo che fossi sposato.» Intento a parcheggiare, Ed gli rispose meccanicamente. «Ma certo. Purché non siano quelli d’argento.»

Ed spense il motore.

«Ci siamo,» disse. Emise uno sbuffo di fumo di marijuana, poi schiacciò la sigaretta sul cruscotto, lasciando cadere il mozzicone a terra. «Augurami buona fortuna.»

«Buona fortuna,» disse Frank Frink.

«Ehi, guarda. Sul retro del pacchetto di sigarette c’è un waka, una di quelle poesie giapponesi.» Ed la lesse a voce alta, cercando di superare il rumore del traffico.


Sentendo un cuculo cantare,

ho guardato nella direzione

da cui proveniva quel canto:

che cosa ho visto?

Solo la pallida luna nel cielo dell’alba.


Restituì a Frink il pacchetto di T’ien-lai. «Criiiisto!» esclamò, poi diede una pacca sulla spalla del suo compagno, fece un sorriso stentato, aprì lo sportello, prese il cesto di vimini e scese dal camioncino. «Pensaci tu a mettere la moneta nel parchimetro,» disse, allontanandosi lungo il marciapiede.

Dopo un attimo era scomparso in mezzo agli altri pedoni.

Juliana, pensò Frink. Ti senti sola come me?

Scese dal veicolo e infilò una moneta nel parchimetro.

Paura, pensò. Questa avventura dei gioielli… E se dovesse fallire? Se dovesse fallire? Sarebbe stato così, secondo l’oracolo. Lamenti, lacrime e dolore.

Un uomo affronta le ombre sempre più scure della sua vita. Il suo passaggio verso la tomba. Se lei fosse qui non sarebbe così tremendo. Non sarebbe affatto tremendo.

Ho paura, si rese conto. E se Ed non riuscisse a vendere niente? Se gli altri rìdessero di noi?

Che succederebbe, allora?


Juliana, sdraiata sopra un lenzuolo disteso sul pavimento della stanza, era stretta accanto a Joe Cinnadella. La stanza era calda, piena del sole di metà pomeriggio. Il suo corpo e quello dell’uomo fra le sue braccia, erano madidi di sudore. Una goccia scivolò lungo la fronte di Joe, si arrestò per un attimo sullo zigomo, poi le cadde sulla gola.

«Sei ancora gocciolante,» mormorò lei.

Joe non disse nulla. Il suo respiro, lungo, lento, regolare… come l’oceano, pensò Juliana. Dentro, non siamo altro che acqua.

«Com’è stato?» gli chiese.

Lui mormorò che gli era piaciuto.

Mi sembrava, pensò Juliana. Me ne accorgo sempre. Adesso dobbiamo alzarci, riprenderci. O qualcosa non va? È il segno di una disapprovazione inconscia?

Lui si mosse.

«Vuoi alzarti?» Si afferrò a lui con tutte e due le braccia. «Non farlo. Non ancora.»

«Non devi andare in palestra?»

Non andrò in palestra, disse Juliana fra sé. Non lo capisci? Ce ne andremo da qualche parte; non rimarremo qui ancora per molto. Ma dovrà essere un posto in cui non siamo mai stati prima d’ora. È il momento.

Lo sentì che cominciava a sollevarsi, a mettersi in ginocchio, sentì le proprie mani che scivolavano dalla sua schiena umida e scivolosa. Poi lo sentì andar via, i piedi nudi sul pavimento. In bagno, certamente. A farsi una doccia.

È finita, pensò. Oh, bene. Emise un sospiro.

«Ti sento,» disse Joe dal bagno. «Che ti lamenti. Sempre giù di corda, eh? Preoccupazione, paura e sospetto, per me e per ogni altra cosa al mondo…» Riemerse per un attimo, insaponato e gocciolante, con il volto raggiante. «Che ne diresti di partire?»

Il cuore le batté più forte. «Per dove?»

«In qualche grande città. Magari verso nord, a Denver, che te ne pare? Ti porterò fuori; comprerò i biglietti per qualche bello spettacolo, poi un buon ristorante, viaggeremo in taxi, e potrai avere un abito da sera o quello che ti serve. D’accordo?»

Lei non riusciva a credergli, ma voleva farlo; si sforzò di credergli.

«Ce la farà quella tua Stude?» le gridò Joe.

«Ma certo,» disse lei.

«Ci procureremo tutti e due un bel vestito nuovo,» le disse. «Ce la spasseremo, forse per la prima volta nella nostra vita. Servirà a non farti crollare.»

«Dove troveremo i soldi?»

«Li ho io,» disse Joe. «Guarda nella mia valigetta.» Richiuse la porta del bagno; lo scroscio dell’acqua soffocò le sue parole.

Juliana aprì il cassetto e tirò fuori la valigetta sporca e ammaccata. Era vero. In un angolo trovò una busta che conteneva banconote della Reichsbank, una valuta ottima e accettata dovunque. Allora possiamo andare, si rese conto. Forse non si sta prendendo gioco di me. Vorrei solo essere dentro di lui e vedere quello che c’è, si disse mentre contava il denaro…

Sotto la busta trovò una grossa penna stilografica di forma cilindrica, o almeno tale le sembrò; comunque aveva una clip. Ma pesava molto. Circospetta, la sollevò e ne svitò il cappuccio. Sì, aveva la punta dorata. Ma…

«Che cos’è questa?» chiese a Joe quando riapparve dopo avere finito la doccia.

Lui gliela prese, e la rimise nella valigetta. La maneggiava con molta cura… lei se ne accorse e ci pensò sopra, perplessa.

«Hai altre curiosità morbose?» le disse. Sembrava di ottimo umore, come lei non lo aveva mai visto dal momento del loro incontro; con un grido di entusiasmo la afferrò per la vita e la strinse fra le braccia, facendola dondolare avanti e indietro; la guardò in viso e la avvolse nel suo caldo respiro, aumentando la stretta fino a farla gemere.

«No,» disse lei. «Sono solo… un po’ lenta a cambiare.» E ancora un po’ spaventata da te, pensò. Così spaventata che non riesco nemmeno a confidartelo.

«Fuori dalla finestra,» gridò Joe, attraversando la stanza con lei in braccio. «Su, andiamo.»

«Ti prego,» disse lei.

«Stavo scherzando. Ascoltami… faremo una marcia, come la Marcia su Roma. Te la ricordi, no? Li ha guidati il Duce, e c’era anche mio zio Carlo. Adesso noi faremo una piccola marcia, meno importante, che non finirà sui libri di storia. D’accordo?» Piegò la testa e la baciò sulla bocca, con tanto impeto che i loro denti si urtarono. «Saremo bellissimi, nei nostri vestiti nuovi. E tu mi spiegherai esattamente come devo parlare, come devo comportarmi, va bene? Insegnami le buone maniere, d’accordo?»

«Tu parli bene,» disse Juliana. «Anche meglio di me.»

«No.» All’improvviso divenne serio. «Io parlo malissimo. Ho un orribile accento da immigrato. Non te ne sei accorta, quando mi hai conosciuto in quel locale?»

«Penso di sì,» disse lei; non le sembrava così importante.

«Solo una donna conosce le convenzioni sociali,» disse Joe, riportandola indietro e facendola rimbalzare pericolosamente sul letto. «Quando non c’è una donna, noi non facciamo che parlare di macchine da corsa e di cavalli, e raccontare barzellette sporche; veri campioni d’inciviltà.»

Hai uno strano umore, pensò Juliana. Sei agitato e chiuso in te stesso finché non decidi di metterti in movimento; allora ti scateni. Vuoi davvero me? Puoi mollarmi, lasciarmi qui; è già successo. Io ti mollerei, pensò, se dovessi andarmene via.

«È la tua paga?» gli domandò mentre si vestiva. «Hai fatto dei risparmi?» Era una grossa cifra. Naturalmente all’Est circolava molto denaro. «Tutti gli altri camionisti che ho conosciuto non sono mai riusciti a…»

«Tu dici che sono un camionista?» la interruppe Joe. «Ascolta, ero su quel camion non come autista, ma per tenere lontani i rapinatori. Mi spacciavo per un camionista che sonnecchiava a bordo.» Si lasciò cadere su una sedia in un angolo, si appoggiò allo schienale e fece finta di dormire, con la bocca aperta e il corpo inerte. «Vedi?»

All’inizio lei non vide niente. Poi si accorse che nella mano stringeva un coltello, affilato come un pelapatate da cucina. Buon Dio, pensò. Da dove è sbucato? Dalla manica, o forse dal nulla.

«Ecco perché quelli della Volkswagen mi hanno assunto. Per i miei trascorsi da militare. Ci difendevamo da Haselden e i suoi commandos; era lui che li guidava.» Gli occhi neri mandarono un luccichio; rivolse a Juliana un sorriso bieco. «Indovina chi è stato a prendere il colonnello, alla fine? Quando li catturammo sul Nilo… lui e quattro del suo Gruppo Avanzato del Deserto, qualche mese dopo la campagna del Cairo. Una notte ci hanno assalito per prenderci la benzina. Io ero di sentinella. Haselden arrivò furtivo, con la faccia e il corpo tinti di nero, e anche le mani; quella volta non avevano il fil di ferro, solo granate e fucili mitragliatori. Hanno fatto troppo rumore. Lui ha provato a spezzarmi la laringe, e io l’ho sistemato.» Dalla sedia, Joe scattò verso di lei, ridendo. «Facciamo le valige. Avvisa quelli della palestra che ti prendi qualche giorno di vacanza; telefona.»

Il suo racconto proprio non la convinceva. Forse non era mai stato in Nord Africa, non aveva mai fatto la guerra dalla parte dell’Asse, e non aveva neppure combattuto. Quali rapinatori? si domandò. Non sapeva di nessun camion che fosse venuto dalla Costa Orientale attraverso Canon City con un professionista armato, un ex militare, come scorta. Forse non viveva nemmeno negli Stati Uniti, e si era inventato tutto di sana pianta; una trovata per prenderla al laccio, per suscitare il suo interesse, per sembrare un personaggio romantico.

Forse è pazzo, pensò. Ironico… potrei fare sul serio ciò che ho finto di fare molte volte: servirmi del judo per difendermi. Per salvare la mia… verginità? La mia vita, pensò. Ma più probabilmente lui è solo un povero oriundo italiano con manie di grandezza; vuole solo fare un po’ di baldoria, spendere tutti i suoi soldi, spassarsela… e poi tornare alla sua monotona esistenza. E ha bisogno di una ragazza che lo faccia insieme a lui.

«Va bene,» disse. «Adesso avviso la palestra.» Mentre si dirigeva verso il corridoio pensò: mi comprerà degli abiti costosi e poi mi porterà in qualche albergo di lusso. Ogni uomo desidera avere accanto a sé una donna ben vestita, prima di morire, anche se quegli abiti deve pagarli lui. Quest’idea grandiosa è probabilmente il desiderio di tutta la vita di Joe Cinnadella. E lui è perspicace; scommetto che ha ragione, nell’analisi che ha fatto di me… ho una paura nevrotica del maschio. Lo sapeva anche Frank. È per questo che lui e io ci siamo lasciati; è per questo che ancora adesso provo quest’angoscia, questa scarsa fiducia in me stessa.

Quando tornò, dopo aver fatto la telefonata, trovò Joe di nuovo immerso nella lettura de La cavalletta; faceva strane smorfie, mentre leggeva, e si era completamente estraniato dal resto del mondo.

«Non avevi detto che me lo avresti fatto leggere?» gli chiese.

«Magari mentre guido,» disse Joe, senza alzare gli occhi.

«Vuoi guidare tu? Ma è la mia macchina!»

Lui non replicò; continuò a leggere come se nulla fosse.


Da dietro il registratore di cassa, Robert Childan sollevò lo sguardo e vide che un uomo magro, alto, dai capelli neri era entrato nel negozio. L’uomo indossava un abito quasi alla moda e aveva con sé un grosso cesto di vimini. Un rappresentante. Però non aveva il solito sorriso gioviale dei rappresentanti; al contrario, aveva un’espressione torva, imbronciata, sul volto coriaceo. Sembra più un idraulico o un elettricista, pensò Robert Childan.

Quando ebbe finito con il suo cliente, Childan si dedicò al nuovo arrivato. «Chi rappresenta?»

«Oreficeria Edfrank,» farfugliò in risposta l’altro. Aveva posato il cesto su uno dei banconi.

«Mai sentita nominare.» Childan si avvicinò mentre l’uomo slegava il coperchio del cesto e lo apriva, con grande spreco di movimenti.

«Lavorati a mano. Ognuno è un pezzo unico, originale. Ottone, rame, argento. Anche ferro nero forgiato a caldo.»

Childan diede un’occhiata dentro il cesto. Metallo su velluto nero. Curioso. «No, grazie. Non è il genere di merce che tratto.»

«Ma questo è artigianato americano. Contemporaneo.»

Facendo cenno di no con la testa, Childan tornò dietro il registratore di cassa.

Per un po’ l’uomo rimase a giocherellare con il cesto e con il suo campionario. Non si decideva a mostrarlo né a riporlo; sembrava che non sapesse che cosa fare. Childan lo osservò a braccia conserte, rimuginando sui vari problemi della giornata. Alle due aveva un appuntamento per mostrare alcune tazze d’epoca. Poi alle tre… un’altra serie di esemplari che rientravano dal laboratorio dell’università, dopo essere stati sottoposti a degli esami di autenticità. Nelle ultime due settimane, dopo quello spiacevole incidente con la Colt 44, aveva fatto esaminare moltissimi altri pezzi.

«Non sono placcati,» disse l’uomo con il cesto di vimini, mostrandogli un braccialetto. «Sono di rame massiccio.»

Childan annuì senza rispondere. L’uomo si sarebbe trattenuto per un po’, gli avrebbe fatto vedere i suoi prodotti, ma alla fine se ne sarebbe andato.

Squillò il telefono. Childan rispose. Un cliente che chiedeva informazioni su un’antica sedia a dondolo, di grande valore, che Childan gli stava facendo restaurare. Non era ancora pronta, e dovette inventarsi una storia convincente. Osservando il traffico di mezzogiorno attraverso la vetrina del negozio, Childan tranquillizzò il cliente il quale alla fine, convinto, chiuse la comunicazione.

Non c’è dubbio, pensò, mentre riappendeva il ricevitore. Quella storia della Colt 44 lo aveva proprio scosso. Non riusciva a considerare la sua merce con la stessa fiducia di prima. Ci sarebbe voluto molto tempo per assimilare una scoperta come quella. Come il risveglio della prima infanzia; sono i fatti della vita. Mostra il legame con i nostri anni giovanili, rifletté; non riguarda semplicemente la storia americana, ma la nostra vicenda personale. Come se, pensò, potesse sorgere qualche dubbio sull’autenticità del nostro certificato di nascita. O sul nostro ricordo di papà.

Forse, per esempio, io non mi ricordo veramente di F.D.R. Ne ho un’immagine artificiale distillata dall’ascolto di molti che ne hanno parlato. Un mito sottilmente innestato nel tessuto cerebrale. Come il mito di Hepplewhite, pensò. Il mito di Chippendale. O piuttosto qualcosa del tipo “Abraham Lincoln ha mangiato qui”. Ha usato queste vecchie posate d’argento. Tu non puoi vederlo, ma il fatto rimane.

All’altro bancone, sempre alle prese con il suo cesto di vimini e il suo campionario, il venditore disse: «Possiamo fare dei pezzi su ordinazione. Su richiesta del cliente. Se qualcuno dei suoi clienti ha un desiderio particolare.» Aveva la voce strozzata; si schiarì la gola, fissando Childan e poi nuovamente il gioiello che teneva in mano. Evidentemente non sapeva come andarsene.

Childan gli sorrise senza dire nulla.

Non tocca a me. Tocca a lui, lasciare questo posto. Salvando la faccia o meno.

Una cosa sgradevole, quel disagio. Ma non è necessario essere rappresentanti. Tutti soffriamo, in questa vita. Guardate me. Tutti i giorni a combattere con i giapponesi come il signor Tagomi. E basta una semplice inflessione di voce sbagliata perché io ci sbatta il naso, e la mia vita divenga miserabile.

Poi gli venne un’idea. È chiaro che questo tipo non ha nessuna esperienza. Basta guardarlo in faccia. Magari posso farmi lasciare qualcosa in conto vendita. Vale la pena di provare.

«Ehi,» disse Childan.

L’uomo alzò subito gli occhi e li piantò su di luì.

Childan gli si avvicinò, sempre a braccia conserte. «Sembra che sia un momento tranquillo. Non le prometto niente, ma può mostrarmi alcuni dei suoi gioielli. Sposti quei portacravatte.» Glieli indicò col dito.

L’uomo annuì e cominciò a sgomberare una parte del bancone. Riaprì il suo cesto, e tornò a trafficare con le assi ricoperte di velluto.

Tirerà fuori tutto, si rese conto Childan. Ci metterà un’ora a sistemare ogni oggetto con cura. Continuerà a spostarli finché non avrà disposto tutto in bell’ordine. Sperando. Pregando. Guardandomi con la coda dell’occhio per vedere se mostro qualche interesse. Un interesse sia pur minimo.

«Li sistemi pure qui,» gli disse Childan. «Se non avrò troppo da fare, vedrò di dare un’occhiata.»

L’uomo si mise a lavorare freneticamente, come se quella frase lo avesse pungolato.

In quel momento entrarono diversi clienti, e Childan li salutò. Rivolse la sua attenzione a loro e alle loro esigenze, e si dimenticò del rappresentante che armeggiava con il suo campionario. Quest’ultimo, rendendosi conto della situazione, rallentò i movimenti, cercando di non dare fastidio. Childan vendette una vaschetta per barba, riuscì quasi a vendere un tappeto tessuto a mano, e incassò un anticipo su un tappeto afgano. Il tempo passò. Alla fine i clienti se ne andarono. Il negozio era di nuovo vuoto, a parte lui e il rappresentante.

Il rappresentante aveva terminato. Tutto il suo assortimento era in bella mostra sul velluto nero, sopra il bancone.

Childan si avvicinò senza fretta, si accese una Land-o-Smiles e rimase lì davanti molleggiandosi sui talloni, canticchiando sottovoce. Il rappresentante rimase in silenzio. Nessuno dei due disse una parola.

Alla fine Childan allungò la mano e prese una spilla. «Questa mi piace.»

«È un ottimo esemplare,» si affrettò a dire il rappresentante. «Non troverà il minimo graffio. Tutto rifinito al minio. E non perderà la lucentezza. Abbiamo spruzzato una lacca plastica che dura per anni. La miglior lacca industriale disponibile sul mercato.»

Childan annuì leggermente.

«Quello che abbiamo fatto,» aggiunse il rappresentante, «è adattare tecniche industriali sperimentate alla creazione di gioielli. Per quanto ne so, nessuno lo ha mai fatto prima d’ora. Niente stampi. Solo metallo su metallo. Fuso e saldato.» Fece una pausa. «Anche il retro è saldato.»

Childan sollevò due braccialetti. Poi una spilla, e poi un’altra spilla. Le tenne in mano per un attimo, quindi le mise da parte.

Il volto del rappresentante tradì un’improvvisa emozione. Speranza.

Esaminando il cartellino con il prezzo di una collana, Childan disse: «Questo è…»

«Il prezzo al dettaglio. A lei costa il cinquanta per cento. E se ne acquista, diciamo, per un centinaio di dollari, le offriamo un ulteriore sconto del due per cento.»

Childan mise da parte, uno dopo l’altro, parecchi altri pezzi. Ogni volta che ne aggiungeva uno, il rappresentante diventava sempre più agitato; parlava sempre più velocemente, ripetendosi in continuazione, e dicendo anche delle sciocchezze, tutto con un filo di voce, senza prendere fiato. È convinto che riuscirà a vendere, si rese conto Childan. Lui non tradiva la minima espressione, invece; continuava nel suo gioco di scegliere i pezzi.

«Questo è particolarmente bello,» ripeté il rappresentante, mentre Childan sceglieva un grosso pendente. Poi si fermò. «Credo che abbia scelto il meglio. Tutto il meglio.» L’uomo rise. «Lei ha proprio buon gusto.» Gli occhi lampeggiavano. Stava calcolando mentalmente il valore degli oggetti scelti da Childan. Il totale della vendita.

«Nel caso di merce nuova,» disse Childan, «noi abbiamo l’abitudine di prenderla in conto deposito.»

Per qualche secondo il rappresentante non capì. Smise di parlare, ma lo fissò con l’espressione vuota.

Childan gli sorrise.

«Conto deposito,» ripeté alla fine il rappresentante.

«Preferisce non lasciarla?» gli chiese Childan.

L’uomo riuscì a balbettare: «Intende dire che io la lascio qui e lei mi paga in seguito quando…»

«Lei avrà i due terzi dell’incasso. Quando i pezzi saranno stati venduti. In questo modo guadagnerà molto di più. Dovrà aspettare, naturalmente, ma…» Childan alzò le spalle. «La decisione spetta a lei. Magari posso anche esporli in vetrina. E se la cosa avrà successo, allora più tardi, diciamo fra un mese o due, con il nuovo ordine… be’, si può vedere di acquistare qualcosa in contanti.»

Il rappresentante aveva perso un’ora buona per mostrargli la merce, si rese conto Childan. Aveva tirato fuori tutto, mettendo sottosopra il campionario. E adesso gli ci vorrà un’altra ora per risistemare ogni cosa. Una pausa di silenzio. Nessuno dei due uomini parlò.

«Quei pezzi che ha messo da parte…» disse il rappresentante con un filo di voce. «Sono gli unici che vuole?»

«Sì. Può lasciarmeli tutti.» Childan trotterellò verso il suo ufficio nel retrobottega. «Le farò una ricevuta. Così avrà l’elenco di quello che mi ha consegnato.» Mentre ritornava con il blocchetto delle ricevute, aggiunse: «Lei si rende conto che quando della merce viene lasciata in conto deposito, il negozio non si assume nessuna responsabilità in caso di furto o di danneggiamento.» Fece firmare al rappresentante un foglio ciclostilato. Il negozio non avrebbe mai risposto per gli oggetti lasciati in deposito. E al momento di restituire la merce invenduta, se fosse mancato qualcosa… sarà stata rubata, si disse Childan. Nei negozi avvengono sempre dei furti. Soprattutto di oggetti piccoli come i gioielli.

Childan ne avrebbe ricavato comunque un vantaggio. Non doveva pagare nulla per quei gioielli; non investiva mai denaro in quel genere di articoli. Se ne avesse venduto qualcuno, ci avrebbe guadagnato, in caso contrario si sarebbe limitato a restituire tutto, o quello che fosse rimasto, al rappresentante, in una data imprecisata.

Childan compilò la ricevuta, elencando gli oggetti. La firmò e ne diede una copia al rappresentante. «Può chiamarmi,» gli disse, «fra un mesetto, o giù di lì. Per sapere come vanno le cose.»

Prese i gioielli che aveva scelto e si recò nel retrobottega, lasciando il rappresentante a raccogliere la merce che rimaneva.

Non pensavo che avrebbe accettato, pensò. Non si può mai sapere. È per questo che vale sempre la pena di provare.

Quando alzò di nuovo lo sguardo, si accorse che il rappresentante era pronto ad andarsene. Teneva il cesto sotto il braccio e il bancone era stato ripulito. Veniva verso di lui, tenendo in mano qualcosa.

«Sì?» disse Childan, che intanto stava controllando la posta.

«Voglio lasciarle il nostro biglietto da visita.» Il rappresentante depose sul bancone un curioso cartoncino grigio-rosso. «Edfrank — Gioielli su Misura. C’è il nostro indirizzo e il numero di telefono. Nel caso voglia mettersi in contatto con noi.»

Childan annuì, sorrise silenziosamente, e tornò al suo lavoro.

Quando si interruppe di nuovo e alzò gli occhi, il negozio era vuoto. Il rappresentante era andato via.

Infilò un moneta del distributore di bevande e ottenne una tazza di tè bollente istantaneo. Rifletté, mentre la sorseggiava.

Chissà se si venderanno, si chiese. È piuttosto improbabile. Ma sono ben fatti. E non se ne vedono, in giro, di oggetti del genere. Esaminò una delle spille. Un disegno molto efficace. Certo non sono dei dilettanti.

Cambierò i cartellini. Ci metterò un prezzo molto più alto. Metterò in evidenza il particolare che sono fatti a mano. E che sono esemplari unici. Originali realizzati su richiesta. Sono piccole sculture. Indossate un’opera d’arte. Una creazione esclusiva da portare sul bavero o sul polso.

E c’era un altro concetto che pian piano prendeva corpo nella mente di Robert Childan. Con questi non ci sono problemi di autenticità. E quello è un problema che un giorno o l’altro potrebbe mandare all’aria l’industria dei prodotti storici americani. Non oggi, e nemmeno domani… ma in seguito, chi lo sa.

Meglio tenere i piedi in due staffe. La visita di quel truffatore ebreo; quella poteva essere un’indicazione significativa. Se io ammucchiassi zitto zitto una buona quantità di oggetti non antichi, semplice arte contemporanea senza vera o pretesa storicità, potrei ritrovarmi un passo avanti rispetto alla concorrenza. E dal momento che non mi costa niente…

Si appoggiò allo schienale della sedia in modo che toccasse contro il muro e riprese a sorseggiare il suo tè, riflettendo.

Il Momento cambia. Bisogna essere pronti a cambiare con lui. Altrimenti si rimane al palo. Adattarsi.

La legge della sopravvivenza, pensò. Tenere sempre d’occhio la situazione. Capire che cosa richiede. E… trovare le risposte adatte. Essere lì al momento giusto e fare la cosa giusta.

Essere yin. Gli orientali lo sanno. Quegli occhi neri, furbi, da yin…

Improvvisamente gli venne una buona idea, che lo fece rizzare di scatto sulla sedia. Due piccioni con una fava. Ah! Saltò in piedi tutto eccitato. Incarta con cura il gioiello migliore, naturalmente dopo aver tolto il cartellino. Una spilla, un pendente o un braccialetto. Qualcosa di bello, comunque. Poi, visto che tanto alle due devi chiudere il negozio, fa’ un salto a casa dei Kasoura. Il signor Kasoura, Paul, sarà al lavoro. Ma la signora Kasoura, Betty, molto probabilmente sarà in casa.

Ecco un bel regalo: questa nuova, originale, opera d’arte americana. Con i miei personali omaggi, per ottenere una reazione positiva. È così che si lancia una nuova linea di prodotti. Non è splendido? Ne ho un’intera serie, giù in negozio; venga a trovarmi, eccetera. Questo è per lei, Betty.

Cominciò a tremare. Io e lei, da soli nel suo appartamento, a metà giornata. Mentre suo marito è in ufficio. Ma è tutto pulito, tutto credibile, comunque; un ottimo pretesto.

Un pretesto inattaccabile!

Robert Childan prese una scatoletta, la carta e il nastro e cominciò a preparare il regalo per la signora Kasoura. Una donna affascinante, con la sua carnagione scura, il corpo snello avvolto nell’abito di seta orientale, i tacchi alti e così via. O magari oggi indossa un paio di pantaloni da riposo di cotone azzurro, comodi e leggeri, molto informali. Ah! pensò.

O forse significa osare troppo? Il marito, Paul, si irrita. Intuisce e reagisce malamente. Forse è meglio aggirare l’ostacolo, portare il dono a lui, nel suo ufficio? Raccontare la stessa storia, ma a lui. Poi lasciare che sia lui a consegnare il dono alla moglie; senza sospetti. E, pensò Robert Childan, potrei chiamare Betty al telefono domani o dopodomani per sentire la sua reazione.

Sempre più inattaccabile!


Quando Frank Frink vide il suo socio che tornava indietro lungo il marciapiede, si rese conto che non era andata bene.

«Che cos’è successo?» gli domandò, prendendo il cesto di vimini e mettendolo nel camioncino. «Gesù Cristo, sei stato fuori un’ora e mezza. Ci ha messo così tanto tempo per dire di no?»

«Non ha detto di no,» replicò Ed. Aveva l’aria stanca. Si infilò nel camioncino e si mise a sedere.

«Cosa ha detto, allora?» Frink aprì il cesto e vide che molti pezzi mancavano. Molti fra i migliori. «Ne ha presi un bel po’. Qual è il problema, insomma?»

«Conto deposito,» disse Ed.

«Glieli hai lasciati?» Non riusciva a crederci. «Ne avevamo parlato…»

«Non so come sia successo.»

«Cristo!» disse Frink.

«Mi dispiace. Si comportava come se volesse comprarli. Ne ha scelti parecchi, e io ho creduto che li comprasse.»

Rimasero seduti a lungo in silenzio nel camioncino.

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