Il capitano Rudolf Wegener, che al momento viaggiava sotto il falso nome di Conrad Goltz, commerciante di prodotti medicinali all’ingrosso, sbirciò dal finestrino del razzo Lufthansa Me9-E. L’Europa era davanti a lui. Come abbiamo fatto presto, pensò. Atterreremo al Tempelhof Feld fra circa sette minuti.
Mi domando che cosa ho ottenuto, rifletté mentre osservava la terraferma che diventava più grande. Adesso è tutto nelle mani del generale Tedeki. Qualunque cosa possa ottenere nelle Isole Patrie. Ma quanto meno avranno avuto l’informazione. Noi abbiamo fatto quello che potevamo.
Ma non c’è nessuna ragione per sentirsi ottimisti, pensò. Probabilmente i giapponesi non possono fare niente per cambiare il corso della politica interna tedesca. Il governo di Goebbels è già al potere e probabilmente ci resterà a lungo. Dopo che si sarà consolidato, tornerà a prendere in considerazione l’idea dell’Operazione Dente di Leone. E un’altra grossa parte del pianeta verrà distrutta, insieme alla sua popolazione, a causa di un ideale deviato, fanatico.
E se alla fine loro, i nazisti, distruggessero tutto? Se lasciassero solo uno sterile mucchio di cenere? Potrebbero farlo: hanno la bomba all’idrogeno. E senza dubbio lo farebbero; il loro modo di pensare tende al Gotterdämmerung. Sarebbero capacissimi di volerlo, di fare di tutto perché succeda, un olocausto finale per tutti.
E che cosa lascerà, questa Terza Pazzia Mondiale? Porrà fine a ogni forma di vita, ovunque? Quando con le nostre stesse mani trasformeremo il nostro pianeta in un pianeta morto?
Non poteva crederlo. Anche se tutta la vita sul nostro pianeta venisse annientata, deve esistere, da qualche parte, un’altra forma di vita della quale noi non sappiamo niente. È impossibile che il nostro sia l’unico mondo; devono essercene tanti altri, a noi sconosciuti, in qualche regione o dimensione che noi semplicemente non riusciamo a percepire.
Anche se non posso dimostrarlo, anche se non è logico… io ci credo, si disse.
Un altoparlante annunciò, «Meine Damen und Herren. Achtung, bitte [“Signore e signori, attenzione, prego.”].»
Ci stiamo avvicinando al momento dell’atterraggio, si disse il capitano Wegener. Quasi certamente mi troverò davanti il Sicherheitsdienst. La domanda è: quale fazione politica sarà rappresentata? Quella di Goebbels? O quella di Heydrich? Ammettendo che il generale delle SS Heydrich sia ancora vivo. Mentre ero a bordo di questo razzo, potrebbe essere stato accerchiato e ucciso. Le cose avvengono in fretta, nella fase di transizione di una società totalitaria. Nella storia della Germania nazista ci sono tanti elenchi di nomi accuratamente preparati e poi stracciati da un momento all’altro…
Parecchi minuti dopo, quando il razzo ebbe toccato terra, si ritrovò in piedi, diretto verso l’uscita con il cappotto sul braccio. Davanti e dietro a lui, passeggeri impazienti. Nessun giovane pittore nazista, questa volta, pensò. Nessun Lotze che mi assilla con le sue stupide considerazioni.
Un ufficiale in divisa della compagnia aerea — vestito, osservò Wegener, come lo stesso Reichsmarshal — li accompagnò tutti giù per la scaletta, uno a uno, fino al campo. Là, vicino all’atrio dell’aerostazione, c’era un gruppetto di camicie nere. Per me? Wegener cominciò ad allontanarsi a passo lento dal razzo, diretto verso un altro punto dove c’erano uomini e donne in attesa, che salutavano e chiamavano… c’erano anche dei bambini.
Una delle camicie nere, un biondo impassibile dal viso schiacciato che indossava le mostrine della Waffen-SS, si diresse rapidamente verso Wegener, sbatté i tacchi degli stivali e lo salutò. «Ich bitte mich zu entschuldigen. Sind sie nicht Kapitän Rudolf Wegener, von der Abwehr [“La prego di scusarmi. Lei non è il capitano Rudolf Wegener, dell’Abwehr?”]?»
«Mi dispiace,» rispose Wegener. «Io sono Conrad Goltz. Rappresentante della A.G. Chemikalien, prodotti farmaceutici.» E fece per passare.
Si fecero avanti altre due camicie nere, anch’esse Waffen-SS. Tutti e tre gli si misero al fianco in modo che, anche se lui proseguì con lo stesso passo e nella stessa direzione, si ritrovò improvvisamente ed efficacemente sotto custodia. Due dei tre uomini della Waffen-SS avevano delle mitragliette nascoste sotto i cappotti pesanti.
«Lei è Wegener,» disse uno di loro mentre entravano nell’aerostazione.
Lui non disse nulla.
«Abbiamo una macchina,» proseguì l’uomo della Waffen-SS. «Ci hanno ordinato di aspettarla all’arrivo del razzo, contattarla e accompagnarla immediatamente dal generale delle SS Heydrich, il quale si trova insieme a Sepp Dietrich alla OKW della Leibstandarte Division. In particolare dobbiamo evitare che lei abbia qualsiasi contatto con la Wehrmacht o con uomini della Partei.»
Allora non mi uccideranno, si disse Wegener. Heydrich è vivo, e in un luogo sicuro, e sta cercando di rafforzare la sua posizione contro il governo di Goebbels.
Forse il governo di Goebbels cadrà, dopotutto, pensò mentre veniva sospinto dentro la Daimler berlina in attesa. Un distaccamento della Waffen-SS mobilitato all’improvviso, di notte; gli uomini di guardia alla Reichskanzlei rilevati e sostituiti. Le stazioni di polizia di Berlino che tutto a un tratto vomitavano uomini armati in tutte le direzioni… le stazioni radio messe a tacere, le centrali elettriche bloccate, Tempelhof chiuso. Rumori di armi pesanti nell’oscurità, lungo le strade principali.
Ma che importanza ha? Anche se il dottor Goebbels venisse deposto e l’Operazione Dente di Leone annullata? Esisterebbero ancora, le camicie nere, la Partei, i piani, se non proprio in Oriente magari da qualche altra parte. Su Marte e su Venere.
Non c’è da stupirsi che il signor Tagomi non ce l’abbia fatta ad andare avanti, pensò. Il tremendo dilemma delle nostre vite. Qualsiasi cosa succeda, è male al di là di ogni confronto. E allora perché lottare? Perché scegliere? Se le alternative sono sempre le stesse…
Evidentemente dobbiamo andare avanti, come abbiamo sempre fatto. Giorno dopo giorno. In questo momento lavoriamo contro l’Operazione Dente di Leone. Più avanti, in un altro momento, lavoreremo per sconfiggere la polizia. Ma non possiamo fare tutto in una volta; è una sequenza. Un processo che si dispiega davanti a noi. Noi possiamo solo controllare la conclusione compiendo una scelta a ogni passo.
Possiamo solo sperare, pensò. E tentare.
Su qualche altro mondo probabilmente è diverso. Meglio di così. Esisteranno chiare alternative fra bene e male. Non queste oscure commistioni, queste mescolanze, senza gli strumenti adeguati per distinguerne le componenti.
Noi non abbiamo il mondo ideale, come vorremmo che fosse, dove la moralità è semplice perché semplice è la conoscenza. Dove ognuno può fare ciò che è giusto senza sforzo perché riconosce l’evidenza. La Daimler partì con il capitano Wegener sul sedile posteriore, affiancato da due camicie nere con la mitraglietta in grembo. Un’altra camicia nera al volante.
E se anche questo fosse un inganno? pensò Wegener mentre la berlina attraversava ad alta velocità le vie trafficate di Berlino. Magari non mi stanno portando dal generale delle SS Heydrich alla OKW della Leibstandarte Division, ma in una prigione della Partei, per torturarmi e alla fine uccidermi. Ma io ho già fatto la mia scelta; ho scelto di ritornare in Germania, ho scelto di rischiare la cattura prima di poter raggiungere gli uomini dell’Abwehr e mettermi al sicuro.
La morte in ogni momento, una strada che è sempre aperta davanti a noi in ogni punto. E alla fine noi scegliamo quella, nostro malgrado. Oppure ci arrendiamo e la percorriamo di nostra volontà. Guardò le case di Berlino che gli sfilavano davanti. Il mio Volk, pensò; tu e io, di nuovo insieme.
«Come vanno le cose?» chiese ai tre militari delle SS. «Ci sono stati sviluppi, di recente, nella situazione politica? Manco da diverse settimane, da prima che Bormann morisse.»
«Naturalmente il Piccolo Dottore ha un grande appoggio, da parte della folla isterica,» rispose l’uomo alla sua destra, «però è improbabile che, quando elementi più equilibrati avranno la meglio, siano disposti ad appoggiare un storpio e un demagogo come lui, che sa solo infiammare le masse con le sue menzogne e con il suo fascino.»
«Capisco,» disse Wegener.
Continua, pensò. L’odio sanguinario. Forse questi ne sono già i semi. Finiranno per divorarsi l’un l’altro, lasciando ancora vivi alcuni di noi, sparsi qua e là nel mondo. E ancora, saremo sempre abbastanza, per costruire e per sperare e per realizzare pochi, semplici progetti.
All’una del pomeriggio Juliana Frink raggiunse Cheyenne. Nella zona commerciale del centro, di fronte all’enorme deposito ferroviario, si fermò da un tabaccaio e comprò due giornali del pomeriggio. Parcheggiò accanto al marciapiede e sfogliò il giornale finché non trovò la notizia: