Si ritirarono lungo il sentiero tracciato dal Modulo Cinque, finché l’analizzatore polyrad al polso di Surgenor non mostrò che erano a distanza di sicurezza dalla falla radioattiva del veicolo.
Kelvin e McErlain misero a terra con delicatezza la donna aliena, appoggiandola di schiena al tronco di un albero. Anche se l’avevano trasportata solo per un breve tratto, le loro uniformi erano già bagnate di sudore. Surgenor si accorse che anche i suoi vestiti gli si erano appiccicati alle braccia e alle cosce, ma il fastidio fisico era insignificante, paragonato alla tensione mentale provocata dal salto temporale. La notte si era trasformata in giorno, contemporaneamente il deserto era diventato una giungla. Un sole giallo e infuocato, un sole “impossibile”, gli feriva gli occhi, accecandolo e riempiendolo di sgomento.
— Una delle due — disse Giyani freddamente, sedendosi su un tronco e massaggiandosi una caviglia. — O siamo nello stesso tempo, in un posto diverso, oppure nello stesso posto in un tempo diverso. — Guardò Surgenor negli occhi.
— Cosa ne dite, David?
— Io dico che la prima regola in quel libro di tattica del dottor Surgenor, guidatore di autobus, sarebbe: «Non correte». Proprio come vi avevo detto prima. Per poco…
— So quello che avete detto, David. Ammetto che avevate ragione, prima, o allora. Ma adesso cosa avete da dire?
— Pare che siamo incappati nell’equivalente saladiano di una mina. Mi è sembrato di vedere qualcosa, appena prima di cadere.
— Una mina? — disse Kelvin, guardandosi intorno con occhi impauriti, e per la prima volta Surgenor si rese conto che il tenente doveva avere appena una ventina d’anni.
Giyani annuì. — Sono propenso a darvi ragione. Una bomba temporale, potremmo chiamarla. Abbiamo fatto un prigioniero, e i Saladiani non erano preparati a un’eventualità del genere. In circostanze analoghe noi avremmo usato una bomba per costringere il bersaglio a cambiare posizione, ma a quanto pare i nativi ragionano in modo diverso dal nostro. Sentite, David, un cartografo dovrebbe conoscere un po’ di geologia: di quanto credete che siamo tornati indietro nel tempo?
— Non ne so molto di geologia, e la scala temporale varia da pianeta a pianeta, ma… — Surgenor fece un gesto, indicando la vegetazione lussureggiante che li circondava come un muro verde, l’aria umida e silenziosa, il sole abbagliante. — Per un mutamento climatico di questa portata sono necessari milioni di anni. Uno, dieci, cinquanta… scegliete voi. — Ascoltò affascinato le sue stesse parole, meravigliandosi di fronte alla capacità del suo corpo di continuare a funzionare in modo apparentemente normale dopo quanto era successo.
— Così tanti? — Giyani sembrava calmo, ma pensieroso.
— Sarebbe diverso se fossero solo mille? Siamo stati eliminati, maggiore. Non abbiamo via di scampo. — Surgenor, mentre parlava, cercò di accettare quella improvvisa realtà; ma sapeva che la reazione sarebbe venuta più tardi. Giyani annuì lentamente, Kelvin si nascose la faccia fra le mani, e McErlain restò impassibile, osservando la figura incappucciata della Saladiana. Surgenor notò che il sergente stringeva ancora il fucile: sembrava che non lo abbandonasse mai.
— Forse c’è un modo per ritornare — disse McErlain con un’espressione dura.
— Se potessimo ottenere qualche informazione da lei. — Indicò col fucile la donna.
— Ne dubito, sergente. — Giyani non sembrava entusiasta.
— Be’, hanno fatto di tutto perché non potessimo portarla alla nave. Hanno anche rischiato di ucciderla. Perché?
— Non lo so, sergente, ma potete fare a meno di puntare il fucile sulla prigioniera. Non possiamo permetterci nessun massacro, qui.
— Signore? — I tratti rozzi di McErlain si indurirono.
— Cosa c’è, sergente?
— Volevo solo dirvi che alla prossima battuta che fate su di me o sulla Georgetown, vi prendete il calcio di questo fucile sui denti. Giyani scattò in piedi, con gli occhi spalancati per lo stupore. — Sapete quello che potrei farvi per una cosa del genere?
— No, ma mi interesserebbe davvero saperlo, maggiore. Sentiamo. — Il sergente teneva il fucile con noncuranza, come sempre, ma l’arma ora aveva acquistato un nuovo significato.
— Potrei cominciare a portarvi via quello.
— Credete davvero? — McErlain sorrise, mettendo in mostra dei denti irregolari ma straordinariamente bianchi, e all’improvviso Surgenor cominciò a pensare a lui come a un essere umano, invece che come a un soldato di cartapesta. I due uomini in uniforme erano in piedi l’uno di fronte all’altro, nel silenzio afoso della giungla. Osservando la scena, Surgenor sentì che la sua attenzione veniva distratta da un particolare curioso. C’era qualcosa di assurdo, da qualche parte, qualcosa che mancava o che era fuori posto in quel mondo primordiale.
La donna saladiana si lamentò debolmente e si levò a sedere con movimenti lenti e faticosi. McErlain le si avvicinò e con una mossa improvvisa le strappò dalla testa il cappuccio grigio.
Surgenor provò quasi una sensazione di vergogna vedendo la faccia investita in pieno dalla luce. L’immagine vaga che aveva scorto nel buio della cabina gli aveva lasciato un’impressione se non di bellezza, cosa difficilmente possibile, almeno di qualcosa assimilabile ai canoni umani di bellezza. Ma lì, sotto il sole era impossibile non vedere che il naso era una protuberanza informe, gli occhi molto più piccoli di quelli umani, e i capelli neri così grossi che ciascuno di essi riluceva separatamente, come un filo metallico.
«Eppure» pensò «non c’è dubbio che sia una donna». Si chiese se per caso non esisteva un principio femminile universale, che si rivelava alla prima occhiata, perfino a un alieno. Si rese conto, a disagio, di aver pensato a se stesso come all’alieno.
Dalle labbra screpolate della Saladiana uscirono suoni lamentosi mentre scuoteva la testa da una parte all’altra e i suoi occhi color prugna fissavano ora gli uomini ora la giungla.
— Avanti sergente — disse Giyani ironico. — Interrogate la prigioniera e scoprite come si fa a viaggiare un milione di anni nel futuro. Surgenor si rivolse al maggiore. — Sappiamo qualcosa del loro linguaggio?
— Non una parola. Anzi, non sappiamo neanche se usano parole o ronzii modulati, come fanno su alcuni pianeti. — Strinse gli occhi, mentre la donna aliena si alzava in piedi, un po’ malferma sulle gambe, la pelle pallida coperta da una secrezione oleosa.
— Guarda sempre da quella parte — disse il tenente Kelvin, indicando lungo il sentiero di alberi spezzati e di vegetazione sradicata, nella direzione dalla quale era venuto il modulo. Fece qualche passo di corsa da quella parte, pieno di speranza come un bambino. — Maggiore! C’è qualcosa laggiù! Sembra un tunnel.
— Impossibile — disse Surgenor istintivamente, ma salì su un tronco abbattuto e si fece ombra agli occhi con la mano. In fondo al sentiero si scorgeva un cerchio nero, come l’imboccatura di una caverna o di un tunnel, tranne che non vi era nessuna collina dietro.
— Vado a dare un’occhiata. — La figura alta e magra di Kelvin si allontanò in fretta.
— Tenente! — Giyani parlò con voce secca, assumendo di nuovo il comando dopo lo scontro poco felice con McErlain. — Andremo tutti insieme.
Guardò la Saladiana e le indicò il sentiero. La donna sembrò capire subito, e cominciò a camminare, sollevando la gonna esattamente come avrebbe fatto una donna terrestre. Il sergente la seguì, stringendo il fucile. Surgenor, camminando a fianco di McErlain, ebbe l’impressione che la donna si muovesse con qualche difficoltà, non proprio come se fosse ammalata, ma quasi.
— Maggiore — disse — possiamo lasciar perdere il segreto militare, qui. Come facevate a sapere in anticipo che la prigioniera sarebbe stata una donna incinta?
— Ingrandendo le fotografie che ci arrivavano dai satelliti. I nativi di solito sono molto più magri e agili di questa.
— Capisco. — Un pensiero cominciava a infastidire Surgenor: che da un momento all’altro fossero chiamati ad aiutare una donna aliena a partorire, senza nessuna delle comodità usuali. — Ma perché ne abbiamo proprio cercata una incinta?
— Quando ho detto che sono meno agili, ho usato la parola in tutti i significati che può avere su questo pianeta. — Giyani si mise al passo con Surgenor e gli offrì una sigaretta, che David accettò con piacere, in mancanza della sua pipa. — Secondo i dati che abbiamo raccolto, le donne in queste condizioni non si muovono attraverso il tempo con la stessa facilità degli altri nativi. Si materializzano completamente nel presente, e ci restano più a lungo. Sembra che abbiano più difficoltà a svanire.
— Come mai?
Giyani si strinse nelle spalle. — Chi lo sa? Se la cosa avviene mediante il controllo mentale, come sembra, allora forse la presenza di un’altra mente proprio dentro il suo corpo rallenta un po’ il processo. Altrimenti non saremmo mai riusciti a prenderla.
Surgenor girò attorno al tronco di un albero. — Questa è un’altra cosa che non capisco. Se i Saladiani sono così ansiosi di evitare il contatto, perché hanno lasciato venire una donna vulnerabile in un settore spazio-temporale dove c’eravamo anche noi?
— Forse il loro controllo sul tempo non è completo, proprio come il nostro controllo sullo spazio. Da quando siamo atterrati su Saladin sulla nave non si fa che dire che i nativi hanno dimostrato la coesistenza di passato, presente e futuro. E può anche darsi che sia vero, se si guardano le cose dal giusto angolo, ma bisogna ammettere che il presente è sempre più importante degli altri due, in qualche modo.
— È come se la cresta di un’onda portasse con sé le donne quando stanno per partorire. Forse il feto è legato al presente perché non ha ancora imparato le necessarie discipline mentali, oppure…
— Ma a che servono tutte queste teorie? — disse Giyani, tagliando corto. — Non cambiano niente, e non ci portano da nessuna parte.
Surgenor annuì pensosamente, riconsiderando la sua opinione su Giyani. Aveva giudicato il maggiore un uomo intelligente, che affrontava i pericoli con gli occhi aperti, ma si era sbagliato, come con McErlain, a considerarlo il tipo stereotipato del militare dalla mentalità chiusa e inflessibile. Il suo colloquio con Giyani era stato istruttivo da più punti di vista.
In quel momento Surgenor riuscì a vedere con chiarezza quello che stava davanti a loro, sulla rozza pista tracciata nella giungla, e smise di pensare al maggiore.
Un disco nero come la notte, del diametro di circa tre metri, era sospeso nell’aria appena sopra il terreno. Aveva i contorni indistinti, luccicanti, e quando Surgenor si fu avvicinato si accorse che il buio del disco era punteggiato di stelle.