Le coordinate di Surgenor erano così precise che avrebbe potuto portare il modulo sul posto con precisione millimetrica, ma Giyani gli disse di fermarsi a duecento metri di distanza. Aprì il portello e aspettò che i tre soldati scendessero sulla sabbia scura. L’aria del deserto era fredda, e la caduta di temperatura era accentuata dal fatto che la superficie sabbiosa, bianca durante il giorno, rifletteva la maggior parte del calore solare, invece di assorbirlo.
— Dovremmo sbrigarcela in pochi minuti — disse Giyani a Surgenor. — Appena tornati, partiremo immediatamente, perciò restate a bordo. Lasciate acceso il motore e tenetevi pronto a partire verso nord non appena ve lo dico.
— Non preoccupatevi, maggiore. Non ho nessuna intenzione di starmene qui tutta la notte.
Giyani si mise un paio di visori notturni, simili a occhiali, e ne diede un paio anche a Surgenor. — Mettetevi questi e teneteci d’occhio. Se vedete che le cose si mettono male, andatevene subito e chiamate la nave.
Surgenor inforcò gli occhiali e sbatté le palpebre, vedendo che la faccia di Giyani assumeva una tinta rossastra. — Credete che ci saranno difficoltà?
— No. È solo per precauzione.
— Maggiore, è vero che c’è una missione diplomatica al completo, in viaggio per il pianeta?
— E allora, Surgenor? — Nella voce di Giyani era sparita ogni traccia di socievolezza.
— Forse il colonnello Nietzel ci tiene a fare bella figura. Ma qualcuno potrebbe pensarla diversamente.
— Il colonnello Nietzel non sta abusando dei suoi poteri, autista. Ma voi sì.
I tre soldati si allontanarono silenziosamente dal modulo, e per la prima volta Surgenor si guardò intorno. Era difficile mettere a fuoco qualche cosa: un po’ come guardare in un visore tridimensionale mal regolato. Riuscì tuttavia a distinguere una figura in piedi, immobile, come un palo piantato nella sabbia.
Provava emozioni contrastanti: paura, reverenza, rispetto. Se tutte quelle teorie erano vere, si trovava di fronte a una rappresentante della più straordinaria cultura che l’uomo avesse mai incontrato nella sua cieca corsa attraverso la galassia, una razza capace di navigare le correnti del tempo con la stessa facilità con cui un’astronave si muoveva tra i flussi gravitonici dello spazio. L’istinto gli diceva che bisognava accostarsi a quegli esseri con reverenza, e soltanto dopo che avessero mostrato di essere propensi al contatto con gli umani. Ma Giyani evidentemente non la pensava così.
Il maggiore era pronto ad usare la forza con un’entità che aveva il potere di scivolargli fra le dita come fumo. Apparentemente, era un’azione avventata e destinata al fallimento… eppure Giyani non era uno stupido. Surgenor si accigliò, ricordando l’affermazione del maggiore secondo cui la creatura era una femmina incinta.
La figura aliena si mosse improvvisamente, mentre i tre si avvicinavano, e le pieghe del mantello che la copriva si allargarono attorno a lei. Giyani si fece avanti, per qualche secondo sembrò che tentasse di parlarle, poi la figura incappucciata si voltò per andarsene. Uno dei soldati gettò qualcosa, e una nube di gas avvolse la Saladiana, che cadde a terra, immobile.
I tre soldati sollevarono il corpo inerte, e lo trasportarono verso il modulo. Surgenor accese il motore e, in retromarcia, portò il modulo più vicino ai tre.
Per un attimo, mentre faceva girare lentamente il veicolo, il deserto sembrò riempirsi di bagliori e di figure incappucciate, ma l’illusione svanì di colpo, e quando si fermò, nel deserto c’erano soltanto i tre umani con il loro strano fardello.
Pochi secondi dopo erano dentro il veicolo. Surgenor si girò per guardare la figura aliena stesa sul pavimento. Anche con l’aiuto dei visori notturni, distingueva a fatica il pallido ovale del volto fra le pieghe dell’ampio mantello. «È davvero una femmina» pensò, chiedendosi come facesse ad esserne così sicuro.
— Andiamo — disse Giyani. — Velocità massima.
Surgenor accese i sospensori, e fece partire il veicolo ancora prima che si fosse sollevato completamente. Il modulo si lanciò verso nord, sobbalzando, ondeggiando e lasciandosi alle spalle un gran ventaglio di sabbia.
Giyani, sul suo sedile, si rilassò con un sospiro. — Va bene così. Non rallentate finché non vedrete la nave.
Surgenor si rese conto che l’aliena emanava un odore dolciastro, simile a quello dell’uva moscata, o di qualche altro frutto che non assaggiava più dall’infanzia. Si chiese se fosse l’odore naturale della femmina, o un profumo artificiale, e decise per la prima ipotesi.
— Quanto tempo ci metteremo a tornare? — chiese Giyani.
— Circa un’ora, a questa velocità. — Surgenor aumentò l’illuminazione del pannello dei comandi.
— Non che la velocità possa servirci a molto.
— Cosa volete dire, David? — La voce di Giyani era roca per l’eccitazione.
— Se davvero i Saladiani possono muoversi liberamente nel tempo, è perfettamente inutile cercare di sorprenderli o tentare di fuggire. Possono tornare indietro di qualche ora e fermarci prima ancora che cominciamo.
— Ma non l’hanno fatto, vero?
— No, ma non possiamo sperare di sapere in che modo pensino o reagiscano in una determinata situazione. I loro processi mentali saranno certamente… — Surgenor s’interruppe, mentre l’aliena alle sue spalle emetteva un lamento soffocato. Nello stesso istante nuovi bagliori apparvero e svanirono sulla superficie buia del deserto, di fronte al modulo, e per un attimo Surgenor pensò che i due eventi fossero collegati, anche se non avrebbe mai potuto immaginare come.
— È meglio che rallentiamo, maggiore — disse, facendo uno sforzo per immaginare il tempo come un’autostrada, con i cartelli delle ore al posto di quelli dei chilometri.
— A questa velocità abbiamo bisogno di uno spazio molto maggiore per frenare. Il che significa un tempo maggiore, e quindi un bersaglio più facile.
— Bersaglio?
— Più facile da vedere. Nel tempo, voglio dire. Ci rende più prevedibili…
— Ho un’idea, David. — Giyani si voltò sogghignando verso Kelvin.
— Perché non scrivete un manuale di tattica per noi, questa sera prima di cena? Sono sicuro che il colonnello Nietzel apprezzerebbe moltissimo i vostri consigli.
Surgenor si strinse nelle spalle. — Era solo un’idea.
— Potreste intitolarlo: «Tattiche dello scontro temporale». — Giyani non sembrava disposto a perdere la battuta. — Del dottor Surgenor, autista di autobus.
— Va bene, maggiore — disse Surgenor rassegnato. — Non occorre che… Non finì la frase. Il Modulo Cinque venne investito da una luce verde, accecante. «La luce del sole» pensò incredulo.
Poi il massiccio veicolo cominciò a cadere.
Sugli schermi, come in un lampo, passarono le immagini di una vegetazione lussureggiante, mentre il modulo si inclinava, batteva una fiancata sul terreno, rimbalzava. Si udì una serie di rumori secchi: il veicolo era piombato contro una macchia di piccoli alberi, e la maggior parte degli schermi si erano spenti, nel momento in cui i sensori esterni venivano strappati via. Alla fine il veicolo si fermò, impigliato in un ammasso di vegetazione rampicante, e lo strepito della caduta lasciò il posto al sibilo del gas che fuoriusciva da una conduttura rotta. Pochi secondi dopo l’ululato insistente di un allarme annunciava che la cabina si stava contaminando per la presenza di radiazioni.
Surgenor si liberò dall’armatura di sicurezza che era uscita automaticamente dallo schienale del sedile al primo impatto. Spalancò il portello più vicino, facendo entrare una vampata di aria umida e calda. Avvertì istintivamente che il pianeta Saladin non conosceva quell’aria da ere geologiche.