19

Dopo un primo, indicibile momento di allarme, Surgenor si accorse con sorpresa di non provare paura.

Entrò con Gillespie nello stanzino e si accorse che quello che gli era sembrato un semplice emisfero di luce possedeva in realtà tracce di una complessa topografia interna. La sua superficie non era ben definita, il che disorientava ancora di più, e le zone interne di luminosità diversa si sovrapponevano e splendevano l’una attraverso l’altra in modo che rendeva difficile mettere a fuoco i singoli particolari.

L’oggetto era un emisfero di luce glaciale, del diametro di circa un metro, che nascondeva quasi tutto il corpo di Narvik. Esaminandolo da vicino, Surgenor si convinse che quello che vedeva era solo la metà di una sfera, il resto della quale si allargava sotto il pavimento. Obbedendo a un impulso istintivo, allungò una mano e la infilò nella massa scintillante. Non provò nessuna sensazione.

— Si sta allargando — disse Gillespie. Fece un passo indietro, indicando l’orlo più vicino, che strisciava silenziosamente sul pavimento di metallo. In pochi secondi la testa di Narvik venne nascosta dall’intangibile conchiglia di luce. I due uomini si strinsero la mano come bambini e arretrarono verso la porta, con gli occhi bianchi per il riflesso e l’animo pieno di meraviglia, mentre al centro della stanza l’enigmatico emisfero continuava a ingrandire, a velocità visibilmente crescente.

— Che cos’è? — sussurrò Gillespie. — Sembra un cervello, ma…

Surgenor sentì che la gola gli diventava secca, mentre in lui prendeva corpo quella paura che avrebbe dovuto provare prima. Lo sgomento che stava provando non nasceva dalla terribile estraneità dell’oggetto misterioso, ma, incredibilmente, dal fatto che cominciava a intuire che cosa fosse. Fece uno sforzo per mettere a fuoco una singola parte della nuvola, invece di guardarla come un tutto, e gli parve di scorgere dei minutissimi corpuscoli. Man mano che l’oggetto ingrandiva, la sua struttura mostrava segni di discontinuità, e appariva come composta da milioni di particene luminose.

— Ascolta queste parole, Aesop — disse, facendo uno sforzo per parlare. — Puoi puntare un microscopio su questa cosa?

— Non ancora. Il raggio d’azione dei miei microscopi diagnostici è limitato alla zona dell’hangar. Ma se continuerà a questa velocità, l’oggetto penetrerà nelle pareti del ripostiglio fra circa due minuti, e a questo punto sarò in grado di sottoporlo ad esame microscopico.

— Penetrare? — Surgenor si ricordò dell’impressione che aveva avuto prima, di vedere solo la metà di una sfera. — Aesop, riesci a inquadrare la sala motori sotto di noi? C’è qualcosa di insolito?

— Non sono in grado di vedere direttamente nella colonna spinale, ma si scorge una fonte di luce. Ritengo che l’oggetto si estenda anche in basso, attraverso il pavimento.

— Ma cosa sta succedendo? — disse Gillespie, scrutando la faccia di Surgenor. — Sai cos’è quella cosa?

— Non hai ancora capito? — Surgenor incurvò le labbra in un sorriso pallido e incerto, guardando la nuvola luminosa che si allargava. — È l’universo, Al. Stai guardando la totalità della creazione.

Gillespie spalancò la bocca, poi fece un passo indietro, come se volesse dissociarsi dall’affermazione di Surgenor. — Tu sei pazzo, Dave.

— Credi? Guarda quello schermo.

La nuvola luminosa aveva raggiunto i limiti dello stanzino circolare, e si stava allargando nell’hangar, passando attraverso le pareti di metallo come se non avessero nessuna consistenza. Vi furono alcuni movimenti furtivi sul soffitto, mentre i microscopi a lungo raggio di Aesop, normalmente usati per ispezionare i moduli d’esplorazione, cambiavano posizione. Nello stesso momento gli schermi di controllo si accesero, mostrando delle immagini che mai Surgenor aveva pensato di poter vedere su di essi: migliaia di galassie che turbinavano in tutte le direzioni, e sotto ogni prospettiva, alcune a fuoco, altre indistinte. Era come se le osservazioni telescopiche di milioni di anni fossero state racchiuse in un breve filmato, con lo scopo di affascinare la mente e purificare l’anima di qualunque essere intelligente lo osservasse. Surgenor dovette lottare per riconoscere la realtà delle parole che aveva pronunciato con tanta sicurezza un minuto prima. Gillespie barcollò, premendosi le mani sulla fronte, mentre la tempesta di galassie continuava a turbinare senza fine.

— Mike Targett dovrebbe venire a vedere — disse Surgenor, metà a se stesso, metà a Gillespie. — Siamo ancora nella morsa del suo vortice, capisci? È un processo ciclico, proprio come l’universo. Ci ha ridotto a niente, ma poiché niente si distrugge, è successo qualcosa… la tensione è stata allentata, o i segni si sono invertiti, l’opposto di quello che succede a un pallone troppo gonfio, che finisce per scoppiare, e siamo passati dal microcosmo al macrocosmo, da dimensioni zero a dimensioni infinite.

— Dave! — C’era una nota di preghiera nella voce di Gillespie.

— Vai più adagio, ti spiace?

— Questo che vedi espandersi sul pavimento è l’universo, Al. Solo che non si sta ingrandendo. Ha sempre le sue dimensioni, siamo noi che ci stiamo restringendo. In questo momento la Sarafand è un migliaio di volte più grande dell’universo, ma presto avrà le sue stesse dimensioni, poi ci restringeremo attraverso tutte le galassie, finché saremo grandi come una di esse, e poi come un sistema solare, finché non torneremo normali, ma solo per un istante, perché saremo tornati nella zona del vortice, e continueremo a restringerci fino a ridurci a zero… e l’intero processo ricomincerà daccapo!

Si udì un pesante rumore di passi, e Sig Carlen apparve sulle scale con un bicchiere di birra in mano. — Ehi, voi due, perché non la piantate di… Cos’è quella roba?

Surgenor guardò la nube di particelle luminose, il cui perimetro avanzava attraverso l’hangar a passo d’uomo, poi si rivolse a Gillespie.

— Diglielo tu, Al… voglio sentirlo da qualcun altro. Quando l’equipaggio della Sarafand si fu riunito nella mensa, dopo essersi schiarito le idee con l’aiuto dell’Antox, l’universo era più grande della nave.

Una pioggia continua di galassie saliva dal pavimento, passando attraverso il tavolo, le sedie, gli esseri umani, per sparire di nuovo attraverso il soffitto. A occhio nudo le galassie sembravano stelle vagamente nebulose, ma, esaminate alla lente di ingrandimento, apparivano come perfette lenti o spirali, gioielli in miniatura sparsi per il cosmo da un artista pazzo.

Surgenor, seduto al lungo tavolo, osservava confuso i puntini di luce passargli attraverso le mani, cercando di convincersi che ognuno di essi conteneva centinaia di milioni di soli, e che una gran parte di questi soli erano la fonte di vita di qualche civiltà. Al primo lampo di ispirata comprensione era seguita una reazione, e ora, come in quei disegni in cui i pieni possono essere visti anche come vuoti, le sue percezioni rimbalzavano continuamente da un estremo all’altro: un momento gli sembrava di essere un uomo di dimensioni normali che osservava scintille entrargli magicamente nelle mani e nelle braccia senza fargli male; il momento dopo era un gigante di proporzioni inimmaginabili, il cui corpo aveva un volume maggiore dello spazio conosciuto dagli astronomi terrestri.

— … non posso crederci — stava dicendo Theo Mossbake. — Se fosse vero, vorrebbe dire che la nave e i nostri corpi sono stati trasformati nel più sottile gas immaginabile. Un atomo ogni milione di anni-luce, o qualcosa del genere. Dovremmo già essere morti.

— Dimenticati tutto quello che hai imparato a scuola — rispose Mike Targett. — Abbiamo a che fare con la fisica dei vortici, ora, e tutte le regole sono diverse.

— Eppure non riesco a capire perché non siamo morti.

Targett, che era stato il primo a intuire il concetto di vortice, parlò, con fervore ispirato. — Te lo ripeto, Theo: è tutto diverso. Se ci pensi, le leggi della fisica convenzionale dicono che avremmo dovuto morire quando ci siamo ristretti. Avremmo dovuto diventare densi al punto di trasformarci in una microstella neutronica… ma non è successo. Forse gli stessi atomi, e le particelle di cui sono composti, sono stati ridotti in proporzione. Non so come sia avvenuto, ma certo ora ci troviamo dalla parte opposta della scala.

Voysey fece schioccare le dita. — Se ritorneremo alle nostre dimensioni originarie, Aesop potrebbe utilizzare la propulsione della nave.

— Ho paura di no — disse Targett. — Aesop mi correggerà se sbaglio, ma gli ci vogliono parecchi minuti per preparare un balzo nello spazio-beta, mentre noi passeremo per il nostro stato originale in una frazione infinitesimale di secondo. Lo vedi anche tu che il processo si fa sempre più veloce. Le galassie sono più staccate e si muovono più in fretta di quando ci siamo seduti. Quando cominceranno a farsi più grandi, la velocità aumenterà ancora di più, e ben presto si muoveranno così in fretta che non saremo più in grado di vederle.

Targett fece una pausa, osservando la migrazione di lucciole. — In effetti, in rapporto a noi, alla fine viaggeranno a migliaia di volte la velocità della luce, ma questo avverrà perché noi ci contraiamo a quella velocità. È un pensiero inquietante.

— A proposito di pensieri inquietanti — disse Christine Holmes con voce esile, contribuendo per la prima volta alla discussione — mi viene da pensare a quello che hanno detto Dave ed Al a proposito del corpo di Billy Narvik, e della luce che ne usciva. Perché è cominciato proprio lì?

— Pura coincidenza, Chris. Dave ha trascinato il corpo nello stanzino degli attrezzi, e l’ha messo sul centro di gravita della nave. Il centro di gravita è l’unico elemento non variabile in tutta questa faccenda: nell’universo occupa sempre la sua posizione originaria, e la nave si condensa verso quel punto da tutte le direzioni. Ecco perché torneremo nella zona del vortice spaziale, e non in qualche altra parte… del…

Targett s’interruppe, e la sua faccia si fece sensibilmente più pallida, mentre si rivolgeva a Surgenor. — Dave, il centro di gravita… possiamo spostarlo!

— Abbastanza? — Surgenor lo guardò a sua volta, attraverso la nebbia di galassie. — L’equivalente di trenta milioni di anni-luce?

— Non è che un mignolo… e noi siamo grandi, Dave… — Targett fece un sorriso pallido e freddo, il sorriso di un uomo che ha trasceso il proprio destino mortale. — Dovrebbe essere facile fare i calcoli per Aesop, e, anche se questa volta ci va male, possiamo sempre ritentare la prossima.

Quattro giorni dopo l’astronave Sarafand, dopo avere ancora una volta inglobato l’intero universo ed essere implosa dentro di esso, si materializzò nello spazio normale vicino a un sole giallo. Dopo una breve pausa iniziò il suo lento, paziente avvicinamento all’astroporto di Bay City, sul pianeta chiamato Delos.

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