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Surgenor, essendo più esperto, aveva pensato di prendere lui la guida del Modulo Cinque nella marcia di avvicinamento alla Sarafand, la torre piramidale di luci che rappresentava la casa e la sicurezza, ma che ora era una nuova e mortale fonte di pericolo. Sapeva che Aesop, avendoli avvertiti, non avrebbe esitato una frazione di secondo a distruggere qualsiasi veicolo che superasse la linea invisibile. Tuttavia, la consueta temerarietà pareva aver completamente abbandonato Voysey che guidava il modulo con tale cautela che Surgenor non poté trovare niente da dire. Quando le cifre rosse del telemetro mostrarono che restavano loro ancora cinquanta metri, Voysey arrestò il veicolo e spense il motore. Nella cabina scese il silenzio.

— Siamo abbastanza vicini? — chiese. — O credi che dovremmo andare avanti ancora un po’? Surgenor fece un gesto di assenso. — Va bene così. Meglio tenere conto di un possibile margine di errore nei nostri strumenti, e in quelli di Aesop.

Scrutò lo schermo anteriore e vide che la sola indicazione della presenza di altri veicoli nella zona era una luce lontana e intermittente sulla pianura, oltre la grande nave. Mentre osservava la luce avvicinarsi, Surgenor si chiese se potesse essere… esitò prima di definirlo: il nemico.

— Mi chiedo se è quello — disse Voysey.

— Chissà? — rispose Surgenor. — Perché non provi a chiederglielo?

Voysey restò immobile per qualche secondo. — Sicuro. Adesso provo. — Schiacciò il pulsante del comunicatore. — Qui Modulo Cinque, parla Voysey. Siamo già arrivati alla nave. Chi è sul secondo modulo che si sta avvicinando?

— Qui Modulo Uno, parla Lamereux — rispose una voce familiare e rassicurante. — Salve Victor, salve Bave. Felice di vedervi… se siete voi, cioè.

— Certo che siamo noi. Chi altri dovremmo essere? La risata di Lamereux sembrò leggermente forzata. — In una situazione come questa, preferisco non pensarci neppure.

Voysey lasciò andare il pulsante del comunicatore e si rivolse a Surgenor. — Ormai Aesop dovrebbe essere sicuro di due di noi, per lo meno. Spero che individui la differenza nel settimo modulo e lo disintegri senza perdere tempo. Prima che faccia la sua mossa.

— E se non facesse nessuna mossa? — Surgenor scartò un cubetto di proteine aromatizzate e lo morse. Aveva pensato che il prossimo pasto sarebbe stato un banchetto di trionfo a bordo della nave madre, ma ormai sembrava che non avrebbe più fatto in tempo a rientrare per l’ora di cena.

— Cosa vorresti dire?

— Anche sulla Terra ci sono uccelli che imitano le voci degli uomini e scimmie che miniano i loro movimenti, senza nessuna ragione particolare. Sono fatti così, ecco tutto. Questa cosa potrebbe essere un super-mimo, un animale che non può fare a meno di imitare. Forse assume la forma di qualsiasi cosa nuova veda, senza neppure volerlo.

— Un animale tanto grande da potere imitare un modulo d’esplorazione? — Voysey considerò per qualche momento l’idea, evidentemente non molto convinto. — Ma perché dovrebbe cercare di mescolarsi a noi?

— Imitazione comportamentale. Ci ha visto dirigerci tutti verso la Sarafand, ed è stato spinto a seguirci.

— Mi stai raccontando un’altra delle tue storie, Dave. Ho bevuto quella sui Dramboni, o come diavolo si chiamavano quelle cose strane, ma questa è troppo grossa.

Surgenor si strinse nelle spalle e continuò a masticare proteine. Aveva incontrato i Dramboni durante la sua centoventiquattresima esplorazione planetaria. Erano creature a forma di ruota che vivevano su un mondo ad alta gravità, e contrariamente a quasi tutti gli esseri viventi, avevano il sangue che restava immobile al centro della ruota, mentre il resto del corpo girava. Aveva sempre incontrato molte difficoltà a convincere i nuovi membri della reale esistenza dei Dramboni, e di un centinaio di altre specie ugualmente bizzarre.

Era il guaio della propulsione Beta, detta anche comunemente Istant-Distant: era il primo mezzo di trasporto che non allargasse gli orizzonti mentali. Voysey si trovava a cinquecento anni-luce dalla Terra, ma poiché quella distanza non l’aveva percorsa faticosamente, passando da una stella all’altra, mentalmente era ancora dentro l’orbita di Marte.

Nuove luci cominciarono ad apparire sugli schermi del Modulo Cinque, mentre gli altri veicoli sbucavano da dietro le colline o dalle pieghe del terreno. Si avvicinarono, finché furono in sette attorno alla piramide nera, appena visibile, della Sarafand. Surgenor osservò le loro mosse con interesse, sperando che l’intruso commettesse l’errore di avventurarsi oltre la linea invisibile dei mille metri.

Il Capitano Aesop non parlò durante la manovra di avvicinamento, ma dall’altoparlante piovevano in continuazione i commenti dei vari equipaggi. Alcuni, ritrovandosi ancora vivi e vegeti man mano che i minuti passavano, cominciarono a scherzare sulla situazione. Le battute cessarono quando Aesop finalmente parlò dall’alto della sua sicura postazione operativa, a sessanta metri dal livello del suolo.

— Prima di ascoltare i rapporti individuali e gli eventuali suggerimenti — disse con voce calma — desidero ricordare a tutti l’ordine di non avvicinarsi alla nave a meno di mille metri. Qualunque modulo cerchi di farlo verrà distrutto senza preavviso. Possiamo procedere con la discussione.

Voysey sbuffò risentito. — Verranno serviti tè e pasticcini! Quando torno a bordo, vado da Aesop con una chiave inglese e gli spacco. A sentirlo, si direbbe che sia una specie di indovinello.

— È il suo modo di guardare le cose — disse Surgenor. — In questo caso, direi che è un vantaggio.

La voce esile e sicura di sé di Pollen, del Modulo Quattro, fu la prima a rompere il silenzio radio che era seguito al comunicato della nave. Pollen era al suo ottavo viaggio, e stava scrivendo un libro sulle sue esperienze, ma non aveva mai permesso a Surgenor di ascoltare le note registrate o di leggerne le parti scritte. Surgenor aveva il sospetto che fosse dovuto al fatto che lui vi era descritto come la caricatura del Membro Anziano.

— Da come la vedo io — cominciò Pollen — il problema si presenta come un classico esercizio di logica…

— È contagioso: parla come Aesop… — grugnì Voysey.

— Dacci un taglio, Pollen — gridò una voce irritata.

— Va bene, va bene. Ma resta il fatto che possiamo risolverlo con la logica. I parametri fondamentali del problema sono questi: ci sono sei moduli d’esplorazione, identici e privi di segni di riconoscimento, e fra di loro una settima macchina…

Surgenor premette il pulsante del comunicatore, mentre un’idea che si era andata formando nella sua mente prendeva forma improvvisamente. — Non esattamente — disse.

— Chi ha parlato? Dave Surgenor? — Pollen sembrava irritato per l’interruzione. — Come stavo dicendo, dobbiamo usare la logica. C’è una settima macchina, e…

— Non esattamente.

— Sei proprio Surgenor, vero? Cosa vuoi, Dave?

— Voglio aiutarti ad essere logico, Clifford. Non c’è una settima macchina. Ci sono sei macchine e un tipo molto particolare di animale.

— Di animale?

— Sì. Un Uomo Grigio.


Per la seconda volta nel giro di un’ora, l’altoparlante non riuscì a sopportare il carico che gli venne imposto. Surgenor attese impassibile che il baccano si calmasse. Diede un’occhiata alla faccia di Voysey e si chiese se anche lui avesse avuto la stessa espressione quando aveva sentito parlare per la prima volta degli Uomini Grigi.

Le storie erano sparse su un ampio raggio, ed erano difficili da isolare dalle fantasie manichee che abbondavano in molte culture. Erano state raccolte qua e là, su mondi dove la memoria razziale dei nativi affondava di più nel passato. Vi era un’infinità di varianti, ma era sempre riconoscibile un tema di fondo: quello degli Uomini Grigi e della grande battaglia combattuta e persa contro i Bianchi. Nessuna delle due razze aveva lasciato tracce tangibili della propria esistenza a disposizione delle schiere tardive di archeologi terrestri. Restavano solo i miti.

L’indizio più significativo, per chi avesse l’orecchio sufficientemente esperto, era questo: che indipendentemente dalla forma degli esseri che raccontavano il mito, e sia che camminassero, nuotassero, volassero o strisciassero, il nome che davano agli Uomini Grigi era lo stesso che usavano per designare se stessi, spesso accompagnato da un aggettivo che suggeriva anonimato, indifferenziazione o mancanza di forma.

— Che cosa diavolo sarebbe un Uomo Grigio? — Era Carlen, del Modulo Tre.

— È un grosso mostro grigio che può trasformarsi in tutto quello che vuole — spiegò Pollen. — Il signor Surgenor se ne porta sempre dietro uno, dovunque vada… ecco da dove sono nate tutte queste vecchie storie.

— Non può trasformarsi in tutto quello che vuole — disse Surgenor. — Può soltanto assumerne la forma esteriore. Dentro resta sempre un Uomo Grigio. — Vi furono altre esclamazioni di incredulità, e qualche risata.


— Per tornare a quella tua idea di usare la logica — continuò Surgenor testardo, ansioso di riportare la discussione su un piano di serietà — perché non provate almeno a pensare a quello che ho detto, e non provate a verificarlo? Non dovete credermi sulla parola.

— Lo so, Dave… l’Uomo Grigio è pronto a giurare su tutto quello che dici.

— La mia proposta è di chiedere al Capitano Aesop di controllare l’archivio con i dati xenologici, e di calcolare per prima cosa la possibilità d’esistenza degli Uomini Grigi, e poi quante probabilità ci sono che il Settimo Modulo sia un Uomo Grigio. — Surgenor si accorse con sollievo che questa volta non vi furono risate. Non c’era tempo per scherzare. Probabilmente non c’era tempo per niente.

La stella doppia, il sole gemello del pianeta, era sospesa bassa nel cielo, dietro la massa confusa della Sarafand e le lontane colline nere. Fra altri diciassette mesi il pianeta avrebbe ripercorso la sua via fra i due punti di luce, e Surgenor voleva essere molto lontano quando fosse successo… e così pure la super-bestia nascosta fra di loro.


Candar si accorse con grande stupore di ascoltare i processi mentali delle creature-cibo con qualcosa di molto simile all’interesse.

La sua razza non aveva mai costruito macchine: si era sempre affidata alla forza, alla velocità e alla capacità di adattamento dei grandi corpi grigi di cui erano forniti i suoi membri. In aggiunta a questo istintivo disprezzo per le macchine, Candar aveva trascorso settanta secoli su un mondo dove nessun oggetto artificiale, per quanto ben costruito, avrebbe potuto sopravvivere al passaggio annuale nell’inferno binario. Restò perciò profondamente sorpreso accorgendosi di quanto le creature-cibo dipendessero dalle loro costruzioni di metallo e plastica. La scoperta che più lo incuriosì fu che i gusci metallici non erano solo mezzi di trasporto, ma che permettevano a tutti gli effetti la sopravvivenza delle creature mentre si trovavano su quel mondo privo di aria.

Candar cercò di immaginare cosa potesse voler dire affidare la vita a un meccanismo complicato e soggetto a guasti, ma l’idea lo riempì di un terrore freddo e nuovo per lui. Scacciò dalla mente il pensiero e concentrò tutta la sua feroce intelligenza sul problema di avvicinarsi a sufficienza all’astronave per paralizzare i centri nervosi della creatura al suo interno. Era necessario in particolare paralizzare colui che le creature chiamavano Capitano Aesop prima che le armi della nave potessero essere messe in azione.

Lentamente, delicatamente, controllando la propria fame, Candar preparò l’attacco.


Surgenor si guardò la mano incredulo.

Aveva deciso di bere un po’ di caffè, perché sentiva la gola secca, e aveva cercato di aprire il compartimento del cibo. La destra gli si era alzata di pochi millimetri, poi era ricaduta sul bracciolo.

Surgenor aveva cercato istintivamente di aiutare con la sinistra l’altra mano, ma anche questa aveva rifiutato di muoversi… e allora si era reso conto di essere paralizzato.

Il panico cieco durò quasi un minuto, dopo di che Surgenor si ritrovò esausto per la lotta sostenuta contro i suoi muscoli. Rivoletti di sudore ghiacciato scorrevano veloci lungo tutto il suo corpo. Si sforzò di rilassarsi e di valutare la situazione, e scoprì che possedeva ancora il controllo degli occhi.

Sbirciando al suo fianco si accorse che anche Voysey era stato immobilizzato; il solo segno di vita era un tremore quasi impercettibile dei muscoli facciali. Surgenor immaginò che il fenomeno fosse nuovo per Voysey. Era la prima volta che lui stesso lo sperimentava in prima persona, ma aveva conosciuto parecchi mondi dove esistevano animali da preda capaci di circondarsi di un campo che sopprimeva le attività neurali inferiori delle altre creature. Questa capacità mortale si incontrava più facilmente sui pianeti ad alta gravità, dove gli animali da preda non erano molto più agili delle loro vittime. Surgenor cercò di parlare, ma come si era aspettato non riuscì a far funzionare le corde vocali.

Improvvisamente, si accorse che dall’altoparlante continuavano ad uscire delle voci. Le ascoltò per un po’ prima di rendersi conto del significato della cosa.

— Non è il caso di preoccuparsi tanto — stava dicendo Pollen. — È uno di quei problemi di logica pura che sembrano fatti apposta per te, Aesop. Secondo me dovresti cominciare a chiamare a turno i numeri dei moduli, ordinando a ciascuno di arretrare di un centinaio di metri. O anche cinquanta, o cinque: la distanza non importa. In questo modo potrai separare le sei macchine originali dalla settima, oppure, se chiamando un numero saranno due le macchine a…

Surgenor imprecò mentalmente per l’impossibilità di raggiungere il pulsante e interrompere Pollen prima che fosse troppo tardi. Stava cercando disperatamente ancora una volta dì muovere la mano, quando, senza preavviso, la voce di Pollen si perse fra i sibili acuti e discordanti delle interferenze. Il rumore continuò senza alcun segno di volersi abbassare, e Surgenor si rese conto con sollievo che il Modulo Sette aveva preso il controllo della situazione. Cercò di allentare la tensione dei muscoli, e di respirare lentamente e profondamente, riuscendo così a riacquistare la capacità di pensare in modo razionale. Pollen aveva sconsideratamente segnato la loro condanna a morte, facendo l’errore imperdonabile di confondere una situazione teorica con le reali condizioni di pericolo in cui si trovavano.

La situazione in quella nera distesa priva di aria, che si intravedeva attraverso gli schermi, assomigliava superficialmente ai problemi posti in certi test attitudinali, e considerandola da questo punto di vista, Surgenor ne scorgeva parecchie soluzioni. A parte il metodo tipico, suggerito da Pollen, dì chiamare i numeri, una soluzione più empirica poteva consistere nel far sparare ad Aesop un colpo di laser a bassa intensità a ciascun modulo. Anche se un Uomo Grigio era in grado di sopportare quel trattamento senza fare una piega, l’analisi spettroscopica della luce prodotta avrebbe certamente mostrato le differenze di composizione. Un’altra soluzione consisteva nell’ordinare ai moduli di far sbarcare il piccolo robot riparatore, che veniva usato quando le condizioni esterne erano troppo difficili per permettere agli uomini di uscire con le tute. Surgenor dubitava che l’alieno fosse in grado di dividersi in due sezioni indipendenti. Il difetto di tutte queste soluzioni era che ciascuna di esse implicava un processo di eliminazione… una cosa che il Modulo Sette non avrebbe mai permesso. Qualsiasi tentativo di restringere il campo dei sospetti avrebbe avuto come effetto di anticipare un po’ il loro destino. L’unica soluzione non mortale, se pure esisteva, doveva essere applicabile istantaneamente. E Surgenor non era per niente ottimista sulle sue possibilità di trovarla.


Per pura forza d’abitudine, cominciò a rivedere da capo la situazione, cercando qualche punto d’appiglio. Si ricordò allora delle voci che avevano continuato a uscire dall’altoparlante dopo che lui e Voysey erano rimasti paralizzai. Pollen e un certo numero degli altri erano ancora in grado di parlare, il che probabilmente significava che erano al di fuori del raggio di controllo del Modulo Sette.

Significava che anche i terribili poteri del nemico avevano qualche limite, ma non sembrava che quella scoperta avesse un valore pratico. Surgenor esaminò gli schermi del modulo, chiedendosi quanti minuti, o secondi, gli restassero. Era difficile distinguere esattamente le varie immagini senza girare la testa, ma riuscì a vedere altri due moduli a destra, poco lontano dal loro; tutti e tre assieme formavano un gruppo distinto dagli altri, che si trovavano piuttosto lontani, dalla parte opposta del cerchio. Mentre li osservava, uno dei moduli cominciò a far lampeggiare i fari, in un tentativo di Morse.

Surgenor lo ignorò, in parte perché aveva dimenticato da tempo il codice, in parte perché aveva concentrato la sua attenzione sulle due macchine più vicine, una delle quali era quasi certamente il Modulo Sette. Molto più in alto, le luci della Sarafand lampeggiarono contro il cielo stellato, mentre Aesop rispondeva veloce e con sicurezza al veicolo che aveva cercato di comunicare con lui. Surgenor provò a immaginare lo sbalordimento dei suoi occupanti di fronte all’iperefficienza di Aesop.

Il rumore incessante delle interferenze radio, unito all’ansia per la loro sorte, stava mettendo a dura prova i nervi di Surgenor, rendendogli quasi impossibile concentrarsi. Si rendeva conto che era assurdo cercare di interpretare il comportamento di un alieno in termini umani, e un Uomo Grigio era certo la creatura più aliena che l’uomo potesse incontrare, eppure c’era qualcosa di incoerente nel fatto che…

Voysey allungò la mano destra verso i comandi e accese i motori.

Per un attimo, Surgenor credette che fossero stati liberati dal campo paralizzante, ma scoprì subito che era ancora incapace di muoversi.

La faccia di Voysey era bianca come il gesso, immobile, con un filo di saliva che luccicava sul mento. Surgenor si rese conto che agiva soltanto come un servo-meccanismo umano, controllato dal Modulo Sette. I pensieri di Surgenor cominciarono a turbinare vorticosamente.

«Ci siamo» pensò. «È finita».

La sola ragione che la creatura potesse avere per farli avanzare era che voleva distrarre l’attenzione di Aesop. Surgenor si sentì rabbrividire a quell’idea… non c’era nessun modo per distrarre o confondere Aesop: non avrebbe esitato un secondo a vaporizzare il primo modulo che avesse osato varcare la linea dei mille metri.

La sinistra di Voysey tolse il freno, e il veicolo scivolò leggermente sul terreno accidentato.

Surgenor fece un altro disperato tentativo per muoversi, ma riuscì solo a farsi assalire di nuovo dal panico. Qual era il piano del Modulo Sette? Surgenor era giunto alla conclusione che il suo raggio d’azione era limitato. Sapeva anche che aveva intenzione di creare un incidente nella speranza di distrarre da sé l’attenzione di Aesop, e questo implicava senza dubbio il proposito di avvicinarsi alla Sarafand. Ma perché? Un’azione simile non aveva scopo, a meno che…

La comprensione, tardiva ma completa, della situazione esplose nella mente di Surgenor come una “nova”… insieme alla prospettiva di nuovi pericoli.

«So la verità» disse dentro di sé «ma non devo pensarci, perché l’Uomo Grigio è telepatico, e se riesce a scoprire quello che sto pensando…»

La mano di Voysey colpi con forza la leva dell’acceleratore, e il modulo cominciò ad avanzare.

«…l’Uomo Grigio verrebbe a sapere che… Nooo! Pensa a qualunque altra cosa. Pensa al passato, al passato lontano, a quando andavi a scuola, alle lezioni di storia, alla storia della scienza… la natura quantistica della gravità venne finalmente provata nel duemilasessantatré, e la successiva scoperta del gravitone portò direttamente alla comprensione dello spazio-beta, e di conseguenza allo sviluppo del metodo per viaggiare a velocità superiore a quella della luce… ma nessuno in realtà capisce cosa sia lo spazio-beta… nessun essere umano, cioè… solo… per poco non ci cascavo… per poco non pensavo a… non posso farne a meno… Aesop!»

La distanza che separava Candar dall’astronave era tale che, se si fosse trovato più in forma, avrebbe potuto superarla in due salti. In quelle condizioni, ci avrebbe messo un po’ di più, ma sapeva di essere troppo veloce perché qualcosa potesse fermarlo. Alle sue spalle, un po’ più lentamente di quanto si fosse aspettato, le due macchine che aveva preso sotto controllo si stavano muovendo verso la nave. Una delle creature-cibo stava cercando inutilmente di sopprimere un pensiero, ma non c’era tempo per studiarne il significato…

Mutando la propria forma mentre si muoveva, Candar raggiunse senza difficoltà la distanza di controllo. Esultante, colpì col cervello, lanciando la sua rete invisibile di forza mentale che paralizzava tutte le creature inferiori.

Niente!

Un raggio ultralaser lo colpì con una violenza tale da disintegrare qualsiasi altra creatura nel giro di pochi microsecondi. Ma Candar non poteva morire così facilmente. Il dolore era più grande di quanto avesse mai potuto immaginare, ma più terribile ancora era l’improvvisa, limpida comprensione delle menti delle creature-cibo… quelle menti fredde e aliene.

Per la prima volta nella sua vita, Candar ebbe paura.

Poi morì.


Lo champagne era buono, e così pure la bistecca; ma più apprezzabile ancora sarebbe stata, più tardi, una bella dormita.

Surgenor si appoggiò beatamente allo schienale della sedia, accese la pipa e guardò gli undici uomini seduti al lungo tavolo nella mensa della Sarafand. Durante il pranzo aveva preso una decisione, e sapeva, con un senso di calore nello stomaco, che quella era la decisione giusta per lui. Aveva deciso che gli piaceva fare la parte del Membro Anziano. Giovani brillanti potevano anche prenderlo in giro nei loro libri di ricordi spaziali; i suoi cugini potevano rilevare la sua parte nell’impresa… lui sarebbe rimasto nel Servizio Cartografico, finché non avesse saziato la sua mente e la sua anima con la vista di nuovi mondi. Era la sua vita, e non aveva intenzione di abbandonarla.

All’altro lato del tavolo, Clifford Pollen stava prendendo appunti sugli ultimi avvenimenti.

— Secondo te, allora — disse Pollen — l’Uomo Grigio era semplicemente incapace di comprendere una filosofia fondata sulla costruzione delle macchine?

— Esatto. Un Uomo Grigio, a causa delle sue particolari proprietà fisiche, non saprebbe cosa farsene di una macchina. E migliaia di anni passati su Prila I, dove nessuna macchina potrebbe sopravvivere, hanno probabilmente condizionato la sua mente a un punto tale che il nostro modo di vivere basato sulle macchine doveva apparirgli incomprensibile.


Surgenor assaporò una buona boccata di fumo e provò un inaspettato moto di simpatia per il massiccio essere i cui resti giacevano ancora sulla roccia nera del pianeta che si erano lasciati alle spalle. La vita doveva essere molto preziosa per un Uomo Grigio, perché fosse disposto ad affidarla a qualcuno o a qualcosa che non fosse lui stesso. Era questa la ragione fondamentale per cui aveva compiuto l’errore di cercare di controllare l’entità che l’equipaggio della Sarafand chiamava Capitano Aesop.

Chiedendosi come si fosse sentito l’Uomo Grigio nell’istante finale in cui aveva capito la verità, Surgenor gettò un’occhiata alla piccola targhetta sul più vicino terminale del complesso computerizzato centrale della nave, l’intelligenza artificiale a cui erano affidate le loro vite all’inizio di ogni missione, la targhetta diceva:


A.E.S.O.P.

Surgenor aveva sentito alcuni dire che le iniziali stavano per Advanced Electronic Spaceship Operator and Pilot (Operatore e Pilota Elettronico per Astronavi Perfezionato), ma nessuno ne era sicuro. Gli esseri umani, pensò, tendono a dare un sacco di cose per scontate.

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