— Mi dispiace moltissimo — disse Giyani seccamente — ma è del tutto inutile proseguire la discussione. Non ci possono essere dubbi su chi debba essere il prossimo. — Il sole del tardo pomeriggio, riflettendosi sul verde intenso della vegetazione, lo faceva apparire più pallido del normale.
— Cioè voi. — Surgenor si guardò le mani, tagliuzzate dal lavoro di costruzione della rozza rampa che portava all’orlo del disco.
— Infatti. Si da il caso che io sia l’unico qui ad avere una conoscenza dettagliata della situazione e ad essere bene addestrato. Questo significa che il mio rapporto sull’episodio sarebbe più utile e più dettagliato del vostro.
— Non sono d’accordo — disse Surgenor. — Come fate a sapere che io non ho una memoria fotografica?
— Non vorrei sembrare infantile, ma voi come fate a sapere che non ce l’ho io? — La mano di Giyani si posò in modo apparentemente casuale sul calcio della pistola. — Comunque, con le ipno-tecniche, il problema non è di quello che si ricorda, ma di quello che ci si è preoccupati di osservare.
— In tal caso — intervenne McErlain — ditemi cosa avete osservato sulla giungla.
— Cosa volete dire, sergente? — disse Giyani impaziente.
— Niente di speciale. Solo che c’è qualcosa di molto strano in questa giungla. Un osservatore acuto come voi dovrebbe averlo notato da un pezzo. Allora, che cos’è? — McErlain fece una pausa. — Signore.
Giyani si guardò intorno. — Non è il momento di scherzare.
Le parole del sergente avevano risvegliato delle sensazioni nella memoria di Surgenor. Anche lui aveva notato qualcosa di strano nella foresta, che la rendeva diversa da tutte le altre che aveva visto. — Andate avanti — disse. McErlain lanciò un’occhiata trionfante, quasi di possesso, alla giungla. — Non ci sono fiori.
— E allora? — Giyani sembrava sconcertato.
— I fiori servono ad attirare gli insetti. È così che la maggior parte delle piante si riproducono, impollinando le zampe e i corpi degli insetti, che poi lo spargono in giro. Tutta questa roba — McErlain indicò con un gesto il muro verde che li circondava — è costretta a riprodursi in qualche altro modo, che non dipende da…
— Dalla vita animale! — finì Surgenor, chiedendosi come avesse fatto a non accorgersene prima. Quella giungla, l’antico mondo verde di Saladin, era silenziosa. Nessun animale si muoveva fra i suoi cespugli, nessun insetto ronzava nell’aria immobile, nessun uccello cantava. Era un mondo privo di vita mobile.
— Osservazione interessante — disse Giyani freddamente — ma di scarso interesse per il nostro problema immediato.
— Questo lo dite voi — disse McErlain trattenendo la rabbia. Surgenor lo scrutò con attenzione. Il grosso sergente sembrava rilassato, ma non staccava gli occhi da Giyani. Si era messo vicino alla Saladiana silenziosa, più vicino di quanto ci si sarebbe potuto aspettare date le circostanze. Era come se, pensò Surgenor a disagio, lui e la donna aliena fossero legati da qualche cosa.
Surgenor rivolse la sua attenzione alla rampa che avevano costruito con i tronchi abbattuti dal modulo. Solo pochi passi lo separavano da essa, e non ci avrebbe messo più di due secondi a raggiungere il disco, ma era sicuro che il sergente l’avrebbe immediatamente incenerito. La sua unica speranza era che Giyani e McErlain restassero così impigliati nel loro conflitto personale, da dimenticarsi di sorvegliarlo. Si avvicinò un po’ di più alla rampa, pensando a cosa potesse portare i due uomini a uno scontro diretto.
— Maggiore — disse con fare distratto — avete affermato prima che il vostro interesse principale è la buona riuscita della missione. La salvaguardia degli interessi della Terra nel miglior modo possibile.
— Esatto.
— In questo caso avete l’occasione di compiere un gesto decisivo, che potrebbe indurre i Saladiani a una maggiore cooperazione. Se rimandassimo la prigioniera indietro nel tempo…
Giyani slacciò la fibbia della fondina con un movimento rapido. — Non cercare di fare il furbo con me, David. E allontanati da quella rampa.
Surgenor provò un attimo di terrore, ma non si mosse. — Cosa ne dite, maggiore? La mente di un Saladiano è così diversa dalla nostra che non abbiamo la più pallida idea di quello che abbia in testa quella donna. Non possiamo scambiare un solo pensiero, una sola parola con il suo popolo, ma non ci potranno essere dubbi sulle nostre intenzioni se la rimandiamo indietro. — Mise un piede sulla base della rampa.
— Tornate indietro! — Giyani afferrò il calcio della pistola e cominciò ad estrarla dalla fondina. Dal fucile di McErlain venne un piccolo clic. — Lasciate andare quella pistola — disse il sergente senza alzare la voce.
Giyani si immobilizzò. — Cosa vi salta in mente, sergente? Non vedete cosa sta facendo?
— Lasciate stare quella pistola.
— Chi vi credete di essere? — La faccia di Giyani si rabbuiò. — Qui non siamo…
— Andate avanti — lo incalzò McErlain con finta cortesia. — Ditemi che non sono più sulla Georgetown. Sentiamo qualcun’altra delle vostre battute sul genocidio. Vi piacciono molto, maggiore.
— Non volevo…
— Sì che volevate! È da un anno che non mi dite altro, maggiore!
— Mi dispiace.
— Non è il caso. È tutto vero, sapete. — Lo sguardo di McErlain si spostò lentamente sulla figura enigmatica della Saladiana, poi tornò su Giyani. — Sono uno di quelli che hanno sparato. Non sapevamo niente dello strano sistema riproduttivo degli alieni. Non sapevamo che quel gruppo di maschi doveva preservare il proprio onore e quello della razza compiendo un attacco rituale. Vedemmo solo una massa di centauri pelosi che ci attaccavano con le lance. E cominciammo a sparare.
Surgenor spostò il peso del corpo sull’altro piede, preparandosi a scattare lungo l’unico tronco che formava la rampa.
— Continuarono ad attaccarci — proseguì McErlain, con occhi pieni di dolore. — E noi continuavamo a sparare. Tutto qui. Solo più tardi scoprimmo di avere annientato tutti i maschi attivi, che in ogni caso non ci avrebbero fatto alcun male.
Giyani allargò le braccia. — Mi dispiace, McErlain. Non sapevo com’erano andate le cose, ma adesso dobbiamo preoccuparci della nostra situazione, qui ed ora.
— Ma io sto proprio parlando di questo, maggiore. McErlain sembrava sorpreso. — Non l’avete ancora capito?
Giyani tirò un profondo respiro, si avvicinò al sergente e parlò con voce ferma. — Avete trent’anni, sergente McErlain. Entrambi sappiamo bene cosa significa questo per voi. Ora statemi bene a sentire: vi ordino di consegnarmi quell’arma.
— Mi ordinate?
— Sì, sergente. Ve lo ordino.
— In base a quale autorità?
— Lo sapete benissimo, sergente. Sono un ufficiale delle forze armate del pianeta sul quale voi ed io siamo nati.
— Un ufficiale! — L’espressione di McErlain si fece ancora più stupita. — Voi non capite. Non capite proprio niente. Quando siete diventato ufficiale delle forze armate del pianeta sul quale io e voi siamo nati?
Giyani sospirò, e decise di accontentare il sergente. — Il dieci giugno duemiladuecentosettantasei.
— Ed essendo un ufficiale avete il diritto di darmi degli ordini?
— Avete trent’anni, McErlain.
— Ditemi una cosa, signore. Avreste avuto il diritto di darmi ordini il nove giugno del duemiladuecentosettantasei?
— No, si capisce — disse Giyani accomodante. Allungò una mano e afferrò la canna del fucile. McErlain non lasciò la presa. — Quanti ne abbiamo oggi?
— Come faccio a saperlo?
— Mettiamola in un altro modo: è prima o dopo il dieci giugno duemiladuecentosettantasei?
Giyani cominciò a mostrare qualche segno di impazienza. — Non siate ridicolo, sergente. In una situazione come questa è il tempo soggettivo che conta.
— Questo non lo sapevo — commentò McErlain. — Fa parte del regolamento, o l’avete letto sul libro non ancora scritto del nostro amico Surgenor, che crede che io non mi sia accorto che sta salendo pian piano sulla rampa?
Surgenor tolse il piede dal tronco argenteo, e aspettò. Cominciava a rendersi conto che un elemento inesplicabile e pericoloso era giunto a complicare la situazione. La Saladiana si era tirata di nuovo il cappuccio sulla testa, ma non staccava gli occhi da McErlain. Sembrava quasi che capisse quello che stava dicendo il sergente.
— Allora è così che la pensate. — Giyani si strinse nelle spalle e si allontanò da McErlain. Si appoggiò a un grosso albero dalle foglie gialle e rivolse la sua attenzione a Surgenor. — È la mia immaginazione, David, o quel cerchio si è ristretto ancora un po’?
Surgenor scrutò il disco nero, con le stelle che splendevano assurdamente, e la sua ansia crebbe. Il cerchio effettivamente sembrava un po’ più piccolo. — Dev’essere a causa dell’aria che passa da una parte all’altra — disse. — L’aria umida ha una massa notevole… Si interruppe, mentre Giyani con un movimento rapido si nascondeva dietro all’albero. Da dove si trovava, Surgenor lo vide afferrare la pistola. Si gettò dietro alla rampa, sperando in una protezione che nel suo cuore sapeva del tutto insufficiente, e nello stesso istante l’arma di McErlain emise una scarica. Il fucile doveva essere regolato sull’intensità massima, perché il raggio ultralaser annientò con un’esplosione lo spessore del tronco… e il petto di Giyani. L’uomo cadde in un ammasso di fuoco e di sangue. L’albero oscillò per qualche istante, in bilico sulle sue stesse ceneri, poi si inclinò e precipitò fragorosamente fra gli altri alberi.
Finalmente, rendendosi conto che la rampa non gli offriva nessun rifugio, Surgenor si rialzò e guardò McErlain. — È il mio turno, adesso?
Il sergente fece un cenno con la testa.
— Fareste meglio a saltare attraverso quel buco, prima che sparisca — disse.
— Ma… — Surgenor osservò la bizzarra coppia, il sergente McErlain e la figura grigia della Saladiana, e la sua mente cominciò a riempirsi di congetture.
— Voi non andate? — chiese, senza rendersi conto della futilità di quella domanda.
— Ho qualcosa da fare.
— Non capisco.
— Fatemi un favore — disse McErlain. — Riferite che mi sono riscattato. Una volta ho aiutato a uccidere un pianeta. Adesso aiuterò a riportarne uno alla vita.
— Continuo a non capire. McErlain diede un’occhiata alla donna aliena, senza nome. — Sta per avere un figlio. Forse più di uno. Non riusciranno mai a sopravvivere senza il mio aiuto. Non ci deve essere abbondanza di cibo.
Surgenor salì sulla rampa e si fermò vicino al disco nero. — E se non ce ne fosse per niente? Come potete sapere che sopravvivrete?
— Dobbiamo — disse McErlain. — Da dove pensate che siano venuti gli abitanti di questo pianeta?
— Potrebbero essere venuti da qualsiasi parte. Le probabilità che i Saladiani siano originari di questo pianeta, date le circostanze, sono così scarse che… — si interruppe con un senso di colpa, vedendo il bisogno disperato negli occhi di McErlain.
Guardò per l’ultima volta il sergente e la sua enigmatica compagna, poi si tuffò nel cerchio nero. Provò un attimo di panico, mentre cadeva nel buio, poi si trovò a rotolare sulla sabbia fredda, e si sedette, tremando. Le stelle familiari della notte saladiana brillavano sulla sua testa, ma la sua attenzione venne attirata dal cerchio da cui era emerso.
Era un disco di luce verdastra, sospeso sul deserto, una finestra dalla notte al giorno. Mentre guardava, si restrinse fino a ridursi alle dimensioni di un piatto splendente come un sole, poi di un diamante abbagliante. L’aria sibilava attraverso l’apertura con una nota lamentosa, sempre più acuta mentre si restringeva alla grandezza di una stella, e finalmente sparì.
Quando i suoi occhi si furono riadattati all’oscurità, riuscì a scorgere la figura di Kelvin che giaceva sulla sabbia a poca distanza. Si vedeva una macchia biancastra dove il tenente aveva spruzzato lo spray cicatrizzante, sulla caviglia.
— Avete bisogno di aiuto? — chiese Surgenor.
— Ho già chiamato — disse Kelvin debolmente, senza muoversi.
— Dovrebbero arrivare fra poco. Dove sono gli altri?
— Dall’altra parte. — Una parte della sua mente gli diceva che McErlain e la donna saladiana erano morti da milioni di anni, ma un’altra gli suggeriva che erano ancora vivi, perché il passato, il presente e il futuro sono una cosa sola. — Non possono farcela.
— Questo vuoi dire… che sono morti da tanto tempo.
— Si può anche dire così.
— Oh, Cristo — mormorò Kelvin. — Che modo stupido e inutile di morire. È come se non fossero mai vissuti.
— Non proprio. — Gli era venuto in mente che il desiderio del sergente McErlain di dare la vita a un nuovo mondo poteva essere stato esaudito. Letteralmente. Non ne sapeva abbastanza di biologia per esserne sicuro, ma gli sembrava possibile che, avendo a disposizione un milione di anni, e un ambiente favorevole, i microrganismi che brulicavano in un corpo umano potessero prosperare ed evolversi. Dopo tutto, Saladin aveva prodotto davvero una forma di vita intelligente…
Quelle speculazioni erano troppo al di là delle possibilità di Surgenor, date le sue condizioni presenti, ma a un livello mentale non logico, aveva un barlume di speranza che in qualche modo i Saladiani sarebbero venuti a sapere quello che McErlain aveva fatto per un membro della loro razza. Se fosse successo, allora, forse, avrebbero potuto gettare le prime basi per stabilire relazioni amichevoli.
Nel buio, Kelvin sospirò stancamente. — È ora che ce ne andiamo da questo pianeta, comunque.
Surgenor alzò gli occhi verso il cielo. Pensò a se stesso a bordo della Sarafand, in viaggio verso mondi lontani. Ma l’immagine del cerchio luminoso restò nei suoi occhi per molto, molto tempo, come un sole impalpabile.
McErlain si mosse debolmente nella penombra della caverna. Cercò di chiamare, ma la congestione ai polmoni si era fatta così acuta che dalla sua bocca uscì solo un rantolo soffocato. La piccola figura grigia all’imboccatura della caverna non si mosse, continuò a guardare pazientemente la vegetazione intrisa di pioggia. Non avrebbe saputo dire, nemmeno dopo tutti quegli anni, se la donna l’aveva sentito o no. Tornò a sdraiarsi, e mentre la febbre lo assaliva con più intensità, cercò di accettare il pensiero della morte.
Tutto sommato, era stato fortunato. La donna saladiana era rimasta per lui un essere alieno, col quale non vi era la minima possibilità di comunicazione, ma era rimasta con lui e aveva accettato il suo aiuto. Avrebbe potuto giurare di aver visto qualcosa di simile alla gratitudine nei suoi occhi quando l’aveva aiutata a superare il periodo difficile del parto, e la malattia che ne era seguita. Era stato bello per lui.
Poi era stato lui ad ammalarsi: avvelenato per avere assaggiato il frutto, o la pianta, o il seme sbagliato, nella sua ricerca di un cibo adatto a lei e ai suoi figli. In quelle occasioni, gli era sembrato che lei non fosse mai lontana dal suo fianco.
Ma la cosa più gratificante, per lui, era che la donna e la sua discendenza erano molto prolifici: i frutti di quel primo parto quadruplice erano giovani adulti ora, e avevano prodotto molti altri figli. Guardandoli moltiplicarsi, il senso di colpa, che l’aveva roso dal tempo dell’incidente della Georgetown, aveva cessato di dominare la sua vita. Era ancora dentro di lui, naturalmente, ma aveva imparato a dimenticarlo per ore di seguito.
Se solo fosse stato capace di insegnare ai bambini la sua lingua, di insegnare loro un solo concetto attraverso la barriera della diversa struttura logica, le cose sarebbero andate ancora meglio… Ma c’era un limite a quello che un uomo poteva chiedere. Aveva trent’anni, pensò McErlain, mentre il mondo della coscienza lo abbandonava, ed era sufficiente che gli fosse stata data l’occasione di riscattarsi…
Più tardi, mentre la luce bassa del sole calante filtrava fra gli alberi, la famiglia si raccolse attorno al letto su cui giaceva il corpo di McErlain. In silenzio, osservarono la Madre appoggiare una mano sulla fronte gelida e bagnata dell’uomo.
«Questo essere è morto» disse silenziosamente. «Ed ora che il nostro debito verso di lui è stato pagato, e che lui non ha più bisogno di noi, possiamo partire per la grande patria temporale della nostra gente».
Fanciulli e adulti si presero per mano. E la Famiglia svanì.