La riunione si tenne nella sala mensa, attorno al tavolo ingombro di bicchieri, tazze e portacenere.
Surgenor aveva notato due tipi fondamentali di reazioni all’annuncio di Aesop: alcuni erano diventati insolitamente loquaci e attivi; altri si erano ritirati in se stessi: rimanevano silenziosi, mostravano un interesse meditabondo per le proprie unghie o qualche oggetto personale, come un accendino. Christine Holmes apparteneva a quest’ultimo gruppo, e aveva un’aria tetra e tragica. Billy Narvik, che aveva accettato un tranquillante, sorrideva accarezzandosi la barba, intontito. Gli altri nuovi membri, due ragazzi pallidi e riservati che si chiamavano John Rizno e Wilbur Desanto, si guardavano intorno con aria accusatrice, come se cercassero un responsabile per la loro sfortuna.
Surgenor, a cui era stato affidato tacitamente il ruolo di presidente, batté sul tavolo col bicchiere di whisky vuoto. — Mi pare — disse lentamente, cercando le parole — che dovremmo essere almeno sicuri di parlare tutti la stessa lingua. C’è qualcuno che crede che Aesop possa essersi sbagliato? C’è qualcuno che crede che ci sia un modo per tornare a casa?
Molti uomini si mossero a disagio.
— Aesop non è infallibile — disse Burt Schilling, guardando quelli vicino a lui. — Il fatto che siamo qui, lo prova. Surgenor annuì. — Giusta osservazione.
— Io metterei la cosa in termini ancora più chiari — intervenne Theo Mossbake. — Mi pare che il nostro cosiddetto Capitano Aesop possa essere un perfetto imbecille, e non credo che dobbiamo credere a tutto quello che dice come se fosse il verbo di Dio o qualcosa del genere. — Alzò la voce. — Una delle sue nuove unità mnemoniche era difettosa, e così ha fatto un balzo nello spazio sconosciuto, fuori della galassia. E va bene. Ma perché diavolo non si è fermato? Perché non si è guardato intorno, ha individuato la nostra galassia e ha fatto un balzo indietro?
— È proprio quello che ha cercato di fare — disse Al Gillespie con irritazione. — Aesop ci ha già spiegato che il flusso gravitonico era troppo forte.
Come una forte corrente che porta al largo. A quanto ha detto, avremmo potuto benissimo andare molto più lontano di… trenta milioni di anni-luce, o quello che è.
— Almeno possiamo ancora vedere il Gruppo Locale — disse Surgenor senza pensare, e immediatamente si pentì di aver parlato.
— Questa sì che è una consolazione — disse Schilling. — Quando cominceremo ad avere fame potremo fare i turni al telescopio per guardare il Gruppo Locale. E salutare gli amici.
— Questa è un’assemblea — disse Surgenor. — Il sarcasmo e l’autocommiserazione tienteli per la tua stanza, va bene?
— No, non va bene. — Schilling guardò risentito Surgenor, con una vena che gli pulsava sul collo. — Si può sapere chi credi di essere? — Fece per alzarsi in piedi, e Surgenor provò con vergogna un senso di gioia, al pensiero di poter scaricare la propria tensione col semplice espediente di prendere a pugni un altro essere umano.
Mossbake prese Schilling per un braccio e lo fece sedere. — Io sono specializzato nel ramo alberghiero — disse. — Ho preso l’ingaggio minimo di due anni coll’SC per mettere da parte un po’ di soldi… perciò non ne so molto dello spazio-beta. Ma mi pare di capire l’analogia che ha usato Al, di una corrente che ci porta al largo. Quello che vorrei sapere è questo: non possiamo andare controcorrente? Non c’è un modo per tornare a casa, con una rotta a zig-zag?
Gillespie si chinò in avanti. — Con una nave progettata specificamente per questo genere di cose, potrebbe essere possibile. Ma secondo Aesop sarebbero necessari almeno duecento balzi nello spazio-beta, sempre ammesso che non incappiamo in una zona dove le condizioni sono peggiori, mentre le nostre riserve di carburante bastano per trenta balzi al massimo. E poi c’è da considerare il fattore tempo. Senza carte celesti che lo aiutino, Aesop dovrebbe eseguire rilevamenti sull’intera sfera di spazio circostante prima di ogni balzo, e ogni volta potrebbe metterci fino a quattro giorni. Moltiplicate questo tempo per il numero di balzi e otterrete un periodo superiore a due anni. E noi abbiamo cibo per un mese.
— Capisco — disse Mossbake. — È strano che non abbia pensato al cibo nonostante la mia esperienza. Questo vuol dire che dovremo… morire di fame?
I dodici seduti attorno al tavolo mutarono impercettibilmente atteggiamento, come se a loro si fosse unita una tredicesima, invisibile presenza, e Surgenor decise che era venuto il momento per lui di recitare ancora una volta la sua parte. In due decenni di lavoro aveva ormai quasi perfezionato l’immagine dell’uomo duro come una roccia, pieno di esperienza, imperturbabile, che non si arrabbia mai e che possiede riserve di energia inesauribili. In un certo senso, a volte si sentiva di dover rappresentare la nave, e offriva, com’era appena successo, un bersaglio umano per le frustrazioni che altri membri dell’equipaggio avrebbero voluto scaricare su Aesop. Era una parte che, in altre circostanze, aveva recitato volentieri, quando era ancora possibile ingannare se stessi, ma che negli ultimi tempi gli era diventata sempre più faticosa. Avrebbe tanto desiderato ritirarsi dalle scene, ormai.
— Morire di fame? — Surgenor guardò Mossbake con una specie di sorpresa divertita. — Tu puoi anche morire di fame, se ti fa piacere, ma qui fuori c’è una galassia piena di pianeti, che a loro volta sono pieni di cibo e io ho tutte le intenzioni di mangiarmi tutto quello che potrò trovare. O almeno una buona parte.
— Non ti preoccupa il fatto di non tornare a casa?
— No. Preferirei tornare, e sarei un pazzo se fingessi il contrario, ma se non posso farlo, cercherò di vivere da qualche altra parte. Sarà sempre molto meglio che… — Una fragorosa risata di Billy Narvik, che era seduto dall’altra parte del tavolo, lo interruppe.
— Scusatemi — disse Narvik, con un sorriso ebete sulla faccia, quando si accorse di essere al centro dell’attenzione. — Mi dispiace di avere interrotto i lavori, ma siete così buffi.
— In che senso? — chiese Mike Targett, parlando per la prima volta.
— Questa assemblea… Ve ne state seduti qui, tutti seri, a contare le riserve di carburante e i barattoli di piselli, e nessuno si è ricordato dell’unico bene veramente importante, il solo che conti.
— E quale sarebbe?
— Lei! — Narvik puntò il dito verso Christine Holmes, seduta proprio di fronte a lui. — La sola donna che abbiamo.
Surgenor batté sul tavolo col bicchiere. — Mi pare che tu non sia in condizione di prendere parte a questa riunione, Billy. Stiamo parlando della nostra sopravvivenza.
— E io di cosa credi che stia parlando, per Dio? — Narvik si guardò intorno con occhi calmi. — Della sopravvivenza della specie! Abbiamo una donna e, a costo di offendere la sensibilità di qualcuno, mi pare che dobbiamo decidere come utilizzarla nel modo migliore.
Sig Carlen si alzò e andò a mettersi dietro la sedia di Narvik, con i muscoli delle spalle tesi. — Siamo d’accordo che il nostro amico Narvik dovrebbe andare a stendersi per un po’ nella sua cabina?
— Questo non cambierà niente — disse tranquillamente il giovane. — Ci troviamo in una situazione completamente nuova, ragazzi, e prima stabiliremo le regole del gioco, meglio sarà.
Surgenor fece un cenno a Carlen, che infilò le braccia sotto quelle di Narvik e lo sollevò dalla sedia. Narvik fece solo resistenza passiva, afflosciandosi come un ubriaco.
— Lascialo stare — intervenne Schilling. — Ha detto delle cose sensate, no? Se dobbiamo partire da zero in questa galassia, dovremo affrontare certi fatti e abituarci a un nuovo modo di pensare, e io per primo…
— Tu per primo — lo interruppe Carlen — potresti abituarti a un nuovo modo di mangiare. Senza denti, per esempio.
Per tutta risposta Schilling mostrò i denti e se ne prese uno fra il pollice e l’indice. — Ho dei buoni denti, Sig. Non riusciresti neanche a smuoverli.
— Potrei dargli una mano io -disse Victor Voysey, con un’espressione truce sulla faccia lentigginosa. — Con una chiave inglese.
— Puoi andare a…
— Basta così! — Surgenor non cercò neppure di nascondere la collera. — Narvik ha ragione quando dice che ci troviamo in una situazione completamente nuova, e questa è una delle regole fondamentali: Christine Holmes deve essere considerata una persona interamente libera e autonoma. Non possiamo esistere in nessun altro modo.
— Non esisteremo per niente, fra non molto, se non affrontiamo realisticamente il problema della procreazione — disse Schilling ostinato.
Surgenor lo guardò con aperto disprezzo. — Dici così perché ti ritieni uno dei candidati privilegiati?
— Certamente più di te, Dave. Io almeno sono ancora…
— Signori! — Nel silenzio improvviso, Christine Holmes si alzò in piedi e si guardò intorno, pallida per la tensione. Rise nervosamente. — Ho detto signori? Mi spiace, comincerò da capo. Bastardi! Se non avete niente in contrario, vorrei mostrarvi qualcosa che riguarda da vicino la discussione. E fareste meglio a guardare bene, perché sarà l’unica occasione che avrete.
Con una mano si tirò su la camicia dell’uniforme, mentre con l’altra si abbassava i pantaloni, mettendo in mostra un ventre piatto, raggrinzito dalle cicatrici lasciate dai ferri chirurgici. Surgenor guardò gli occhi scuri della donna e gli sembrò che negli ultimi vent’anni non fosse stato da nessuna parte, non avesse imparato niente.
— Non c’è più niente dentro. Niente che possa funzionare. Hanno tolto tutto. Avete visto bene?
— Non era necessario — mormorò Schilling, distogliendo lo sguardo.
— Come no? Non eri tu quello che parlava di guardare in faccia i fatti? Questi sono i fatti. — Con uno sforzo, Christine riportò la voce a un tono normale.
— Spero di non aver scandalizzato nessuno di voi pionieri, ma così avete la prova che potete classificarmi nella lista degli uomini. Questo renderà le cose più semplici, no?
— Molto più semplici — disse subito Surgenor, ansioso di chiudere l’incidente. — Forse adesso potremo cercare di metterci d’accordo sulle istruzioni da fornire ad Aesop.
— Non sapevo neppure che potessimo dargli delle istruzioni — disse Carlen, lasciando andare Narvik e tornando a sedersi.
— La nostra situazione attuale è ben al di là dei suoi termini di riferimento, perciò è il momento di usare quella “risposta umana flessibile” di cui parlano tanto i nostri dirigenti sindacali.
— Non ne avremmo nessun bisogno, se non ci trovassimo qui.
— Non voglio entrare in questa discussione. — Surgenor evitò di guardare Christine mentre parlava. — Per prima cosa, dobbiamo essere d’accordo tutti di restare in questa galassia, che è buona quanto qualsiasi altra. Poi dobbiamo dare istruzioni ad Aesop perché faccia ricerche nelle vicinanze dei soli dotati di pianeti. Infine dobbiamo decidere un razionamento dei viveri per farli durare il più possibile. — Scarabocchiando appunti su un blocco, Surgenor elencò con voce monotona una breve serie di proposte, cercando di farle sembrare di normale amministrazione, e sperando dentro di sé che quello che avevano fatto a Christine potesse essere banalizzato e dimenticato.
Il sotto-comitato incaricato di scegliere la loro destinazione era composto da Surgenor, Al Gillespie e Mike Targett. Surgenor restò moderatamente sorpreso per la facilità con cui si era arrivati ad eleggere proprio il tipo di gruppo che voleva lui, e ne dedusse che l’embrione di corrente guidata da Burt Schilling era ansiosa di allontanarsi dal tavolo fino a quando non si fossero calmate le acque, dopo l’incidente con Christine Holmes.
Muniti di blocchi per appunti e di matite, i tre si ritirarono nella sala osservazione e si sedettero fra un mare di stelle. La distribuzione di soli attorno alla Sarafand era così uniforme, e il loro splendore così intenso, che ai tre pareva di trovarsi su una balconata pericolosamente sospesa su un abisso.
— Non ho mai visto niente di simile prima — commentò Al Gillespie. — Devono esserci un migliaio di soli, e forse più, nel raggio di dieci anni-luce. Quasi quasi, si potrebbero vedere i sistemi planetari con un binocolo.
— È un po’ esagerato — disse Mike Targett — ma rende l’idea. Era ora che avessimo un po’ di fortuna.
— Fortuna? — Surgenor si schiarì la gola. — Ascolta queste parole, Aesop. Avevi la possibilità di controllare il punto di emersione in questa galassia?
— Sì, David. Questo ammasso globulare era ben visibile anche nello spaziobeta. Mi restava abbastanza controllo per far emergere la nave vicino al suo centro. — La voce diffusa di Aesop sembrava emanare dallo spazio stesso.
— Sapevi che avremmo cercato un pianeta per stabilirci?
— Era un assunto logico.
— Capisco. — Surgenor gettò un’occhiata significativa ai suoi due compagni.
— Aesop, abbiamo bisogno di un’indagine completa sull’ammasso, in modo da localizzare i soli che più probabilmente possiedono pianeti di tipo terrestre. Ci darai il risultato in forma scritta, quattro copie. Quanto tempo ti ci vorrà?
— Approssimativamente cinque ore.
— Va bene. — Improvvisamente, Surgenor si accorse di essere esausto, di non avere niente di utile da fare in quelle cinque ore, e di non poter più ritardare il momento in cui si sarebbe trovato solo nella sua cabina, isolato, a trenta milioni di anni-luce dalla Terra. L’alternativa era bersi un altro bicchierino, ma non aveva alcun desiderio di cominciare ad usare l’alcool per tenersi su… specialmente dal momento che le riserve sarebbero durate solo per poche settimane.
— È meglio che ci andiamo a riposare un po’ — disse a Gillespie e a Targett, dando un’occhiata all’orologio. — Possiamo rivederci qui alle…
— Ho eseguito un’analisi spettroscopica preliminare dell’ammasso — intervenne Aesop inaspettatamente. — Le linee di emissione provano che la materia stellare ha la stessa composizione di quella della nostra galassia, ma in tutti i casi le linee mostrano uno spostamento verso la parte blu dello spettro.
Senza sapere il perché, Surgenor provò un senso di allarme. — Questo non riduce le possibilità di trovare un pianeta abitabile, vero?
— No. — La risposta di Aesop era rassicurante, ma rendeva il suo intervento ancora più strano.
Surgenor guardò Targett aggrottando la fronte. Targett aveva una certa preparazione in astronomia.
— Perché Aesop ce ne ha parlato?
— Spostamento verso il blu? — Targett era stupito quanto Surgenor. — Penso che voglia dire che tutte le stelle in questo ammasso si stanno muovendo verso di noi. Cioè, non verso di noi… verso un centro comune a cui ci troviamo vicini.
— E allora?
Targett si strinse nelle spalle. — È strano, ecco tutto. Solitamente l’universo è in espansione.
— Aesop, abbiamo pensato a quello che hai detto sulle linee spettrali — disse Surgenor. — Significa che questo ammasso sta implodendo, giusto?
— Esatto. La velocità delle stelle vicino alla regione centrale raggiunge i centocinquanta chilometri al secondo, e aumenta alla periferia dell’ammasso. Vi ho informato di questo fenomeno perché non presenta nessun parallelo conosciuto nel sistema della Via Lattea.
Surgenor provò la spiacevole sensazione che Aesop stesse evitando di dir loro qualcosa di spiacevole. Eppure sapeva che, malgrado le molte finezze di cui era stata dotata la “personalità” di Aesop, i suoi progettisti non si erano mai sognati di farlo anche reticente.
— Va bene — disse — ci troviamo in un ammasso in fase di implosione, e si tratta di un fenomeno nuovo per la nostra esperienza. Ma poiché questa esperienza è limitata al sistema della Via Lattea, è logico che dobbiamo aspettarci sorprese in altre parti dell’universo.
— Questa osservazione è valida da un punto di vista filosofico — replicò Aesop. — Ma la cosa veramente sorprendente di questo ammasso stellare non è la sua configurazione nello spazio, ma nel tempo.
— Non capisco, Aesop. Spiegati con parole più semplici.
— La distanza media fra le stelle è di uno virgola due anni-luce. Si muovono verso il centro a una velocità di circa centocinquanta chilometri al secondo. Noi ci troviamo già al centro, o vicino al centro dell’ammasso. Questo significa che abbiamo raggiunto la nostra attuale posizione meno di centocinquanta anni terrestri prima della prima collisione. Solo che i tempi astronomici sono tali che una simile ipotesi deve essere respinta.
— Vuoi dire che è impossibile?
— Non è impossibile — rispose tranquillamente Aesop. — Ma su scala astronomica, un periodo di centocinquanta anni è infinitesimalmente piccolo. Non ho dati sufficienti sulle condizioni locali per calcolare le probabilità, ma è estremamente difficile che siamo capitati qui proprio in questo stadio dell’evoluzione dell’ammasso. Dovrebbe essere molto più ampio e diffuso, oppure dovrebbe esserci già una massa centrale.
Surgenor osservò il cielo pieno di stelle. — Allora… qual è la tua spiegazione?
— Non ho nessuna spiegazione, Dave. Sto semplicemente esponendo i fatti.
— In questo caso, dobbiamo ritenere di essere capitati in un momento molto interessante — disse Surgenor. — Anche l’improbabile è destinato a capitare, ogni…
— Aesop — intervenne Targett con voce ansiosa. — Non ci troviamo sull’orlo di un buco nero, vero?
— No. I buchi neri sono facilmente individuabili, sia nello spazio normale che nello spazio-beta, e mi sarei preoccupato di evitarlo. Anzi, non riesco neppure a individuare un centro gravitazionale, per quanto debole, nella regione. E questo rende il processo implosivo ancora più inspiegabile.
— Mmm. Hai detto che le stelle ai confini dell’ammasso si muovono più in fretta. La loro velocità è proporzionale alla distanza dal centro?
— Un controllo per campioni conferma questa ipotesi.
— È strano — disse Targett pensieroso. — Sembra quasi che… — Lasciò la frase in sospeso, osservando le stelle intorno con rinnovato interesse.
— Cosa stavi per dire? — lo incalzò Gillespie.
— Niente. Certe volte mi vengono delle idee strane.
— Non stiamo approdando a niente con questa discussione. — Surgenor guardò l’orologio, che era stato regolato sul tempo della nave.
— Propongo di aggiornare la riunione e di ritrovarci qui alle sette. Forse per allora ci saremmo schiariti le idee, e in ogni modo ci sarà il rapporto di Aesop su cui lavorare.
Gli altri annuirono, e tutti insieme tornarono alla normalità illuminata della sala mensa, lontano dalla pressione psicologica del cielo straniero. Surgenor prese la scaletta principale e raggiunse il corridoio curvo che dava accesso alle cabine. Per convenienza burocratica, i numeri delle stanze seguivano quelli dei moduli a cui erano assegnati i vari membri dell’equipaggio. Surgenor, occupando il posto di sinistra del Modulo Cinque, aveva la cabina numero nove.
Passò a fianco della prima stanza, dove, negli ultimi cinque anni, era solito entrare per chiacchierare con Mare Lamereux, e gli venne in mente che doveva delle scuse a Christine Holmes. La porta era chiusa, ma il segnale di “non disturbare” non era acceso, per cui non c’era modo di sapere se la donna fosse dentro o no. Surgenor esitò, poi bussò al pannello di plastica, e sentì una risposta indistinta che sembrava un invito ad entrare. Girò la maniglia, aprì la porta e venne accolto da un’imprecazione sorpresa. Christine, nuda fino alla vita, era seduta sull’orlo del letto, con le mani incrociate sui seni.
— Scusa! — Surgenor richiuse la porta e attese nel corridoio, rimpiangendo di non essere andato subito nella sua cabina.
— Cosa ti è venuto in mente? — Christine si era rimessa la camicetta quando riaprì la porta. — Cosa vuoi? Surgenor cercò di sorridere. -Non mi inviti ad entrare?
— Cosa vuoi? — ripeté lei impaziente, ignorando la richiesta.
— Ecco… volevo scusarmi.
— E per che cosa?
— Per quello che è successo alla riunione. Io poi, non sono stato di molto aiuto.
— Non ho bisogno di nessun aiuto. I buffoni come Narvik e Schilling non mi fanno paura.
— Ne sono convinto, ma non è questo il punto.
— No? — Christine sospirò, e Surgenor sentì l’odore di sigaretta nel suo fiato. — Va bene. Hai fatto le tue scuse, e adesso ci sentiamo tutti meglio. Ti dispiace se vado a dormire un po’? — Chiuse la porta, e si udì il rumore del chiavistello, tirato con più forza del necessario. Il segnale “non disturbare” si accese.
Surgenor si massaggiò la mascella pensoso, continuando verso la propria stanza. Quando Christine Holmes era arrabbiata, come senza dubbio era in quel momento, sapeva essere dura e sferzante come qualunque uomo, ma colta di sorpresa, aveva reagito in maniera tipicamente femminile. Quell’antico gesto di difesa, il nascondere i seni agli occhi di un estraneo, indicava la consapevolezza della propria sessualità, indicava che lei si considerava ancora una donna. Surgenor cercò di immaginare la Christine che conosceva, con le ossa grosse e la carnagione olivastra, le mani callose e la sigaretta in bocca, pronta ad affrontare alla pari un mondo di maschi, nei panni di quella che doveva essere una volta, prima che la vita la colpisse così duramente; ma non riuscì a farsene un’immagine diversa. Rendendosi conto di quanto fosse inutile quell’esercizio, smise di pensare a lei ed entrò nella sua cabina.
Si tolse gli stivali e si stese sul letto, permettendo a se stesso di pensare al fatto che era naufragato a trenta milioni di anni-luce da casa Era forse peggio che essere naufragato a un solo anno-luce? Razionalmente no; ma la vita non era fatta solo di razionalità. Lui non esisteva come puro intelletto, e il freddo dello spazio intergalattico gli era penetrato nelle ossa, nelle viscere, lo sentiva inaridirgli lo spirito, e gli sembrava di non poter più ridere, dormire tranquillo, o rigenerarsi alle fonti dell’amicizia umana.