L’elenco comprendeva cinque soli del tipo G2, tutti nel raggio di sei anni-luce, i cui profili gravitazionali mostravano la presenza di pianeti. Uno di questi, indicato da Aesop come Obiettivo Uno, pareva possedere almeno trenta pianeti che gli roteavano attorno come elettroni. — Questo rende le cose più semplici — disse Surgenor, guardando la stella che Aesop aveva contrassegnato con un cerchio verde, intermittente. — Prima arriviamo all’Obiettivo Uno e cominciamo a cercare la sistemazione migliore, meglio sarà.
Gillespie annuì. — Sta circolando un sacco di liquore nella mensa.
Inaspettatamente, Mike Target! si mostrò dubbioso. — Non sono così sicuro del programma predisposto da Aesop. Ci ho pensato tutto il pomeriggio, e qualcosa mi dice che dovremmo lasciare subito questo ammasso e ricominciare da zero.
— Qualcosa ti dice? È un po’ poco, Mike. Anche se salterà per aria qualche stella, fra un secolo o due, a noi che importa?
— Lo so, ma… — Targett si rannicchiò nella sua poltroncina, guardando oltre la balaustra che sembrava sospesa sull’infinito. — Ho la sensazione che ci sia qualcosa di inquietante in questa regione.
Surgenor sapeva che Mike Targett, un giocatore testardo, non era il tipo da farsi influenzare dagli stati d’animo o dal misticismo. — Ma se Aesop pensa che sia tutto a posto…
— Aesop è un computer, e questo io lo so meglio di chiunque altro, ed è programmato. Certo, i suoi programmi sono vasti, complessi, sofisticati, auto-rivedibili, allargabili, e tutto quello che volete, ma sono pur sempre programmi, e perciò gli permettono di affrontare solo quello che è concepibile. Messo di fronte all’inconcepibile, Aesop non è più degno di fiducia.
— Che cosa c’è di così inconcepibile in un ammasso in condensazione?
— Come faccio a rispondere? — replicò Targett. — Per quel che ne sappiamo, siamo capitati in una zona in cui il tempo si muove alla rovescia. Forse l’ammasso in realtà si espande, se visto nel tempo normale.
— Questo sì che è inconcepibile. E non mi riesce di mandarlo giù.
— Dovremmo essere in grado di individuare i resti dell’esplosione — disse Gillespie.
— Davvero? Ma le nostre costanti di base non sono più… -Targett si interruppe, con un sorriso amaro. — Non ci credo neanch’io che ci troviamo in una zona di tempo invertito. Stavo solo cercando di darvi un esempio di qualcosa al di fuori della competenza di Aesop.
Surgenor si schiarì la voce. — Stiamo perdendo tempo, Mike. A meno che tu non abbia obiezioni più concrete, proporrò che la nostra prossima destinazione sia l’Obiettivo Uno.
— Avete sentito la mia opinione.
— D’accordo allora — disse Gillespie. — Voto anch’io per l’Obiettivo Uno, perciò possiamo metterci al lavoro. Farò venire gli altri, mentre tu lo dici ad Aesop.
Le dodici poltroncine della sala d’osservazione si riempirono in poco tempo. Ora che lo shock iniziale era passato e vi era stato il tempo per adattarsi, le vere reazioni dei vari membri dell’equipaggio al loro destino stavano delineandosi chiaramente. Alcuni si erano attaccati alla bottiglia, per mantenere una specie di tetra allegria, alcuni ostentavano distacco, mentre altri ancora cercavano tutte le occasioni per darsi da fare. L’atmosfera generale era calma, consapevole della gravita della crisi, cosa di cui Surgenor era contento, anche se sospettava che in qualche modo Aesop non fosse estraneo alla cosa. Se dei tranquillanti erano stati immessi nel cibo e nell’acqua, l’operazione era stata eseguita con discrezione ed efficacia.
Surgenor teneva gli occhi fissi sulla stella che costituiva il loro obiettivo, preparandosi mentalmente al momento in cui si sarebbe trasformata da un lontano punto di luce al disco abbagliante di un sole. La distanza era minore di quattro anni-luce, il che significava che Aesop era in grado di portarli in mezzo al sistema planetario in un solo balzo accuratamente calcolato. Era questo uno dei motivi per i quali aveva preferito restare in un ammasso pieno di stelle: la maggior parte dei tempi di viaggio veniva usata per l’avvicinamento ai pianeti nello spazio normale, e poiché le riserve di cibo erano limitate, c’era un vantaggio evidente nel fare balzi molto corti e precisi, proprio nel cuore di un sistema.
Mentre i secondi passavano, Surgenor sentì crescere dentro di sé la tensione che precedeva sempre il miracolo del balzo nello spazio-beta. Quella volta, forse perché la posta in gioco era tanto alta, l’attesa sembrò più lunga del normale, la tensione più snervante. Surgenor si costrinse a restare seduto immobile, come se fosse a suo agio, mentre cercava di mettere in relazione il tempo oggettivo con quello soggettivo; ma fu solo quando vide Gillespie e Voysey guardare i loro orologi che si dovette convincere che, per quanto potesse sembrare mostruosamente ingiusto, qualcos’altro non aveva funzionato sulla Sarafand.
— Credi che dovremmo chiedere ad Aesop? — gli mormorò Gillespie, che era seduto al suo fianco.
— Se c’è qualche intoppo ci penserà lui a… — Fu interrotto dallo scampanellio che precedeva sempre un annuncio ufficiale del computer.
— Devo informare tutti i presenti che non è possibile eseguire il balzo in programma verso l’Obiettivo Uno.
Vi fu un immediato mormorio di sorpresa e di irritazione, al di sopra del quale si udirono parecchie richieste di spiegazione. Nessuno sembrava particolarmente allarmato, e Surgenor cominciò a chiedersi se tutti i suoi timori per un viaggio-jolly non l’avessero reso pessimista più del dovuto.
— La ragione per la quale non possiamo fare il balzo è che i miei sensori beta-spaziali mi forniscono dati che non posso accettare. — Aesop aveva alzato il volume della voce, in modo da farsi sentire al di sopra del mormorio.
— Sii più preciso, Aesop — gridò Voysey.
— Come saprete tutti, se avete studiato i manuali dell’SC, un balzo nello spazio-beta viene eseguito attraverso vari stadi. Nel primo, un’unità sensoria viene fatta ruotare dallo spazio-cinque allo spazio-beta, poi viene riportata indietro, dopo che ha analizzato e registrato il flusso gravitonico. Appena i suoi dati sono stati messi in relazione con quelli dello spazio normale, in altre parole, appena la stella che costituisce l’obiettivo è stata identificata e localizzata, l’intera nave viene fatta a sua volta ruotare nello spazio-beta, viene fornita la spinta adeguata e la nave è fatta ruotare una seconda volta nello spazio normale, nelle vicinanze della stella.
— Queste cose le sappiamo — disse Voysey irritato. — Veniamo al punto, Aesop.
— Ci sono già arrivato, Victor, ma rispiegherò la situazione per te.
— Al tono di rimprovero nella voce di Aesop, Voysey guardò gli uomini seduti vicino a lui con una smorfia.
— Il sistema di astronavigazione della nave ha dei circuiti di bloccaggio che mi impediscono di fare un balzo a meno che non sappia perfettamente dove salto. Non sono in grado di localizzare la nostra destinazione nello spazio- beta, e quindi la nave non può muoversi.
— Tutto qui? — disse Ray Kessler, rompendo il silenzio che era seguito alle ultime parole di Aesop.
— Basta che prendi la mira, Aesop. L’Obiettivo Uno è qui a due passi. — Indicò col dito la stella all’interno del cerchio verde. Mentre l’uomo parlava, il gelo dello spazio intergalattico, privo di stelle, che era restato in letargo dentro a Surgenor, cominciò a muoversi e ad allungare i suoi neri tentacoli.
— Il fatto che un oggetto stellare sia facilmente identificabile nello spazio normale, non significa che lo sia altrettanto nello spazio-beta — rispose Aesop.
— Nello spazio-beta non esiste luce, né alcuna altra forma di radiazione elettromagnetica. La navigazione viene eseguita captando e analizzando i flussi di gravitoni emessi dalle masse stellari. I gravitoni sono difficili da captare, e la loro direzione non è prevedibile. Per usare l’analogia che trovate nei vostri manuali, un viaggiatore nello spazio-beta è come un cieco in una grande sala piena di correnti, nella quale un gruppo di persone faccia delle bolle di sapone. Lui deve trovare la strada da una persona all’altra servendosi solo delle bolle che vanno a scoppiare sulla sua pelle.
— Qual è il problema allora? Non riesci a sentire le bolle?
— Non in modo utile. Il gravitone, il quantum gravitazionale, è stato ritenuto sempre una costante universale, ma in questa regione dello spazio sembra essere una variabile crescente legata al tempo.
— Aesop! — Mike Targett era saltato in piedi, gli occhi fissi su Surgenor. — È una condizione locale? Limitata a questo ammasso?
— Questa conclusione si accorda con i dati a mia disposizione.
— E allora portaci fuori di qui, per l’amor di Dio! Fai un balzo alla cieca. Da qualsiasi parte.
Ci fu una pausa prima che Aesop rispondesse, il tempo sufficiente perché il gelo che paralizzava Surgenor gli raggiungesse il cervello.
— Ripeto: il sistema di astronavigazione è dotato di una serie di blocchi, che impediscono di effettuare un balzo finché la destinazione non è stata selezionata e verificata. Non mi è possibile scegliere una destinazione. Quindi la nave non si può muovere.
Targett scosse la testa, rifiutandosi di accettare quell’affermazione. — Allora è solo una questione meccanica, un dispositivo di sicurezza. Possiamo escluderlo.
— È uno dei parametri fondamentali su cui è costruito il sistema di controllo della nave. Per modificarlo sarebbe necessario ridisegnare e ricostruire l’unità centrale di controllo. Un lavoro che richiede un alto grado di specializzazione, e in più le risorse di una grossa fabbrica. — Ancora una volta, il tono staccato e pedante di Aesop non si accordava col significato delle sue parole, e a Surgenor, la cui mente aveva preso il volo verso l’allegoria, apparve l’immagine fantastica di un giudice che si metteva un naso di cartapesta per pronunciare la propria sentenza di morte.
— Capisco. — Targett si guardò intorno, con un sorriso pallido e innaturale, poi uscì verso la sala mensa.
— Di cosa stavate parlando? — chiese Kessler. — Che cosa sta succedendo? — Te lo dico io — intervenne Burt Schilling, con voce rauca per il panico. — Dicono che la nave non si può muovere. È così, vero, Dave? Surgenor si alzò, guardando la porta da dove era uscito Targett.
— È un po’ presto per giungere a una conclusione.
— Non cercare di darla a bere a me, grosso bastardo. — Schilling si mosse verso Surgenor, agitando un dito accusatore. — Lo sai benissimo che siamo bloccati qui. Avanti, ammettilo.
Surgenor si rese conto che il solito meccanismo era scattato: come tante volte nel passato, lo avevano identificato con la nave e con il suo inesistente capitano. Ma ora anche le sue riserve si erano esaurite.
— Non ho niente da ammettere — disse con voce dura. — Puoi rivolgerti anche tu a Aesop. Parla con lui. — Si voltò per andare a cercare Mike Targett.
— Io sto parlando con te! -Schilling lo prese per un braccio. Surgenor, invece di resistere, si lasciò tirare indietro il braccio, poi ne assecondò il movimento con tutte le sue forze. Colto di sorpresa, Schilling cadde di spalle, colpì il basso parapetto della zona di osservazione e cadde, urlando, verso le stelle. Un istante dopo urtava contro lo schermo curvo. Un interruttore automatico fece accendere le luci, mentre le stelle impallidivano e sparivano sulla superficie interna della sfera grigia. Schilling, che boccheggiava, ma non sembrava seriamente ferito, giaceva steso tenendosi lo stomaco con le mani e guardando Surgenor con occhi carichi di odio.
— Quando il ragazzine si sarà ripreso — disse Surgenor agli altri — ditegli di inoltrare i suoi reclami ad Aesop. Io ho i miei problemi a cui pensare. Theo Mossbake si schiarì la voce. — Siamo davvero bloccati?
— Per il momento si direbbe di sì. Ma razionando il cibo potremo sopravvivere tre mesi, se non di più. Avremo il tempo per cercare una soluzione.
— Ma se la nave non…
— Parlate con Aesop! — Surgenor si girò e uscì dalla sala di osservazione, col fiato grosso. Nella mensa, si prese un bicchiere di acqua gelata e la bevve lentamente, poi salì sulla scaletta. La porta della quinta stanza era chiusa, ma non a chiave. Surgenor bussò adagio, poi chiamò il nome di Targett. Non vi fu alcuna risposta, e dopo aver atteso qualche secondo, Surgenor aprì la porta. Mike Targett era seduto sul bordo del letto, con la testa bassa. Aveva la fronte coperta di sudore e gli occhi vitrei, ma per il resto sembrava normale e padrone di sé.
— Non ho deciso di farla finita, se è questo che ti preoccupa — disse.
— Ne sono felice. — Surgenor batté sullo stipite. — Ti dispiace se entro?
— Entra pure. Ma sto bene. Surgenor entrò e richiuse la porta alle sue spalle.
— Va bene, Mike. Sputa l’osso.
Targett lo guardò con lo stesso sorriso innaturale. — Potrei farti un grosso favore, e non dirti niente.
— Nessun favore. Parla.
— Va bene, Dave. — Targett fece una pausa per raccogliere le idee.
— Avrai sentito parlare di quasar, mythar, pulsar, buchi neri, buchi bianchi, finestre temporali… vero?
— Certo.
— Ma non avrai mai sentito parlare dei vortici spaziali.
— Vortici spaziali? — Surgenor aggrottò la fronte. — Non mi pare.
— Si capisce, dal momento che li ho inventati io. È un termine nuovo per un nuovo fenomeno astronomico.
— Che cosa succede in un vortice spaziale?
Le labbra di Targett si incurvarono in un pallido sorriso. — Che cosa ti suggerisce questo nome?
— Vortici? Be’, la sola cosa che…
— Ho avuto il primo sospetto oggi, quando Aesop ha detto che la velocità delle stelle sembra aumentare in proporzione alla loro distanza dal centro: quelle più lontane si muovono più in fretta, e così via.
— Lo sapevamo già di trovarci all’interno di un ammasso in implosione.
— Già, ma qui sta il punto: non è vero! — Negli occhi di Targett era ritornata un po’ di vita. — Sono contento di aver risolto il problema. Questa idea di un ammasso che si contrae era un’offesa alla ragione.
— Vorresti dire che gli strumenti di Aesop sono sbagliati? Che le stelle non si muovono verso il centro?
— Non esattamente. Voglio dire che da qualsiasi parte si vada nell’ammasso, da qualsiasi punto vengano eseguite le misurazioni, scopriremmo che le stelle sembrano muoversi verso di noi, e che quelle più lontane si muovono più in fretta.
Surgenor si mosse a disagio. — Mike, ha un senso tutto questo?
— Sfortunatamente sì. L’astronomia ha sempre conosciuto questo fenomeno, ma al contrario. Quando un astronomo misura la velocità delle galassie, scopre sempre che le più lontane si muovono più velocemente, ma questo non significa che lui si trovi in una posizione centrale. In un universo in espansione, ogni cosa si allontana dalle altre in maniera uniforme, e, per un semplice calcolo aritmetico, quanto più un oggetto è lontano dall’osservatore, tanto più velocemente sembrerà che si allontani da lui.
— Questo in un universo in espansione — disse Surgenor lentamente, che era già balzato alla conclusione. — Noi invece…?
— A quanto pare siamo capitati in mezzo ad una regione di spazio in contrazione. È per questo che ci sono tanti soli così vicini uno all’altro. Lo spazio fra di loro si sta restringendo. I soli stessi si stanno restringendo. Anche noi ci stiamo restringendo, Dave.
Surgenor si guardò involontariamente le mani, prima che il buon senso prendesse il sopravvento. — È assurdo. In un sistema in espansione i nostri corpi non diventano più grandi. E anche se lo facessero, non ci sarebbe nessuna differenza… — Si interruppe, vedendo che Targett scuoteva la testa.
— Ci troviamo in un ambiente diverso. Non è come se qualcuno avesse messo la marcia indietro all’intero universo. Siamo in una specie di sacca, come un diamante in una roccia, o una bolla in un fermacarte di vetro, grande qualche decina di anni-luce, e in cui tutto si sta restringendo. Noi compresi.
— Ma come facciamo a saperlo? I nostri strumenti di misura si restringeranno alla stessa velocità di quello che cerchiamo di misurare, per cui…
— Tranne i gravitoni, Dave. Il quantum di gravita è una costante universale. Anche qui.
Surgenor cercò di dare un senso a quello che stava ascoltando. — Aesop ha detto che è una variabile crescente.
— Appare come una variabile crescente. Perché stiamo diventando più piccoli, ed è questo che ha fatto saltare completamente i suoi sistemi di astronavigazione e di controllo.
Surgenor si sedette sulla sola sedia della cabina. — Se questo è vero, allora abbiamo fatto dei progressi. Basta dire ad Aesop qual è il problema…
— Non c’è tempo, Dave. — Targett si stese sul letto, guardando il soffitto. Parlò con voce calma, quasi sognante: — Fra poco più di due ore saremo tutti morti.