Il Modulo Cinque si alzò di un metro nell’aria, abbassò leggermente la punta e si diresse con un ronzio verso nord, in una nuvola di polvere scura.
Targett lo guardò sparire, e restò sorpreso per la velocità con cui ogni traccia dell’esistenza del veicolo svaniva nel paesaggio alieno. Inspirò una profonda boccata d’aria che sapeva di plastica. Era primo pomeriggio, e aveva a disposizione circa sei ore di luce. Erano più che sufficienti per raggiungere gli oggetti metallici, a circa dieci chilometri di distanza verso est. Cominciò a camminare in direzione delle colline, non riuscendo quasi a credere alla svolta improvvisa che l’aveva strappato dalla noiosa routine del lavoro cartografico per gettarlo, solo, in quel paesaggio preistorico.
L’atmosfera di Morta VII non conteneva tracce di ossigeno, e il pianeta non aveva mai conosciuto nessuna forma di vita indigena, eppure Targett si accorse che non riusciva a non guardare la sabbia ai suoi piedi alla ricerca di conchiglie e insetti. Razionalmente accettava di trovarsi su un mondo morto, ma a livello istintivo ed emotivo la sua coscienza si rifiutava di ammetterlo. Camminò il più in fretta possibile, affondando nella sabbia sottile fino alle caviglie, e sentendosi un po’ a disagio ogni volta che la fondina dell’ultralaser gli batteva contro la coscia.
— Lo so che non ne hai bisogno — gli aveva detto Surgenor pazientemente — ma fa parte dell’equipaggiamento d’ordinanza per le missioni extraveicolari, e se non te la porti dietro non puoi uscire dal veicolo.
La gravità del pianeta era vicina a 1,5 G, e quando Targett raggiunse i piedi delle colline sudava abbondantemente, nonostante il sistema refrigeratore della tuta. Si slacciò la pistola, che sembrava pesare quattro volte più di prima, e se la mise sulla spalla. Il terreno stava diventando sempre più sassoso, e quando raggiunse le colline si accorse che erano formate soprattutto da roccia basaltica nuda. Si sedette su un masso, per far riposare un po’ le gambe. Dopo aver succhiato una sorsata d’acqua fredda dal tubo che gli sfiorava la guancia, decise di controllare la sua posizione.
— Aesop — disse — quanto disto dagli oggetti?
— Il più vicino si trova a novecentododici metri a est dalla tua posizione attuale — rispose il computer senza esitazioni, servendosi dei dati che gli giungevano senza interruzione dai suoi sensori e dai sei moduli.
— Grazie.
Targett scrutò il pendio davanti a lui, che culminava a poca distanza in una cresta frastagliata. Da lì avrebbe dovuto vedere gli oggetti, ammesso che non fossero sepolti sotto la polvere accumulatasi in settanta secoli.
— Come va, Mike? — Era la voce di Surgenor.
— Nessun problema. — Targett stava per aggiungere che cominciava a capire la differenza fra guardare in uno schermo e camminare con le proprie gambe sul terreno, quando gli venne in mente che Surgenor aveva mantenuto un lungo silenzio radio con la deliberata intenzione di farlo sentir solo. Senza dubbio Surgenor aveva a cuore il bene di Targett, ma lui non aveva intenzione di fargli sapere che riconosceva di essere stato troppo avventato a lanciarsi in quell’impresa.
— Fa bene fare un po’ di moto — disse. — È stata una bella passeggiata. Tu come te la passi?
— Devo prendere una decisione — disse Surgenor. — Sarò sulla Sarafand fra meno di tre ore, e non so se mangiare un pasto in scatola subito, oppure aspettare di farmi una bella bistecca a bordo.
— Questa è una di quelle decisioni difficili che uno deve prendere da solo. — Target! fece uno sforzo per parlare con voce normale. Quella era la maniera di Surgenor per ricordargli che se non fosse stato impaziente avrebbe potuto fare le sue ricerche comodamente e con lo stomaco pieno. Adesso, invece, avrebbe dovuto passare una notte all’aperto accontentandosi di acqua e surrogati. Si rendeva anche conto, e ciò lo sconcertava, che un mondo straniero sembra dieci volte più straniero a un uomo solo.
— Hai ragione, non è bello da parte mia preoccuparti con i miei problemi — disse Surgenor. — Forse dovrei farmi coraggio e cercare di mangiare due volte.
— Mi stai spezzando il cuore, Dave. Arrivederci a presto. — Targett si alzò, deciso nuovamente a ricavare il massimo dalla sua spedizione privata. Cominciò ad arrampicarsi lungo il pendio, badando bene a non scivolare sulle pietre e sulla polvere che si staccavano ad ogni passo dal fianco della collina. Oltre la cresta, vi era un chilometro di terreno piano, al di là del quale si innalzava bruscamente la catena rocciosa delle colline. Il piccolo altopiano era circondato a nord e a sud da massi di roccia, come se fosse stato spianato artificialmente.
Sparsi sulla sabbia, in gruppi disposti a caso, c’erano centinaia di sottili cilindri neri, il più vicino dei quali si trovava a poche decine di passi da Targett. Erano lunghi circa sette metri e, con le due estremità appuntite, avevano una forma perfettamente aerodinamica. Il respiro di Targett si fece più affrettato, senza che questo avesse niente a che fare con la fatica, quando si accorse che gli oggetti non erano certamente dei bidoni abbandonati, come aveva suggerito Surgenor.
Prese dalla cintura la piccola telecamera, infilò la spina nelle batterie della tuta per qualche secondo per ricaricarla, e la puntò verso i cilindri più vicini.
— Aesop — disse — ho stabilito il contatto visivo.
— Ricevo una discreta immagine, Michael — rispose Aesop.
— Adesso mi avvicino.
— Non muoverti! — ordinò Aesop seccamente.
Targett si immobilizzò con il piede a mezz’aria. — Cosa c’è?
— Forse niente, Michael. — Aesop aveva ripreso il suo tono normale. — Dalle immagini mi sembra che gli oggetti non siano ricoperti di polvere, giusto?
— Mi pare che sia così. — Targett scrutò i cilindri neri, brillanti sotto il sole, chiedendosi come avesse fatto a non accorgersene prima. Dovevano essere arrivati lì solo quella mattina.
— Ti pare? Hai qualche difetto alla vista che ti impedisce di esserne sicuro?
— Non essere sciocco, Aesop. Certo che ne sono sicuro. Vuoi dire che sono stati lasciati qui da poco?
— Improbabile. Si nota un accumulo di polvere intorno a ogni oggetto?
Targett socchiuse gli occhi per proteggerli dal riflesso del sole, e vide che i cilindri giacevano ciascuno in una specie di invasatura di polvere, che giungeva a pochi centimetri dalla superficie metallica. Descrisse quello che vedeva ad Aesop.
— Schermi repulsori — disse il computer. — Forse in funzione da settemila anni. Non è necessario che tu studi ulteriormente questi oggetti, Michael. Non appena sarà finita l’operazione cartografica, porterò lì la Sarafand per un’indagine completa. Adesso torna ai piedi della collina e aspetta l’arrivo della nave.
— A cosa è servito che camminassi fino qui, se non devo fare niente? — chiese Targett. Pensò rapidamente a tutte le possibili conseguenze di disubbidire a un ordine diretto di Aesop (rimprovero ufficiale, perdita dello stipendio, sospensione dal servizio) e prese la sua decisione.
— Viste le circostanze, non ho nessuna intenzione di girare i pollici per quattro o cinque ore — disse con voce ferma, anche se non era sicuro di come avrebbe interpretato il suo tono Aesop. — Vado a dare un’occhiata da vicino a quelle cose.
— D’accordo, a condizione che tu trasmetta continuamente le immagini televisive.
Targett stava per dire che tanto, con i chilometri che li separavano, il computer non poteva imporgli la sua volontà, ma decise di lasciar perdere. Durante i mesi trascorsi nel Servizio aveva dovuto adattarsi al fatto che i suoi compagni si rivolgevano al computer della nave chiamandolo “Capitano”, e obbedivano a tutte le sue istruzioni come se fosse un generale con tre stellette. L’idea di essere controllato a distanza come un burattino era irritante, ma non valeva la pena di prendersela per una cosa del genere, di fronte a un evento straordinario come quello.
— Allora vado — disse. Si incamminò sul terreno pianeggiante, tenendo la telecamera puntata davanti a sé, e mentre si avvicinava qualcosa nell’aspetto dei cilindri cominciò a preoccuparlo. Sembravano ordigni militari. Torpedini, forse.
Lo stesso pensiero doveva essere venuto anche ad Aesop. — Michael, hai fatto il controllo polyrad della zona?
— Sì. — Targett non l’aveva fatto, ma mentre rispondeva alzò il polso sinistro ed esaminò il quadrante. Non registrava niente di insolito. Inquadrò il quadrante con la telecamera, per dimostrare che non vi erano testate nucleari in giro.
— Tutto pulito. Ti sembrano torpedini questi affari, Aesop?
— Potrebbero essere qualsiasi cosa. Procedi con attenzione.
Targett, che ci aveva già pensato da solo, strinse le labbra cercando di non pensare ad Aesop. Giunse vicino al primo cilindro, osservando meravigliato il suo splendore elettrostatico.
— Tieni la telecamera a un metro dall’oggetto — suggerì Aesop. — Giragli attorno e riportati al punto di partenza.
— Sì, signore — disse Targett, calcando la voce sul “signore” e muovendosi come un granchio attorno al cilindro. Una delle due estremità era appuntita e finiva con un buco rotondo, del diametro di un centimetro circa. Un anello di vetro nero, praticamente indistinguibile dal metallo circostante, si trovava a circa un palmo dalla punta. L’altra estremità del cilindro, più arrotondata, era coperta di piccoli buchi, simili a quelli di un salino. Nella sezione mediana dell’oggetto si scorgevano varie piastre fissate sulla superficie per mezzo di viti che avrebbero anche potuto essere state costruite sulla Terra, tranne per il fatto che avevano il taglio a forma di Y. Non c’erano scritte o contrassegni di nessun tipo.
Mentre terminava il suo giro, Targett pensò ancora una volta, con emozione, all’esperienza incredibile di essere così vicino a una macchina fabbricata da una civiltà scomparsa. Decise di impadronirsi di un ricordo dell’oggetto e di portarselo a bordo di nascosto, se si fosse presentata l’occasione. «Anzi» pensò «tutta una serie di pezzi mi frutterebbe un buon guadagno rivendendoli…»
— Grazie, Michael — disse Aesop. — Ho raccolto i dettagli dell’esterno. Ora vedi se puoi svitare le piastre dalla sezione centrale.
— Va bene.
Targett restò un poco sorpreso di fronte alla richiesta di Aesop, ma posò la telecamera a terra, in modo che potesse inquadrare le sue azioni, ed estrasse il pugnale.
— Aspetta un momento, Mike — intervenne Surgenor, con voce insospettatamente forte e chiara, nonostante le centinaia di chilometri che li separavano.
— Un minuto fa hai parlato di torpedini. Che aspetto hanno queste cose?
— Dave — disse Targett con tono stanco — perché non ritorni al tuo pranzo?
— Mi è andato per traverso. Adesso dimmi come sono fatti quegli oggetti.
Targett gli descrisse rapidamente i cilindri, con un senso crescente di esasperazione. La sua passeggiata lungo i secoli, fra i relitti di una civiltà extraterrestre morta da tempo immemorabile, cominciava ad essere sempre più ostacolata dalle meschine restrizioni del presente.
— Ti spiace se adesso vado avanti? — concluse.
— Non credo che dovresti toccare queste cose, Mike.
— E perché no? Anche se sembrano torpedini, Aesop mi avrebbe avvertito se ci fosse una qualche probabilità che esplodano.
— Credi davvero? — disse Surgenor con voce dura. — Non dimenticarti che è un computer.
— Non devi dirlo a me. Proprio tu sei uno di quelli che gli attribuiscono una personalità.
— Ragiona un momento: non ti sei accorto di come ha cambiato atteggiamento all’improvviso? All’inizio voleva che tu stessi lontano dai cilindri, adesso ti chiede di smontarne uno.
— Il che prova che secondo lui non c’è pericolo.
— Il che prova che secondo lui potrebbe esserci pericolo, testone. Ascolta, Mike, questa tua gita ha assunto un aspetto un po’ diverso da quello che ci aspettavamo all’inizio, e dal momento che sei stato tu ad offrirti volontario per questa missione, Aesop preferisce che sia tu a rischiare, mentre lui sta a guardare.
Targett scosse la testa, anche se nessuno poteva vederlo. — Se Aesop pensasse che c’è qualche rischio mi ordinerebbe di allontanarmi.
— Proviamo a chiederlo a lui — disse Surgenor. — Aesop, perché hai chiesto a Michael di svitare il rivestimento di uno dei cilindri?
— Per vedere com’è fatto dentro — rispose il computer.
Surgenor sospirò. — Scusa. Qual è la ragione che ti ha indotto a permettere che Mike conducesse da solo l’indagine, invece di aspettare l’arrivo dei due moduli o della stessa nave?
— Gli oggetti in questione assomigliano a torpedini, o missili, o bombe — rispose Aesop senza esitazioni. — Ma l’assenza completa di elementi di collegamento meccanici o elettrici sulla loro superficie suggerisce che possano essere ordigni automatici e autosufficienti. Il loro sistema repulsore è ancora in funzione, perciò c’è la possibilità che anche altri sistemi siano ancora attivi o in grado di essere attivati. Se gli oggetti sono davvero armi automatiche, evidentemente è meglio che siano esaminate da un solo uomo piuttosto che da quattro o dodici, specialmente dal momento che l’individuo in questione ha rifiutato un ordine diretto di lasciare la zona, e dunque ha limitato la responsabilità legale del Servizio Cartografico, e i suoi obblighi.
— Come volevasi dimostrare — commentò Surgenor acidamente. — La scelta sta a te, Mike. Il Capitano Aesop crede fermamente che bisogna sempre cercare il bene più grande per il maggior numero di persone. E in questo caso tu sei la minoranza.
— Non posso rischiare la nave -disse Aesop.
— Lui non può rischiare la nave, Mike. Adesso sai quali sono i rischi e puoi rifiutarti di avvicinarti a quegli oggetti, finché non arriva una squadra con tutti gli strumenti necessari.
— Non credo che ci sia qualche pericolo reale — disse Targett con voce ferma. — E poi, quello che dice Aesop mi sembra ragionevole: è un rischio calcolato, lo vado avanti.
Analizzando i propri sentimenti, Targett fu sorpreso di scoprire che si sentiva un po’ deluso da Aesop. Era sempre stato contrario al modo con cui i suoi compagni personalizzavano il computer, eppure in fondo al suo cuore aveva sempre considerato Aesop come un’entità benevola, che vegliava su di lui in maniera più scrupolosa di quanto ci si sarebbe mai potuti aspettare da un comandante umano. Forse quell’argomento avrebbe offerto molti spunti a uno psicoanalista, ma per il momento il suo interesse era tutto concentrato sull’interno del cilindro. Si slacciò il pesante zaino, lo posò a terra e si inginocchiò vicino alla macchina aliena.
Il taglio a forma di Y delle viti non era il più adatto per la punta del pugnale, ma le viti stesse, per fortuna, erano a molla, e una volta premute si svitarono facilmente. Sollevò con cautela la prima piastra, mettendo alla luce una massa di componenti e di circuiti, la maggior parte dei quali sembravano duplicati e sistemati simmetricamente lungo un asse comune. I fili e i cavi erano grigi, senza alcun codice di colori, ma sembravano nuovi, come se fossero stati installati da poche settimane, e non millenni prima.
Targett, che non aveva nessuna preparazione scientifica, a parte quella appresa durante i corsi dell’SC, provò improvvisamente un rispetto profondo per le creature che avevano creato i cilindri. In cinque minuti aveva smontato tutte le piastre ricurve e le aveva appoggiate in fila vicino al cilindro. L’ispezione all’interno dell’oggetto non gli disse niente di più sulle sue funzioni, ma il meccanismo che si trovava nella punta aveva l’aspetto ostile e inequivocabile di una mitragliatrice.
— Tieni ancora la telecamera a un metro dall’oggetto e muoviti nel senso della lunghezza — disse Aesop. — Poi torna indietro tenendo la telecamera in modo da mostrarmi l’interno da vicino.
Targett fece come gli era stato detto, fermandosi vicino a quella che considerava la parte posteriore. — Guarda qui. Sembra il compartimento motori, ma il metallo ha un’aria strana… come se fosse consumato.
— Probabilmente è dovuto all’assorbimento di nitrogeno collegato a… — Aesop si interruppe in una maniera stranamente umana, cosa che indusse Targett a rizzare le orecchie.
— Aesop?
— Queste istruzioni devono essere obbedite all’istante. — La voce del computer era dura in maniera innaturale. — Esamina i dintorni. Se vedi una roccia che possa offrire protezione contro i colpi di una mitragliatrice, corri immediatamente e buttatici dietro!
— Ma che succede? — Targett si guardò intorno.
— Non fare domande — intervenne la voce di Surgenor. — Fa’ come dice Aesop, Mike: corri al riparo.
— Ma…
Targett si interruppe, mentre avvertì un movimento con la coda dell’occhio. Si voltò da quella parte, e vide, al centro dello spiazzo, uno dei cilindri sollevare da terra la punta e ondeggiare lentamente, minacciosamente, come un cobra nell’atto di ipnotizzare la sua preda.