Surgenor uscì dalla porta principale dell’albergo dove alloggiavano i membri del Servizio, si riempì i polmoni dell’aria fresca e pulita della mattina e cercò con gli occhi l’autobus che doveva portarlo all’astroporto di Bay City.
Il veicolo blu-argento attendeva nel suo parcheggio riservato, con l’autista che teneva d’occhio l’orologio. Surgenor lo raggiunse, mise la valigia coi suoi effetti personali nello scompartimento dei bagagli e salì a bordo. I posti erano occupati per tre quarti, dagli esploratori e dal personale della base che andava all’astro-porto ad iniziare la giornata di lavoro. Rivolse cenni di saluto alle facce familiari, mentre cercava un posto libero. La sua nave sarebbe partita solo nel primo pomeriggio, e perciò fu con una certa sorpresa che vide Christine Holmes seduta in uno degli ultimi posti, che lo guardava.
— In viaggio di buon’ora — commentò, sedendosi al suo fianco.
— È un lavoro nuovo per me: questo è il mio secondo viaggio — disse la donna. — E tu che scusa hai?
— Sono già stato su Delos.
— E ti ha già stufato. — Christine lo osservò con aperta curiosità.
— Ho sentito dire che fai questo lavoro da vent’anni.
— Quasi.
— Quanti mondi hai esplorato?
— Un bel po’, penso… ma non ricordo quanti di preciso. — Surgenor si chiese perché le avesse mentito: lo sapeva benissimo il numero dei pianeti che aveva attraversato.
— Che importanza ha?
— Nessuna, per me. Ma se sei già stufo dopo una sosta di due settimane su Delos, cosa farai quando ti metteranno in pensione?
— Questi sono fatti miei — disse Surgenor, irritato per la brutalità della domanda. Non vi erano differenze gerarchiche a bordo di una nave d’esplorazione, a causa soprattutto della natura occasionale del lavoro, ma gli pareva che una novizia avrebbe dovuto mostrare un po’ più di rispetto per la sua esperienza. O forse quella domanda aveva toccato un punto dolente, ricordandogli la sua crescente ambivalenza nei confronti del Servizio? Quale sarebbe stato il suo destino, se davvero fosse stato incapace di smettere di viaggiare?
— E tu perché hai firmato? — chiese, cambiando argomento.
— Come sarebbe a dire perché? Non dirmi che sei uno di quei dinosauri convinti che una donna capace di far bene il suo lavoro sia una specie di scherzo di natura.
— L’ho forse detto?
— Non era necessario.
— A essere sincero, non è il tuo sesso che mi stupisce, ma la tua età — rispose Surgenor, perdendo la pazienza. — Sei due volte più vecchia di quelli che incominciano di solito questo lavoro.
— Capisco. — Christine annuì, apparentemente senza offendersi per la sua scortesia. — È una buona domanda. Se vuoi, possiamo dire che cerco di iniziare una nuova carriera, qualcosa che mi aiuti a rimettermi in sesto, come si suol dire. Avevo un marito, una volta, e un figlio. Sono morti entrambi. Volevo andarmene dalla Terra, e ho una buona disposizione alla meccanica, così ho fatto il corso per esploratori… ed eccomi qui.
— Scusa se…
— Non importa — disse lei allegramente. — È stato tanto tempo fa, e tutti dobbiamo morire, prima o poi.
Surgenor annuì accigliato, rimpiangendo di non essersi limitato a parlare del tempo, o meglio ancora, di non aver scelto un altro posto per sedersi. — Comunque, mi dispiace per… per quello che…
— Per quella battuta stupida sulla mia età? Lascia perdere. Comunque, non sei più un ragazzino neanche tu, vero?
— Proprio così — disse Surgenor, sollevato perché la conversazione era tornata su un piano non impegnativo. Pochi secondi dopo le porte dell’autobus si chiusero e cominciò il viaggio verso lo spazioporto. I raggi bassi del sole, che mutavano direzione ad ogni curva, illuminavano la faccia di Christine, mettendone ancor più in evidenza la mascella pronunciata, e il pallore della pelle. Durante il viaggio lei fumò una sigaretta dopo l’altra, facendosi cadere di tanto in tanto la cenere sull’uniforme, e scuotendola poi addosso a quella di Surgenor. L’uomo pensò di attirare la sua attenzione sulla moltitudine di cartelli che dicevano vietato fumare, ma il pensiero delle possibili conseguenze lo indusse a non dire niente. Fu con uno sproporzionato senso di sollievo che vide apparire dal finestrino la recinzione dell’astroporto, seguita dagli edifici perimetrali e dalle forme piramidali delle astronavi.
Ritirò la valigia e raggiunse con Christine gli uffici del Servizio, dove riempirono i moduli e vennero sottoposti ai controlli medici prima della partenza. Mancavano ancora tre ore all’adunata dell’equipaggio. Surgenor sperava che Christine avrebbe aspettato nella sala d’attesa, invece la donna decise di salire sulla nave insieme a lui. Era un cilindro alto un’ottantina di metri che finiva a punta e con quattro alettoni triangolari che partivano da un terzo dell’altezza, e la facevano assomigliare a una piramide sottile. Mentre si avvicinava, Surgenor si rese conto che sulla nave erano stati eseguiti parecchi lavori. Quello che più saltava all’occhio, era una nuova serie di anodi, blocchi di puro metallo che agivano come centri di interazione elettrica e chimica fra la nave e le atmosfere straniere, riducendo così al minimo l’erosione dello scafo. Sfortunatamente, i nuovi anodi, lisci e lucidi, servivano a mettere ancora più in rilievo le condizioni pietose del resto dello scafo.
— È questa, allora? — disse Christine, non appena fu chiaro qual era la loro destinazione. — È davvero una Classe Sei?
— È la classe che ha portato la nostra bandiera sui tre quarti dei pianeti nella Bolla.
— Ma non è rischioso volarci sopra?
Surgenor raggiunse per primo la rampa d’accesso, e cominciò a salire. — Se hai dei dubbi — disse senza voltarsi — questo è il momento buono per fare marcia indietro. Non sono molto contenti quando qualcuno dell’equipaggio taglia la corda, ma se intendi farlo, preferiscono che succeda prima, non nel bel mezzo di un viaggio.
Christine gli era alle spalle quando raggiunsero l’imboccatura cavernosa del ponte di carico, e lo afferrò per un braccio. — Cosa sarebbe questa storia di tagliare la corda?
— Ti ho offesa? — Surgenor la guardò con aria di scusa. — Mi dispiace. Mi sembravi un po’ nervosa.
Christine lo guardò socchiudendo le palpebre. — Capisco. Tu ti identifichi con questa vecchia bagnarola, ti identifichi davvero. Ragazzo mio, sei proprio messo male! — Prima che lui potesse rispondere, lo piantò in asso e si avviò verso la scaletta metallica che conduceva ai ponti superiori.
Surgenor la guardò allontanarsi a bocca aperta, infuriato, poi si guardò intorno, come per cercare un testimone del torto che gli era stato fatto. I sei moduli d’esplorazione, acquattati nei loro stalli, gli restituirono lo sguardo con i loro fari ciclopici, indifferenti.
Il decollo da Delos, contrariamente a quello che sarebbe successo in seguito, fu del tutto normale.
La Sarafand si staccò dal suolo e raggiunse senza scosse i cinquanta metri d’altezza. A questo punto, in obbedienza ai regolamenti interstellari di quarantena, si fermò e si liberò elettrostaticamente della polvere, dei sassi e degli altri detriti catturati dal suo campo antigravitazionale. Seguì una salita a un G fino a una quota di cento chilometri, e quindi una seconda pulizia elettrostatica, che disperse nello spazio le tracce di atmosfera raccolte attorno alla nave. Ora la Sarafand era pronta per il primo, breve balzo nello spazio-beta, che sarebbe servito a portarla fuori dalle complesse influenze gravitazionali del sistema planetario di Delos.
Surgenor sapeva che Aesop, utilizzando una parte della sua “mente” inaccessibile alle possibilità di comprensione dei membri dell’equipaggio, stava in quel momento controllando lo spazio circostante e i suoi invisibili pendii, preparandosi a compiere dei miracoli geometrici. Dalla sua poltroncina nella sala di osservazione, Surgenor guardava il globo bianco azzurro di Delos, aspettando che il pianeta svanisse. Come sempre, nonostante tutti gli anni di servizio, sentì l’eccitazione crescere in lui, e il cuore battergli più forte.
Gettò un’occhiata alla fila di poltroncine girevoli, facendo l’inventario di quelli che si apprestavano ancora una volta a balzare nell’ignoto, insieme a lui. Dei dodici presenti solo quattro, Victor Voysey, Sig Carlen, Mike Targett e Al Gillespie, erano veterani della Sarafand. Degli altri, qualcuno aveva fatto una breve esperienza su altre navi e i rimanenti, come nel caso di Christine Holmes, erano principianti.
Da un punto di vista ufficiale, la durata del servizio non faceva nessuna differenza: un nuovo venuto aveva praticamente la stessa paga e gli stessi diritti di un veterano; ma Surgenor si ostinava a credere che l’esperienza fosse importante, e avrebbe preferito che fra l’equipaggio vi fosse un numero maggiore di veterani. Gli venne in mente, mentre aspettava, che stava cominciando a preoccuparsi esageratamente dei fattori di rischio, una cosa che non gli era mai successa ai vecchi tempi. Era forse questa la ragione per cui aveva perso le staffe in maniera a lui così poco abituale, con Christine Holmes?
Un brivido di eccitazione attraversò la sala, mentre la curva e luminosa solidità del pianeta Delos spariva, provocando un brusco abbassamento di luce. Al suo posto, sullo sfondo stellato, era apparso un punto intensamente luminoso. Surgenor sapeva che in quell’istante avevano percorso mezzo anno-luce, mentre Aesop, immune dalla paura e dallo stupore, si stava preparando per il balzo seguente, che li avrebbe portati nelle profondità inesplorate dello spazio. La loro destinazione si trovava al di fuori dei confini della Via Lattea, un gruppo di cinque soli che brillavano come fuochi di sentinelle ai confini dello spazio intergalattico.
Anche su Delos, Surgenor era stato acutamente conscio della scarsezza di stelle nel settore del cielo notturno rivolto verso il nord galattico; ma ora si rese conto con un brivido che dopo il prossimo balzo non ci sarebbe stato più niente fra lui e il grande vuoto. La sala d’osservazione aveva due schermi emisferici: uno era pieno di stelle, i soli della galassia che si stavano lasciando alle spalle, mentre l’altro era quasi vuoto, tranne che per pochi puntini indistinti che rappresentavano i lontani universi isola. «La Bolla sta diventando troppo grande» pensò Surgenor a disagio. Certo, la sfera dell’attività umana si stendeva solo su un piccolo settore della ruota galattica, mentre la maggior parte del suo diametro e gli innumerevoli sistemi del mozzo giacevano al di là del suo dominio, ma nonostante questo un confine era stato raggiunto. Era il segno tangibile che la galassia era finita. E quell’essere irrequieto, chiacchierone e presuntuoso dell’Homo Sapiens aveva la passione dell’infinito…
— Ehi, Dave! — Victor Voysey, che gli era seduto a fianco, si chinò verso di lui, parlando a bassa voce.
— Ho appena avuto un battibecco con il sostituto di Marc. E c’è qualcuno che dice che è una donna…
— Ha passato dei brutti momenti — disse Surgenor, dando un’occhiata alla donna, qualche posto più avanti. Vista di profilo, la sua faccia appariva quasi scavata.
— Non lo metto in dubbio, ma… Cristo, le ho detto solo che non si può fumare nelle sale asettiche.
Surgenor trattenne un sorriso. — Attenzione, infinito… stiamo arrivando a sporcarti di cenere.
— Sei sicuro di star bene, Dave?
— Un giorno o l’altro, Victor, imparerai a non prendertela tanto se… — Surgenor si afferrò ai braccioli, mentre nel giro di due secondi il nucleo splendente del lontano sole di Delos spariva alla vista, per lasciare il posto a una cappa d’oscurità, in cui si muovevano nebulosi bagliori di luce, simili a lucciole, e questa veniva a sua volta sostituita da una diversa conformazione di puntini nebulosi. Alla fine, i due emisferi si riempirono di una folla di stelle, ammassate le une vicino alle altre e splendenti in ammassi stravaganti.
A Surgenor sembrò che il cuore smettesse di battergli, mentre si rendeva conto che qualcosa non aveva funzionato. Era del tutto inconsueto che una nave facesse tre balzi uno di seguito all’altro; e inoltre era chiaro che la loro posizione, qualunque fosse, non era ai confini dello spazio intergalattico.
— Dave? — Voysey parlò a voce bassa. — Cos’è stato, una gita di piacere?
— Una gita di piacere? — non poté fare a meno di ripetere Surgenor, tanto gli pareva improprio quel termine. — Spero di sbagliarmi, ma ho avuto l’impressione che… per un attimo… siamo stati “fuori”.
— Ma Aesop non lo farebbe mai. Lo dicono tutti i libri, che i flussi gravitonici sono troppo forti per mantenere il controllo di una nave. Voglio dire, se siamo usciti dalla galassia, non potremmo più…
— Ne parleremo dopo — disse Surgenor, accennando con la testa agli altri.
— Anche se c’è stato un guasto nei sistemi di guida, non sarà difficile ripararlo, e non è il caso di suscitare un’ondata di panico.
— Ma perché Aesop non fa una comunicazione?
— Forse pensa che non ne valga la pena. — Surgenor gettò un’occhiata lungo la fila di sedili, e vide che Carlen e Gillespie si erano alzati a metà e lo guardavano, come raggelati. — Andiamo nella mia cabina, e interroghiamo Aesop in privato. — Si avviò verso la porta della sala d’osservazione, seguito da Voysey, e a una certa distanza da Carlen e Gillespie.
— Ehi, voi, dove state andando? — La voce, carica di nervosismo e di tensione, era quella di Billy Narvik, un ragazzo di vent’anni, dalla barba rada, che era sulla Sarafand da tre viaggi.
— A farci una bevuta — disse Surgenor. — Ne abbiamo già visti un sacco di questi balzi stellari.
— Non cercare di darmela a bere, Dave… non hai mai visto niente di simile, prima. — Un mormorio preoccupato seguì le parole di Narvik, e in cuor suo Surgenor si augurò che il ragazzo tornasse a sedersi e tenesse la bocca chiusa.
— Che cosa credi di aver visto?
— Ho visto tre o quattro balzi, uno dietro l’altro. Prima ci sono state galassie, solo galassie, e adesso questa roba. — Narvik indicò con un gesto le stelle che li circondavano. — Questo non è il gruppo dei Cinque Soli.
— Tanto perché tu lo sappia, Billy — disse Surgenor, calmo — tu non hai visto nessuna galassia, e adesso non stai vedendo nessuna stella. È solo una proiezione fatta da Aesop a nostro beneficio. Niente di quello che si vede in questa sala corrisponde necessariamente a quello che c’è fuori dalla nave. — Ma di solito è così, no?
— Di solito. — Surgenor fece una pausa, cercando un’ispirazione. — Ma se il nuovo impianto di astronavigazione ha qualche difetto, può darsi che stiamo guardando una parte della memoria di Aesop.
Narvik fece una smorfia di derisione. — Anche un cieco si accorgerebbe che racconti balle, Dave. Aesop non ha nessuna memoria dello spazio intergalattico.
— Come facciamo a saperlo? Tutti i computer di astronavi fanno il punto in base alla ventina di galassie che formano il Gruppo Locale, e Aesop può simulare il loro…
— Stai cercando ancora di darcela a bere! Per chi mi hai preso? — Narvik si lanciò verso Surgenor, con gli occhi sbarrati. — Credi che sia scemo? — Sig Carlen e Al Gillespie lo afferrarono per le braccia, e il ragazzo cominciò a lottare. Gli altri osservarono la scena a disagio.
— Calmatevi, tutti quanti — ordinò Surgenor alzando la voce. -Anche se ci fosse stato qualche inconveniente nei sistemi di navigazione spaziale o beta — spaziale, Aesop ce lo comunicherebbe, e…
— Qui il controllo della Sarafand. Comunicato a tutti i membri dell’equipaggio. — Era la voce omnidirezionale di Aesop. — A causa di un grave guasto nel complesso di astronavigazione e di localizzazione, la Missione numero 837/LM/4002a è stata cancellata.
— Ci siamo persi! — gridò qualcuno. — Billy aveva ragione… ci siamo persi!
— Non fate i bambini! — gridò Surgenor per farsi sentire nel baccano generale. — Le astronavi non si perdono. Ascoltatemi tutti. Voglio che restiate calmi, mentre cerchiamo di chiarire questa faccenda con Aesop. Ora gli parlerò, e lo farò proprio qui, in modo che tutti possano sapere esattamente cosa sta succedendo. Va bene?
Nella sala tornò gradualmente il silenzio. Surgenor, che cominciava a sentirsi a disagio, guardò verso il soffitto, in direzione dei centri di controllo della nave, poi si rese conto con un senso di imbarazzo che aveva assunto l’atteggiamento di un uomo che si rivolga al suo dio. Abbassò lo sguardo, e tenendolo risolutamente rivolto davanti a sé, cominciò il suo dialogo con l’intelligenza artificiale dal cui funzionamento dipendevano le vite di tutti loro.
— Ascolta queste parole — disse lentamente. — Aesop, abbiamo visto che il passaggio nello spazio-beta non è stato attuato in maniera normale, e nelle nostre menti c’è una certa confusione su cosa è realmente accaduto. Tanto per cominciare, a beneficio dei nuovi membri dell’equipaggio, vorrei che ci dicessi se c’è qualche possibilità che la Sarafand si sia persa.
— Se con la parola “persa” vuoi indicare una condizione di non-conoscenza della nostra posizione in relazione al sistema standard di coordinate galattiche, allora posso assicurarti che la Sarafand non si è persa — rispose Aesop prontamente.
Surgenor si sentì sollevato e insieme soddisfatto; ma durò solo un attimo. La risposta di Aesop era stata pedante in una maniera insolita. Sforzandosi di mantenere la calma, disse: — Aesop, c’è forse un altro senso in cui la parola “persa” si potrebbe applicare alla nostra situazione?
Vi fu una breve ma inequivocabile esitazione prima della risposta. — Se con questo termine si vuoi indicare una condizione di non-recupero, o di non-ritorno… allora mi spiace dire che, a tutti gli effetti pratici, la Sarafand è persa.
— Non capisco — disse Surgenor con voce incerta, dopo un silenzio carico di tensione. — Cosa vorresti dire?
— Il guasto al complesso di astronavigazione e di localizzazione, a cui ho fatto cenno precedentemente, ha prodotto un’emersione nello spazio normale in un punto estremamente lontano dalla nostra destinazione. — Aesop parlò in tono staccato, come se stesse annunciando un cambiamento nel menu settimanale.
— Non ci troviamo vicino al centro della galassia indicata col numero N. 5893-278(S) del Catalogo Standard. La distanza media dal Gruppo Locale, che naturalmente comprende anche il sistema della Via Lattea e la Terra, è di circa trenta milioni di anni-luce. Ciò significa che non siamo in grado di tornare sulla Terra.