Giovedì 25 luglio 2002
Nell’ufficio di Consuelo Jiménez cercarono tra le vecchie foto del marito e trovarono quelle in cui erano presenti Pablo Ortega o Rafael Vega. Uscirono dal centro storico per dirigersi verso lo studio del dottor Rodríguez, in un barrio vicino a Nervión. Lungo il tragitto Falcón ricevette la telefonata del Médico Forense: le autopsie erano terminate ed entrambi i cadaveri pronti per l’identificazione. Cristina Ferrera chiamò Carmen Ortiz e le disse di tenersi pronta per essere accompagnata all’Instituto Anatómico Forense.
Il dottor Rodríguez era in ritardo e Falcón aspettò sfogliando El País. Sorvolò su una foto di sei marocchini annegati sulla spiaggia di Tarifa, vittime di un ennesimo tentativo fallito di raggiungere l’Europa. La sua attenzione fu attirata da un articolo sul processo a Slobodan Milosević alla Corte penale dell’Aja, o meglio, da un trafiletto che informava su un fenomeno curioso che si stava protraendo nel tempo: dall’inizio di luglio, quando era entrato in vigore lo statuto di Roma che definiva il funzionamento dell’organismo, gli americani, per ragioni non chiare, continuavano a fare pressioni sui governi firmatari del trattato affinché dichiarassero che non avrebbero portato davanti alla Corte nessun cittadino statunitense. Veniva pubblicata la lista delle nazioni che subivano le pressioni americane, ma niente altro. L’infermiera lo chiamò e lo fece entrare nello studio del dottor Rodríguez.
Il medico, di età vicina ai quaranta, si asciugò le mani con la salvietta di carta e controllò le credenziali di Falcón. Si misero a sedere e Falcón raccontò della morte di Vega. Il medico richiamò la cartella clinica della vittima sullo schermo del computer.
«Il 5 luglio scorso il signor Vega aveva un appuntamento con lei», disse Falcón. «Per quanto ne so, quest’anno è stata l’unica volta che lo ha visto.»
«È stata l’unica volta in assoluto. Era un paziente nuovo, i suoi dati li avevo avuti dal dottor Álvarez.»
«Dalla sua agenda risulta un appuntamento con un certo dottor Diego prima che Vega venisse da lei.»
«I dati clinici provenivano dal dottor Álvarez. Può darsi che sia stato anche da quel dottor Diego e abbia deciso che non andava bene per lui.»
«Dalla sua visita o dai dati che ha avuto dall’altro medico risulta che potesse avere tendenze suicide?»
«Soffriva di ipertensione, ma niente di catastrofico. Era un soggetto ansioso e mi aveva descritto alcuni episodi che sembravano classici attacchi di panico. Li attribuiva alle tensioni sul lavoro. Secondo le note del dottor Álvarez, dall’inizio dell’anno soffriva di una lieve forma di ansia, certamente non tanto seria da richiedere una prescrizione.»
«Il dottor Álvarez ne aveva informato la moglie del signor Vega? La donna soffriva di un disturbo mentale grave e prendeva il litio.»
«Non lo ha fatto, e questo suppongo voglia dire che non ne era al corrente», rispose Rodríguez. «È una cosa che certamente avrà contribuito allo stress del signor Vega.»
«Lei sa perché avesse lasciato il dottor Álvarez?»
«Nelle sue note non c’è niente di specifico, ma ho visto che il dottor Álvarez aveva consigliato una terapia psicologica. Quando io stesso l’ho consigliata, il signor Vega si è opposto recisamente, perciò è possibile che avessero avuto un disaccordo a questo proposito.»
«E così la lieve forma di ansia si stava aggravando e il signor Vega sperava in un approccio diverso da parte sua?»
«Il mio approccio sarebbe stato di ridurre l’ansia con uno psicofarmaco leggero per poi passare a una qualche forma di psicoterapia quando avesse avuto più sotto controllo la situazione.»
«Le ha parlato di problemi d’insonnia?»
«Ha accennato a un episodio di sonnambulismo. Sua moglie si era svegliata alle tre di notte e lo aveva visto uscire dalla stanza. La mattina dopo, quando gli aveva riferito la cosa, il signor Vega non ricordava niente.»
«Allora le ha parlato della moglie?»
«Descrivendo l’episodio, sì, ma ha anche detto che non si poteva contare su di lei perché prendeva dei sedativi. Era accaduta anche qualche altra cosa che lo aveva convinto della possibilità di soffrire di sonnambulismo, ma non aveva voluto dire altro. Era la prima visita, ricorda? Credevo che avrei avuto il tempo di convincerlo a parlarne più a fondo, prima o poi.»
«Aveva pensato che fosse un pericolo per se stesso?»
«Ovviamente no. I disturbi psichici di quel genere non sono insoliti, si devono prendere decisioni sulla base di un’istantanea della vita del paziente. Non era eccessivamente agitato, né calmo in modo innaturale, i due estremi che segnalano il pericolo. Non aveva sofferto di depressione, era venuto da me dopo aver visto un altro medico, sembrava intenzionato a risolvere il problema. Voleva qualcosa che riducesse il livello di ansia e non voleva avere un altro attacco di panico. Sono tutti segnali positivi.»
«Sembra che cercasse un rimedio in fretta, più che una cura.»
«Gli uomini fanno più resistenza all’idea di parlare dei loro pensieri intimi», spiegò Rodríguez. «Se i problemi possono essere risolti con una pillola, tanto meglio. Sono molti i medici che ritengono gli esseri umani un mucchio di elementi chimici per i quali la cura giusta sono gli psicofarmaci.»
«Perciò, secondo lei, il signor Vega era angosciato, ma non aveva tendenze suicide?»
«Sarebbe stato un bene che avessi saputo della moglie», rispose Rodríguez. «Quando si hanno tensioni sul lavoro e nessun sollievo a casa, e forse nemmeno l’amore… be’, è una situazione che può portare un animo inquieto alla disperazione.»
Falcón sedeva incuneato contro la portiera, mentre Cristina Ferrera guidava. Quello era il secondo giorno dell’indagine e stava già mettendo in dubbio il suo istinto. Fino a quel momento non esisteva nessun elemento che potesse convalidare l’ipotesi dell’omicidio, mentre l’opzione suicidio pareva sempre più probabile dopo ogni colloquio. Anche se sotto le unghie del signor Vega non erano state trovate fibre corrispondenti a quelle del guanciale, ciò indicava soltanto che qualcun altro avrebbe potuto essere presente, ma non era una prova concreta. Ramírez chiamò dalla sede della Vega Construcciones per riferire che Sergei era immigrato legalmente e Serrano e Baena stavano facendo circolare la sua foto nella zona di Santa Clara e del Polígono San Pablo.
I Cabello abitavano nell’attico di un condominio risalente agli anni ’70, nel quartiere esclusivo di El Porvenir, di fronte al bingo di Calle de Felipe II.
«Non si è mai troppo ricchi per giocare a bingo», osservò Falcón mentre salivano all’appartamento, dove Carmen Ortiz stava avendo una crisi isterica. Era in camera da letto con il marito, arrivato da Barcellona quella mattina. I loro figli, con Mario nel mezzo, erano seduti sul divano buoni buoni. Ad aprire venne il vecchio signor Cabello, che li condusse in salotto, dove Cristina Ferrera si inginocchiò accanto ai bambini e in pochi minuti riuscì a farli ridere e giocare. Il signor Cabello andò a chiamare la figlia, ma tornò con il genero. Andarono tutti e tre in cucina.
«Mia moglie non vuole vedere i cadaveri», disse il genero.
«Saranno dietro un pannello di vetro, sembreranno addormentati», spiegò Falcón.
«Ci vengo io», disse il signor Cabello con decisione.
«Come sta sua moglie?» si informò Falcón.
«Le sue condizioni sono stabili, ma è ancora nel reparto di terapia intensiva, priva di conoscenza. Le sarei grato se potesse accompagnarmi all’ospedale, dopo.»
Falcón sedette dietro con il signor Cabello, mentre Cristina Ferrera si immetteva nel traffico di mezzogiorno. Il vecchio teneva in grembo le sue mani da contadino, lo sguardo fisso sul complesso disegno della treccia che Cristina Ferrera portava fissata intorno al capo.
«Quando ha visto Lucía per l’ultima volta?» domandò Falcón.
«Siamo stati da lei domenica a pranzo.»
«C’era anche il signor Vega?»
«È venuto all’ora di andare a tavola. Era stato fuori a provare la macchina nuova.»
«Come stava sua figlia?»
«A quest’ora lei saprà già che non stava bene, non era più stata bene dalla nascita di Mario. Non era mai facile trovarla serena, ma non c’era niente di diverso dal solito quel giorno. Era come sempre.»
«Dovrò rivolgerle qualche domanda che potrebbe essere dolorosa per lei», disse Falcón. «Voi siete la sua famiglia e solo tramite voi possiamo cominciare a capire la situazione tra sua figlia e il signor Vega.»
«L’ha uccisa lui?» domandò il signor Cabello, girandosi verso Falcón per la prima volta.
«Non lo sappiamo. Speriamo che l’autopsia faccia luce sulla loro morte. Lei crede che possa averla uccisa?»
«Quell’uomo era capace di tutto», affermò Cabello, senza drammaticità, come un semplice dato di fatto.
Falcón attese in silenzio.
«Era un uomo duro, freddo», continuò il vecchio, «un uomo che non si lasciava avvicinare veramente da nessuno. Non parlava mai dei genitori morti e nemmeno di qualche altro membro della sua famiglia. Non amava mia figlia, nemmeno prima che cominciasse ad avere dei problemi, quando era una bella ragazza… quando… quando…»
Il signor Cabello chiuse gli occhi per cancellare i ricordi, i muscoli della mandibola in tensione per contenere il dolore.
«Vi eravate accorti di qualche differenza nel comportamento di vostro genero dall’inizio di quest’anno?»
«Solo che era più chiuso del solito. A tavola non apriva bocca.»
«Glielo aveva fatto notare?»
«Diceva che era per via del lavoro, che aveva troppi cantieri tutti in una volta. Non gli abbiamo creduto. Mia moglie era sicura che avesse un’altra donna da qualche parte e che le cose gli andassero male.»
«Perché lo pensava?»
«Per nessuna ragione in particolare: è una donna, vede cose che io non vedo. Sentiva che il male era nel cuore, non nella testa.»
«C’era qualcosa di specifico che vi ha indotto a credere che avesse un’amante?»
«Stava raramente a casa con Lucía, mia figlia andava a letto prima che lui tornasse da non si sa dove e qualche volta mio genero usciva prima che lei si svegliasse. C’era questo e c’era anche il suo modo di fare con Lucía.»
«I vicini dicono che Mario sembrava molto importante per lui.»
«Questo è vero. Voleva molto bene al bambino… e per Lucía era diventato difficile stare dietro a Mario dopo che quella puta di una malattia si è impossessata della sua mente», disse Cabello. «No, non dico che mio genero fosse proprio cattivo e certamente un estraneo non l’avrebbe mai detto. Capiva che era necessario sapersi rendere simpatico, era solo vivendogli vicino che si scopriva la sua vera natura.»
«Quando ha trascorso del tempo con lui?»
«In vacanza, al mare. Avrebbe dovuto essere sereno in vacanza, ma per molti versi era peggio. La compagnia prolungata degli altri lo innervosiva. Credo che l’idea di metter su famiglia non gli piacesse.»
«Che cosa era successo ai suoi genitori? Lo sa?»
«Diceva che erano morti in un incidente stradale quando lui aveva diciannove anni.»
«Lei ne sa più del suo avvocato.»
«Non avrebbe mai parlato con Carlos Vásquez di cose simili.»
«Però gli ha detto che suo padre faceva il macellaio», precisò Falcón. «E che lo puniva.»
«Lei avrà visto la stanza che ha in casa», disse Cabello, «ha voluto dare una spiegazione a Carlos Vásquez. A me non ha mai detto che cosa gli avesse fatto suo padre. Capisce, non è un uomo normale. È sempre diffidente, perché crede che gli altri siano come lui.»
«A Lucía non piaceva la macelleria?»
«Solo dopo la nascita di Mario, prima non le importava.»
«Vi aveva sorpreso che avesse voluto sposarlo?»
«Si trovava in un momento difficile.»
Erano fermi a un semaforo. Un ragazzo africano, a capo scoperto sotto il solleone, si muoveva tra le auto per vendere giornali. Pareva che il signor Cabello avesse bisogno del movimento per riuscire a parlare. Il semaforo diventò verde.
«Come le dicevo, Lucía era bella», riprese Cabello, imbarcandosi in una spiegazione che si era costruito dentro di sé nel corso degli anni. «Non le mancavano certo i pretendenti… e lei sposò il figlio di un uomo che aveva una grande tenuta nei dintorni di Córdoba. Andarono a vivere in una casa nella tenuta, erano molto felici, ma Lucía non rimaneva incinta. Fece degli esami: risultò che non aveva niente e che forse non dipendeva da lei. Il marito rifiutò di farsi vedere. Lucía aveva sempre pensato che avesse paura di scoprire che era lui ad avere dei problemi. Corsero parole grosse, dissero tutti e due cose che non potevano essere ritirate e il matrimonio finì male. Lucía tornò a vivere con noi. Aveva ventotto anni e si era persa i migliori partiti della sua generazione.
«Io possedevo ancora dei terreni agricoli fuori Siviglia, non molto grandi, ma qualcuno era in una posizione strategica per lo sviluppo urbanistico. Un sacco di imprenditori immobiliari venivano a bussare alla mia porta e uno dei più insistenti era uno sconosciuto, un cliente di Carlos Vásquez.
«Lucía allora lavorava al Banco de Bilbao. Ogni anno la banca aveva una caseta per la Feria de Abril. Lucía ballava benissimo, viveva per la Feria de Abril, durante la Feria usciva tutte le sere e stava fuori tutta la notte. Non vedeva l’ora che arrivasse quella settimana, perché poteva scordare i suoi problemi ed essere se stessa. Lo ha incontrato lì. Era un cliente importante della banca.»
«Aveva vent’anni più di lei», osservò Falcón.
«Mia figlia si era giocata quelli della sua generazione: i migliori erano già sposati e quelli ancora liberi non le interessavano. Poi un uomo importante si interessa a lei e anche i suoi superiori alla banca ne sono contenti. Cominciano a considerarla, le fanno avere una promozione. Lui è già ricco, ha trovato il suo posto nel mondo, dà sicurezza. Tutte queste cose sono molto attraenti per una donna che si è convinta di rimanere zitella, per così dire.»
«Che cosa avevate pensato voi?»
«Le chiedemmo se fosse sicura che un uomo di quell’età volesse ancora farsi una famiglia.»
«Non vi eravate chiesti come mai non fosse mai stato sposato?»
«Ma era stato sposato, Inspector Jefe.»
«Già, avevo dimenticato, il signor Vásquez aveva accennato a un certificato di morte che aveva dovuto essere richiesto.»
«Noi sappiamo soltanto che era di Città del Messico, forse era messicana, ma non lo sappiamo con certezza. Come al solito, Rafael ci diceva solo il minimo indispensabile.»
«Non vi preoccupava l’idea che quella sua reticenza potesse essere dovuta a un passato disonesto?»
«Be’, Inspector Jefe, lei ha messo il dito sulla piaga. Io ero disposto a non far caso alla sua reticenza. La mia situazione finanziaria non era quella di oggi, avevo la terra, ma non un lavoro, il capitale, ma non un reddito. Rafael Vega appianò le mie difficoltà, mi fece socio in un’impresa che mi fruttò molti soldi in cambio di parecchi lotti dei miei terreni. Costruimmo edifici residenziali, finanziati dal Banco de Bilbao, e li affittammo. Rafael mi rese ricco e mi assicurò un reddito. È per questo che un vecchio contadino come me vive in un attico a El Porvenir.»
«Che cosa ottenne in cambio il signor Vega, a parte la mano di sua figlia?»
«Un altro lotto che gli vendetti gli permise di realizzare un grande progetto immobiliare a Triana. E ce n’era un altro che un suo concorrente voleva a tutti i costi, e quando anche quel mio lotto fu nelle mani di Rafael agli altri non restò che vendere tutto a lui. Come dire che la sua offerta era stata la più generosa di tutte.»
«Allora, non ha dovuto sposare sua figlia per avere i terreni, le faceva una proposta molto allettante comunque.»
«Ho la mentalità del contadino», disse Cabello, «la terra sarebbe semplicemente passata all’uomo che avrebbe sposato la mia figlia maggiore. Sono un uomo all’antica e Rafael era un tradizionalista, sapeva quale fosse la chiave giusta per ottenere quello che voleva. Il suo incontro con Lucía non è avvenuto per caso. Il mio rimorso è di aver permesso agli affari di oscurare il mio giudizio su di lui. Ma non avevo idea del suo comportamento brutale con Lucía.»
«Era violento?»
«Mai. Se l’avesse picchiata, il matrimonio sarebbe finito lì. No, la umiliava… voglio dire, lui… è difficile… lui era restio a fare il suo dovere di marito. Le faceva credere che la colpa fosse sua, che non sapesse rendersi abbastanza attraente.»
«Un’altra cosa… sul certificato di morte della prima moglie era indicata la causa della morte?»
«Accidentale. Ci ha detto che era annegata in una piscina.»
«Aveva figli dal primo matrimonio?»
«A noi ha detto di no, diceva di volere dei figli… perciò era strano che non volesse fare quello che bisognava fare per averli.»
«Ha mai saputo di qualche relazione precedente, prima che sposasse Lucía?
«No. E nemmeno Lucía.»
Falcón tirò fuori il sacchetto di plastica con il frammento di fotografia che Vega aveva bruciato in fondo al giardino.
«Riconosce questa ragazza?»
Cabello si mise gli occhiali, scosse il capo.
«Mi sembra una straniera», disse.
Arrivarono all’Instituto in Avenida Sánchez Pizjuan e parcheggiarono all’interno del complesso ospedaliero. Falcón trovò il Médico Forense, che li accompagnò nella stanza per l’identificazione dei cadaveri e li lasciò là per qualche minuto. Il signor Cabello si mise a passeggiare avanti e indietro, turbato al pensiero di ciò che aveva voluto fare, vedere la figlia morta su un tavolo di marmo dell’obitorio. Poi il Médico Forense tornò e scostò le tende, il signor Cabello si fece avanti incespicando e dovette sostenersi al vetro per non cadere. Le dita dell’altra mano gli si affondarono nel cranio attraverso i capelli radi come se cercassero di strappare l’immagine dal suo cervello. Annuì ed ebbe un accesso di tosse, soffocato dalla violenza delle emozioni. Falcón lo fece allontanare dal vetro. Il Médico Forense presentò i documenti e Cabello firmò il certificato di morte della figlia.
Uscirono nel caldo feroce e in una luce abbagliante che risucchiava il colore da ogni cosa all’intorno, così che gli alberi apparivano vaghi, gli edifici si confondevano con il cielo bianco e solo la polvere sembrava appartenere a quel luogo. Il signor Cabello si era come ritirato nel suo abito, il collo sottile si muoveva su e giù nel colletto largo mentre il vecchio cercava di mandare giù ciò che aveva appena visto. Falcón lo salutò con una stretta di mano e lo aiutò a salire in macchina, poi Cristina Ferrera si mise al volante e si avviò verso l’uscita dell’ospedale. Falcón telefonò a Calderón e fissò un incontro alle sette per discutere dei risultati dell’autopsia.
Tornò nel gelo dell’obitorio, entrò nell’ufficio del Médico Forense, dove sedette davanti alla scrivania con i risultati delle autopsie. Il medico fumava accanitamente Ducados, e il fumo veniva aspirato dall’apparecchio dell’aria condizionata per essere sputato all’esterno nel calore soffocante.
«Cominciamo con la più facile», disse il dottore. «La signora Vega è stata soffocata con il guanciale premuto sulla faccia. Forse non era cosciente in quel momento a causa di un forte colpo che le ha slogato la mandibola, probabilmente un pugno.»
Il Médico Forense offrì una replica al rallentatore, comica senza intenzione: la guancia, mandibola e labbra spostate di lato in un bacio bavoso in aria.
«Una perfetta imitazione, dottore», si congratulò Falcón sorridendo.
«Mi scusi, Inspector Jefe», disse il medico, più compreso del suo compito ora. «Sa com’è. Giornate lunghe in compagnia dei morti, il caldo, le ferie molto, molto vicine, la famiglia già al mare: qualche volta dimentico con chi mi trovo.»
«Va tutto bene, dottore, lei mi sta aiutando», lo rassicurò Falcón. «Che mi dice dell’ora della morte? È importante per noi sapere se sia morta prima o dopo il marito.»
«Su questo non le sarò di grande aiuto, la loro morte è avvenuta all’incirca alla stessa ora, la temperatura corporea era praticamente la stessa, la signora Vega solo leggermente meno fredda. La temperatura ambientale era la stessa in cucina e in camera da letto, ma il signor Vega era disteso a torso nudo sul pavimento di piastrelle, mentre la moglie era nel letto, con la faccia sotto il cuscino. Non potrei affermare in tribunale che è morta dopo il marito.»
«D’accordo. E il signor Vega?»
«È morto per aver ingerito un liquido corrosivo, la causa della morte è una combinazione di effetti sugli organi vitali. Ha sofferto di blocco renale, danni al fegato e ai polmoni… Un vero macello. È interessante la composizione di ciò che ha ingerito. Mi sembra di ricordare che fosse un prodotto noto…»
«Esatto. Harpic.»
«Be’, normalmente quei gel sono una mistura di soda caustica e di disinfettante, l’elemento caustico circa un terzo del contenuto. Naturalmente una mistura che non farebbe certo bene all’organismo, ma che richiederebbe tempo per uccidere un uomo adulto in buone condizioni di salute. Questo prodotto l’ha ucciso in un quarto d’ora, perché era stato fortemente potenziato con acido cloridrico.»
«È facile procurarsene?»
«Qualsiasi drogheria lo vende sotto il nome di acido muriatico, lo si usa per togliere le tracce di cemento dai pavimenti, per esempio.»
«Controlleremo nel suo garage», disse Falcón, prendendo nota. Non c’è modo di salvarsi una volta ingerita quella roba?»
«I danni alla gola e all’apparato digerente sono irreparabili e in ogni caso anche i polmoni sono compromessi.»
«Come è arrivato nei polmoni?»
«È molto difficile stabilire quali danni siano stati fatti con la forza o la violenza e quali siano stati causati dalla corrosività del liquido. Io direi che lui o qualcun altro gli ha cacciato la bottiglia nella gola e in quelle circostanze una parte del liquido troverebbe certamente un passaggio fino ai polmoni. Ci sono tracce nei condotti nasali, perciò il prodotto è stato espulso con colpi di tosse. Con la bocca completamente occupata dalla bottiglia, l’unica via di uscita era il naso.»
«Lei sembra pensare che il signor Vega abbia fatto tutto da solo.»
«Devo dire che la cosa è dubbia.»
«Ma non impossibile?»
«Quando si decide di uccidersi in quel modo orribile, immagino che si cerchi di impedire un eventuale salvataggio ingerendo il massimo del prodotto nei primi momenti. Credo il suicida sia piuttosto nervoso, anche… e forse per questo è possibile che si cacci il collo della bottiglia in profondità nella gola. Questo, naturalmente, provocherebbe il soffocamento. Ma in realtà sarebbe una cosa molto difficile, se qualcun altro non tenesse ferma la bottiglia e anche la vittima.»
«Il pavimento era pulito, a parte qualche goccia vicino al collo della bottiglia.»
«Sul petto e sugli indumenti c’erano alcune macchie, ma nulla rispetto a quanto ci si aspetterebbe da una persona che si sente soffocare ed espelle il liquido a colpi di tosse.»
«Qualche indicazione che sia stato tenuto fermo con la forza, segni sulle braccia, sui polsi, sul collo, sulla testa?»
«Niente sui polsi. Ci sono segni di lesioni sulle braccia all’interno del gomito, ma la vestaglia gli era scivolata di dosso e quindi è possibile che sia successo mentre si contorceva sul pavimento. Ci sono segni sulla testa e sul collo e unghiate sulla gola. Direi che se li è fatti da solo, aveva tracce del prodotto sulle mani. Ma è anche vero che quei segni possono essere stati lasciati da qualcuno che lo immobilizzava bloccandogli il collo.»
«Lei sa che cosa sto cercando di dimostrare, dottore», spiegò Falcón. «Devo andare dal Juez Calderón e dargli una prova conclusiva che nella stanza con il signor Vega c’era qualcun altro, responsabile della sua morte. Se non ci riesco, potrebbe non esserci nessuna inchiesta per omicidio. Ora, se non vado errato, lei pensa, come me e come quelli della scientifica, che probabilmente si è trattato di omicidio.»
«Ma una prova conclusiva della presenza di un’altra persona è più difficile da ottenere», obiettò il Médico Forense.
«C’è qualcosa che potrebbe collegare il signor Vega alla morte della moglie?»
«Non ho trovato niente. Sotto le unghie il signor Vega aveva soltanto il suo tessuto cutaneo, si era afferrato il collo.»
«Niente altro?»
«Qual era il profilo psicologico delle vittime?»
«Lei soffriva di disturbi mentali», disse Falcón. «Non sembra che il marito avesse tendenze suicide, ma ci sono aspetti poco chiari nel suo stato psichico.»
Falcón fece un breve riassunto di quanto gli aveva detto il dottor Rodríguez e di come il signor Vega fosse apparso turbato fin dai primi dell’anno.
«Capisco, la cosa può valere in entrambi i casi», disse il Médico Forense.
«In compenso, la vittima aveva una pistola calibro 9, un sistema di sorveglianza che non usava e vetri antiproiettile.»
«Si aspettava guai.»
«Oppure era semplicemente apprensivo come molti ricchi che abitano vicino al Polígono San Pablo.»
«E il sistema di sicurezza non usato?»
«Anche in questo caso colpa dei nervi. Forse la moglie malata era paranoica, forse si vantava con i vicini dei vetri antiproiettile. Oppure lo stesso Vega voleva scoraggiare gli estranei, senza lasciare traccia delle persone che venivano da lui.»
«Perché era coinvolto in qualcosa di illegale?»
«Un vicino ha visto dei russi alla sua porta, tipi che di sicuro non uscivano dal Bolshoi.»
«Si parla molto di mafia russa di questi tempi, specialmente sulla Costa del Sol, ma non sapevo che avessero già raggiunto Siviglia», osservò il Médico Forense.
«È un brutto modo di morire quello di Vega, vero, dottore?» domandò Falcón.
«Vendetta o punizione, forse un esempio per altri. E la sua vita sessuale?»
«Il suocero dice che era restio a fare il suo dovere di marito, anche… prima che la moglie soffrisse di depressione. Secondo la suocera aveva una relazione che stava andando male, e questo avrebbe spiegato come mai si fosse chiuso in se stesso ancor più del solito, fin dall’inizio dell’anno. C’è qualcos’altro che dovrei sapere?»
«Solo un particolare curioso. Si era sottoposto a un intervento di chirurgia estetica. Niente di eccezionale, aveva solo eliminato le borse sotto gli occhi e si era fatto tirare un po’ la pelle del collo per mettere in risalto il contorno della mandibola.»
«Oggigiorno lo fanno tutti.»
«È vero e la cosa curiosa è proprio questa. Si tratta di un intervento che risale a molto tempo fa, difficile stabilire quanto, ma certamente a più di dieci anni fa.»