RAFAEL (battendo le palpebre nel buio)

Ho paura? Non ho nessuna ragione concreta di aver paura, qui a letto con Lucía e con il mio piccolo Mario che mormora nel sonno nella stanza accanto. Invece sono spaventato. Sono stati i sogni a spaventarmi, anche se ormai non sono più sogni. Sono più intensi dei sogni. Sogno volti, nient’altro che volti. Non credo che mi siano noti, eppure in certi strani momenti mi sembra quasi di riconoscerli, ma è come se quelle facce non volessero essere riconosciute, non ancora. È a quel punto che mi sveglio, perché… no, sono di nuovo impreciso. Non sono esattamente volti, non sono di carne, sono più spettrali che reali, però hanno lineamenti, hanno colore ma non sostanza, a quei volti manca giusto qualcosa, poco, per essere umani. Sì, ecco che cos’è. Manca poco perché siano umani. Che sia una traccia?

Se quei volti mi spaventano, dovrei essere riluttante ad andare a letto, ma talvolta non vedo l’ora di farlo e capisco che è così perché voglio conoscere la risposta. Nella mia mente, nascosta chissà dove, c’è la chiave che aprirà la porta e mi darà la risposta: perché proprio quei volti? Perché non altri? Per quale loro caratteristica il cervello me li ha segnalati? Ho cominciato a vederli distintamente anche di giorno, nei momenti in cui la coscienza per così dire va alla deriva e il mio subconscio modella quei lineamenti su persone reali, tanto che quei volti fantasma si animano per un istante, prima che le persone vere riprendano il sopravvento. E io rimango scosso e mi sento stupido, come un vecchio che abbia le parole sulla punta della lingua e non riesca ad articolarle.

Sto tremando. Ecco che cosa riesce a farmi la mente. Sto crollando. Sono diventato sonnambulo. Me lo ha detto Lucía mentre ero sotto la doccia, ha detto che sono sceso nello studio alle tre di notte. La mattina ho trovato sulla scrivania un blocco di fogli bianchi sul quale si vedeva il calco di una scrittura. Non ho trovato l’originale, ma quando ho portato il blocco vicino alla finestra ho visto qualcosa che vi avevo scritto: «nell’aria sottile…»

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