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Lunedì 29 luglio 2002


Ora che il coinvolgimento di Alicia Aguado nel caso di Sebastián Ortega era di dominio pubblico, Falcón decise di parlare delle sue intenzioni al Comisario Elvira. Si era reso conto che le sue ragioni per farla intervenire erano piuttosto deboli e che il direttore del carcere ovviamente avrebbe preferito impiegare il suo psicologo. Chiese a Elvira di parlare con il direttore, facendo presente il rapporto di Alicia Aguado con il detenuto e la fiducia della psicologa di riuscire a comunicare con Sebastián. Elvira lo fissò dritto in faccia mentre Falcón esponeva il suo problema, con l’aria di non essere affatto convinto, ma assentì silenziosamente. Falcón gli chiese anche che qualcun altro si occupasse della sorveglianza della signora Montes, ma Elvira disse che in proposito aveva le sue idee.

La sala operativa della squadra Omicidi era vuota, solo Ramírez era in piedi davanti alla finestra.

«Dov’è andata Cristina?» gli domandò Falcón.

«Ha trovato un tizio della Narcotici che pensa di sapere come rintracciare Salvador Ortega. Ha intenzione di parlarmi di questa cosa?»

«E le caselle postali?»

«Solo quella di Emilio Cruz, nessuna a nome Montes o Vega», rispose Ramírez. «Ho chiamato le banche, per vedere se esistesse una cassetta di sicurezza per questa chiave e ne ho trovata una a nome di Emilio Cruz al Banco Banesto.»

«Bene. Nessuna notizia del legale di Montes?»

«Gli ho parlato. Non sentiva Alberto Montes da tre anni, l’ultima volta era stato per una modifica al testamento.» Ramírez alzò una mano. «No, ora deve parlarmi di Salvador Ortega. So chi è, mi dica solo perché vogliamo metterci in contatto con lui.»

«Perché Pablo aveva rapporti con suo nipote e il nipote forse sapeva che problema si fosse venuto a creare tra i due fratelli.»

«E questo potrebbe aiutarci a trovare l’assassino di Vega?»

«Rifletta per un momento al modo in cui Vega è stato ucciso», lo invitò Falcón.

«È stato un modo crudele… vendicativo. Volevano che soffrisse. I mafiosi agiscono così, lo fanno per dare un esempio ad altri che potrebbero pensare a tradirli.»

«Esatto, e per questo motivo dobbiamo cercare di chiarire il loro movente, perché ora come ora io non vedo altro se non che Vega era utile ai loro piani», spiegò Falcón. «Adesso ascolti i nomi che le farò e sappia che queste persone si conoscevano tutte tra loro: Raúl Jiménez, Ramón Salgado, Eduardo Carvajal, Rafael Vega, Pablo e Ignacio Ortega.»

«Crede che ci sia un collegamento con il giro di pedofili?» domandò Ramírez. «Come sa che Ortega conosceva Carvajal?»

«Erano insieme in una foto appesa nello studio di Raúl Jiménez. E i nomi si trovano tutti nella rubrica di Vega… Mi è appena venuta un’idea. Bisogna che la controlli. Mi dica quali modifiche ha fatto Montes al testamento.»

«Ha aggiunto una proprietà ai suoi beni», rispose Ramírez. «Una piccola finca, un valore di nemmeno tre milioni di pesetas.»

«Scommetto che per un momento avrà avuto un tuffo al cuore.»

«Non credo che avrei ottenuto l’informazione tanto facilmente, se si fosse trattato di una villa da duecento milioni a Marbelìa.»

«Ha detto dov’era?»

«Non riusciva a ricordarlo, avrebbe guardato sulla copia del testamento e mi avrebbe richiamato.»

«Nessuna ipoteca sulla finca

«Non lo sapeva. Non era stato coinvolto nell’acquisto.»

«Quando avrà l’indirizzo, controlli l’atto di compravendita e veda se ne aveva mai parlato con qualcuno della sua squadra.»

Squillò un telefono e Ramírez andò a rispondere, curvo su una scrivania a scribacchiare rapidamente per qualche minuto. Poi riattaccò il ricevitore con aria trionfante.

«Abbiamo un risultato sulla carta di identità di Vega», annunciò. «Il vero Rafael Vega è morto nel 1983 all’età di trentanove anni in un incidente navale nel porto di La Coruña; l’altro è morto la scorsa settimana per aver ingerito acido.»

«Come ci è riuscito?»

«Il primo è morto proprio nel momento in cui stavano cambiando il sistema da manuale a computerizzato e sul computer risultava ancora vivo. Soltanto risalendo ai vecchi registri manuali hanno trovato il certificato di morte.»

«Aveva l’età giusta.»

«Aveva l’età giusta, l’aspetto fisico giusto e non aveva famiglia. Il Rafael Vega originario era un orfano divenuto marinaio. Non si era mai sposato.»

«Perciò, non soltanto il nostro Rafael Vega aveva ricevuto un addestramento particolare, ma era anche ben introdotto nel mondo della clandestinità», osservò Falcón. «Finalmente una breccia, José Luis, ma…»

«Sì, lo so», disse Ramírez, «non era chi diceva di essere… ma chi cazzo era?»

«Esiste un collegamento americano. Krugman è sicuro che abbia vissuto negli Stati Uniti e ora sappiamo che riceveva posta da là. E può darsi che esista anche un collegamento messicano.»

«La moglie messicana potrebbe essere solo un’altra invenzione», obiettò Ramírez. «Per un uomo di quell’età sarebbe più plausibile essere già stato sposato.»

«A questo punto direi che potrebbe essere originario dell’America Centrale o Meridionale.»

«Se lei fosse argentino, userebbe un passaporto falso del suo Paese di origine?»

«Forse no, ma ci rimane ancora tutto il resto del subcontinente», ribatté Falcón. «Forse dovremmo incontrarci con il Juez Calderón. Era già stabilito che avremmo avuto una riunione con lui nei primi giorni della settimana. Credo che questo possa essere definito uno sviluppo.»

Chiamò la segretaria del magistrato: il giudice era impegnato, ma forse avrebbe potuto riceverli prima dell’intervallo di mezzogiorno; il pomeriggio era fuori discussione. Falcón riattaccò e si allungò sulla poltrona girevole.

«Quale genere di persone ha bisogno del livello di segretezza che usava Rafael Vega?»

«Il genere che opera sotto copertura per lo Stato o per un’organizzazione terroristica», rispose Ramírez. «Il genere che è coinvolto nel traffico di stupefacenti.»

«O nel traffico di armi?» suggerì Falcón. «Il collegamento russo. Qual è il posto dove ottenere più facilmente armi in dotazione all’esercito?»

«La Russia, tramite la mafia. E i soldi arrivavano dai progetti immobiliari. Quei contratti per i terreni erano stati stipulati direttamente tra i proprietari e i russi, nessun contatto con Vega.»

«Plausibile, ma questo ci mette davanti a un altro problema. A chi stava fornendo le armi e, prima che ci lasciamo prendere dall’immaginazione, perché ucciderlo?»

«Potrebbe trattarsi di un’organizzazione terroristica che non vuole lasciare assolutamente nessuna traccia», suggerì Ramírez.

La segretaria di Calderón richiamò per dire che il giudice avrebbe potuto riceverli entro mezz’ora. Presero la macchina per andare all’Edificio de los Juzgados e salirono immediatamente nell’ufficio di Calderón, il quale, rivolto verso la finestra, fumava guardando attraverso le fessure delle veneziane. Li udì entrare e disse loro di accomodarsi.

«Abbiamo un caso o non abbiamo un caso?» domandò senza voltarsi.

«Complicazioni», annunciò Falcón, incominciando a riferirgli sulla vita segreta di Rafael Vega.

Falcón stava ancora parlando quando il giudice si girò verso di lui. Se l’ultima volta che Falcón lo aveva visto Calderón aveva avuto l’aspetto di un uomo appena tornato in città dopo essersi smarrito sulle montagne, ora aveva l’espressione folle di chi avesse dovuto divorare i compagni per sopravvivere: aria allucinata, violacei i cerchi sotto gli occhi e la fronte profondamente corrugata. Pareva anche dimagrito, il colletto era diventato largo. Falcón terminò il suo rapporto e Calderón annuì, apparentemente interessato, ma non troppo. Quelle notizie non erano servite a galvanizzare la sua ambizione.

«Be’, ora avete qualche informazione in più sul retroscena della vita di Vega», disse, «ma non mi avete ancora presentato nessun vero sviluppo del caso: nessun testimone, nessun movente. Che cosa volete esattamente?»

«Potremmo cominciare con un mandato di perquisizione per la cassetta di sicurezza al Banco Banesto», intervenne Ramírez, dopo aver scambiato un’occhiata con Falcón.

«Di chi è la cassetta?»

«Di Vega, naturalmente», rispose Ramírez, perplesso per la disattenzione del giudice, «ma a nome di Emilio Cruz.»

«Me ne occuperò. Che altro?»

«Abbiamo alcune ipotesi sulle quali lavorare, ci occorre altro tempo», disse Falcón. E accennò ai collegamenti della mafia russa nel traffico di armi e ai nomi degli uomini che, a quanto pareva, si conoscevano tutti tra loro, trovati nella rubrica di Vega e riconosciuti nelle fotografie di Raúl Jiménez.

«Sono tutte congetture», obiettò Calderón. «Dove sono le prove? Vega ha mandato avanti un’impresa immobiliare di successo a Siviglia per quasi vent’anni, partendo praticamente da zero. D’accordo, gestisce i suoi affari in un certo modo e…»

«Mi sembra che stia dimenticando che si tratta di un uomo con documenti spagnoli falsi apparentemente perfetti e di un passaporto argentino con visti marocchini pronti per una fuga rapida», interloquì Ramírez. «Mi riesce difficile credere che quel livello di segretezza lo qualifichi, mettiamo, come un marito che si stia imbarcando in una relazione illecita.»

Calderón gli sparò un’occhiata che passò sibilando accanto all’orecchio di Ramírez.

«Questo lo vedo», disse, «ovviamente quell’uomo ha un passato, è fuggito da qualcosa e si è rifatto una vita. Forse questo suo passato si è rifatto vivo in qualche modo, ma la cosa non vi aiuta a stabilire quale direzione prendere nelle indagini. Mi parlate di traffico d’armi, di droga, di tratta di persone e di terrorismo, ma non avete fornito una traccia concreta che indichi una direzione oppure un’altra. Avete soltanto teorie. È vero che l’acquisto dei terreni da parte dei russi è strano e il loro rapporto con Vega quanto meno malsano, ma non abbiamo modo di risalire al proprietario precedente. Sì, potete recuperare l’importo dall’atto di vendita, ma non vi dirà molto, perché dichiarano tutti una cifra più bassa per via del fisco. È necessaria una concatenazione logica dei dati da presentare al Juez Decano, per poter spendere denaro pubblico a dare la caccia a queste… idee.»

«Lei non vede nessun collegamento tra la morte del signor Vega e il suicidio del suo vicino?» domandò Ramírez.

«Non me ne avete fatta vedere nessuna, a parte nomi e indirizzi in una rubrica e gente che compare insieme in qualche fotografia», ribatté Calderón, soffocando uno sbadiglio. «E nemmeno il Juez Romero ha visto qualcosa. I due ‘suicidi’ sembrano una coincidenza, con la differenza che in un caso non esistono dubbi e nell’altro c’è qualche incertezza. Un’incertezza che è dentro di noi, non in una prova che mi abbiate messo davanti.»

«E il biglietto con il riferimento al famoso atto di terrorismo?» disse Ramírez.

«È un dato che può interessare una corte come i documenti che quell’uomo custodiva sui tribunali per i crimini di guerra o il fatto che tenesse una vecchia automobile in un garage o che non fosse chi diceva di essere. Informazioni, ma che non sono collegate a niente, come le minacce anonime», affermò Calderón. «Lei non parla, Inspector Jefe», soggiunse, rivolto a Falcón.

«Dunque stiamo perdendo tempo?» disse Falcón, stanco di tutto ora che l’indifferenza di Calderón gli si era insinuata nel flusso sanguigno. «Potremmo trovare altre informazioni affascinanti che non forniscono né testimoni, né moventi, alla squadra mancano tre uomini per via delle ferie, nella Jefatura abbiamo una situazione seria…»

«L’ho saputo», intervenne Calderón, fissando la scrivania, le mani tra le ginocchia.

«…la possibilità di ritrovare Sergei, l’unico testimone, diminuisce di giorno in giorno. Allora, portiamo a termine il lavoro o no? Se decidiamo di portarlo a termine, che direzione dobbiamo prendere?»

«D’accordo, vedo che è seccato. Mi rendo conto che avete fatto un buon lavoro e trovato notizie interessanti», disse Calderón, cercando di mettere un po’ di entusiasmo nella voce. «Per il momento, dato il profilo psicologico della vittima, per il quale abbiamo un chiaro responso medico supportato dalle fotografie di Maddy Krugman, e anche prendendo in considerazione i nuovi dati a disposizione, sono ancora incline a pensare che Vega abbia ucciso la moglie e poi si sia suicidato. Perciò, propendo per un verdetto di suicidio, ma se siete curiosi tanto da voler continuare, avete altre quarantotto ore di tempo.»

«Per muoverci in quale direzione?» domandò Ramírez.

«Quella che volete. Avete qualche possibilità di parlare con i russi faccia a faccia?»

«Sono in Portogallo», rispose Falcón. «Può anche darsi che vengano qui per controllare i loro investimenti.»

«Con chi si metterebbero in contatto?»

«Probabilmente con Carlos Vásquez.»

«Ecco uno che ha qualcosa da nascondere», interloquì Ramírez.

«E scoprire chi era veramente Rafael Vega?» suggerì Falcón.

«Come?» domandò Calderón, tornando a voltarsi a metà verso la finestra.

«Il collegamento americano», rispose Falcón. «Diciamo che abbia effettivamente vissuto negli Stati Uniti vent’anni fa e che sia fuggito per rifarsi una vita. Mi sono ricordato ora del particolare dell’autopsia a proposito di una vecchia cicatrice per un intervento di chirurgia plastica. Sembra un copione verosimile. Forse aveva una storia criminale alle spalle oppure era persona nota all’FBI.»

«Avete contatti con l’FBI?»

«Naturalmente.»

«Allora accettate la mia offerta di quarantotto ore?»


Scendendo dall’ufficio di Calderón, Falcón ricevette una telefonata da Elvira, che aveva appena parlato con il suo capo, il Comisario Lobo, arrivando alla conclusione che Falcón avrebbe dovuto dirigere le indagini sul suicidio di Montes. Falcón domandò a Elvira se potesse dargli un nominativo affidabile e disposto a collaborare all’interno dell’FBI, che li aiutasse nell’identificazione di Rafael Vega. E gli ricordò il colloquio con il direttore del carcere.

In macchina telefonò a Carlos Vásquez e dopo essere stato lasciato in attesa per qualche minuto, gli fu detto che l’avvocato era fuori studio, ma dato che lo studio si trovava molto vicino all’Edificio de los Juzgados, Falcón e Ramírez decisero di fargli una visita non programmata.

«Che cos’ha il Juez Calderón?» domandò Ramírez. «Sarà difficile che ci faccia avere un mandato di perquisizione nello stato in cui è.»

«Credo che possa aver trovato pane per i suoi denti», disse Falcón.

«L’americana gli ha bevuto il cervello?»

«Potrebbe essere più serio di così.»

«L’ha ridotto in quelle condizioni?», si stupì Ramírez. «Lo facevo più esperto.»

«Più esperto in che cosa?»

«Nell’evitare certi errori, come infrangere la regola numero uno. E infrangerla alla vigilia del matrimonio.»

«E quale sarebbe la regola numero uno?»

«Non farsi coinvolgere», rispose Ramírez. «È il modo sicuro per mandare a puttane la propria vita.»

«Be’, si è fatto coinvolgere e a noi non resta che…»

«Sederci e stare a vedere», terminò Ramírez, battendo le mani come se stesse per cominciare la sua telenovela preferita.

«Montes mi aveva detto che erano in molti a sperare che il Juez Calderón cadesse dal piedistallo.»

«Chi?» si stupì Ramírez, l’espressione innocente, un dito puntato contro il suo petto. «Io?»


Salirono con l’ascensore, Ramírez intento a osservare i numeri dei piani man mano che si accendevano, i muscoli delle spalle rigonfi come il collo di un toro selvaggio.

«Questa volta, Javier, io dirigo e lei segue», disse prima che entrassero, passando a passo di carica davanti alla scrivania della ragazza della reception, nonostante il suo tentativo di fermarli.

Fecero lo stesso con la segretaria di Vásquez, che li seguì nell’ufficio del suo capo. Vásquez stava bevendo da un bicchiere di plastica, in piedi davanti al distributore dell’acqua, guardando nel vuoto fuori dalla finestra.

«In un’indagine per omicidio», esordì Ramírez, la voce carica di collera a malapena contenuta, «non ci si rifiuta mai di ricevere l’Inspector Jefe, a meno che non ci si voglia ritrovare nella merda fino al collo.»

Vásquez, pur avendo l’aria di poter tenere testa a Ramírez, si rese conto tuttavia che l’Inspector era pronto a tutto, compresa la violenza fisica. Fece segno alla segretaria di uscire.

«Che cosa volete?»

«Prima domanda», disse Ramírez. «Mi guardi negli occhi e mi dica che cosa sa di Emilio Cruz.»

Vásquez lo fissò senza capire, era evidente che il nome non gli diceva niente. I due ispettori sedettero di fronte a lui.

«Quali provvedimenti aveva preso per la conduzione dell’impresa il signor Vega nell’eventualità della sua morte?» gli domandò Falcón.

«Come sapete già, ogni progetto immobiliare del signor Vega ha nel consiglio di amministrazione lo stesso signor Vega, un rappresentante dell’impresa e un investitore. Nell’eventualità della sua morte, i progetti sarebbero stati diretti dal rappresentante dell’impresa presente nel consiglio, con la clausola condizionale che tutte le decisioni finanziarie e legali fossero rimandate a un consiglio di amministrazione provvisorio della holding, formato da me, dal signor Dourado e dal signor Nieves, che è l’architetto capo.»

«Quanto dovrebbe durare questo stato di cose provvisorio?»

«Finché non si troverà un direttore adatto.»

«Chi ha il compito di trovarlo?»

«Il consiglio di amministrazione provvisorio.»

«A chi si rivolgono i clienti?»

«Al consiglio provvisorio.»

«E chi prende la telefonata iniziale?»

«Io.»

«E quando si sono messi in contatto con lei i russi?» domandò Ramírez.

«Non si sono messi in contatto.»

«Senta, signor Vásquez, è passata quasi una settimana dalla morte del signor Vega», riprese Ramírez in tono confidenziale, amichevole. «In quei progetti immobiliari, che non hanno più una direzione, i russi hanno investito un sacco di soldi. Non vorrà farci credere che…»

«Una direzione c’è, il rappresentante dell’impresa si occupa dei lavori.»

«Chi è?»

«Il signor Krugman, l’architetto.»

«Una buona scelta», commentò Falcón. «La persona al di fuori.»

«Da chi prende istruzioni il signor Krugman?»

«Non ne ha ricevuta nessuna da me, perché io non ne ho avuta nessuna dai clienti. Sta semplicemente portando avanti i progetti.»

«E allora, dopo la morte del signor Vega, chi ha detto alla manodopera illegale di non farsi vedere?» domandò Ramírez.

«Quale manodopera illegale?»

«Possiamo anche farla parlare con altri metodi, se preferisce», avvertì Ramírez. «Oppure può risponderci come una persona normale, rispettosa della legge.»

«Lei è spaventato, signor Vásquez?» domandò Falcón.

«Spaventato?» ripeté Vásquez, quasi rivolto a se stesso, le dita intrecciate, le nocche sbiancate, specialmente quella dell’anulare dove brillava la fede d’oro. «Perché dovrei essere spaventato?»

«Le è stato detto di non parlare con noi per non finire nei guai, lei o la sua famiglia?»

«No.»

«Va bene», disse Ramírez, «apriremo un fascicolo su quei due progetti. Il fatto che sia stata impiegata manodopera illegale dovrebbe essere sufficiente.»

«Non c’è nessuna manodopera illegale.»

«Sembra che lei abbia contatti con i cantieri dopotutto.»

«È così», disse Vásquez, «la scorsa settimana mi avevate parlato di questo problema e io mi sono informato. Non viene impiegata nessuna manodopera illegale.»

«E la doppia contabilità per ogni progetto immobiliare che abbiamo visto negli uffici della Vega Construcciones la scorsa settimana?»

«Esiste una sola contabilità.»

«Non secondo il signor Dourado», affermò Ramírez.

«A me non ha detto così», insistette Vásquez.

«Vedo che i russi si sono dati da fare.»


Tornando alla Jefatura si fermarono alla Vega Construcciones e si informarono sulla doppia serie di libri contabili, ma Dourado non ricordava di aver rintracciato nel computer una doppia contabilità e perfino quando Ramírez minacciò una perquisizione il suo sorriso rimase inalterato; venissero pure a perquisire, sarebbero stati i benvenuti.

Falcón e Ramírez ripercorsero i corridoi in silenzio, ogni entusiasmo svanito per quanto riguardava quell’aspetto delle indagini.

«Abbiamo sbagliato in pieno», disse Falcón, «ci siamo fidati troppo di questa gente.»

«Dourado ci avrebbe aiutato, lo so, ero presente, ho visto le stampate, me le aveva fatte vedere lui. Avrei dovuto farmi dare una fottutissima copia.»

«Non mi è sembrato spaventato», osservò Falcón. «Vásquez, sì, ma Dourado pareva allegro.»

«Quei russi sanno quello che fanno», disse Ramírez. «Vásquez pensava di essere al comando, perciò gli hanno dato una gran strizzata alle palle, mentre al ragazzo d’oro, siccome hanno bisogno della sua conoscenza del computer, le palle le hanno solo stuzzicate.»

Falcón cercò di non permettere a quelle immagini di fissarsi nella sua mente. Disse che sarebbe andato a parlare con Krugman mentre Ramírez sarebbe tornato alla Jefatura per convincere Elvira a mettersi in contatto con l’FBI.


Krugman, in piedi davanti alla finestra dell’ufficio, guardava fuori con il binocolo. Falcón bussò, Krugman gli fece cenno di entrare. Sembrava stranamente pieno di energia, gli occhi brillanti, le pupille dilatate e scintillanti.

«Lei sta ancora gestendo i progetti russi», esordì Falcón.

«Proprio così.»

«Per caso, si sono messi in contatto con lei?»

«Certamente. Hanno investito qui venti milioni di euro, si deve per forza tenere d’occhio una somma del genere.»

«Interessante. Si è mai accorto di irregolarità finanziarie…?»

«Quelli sono affari. Io sono un architetto.»

«Sapeva che nei cantieri lavorava manodopera illegale?»

«Sì. Ce n’è in tutti i cantieri.»

«È disposto a firmare una…»

«Non faccia l’idiota, Inspector Jefe. Sto cercando di aiutarla.»

«Quando ha parlato con i russi?»

«Ieri.»

«Di che cosa avete discusso?»

«Mi hanno detto di dirigere i lavori, e di non parlare con la polizia. Io ho fatto presente che sarei stato costretto a farlo, perché la polizia veniva a casa mia e sul lavoro spessissimo. Hanno detto che non avrei dovuto parlare dei progetti.»

«In che lingua avete parlato?»

«In inglese. Non conoscono lo spagnolo.»

«Lei sa per chi sta lavorando, signor Krugman?»

«Non direttamente, ma ho lavorato a New York e mi è capitato di trovarmi a contatto con la mafia russa. È gente molto potente e, a parte qualche eccezione, i russi sono ragionevoli finché si vedono le cose a modo loro. Sì, voi potreste sfidarli, se dovesse servire a uno scopo molto importante, ma in fin dei conti a voi interessa trovare l’assassino di Vega o il motivo del suo suicidio. Dubito che potrebbero esservi di aiuto, perché sono sicurissimo che l’ultima cosa che potessero volere era la morte di Vega.»

Falcón annuì. Krugman si rilassò sulla poltrona.

«Che cosa stava guardando con il binocolo?»

«Controllavo la situazione, Inspector Jefe», disse Krugman serissimo; poi scoppiò a ridere. «Stavo scherzando. L’ho comprato oggi, lo stavo solo provando.»

Falcón si alzò, disturbato dall’espressione angelica di Krugman.

«Ha visto mia moglie di recente?» domandò Marty mentre Falcón gli tendeva la mano.

«L’ho incontrata per strada sabato.»

«Dove?»

«Era in un negozio di piastrelle in Calle Bailén, vicino a casa mia.»

«Maddy è davvero affascinata da lei, Inspector Jefe.»

«Solo perché ha interessi molto particolari e strani. Personalmente non gradisco le sue intrusioni.»

«Credevo che si fosse trattato solo di qualche foto scattata sul ponte. O c’era di più?»

«È bastato a darmi la sensazione che stesse cercando di portarsi via qualcosa di mio», rispose Falcón.

«Be’, il problema di Maddy è proprio questo, come scoprirà anche il suo amico, il giudice.»

Krugman si girò verso la finestra e puntò il binocolo.

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