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Mercoledì 31 luglio 2002


Lo strano sonno della siesta lasciò Falcón con la curiosa sensazione di essere riposato, ma con il cervello malmesso in testa, come fosse l’inizio di un distacco. Gli eventi della mattina vagavano tra i suoi pensieri, lenti come nebbia sul fiume, una mattina così disastrosa che un ottimismo isterico inscenò una piccola ribellione nel suo animo. Seduto sul bordo del letto, scosse il capo, cercando risate da portare alla superficie e nel farlo un’idea improvvisa lo fece balzare sotto la doccia, dove l’idea si sviluppò, schiarendogli la mente.

Si diresse in macchina verso San Bernardo, battendo a intervalli la mano sul volante e pensando che tra lui e Consuelo non era finita. Non le avrebbe permesso di sparire così facilmente: le avrebbe parlato ancora, avrebbe tentato di convincerla. Salendo in ascensore da Carlos Vásquez si guardò nello specchio e vide una determinazione folle nel suo viso.

«Vorrei parlare con i russi», disse entrando nello studio. «Crede di poter combinare un incontro?»

«Ne dubito.»

«Perché no?»

«Non accetteranno mai di parlare con lei… Inspector Jefe del Grupo de Homicidios.»

«Potrebbe invitarli qui, non so, per qualcosa che riguarda i cantieri. E io potrei raggiungervi.»

«Non sarebbe possibile.»

«Cerchi di persuaderli, signor Vásquez.»

«La Vega Construcciones non è più coinvolta attivamente nei loro progetti immobiliari, non avrebbero nessun motivo per vedermi. Hanno venduto gli immobili.»

«Venduto?»

«Erano di loro proprietà.»

«Dati i loro complicati rapporti con il suo defunto cliente, non crede che sarebbe stato prudente informarci, signor Vásquez?»

«Ho ricevuto istruzioni di non informare nessuno, se non la parte interessata alla vendita.»

«Ma non pensa che a noi avrebbe dovuto farlo sapere?»

«In circostanze normali lo avrei fatto», rispose Vásquez, le mani strette a pugno, le nocche sbiancate.

«E che cosa c’era di tanto anormale in quelle circostanze?»

Vásquez aprì il cassetto della scrivania e tirò fuori una busta.

«Lo scorso Natale ho regalato ai miei figli un cane. Un cucciolo. Lo avevano portato al mare per le vacanze. Alla fine della settimana scorsa mi hanno telefonato in lacrime: il cane era scomparso. Il lunedì mattina ricevo un pacchetto spedito da Marbella, conteneva una zampa di cane e questa busta.»

La busta conteneva una fotografia della famiglia Vásquez sulla spiaggia, l’aria felice. Sul retro della foto una scritta: «La prossima volta tocca a loro».

«Che ne dice come approccio psicologico, Inspector Jefe?»


Falcón tornò alla Jefatura. Gli era venuto in mente che i russi non si erano più fatti vivi da domenica e ora sapeva perché. Avevano raggiunto il loro scopo, si erano liberati dei progetti immobiliari di Vega e l’indagine era ufficialmente terminata. E il loro crimine più grave era stata l’uccisione di un cucciolo.

Ramírez e Cristina Ferrera erano seduti in silenzio.

«Che succede?» domandò Falcón. «Non dovreste essere in laboratorio con Felipe e Jorge?»

«Hanno ricevuto istruzioni di lavorare a porte chiuse e di riferire unicamente al Comisario Elvira.»

«E la lametta di rasoio che ho mandato al laboratorio?»

«Non hanno il permesso di parlare con noi di niente.»

«E i due incendiari?»

«Li abbiamo ancora, ma non so per quanto», rispose Ramírez. «In sua assenza ho telefonato a Elvira per chiedere se dovessimo prendere le loro deposizioni. Mi ha detto di non fare niente. E io sono un esperto in questo. Perciò, eccoci qui a non fare un cazzo.»

«Nessuna telefonata?»

«Lobo vuole vederla e Alicia Aguado chiede se può accompagnarla al carcere stasera.»

«Non è ancora finita, José Luis.»


Salì in ascensore fino all’ultimo piano, dove si trovava l’ufficio di Lobo, e prima di entrare telefonò ad Alicia Aguado per mettersi d’accordo. Non dovette fare anticamera, Lobo lo ricevette subito, calmo. Sedettero l’uno di fronte all’altro guardandosi come se tra loro fosse distesa la mappa di una battaglia dal risultato disastroso, costata migliaia di morti.

«Il lavoro suo e della sua squadra è stato eccellente», esordì Lobo e Falcón interpretò il complimento come un brutto segno.

«Crede? Io vedo solo un bel catalogo di fallimenti. Non ho un assassino per Vega e la scena è disseminata di cadaveri.»

«Ha fatto saltare un grosso giro di pedofilia.»

«Non credo di averlo fatto esattamente saltare. Ignacio Ortega ha sempre preceduto le mie mosse, come dimostra il fatto che non ho niente in mano per incriminarlo, se non il suo impianto di aria condizionata nella finca. In quanto al defunto Alberto Montes, ogni sua azione mi è stata d’inciampo», ribatté Falcón. «E ora Ortega mi ride in faccia e i russi sono ancora là, liberi come fringuelli, a continuare il loro traffico di adulti e di bambini a scopo sessuale.»

«Ignacio Ortega è finito. È un uomo segnato. Nessuno gli si avvicinerà più.»

«Un applauso», replicò Falcón. «E intanto vive nella sua bella casa e fa affari. Se ne starà tranquillo per qualche annetto e poi ricomincerà, data la sua particolare ossessione. Quel genere di persone ha l’impulso irrefrenabile di dissacrare l’innocenza, un impulso non meno forte di quello di un serial killer che vuole sentirsi tra le mani dei corpi che lottano per la vita. E non ho bisogno di dirle, Comisario, che Ignacio Ortega è solo un piccolo anello che per il momento è stato tagliato. Il vero mostro, la mafia russa, è ancora libero di allargare i suoi tentacoli su tutta l’Europa. Se mettiamo da parte le pubbliche relazioni, questo è uno dei nostri più grandi fallimenti. Ed è dovuto proprio agli organismi che dovrebbero sostenerci.»

«Tanto vale che glielo dica: la moglie di Montes è stata fermata mentre ritirava da un magazzino una scatola che conteneva centottantamila euro», lo informò Lobo. «Ma gli interrogatori per ora hanno dimostrato che Montes agiva da solo.»

«Altri applausi», si congratulò Falcón ironico. «Che cosa diremo agli abitanti di Almonaster la Real sui due adolescenti che abbiamo ritrovato sepolti alla finca? Che ne sarà dei quattro personaggi ripresi nella videocassetta? Che accadrà ad altri bambini…»

«Felipe e Jorge redigeranno un rapporto completo», lo interruppe Lobo parlando con calma, «e questo rapporto farà parte, come ogni altro aspetto della sua inchiesta, di un dossier che il Comisario Elvira consegnerà a me. Stiamo già svolgendo un’indagine all’interno della Jefatura, abbiamo potuto dare un nome al quarto individuo. È tutto documentato.»

«E ci sarà un’interrogazione al parlamento dell’Andalusia?»

Silenzio.

«E i quattro compariranno davanti a un tribunale?»

«Noi viviamo in una società organizzata, non nel caos e nell’anarchia, perché la gente ha fiducia nelle istituzioni», disse Lobo. «Dopo la morte di Franco, nel 1975, che cosa è accaduto a tutte le istituzioni da lui volute? Che cosa è accaduto alla Guardia Civil? Non si può buttare all’aria la Guardia Civil e cacciare via tutti, per la semplice ragione che sono le sole persone che sanno come far funzionare le cose. E allora che cosa si fa? Si limita il loro potere, si controllano i reclutamenti, si cambiano le istituzioni dall’interno. Per questo motivo ora la gente si fida di noi, non ha più paura di noi. Per questo motivo la Guardia Civil non agisce più come una polizia segreta.»

«Lo racconti a Virgilio Guzmán», ribatté Falcón. «Il punto è che nessuna persona coinvolta in questo caso affronterà mai la giustizia. E non perché non lo meriti, ma perché la nostra istituzione ha i panni sporchi e l’amministrazione che ci controlla se ne approfitta, perché i suoi panni sono più sporchi dei nostri.»

«Sono tutti uomini marchiati», insistette Lobo. «Vedrà… quella gente dovrà rinunciare al suo potere, si vedrà portare via gli appalti, perderà il suo ruolo nella società.»

«Forse non realizzeranno le loro ambizioni, il che sarà per loro una piccola tragedia», disse Falcón, «ma resteranno in libertà e questa sarà una tragedia per noi.»

«Allora crede che dovremmo incriminare tutti, rivelare la corruzione all’interno…»

«Sì», affermò Falcón. «E ricominciare da capo.»

«Tanti anni nella polizia e ancora non sa nulla della natura umana. Quanto tempo pensa che impiegherebbe la mafia russa per riprendere le sue attività?»

«Sto solo dicendo come la penso, Comisario Lobo», disse Falcón, sentendosi di nuovo le braccia pesanti.

«Capisce, Javier, non è una cosa che riguardi solo la Spagna», riprese Lobo. «È così in tutto il mondo. Abbiamo appena avuto la CIA sulla porta di casa e che cosa stava facendo? Proteggendo le istituzioni, conservando la dignità della carica del presidente degli Stati Uniti e del segretario di Stato.»

«È questo che le ha detto il console?»

«Proprio così.»

«Allora non ha visto la ‘registrazione’ che secondo Flowers dimostrava l’innocenza di Krugman?»

«Il console ne ha confermato l’esistenza.»

«Quanta fiducia tra i poteri costituiti! Lei non ha visto la registrazione perché non esiste. Flowers ha fornito un alibi a Krugman, perché probabilmente è stata la sua decisione a porre fine all’incertezza sugli eventuali segreti che Vega custodiva, quell’uomo era diventato troppo imprevedibile. Credo che Krugman abbia ucciso Vega quando Flowers gli ha rivelato la sua vera identità e — momento di silenzio per la dimenticata Lucía — ha dovuto uccidere anche la moglie innocente.»

«Non posso dire in faccia al console americano che è un bugiardo, Javier», protestò Lobo, irritato ora.

«Conosco queste cose, Comisario. Sarò ingenuo negli intrighi del potere, ma non del tutto inesperto. Ma ogni volta che succede una cosa come questa — e non dimentichiamo le scorrettezze finanziarie del suo predecessore, che hanno messo lei nel posto elevato che occupa in questo momento — ogni volta che succede una cosa del genere, un po’ di sudiciume mi rimane addosso e per quanto sfreghi, la macchia traspare sempre. Comincio a pensare di dover rientrare nei miei panni, non fosse che per darmi l’illusione che il bene possa prevalere.»

«Abbiamo bisogno di uomini come lei e come l’Inspector Ramírez, Javier», disse Lobo. «Non dubiti mai di questo.»

«Davvero? Non ne sono tanto sicuro. Gli strumenti dei buoni sono così patetici e prevedibili se messi a confronto con quelli dei cattivi», obiettò Falcón. «Se fossimo davvero gente sporca, con una profonda comprensione della sporcizia grazie agli anni di lavoro in queste istituzioni corrotte, forse dovremmo aver imparato qualcosa e tutta questa conoscenza di prima mano delle forze delle tenebre non dovrebbe andare sprecata.»

«Ecco, questa sì che è un una strada pericolosa da percorrere», avvertì Lobo.


Ramírez e Cristina Ferrera alzarono lo sguardo su di lui per avere un briciolo di speranza, ma Falcón mostrò loro le mani vuote. Nel suo ufficio vide sulla scrivania un foglio di carta, certamente la traduzione della frase in caratteri cirillici che aveva scoperto nella finca. Tenne fermo il foglio con le mani sui bordi e si fece forza per leggere:


Cara mamma, perdonami, ma questa cosa non possiamo più farla.


Uscì dall’ufficio senza dire una parola e andò a prendere Alicia Aguado. Era contento di essere con lei, perché Alicia era contenta e non vedeva l’ora di rivedere Sebastián per un’altra seduta. Si sentiva soddisfatta dei progressi fatti dal giovane. La morte di Pablo lo aveva liberato dal passato e in pochi giorni stava rivelando cose che normalmente sarebbero affiorate soltanto dopo mesi.

Era evidente che Sebastián aveva piacere di rivedere Alicia, pensò Falcón guardando attraverso il vetro invisibile: una volta seduto, il ragazzo scoprì subito il polso, impaziente di cominciare. Falcón non riuscì a concentrarsi sul colloquio, la conversazione avuta con Lobo gli turbinava ancora nella mente formando una triplice spirale elicoidale con Ignacio Ortega e i russi. Ogni pista che portasse ai russi era stata interrotta: Vega, Montes, Krugman erano morti e Vásquez paralizzato dalla paura. L’unica via rimasta, la più buia di tutte, passava per Ignacio Ortega e là si incontravano i tre elementi della spirale. Falcón ricordò le ultime parole di Lobo.

Dalla stanza del colloquio giunse fino a lui una certa tensione e per un momento si concentrò sul dialogo.

«Quanti anni avevi?» era la domanda di Alicia Aguado.

«Quindici. Non era un periodo facile per me: difficoltà a scuola, la vita in casa in un continuo cambiamento. Ero infelice.»

«Dimmi come è successo.»

«Stavamo andando a Huelva in macchina, lui aveva uno spettacolo là e poi avremmo proseguito per Tavira, in Portogallo, per passare il weekend al mare.»

«Perché hai scelto quel momento?»

«Non l’ho scelto. Ero arrabbiato con lui, ero arrabbiato perché non faceva che dirmi quanto fosse in gamba suo fratello, pieno di pensieri, sempre pronto a dare una mano. Mio padre era un disastro nell’amministrare i soldi e Ignacio lo aiutava di continuo. E ci mandava anche gli elettricisti e gli idraulici quando in casa c’era bisogno di riparazioni. Ha perfino rifatto tutto l’impianto elettrico senza farsi pagare. A Ignacio non costava nulla, naturalmente, non era niente per lui, metteva tutto in conto alla ditta. Ma mio padre lo considerava eccezionale. Non si accorgeva di nulla, non vedeva quanto suo fratello lo detestasse, quanto lo disprezzasse per il suo talento e la sua celebrità. Così, in uno di quei momenti, mentre Pablo era lì che lustrava l’immagine dorata del fratello, glielo dissi.»

«Ricordi le tue parole esatte?»

«Ricordo tutto come se fosse ieri», affermò Sebastián. «Gli dico: ‘Sai, quando tu eri lontano in tournée e mi lasciavi da tuo fratello…’ e mio padre si gira verso di me sorridendo, la faccia raggiante di affetto per quanto si aspetta di sentirmi dire, un’altra cosa meravigliosa su Ignacio. Così patetico che quasi non ce la faccio a dirlo, ma la rabbia è troppa e gli sferro il colpo: ‘…lui mi violentava tutte le notti.’ Lui perde il controllo della macchina, che esce di strada e finisce nel fosso semiribaltata. Poi comincia a schiaffeggiarmi sulla faccia, in testa, e io tiro giù il finestrino, riesco a uscire e mi ritrovo nel fosso, ma lui esce aprendo la portiera come se fosse lo sportello di un carro armato e mi corre dietro.

«Con mio padre non si capiva mai quando recitava e quando no, un momento era arrabbiato e subito dopo affettuoso. Ma quel pomeriggio c’era poco da sbagliare, era furibondo. Mi ha raggiunto in un campo lungo la strada, mi ha afferrato per i capelli e mi ha sbattuto di qua e di là, prendendomi a ceffoni con quelle sue mani grosse. Ero ridotto a un bambolotto di pezza. Mi ha stretto la faccia tra le mani e mi ha tirato su di peso e io vedevo le gocce di sudore sulla sua fronte e le labbra bianche che scoprivano i denti e sentivo l’odore del suo alito, mentre mi costringeva a rimangiarmi tutto quello che avevo detto. Mi ha costretto a dire che avevo mentito, a supplicarlo di perdonarmi e quando l’ho fatto lui ha detto che mi perdonava e che non ne avremmo parlato mai più. È stato così, infatti. Da quel giorno in pratica non ci siamo più parlati.»

«Credi che lo abbia detto a Ignacio?»

«Sono sicuro di no. Lo avrei saputo, Ignacio mi avrebbe cercato per minacciarmi.»

Per un momento rimasero in silenzio tutti e due, mentre Alicia soppesava mentalmente l’enormità di quella giornata. Falcón, seduto fuori, ricordò il sogno che gli aveva raccontato Pablo e lo rivide accasciato sul prato. Riusciva a indovinare i pensieri di Alicia dietro gli occhi che non vedevano. Era quello il momento giusto? Quale sarebbe stata la prossima domanda? Quale domanda avrebbe sbloccato e portato alla luce il ragionamento che stava dietro l’azione estrema di Sebastián?

«In questi ultimi giorni hai pensato al motivo per cui tuo padre si è suicidato?»

«Sì. Ho riflettuto molto sul biglietto che mi ha lasciato. A mio padre piacevano le parole, gli piaceva il suono della sua voce, era verboso. Ma in quella lettera si è limitato a una sola riga.»

Silenzio. La testa di Sebastián tremava sul collo.

«E che cosa ha voluto dirti con quelle poche parole, secondo te?»

«Ha voluto dirmi che mi credeva.»

«E perché pensi che fosse arrivato a quella conclusione?»

«Prima della mia condanna mio padre aveva raggiunto un punto della sua vita in cui non si metteva mai in discussione, non so se per via della sua certezza di possedere un grande talento o per via delle piaggerie di quelli che gli stavano intorno, ma era sempre sicuro di avere ragione, di non commettere mai errori… Poi sono stato arrestato. Dopo che mi hanno rinchiuso in carcere non ho più voluto vederlo, perciò non posso esserne sicuro, ma penso che sia stato allora che i dubbi si sono insinuati nella sua mente.»

«Ha dovuto lasciare il barrio», disse Alicia, «la gente lo aveva messo al bando.»

«Nel barrio non era mai stato molto popolare. Lui credeva che tutti lo adorassero come lo adorava il suo pubblico, ma lui non si era mai interessato agli altri. Erano lì solo per la maggior gloria di Pablo Ortega.»

«Questo deve avergli dato un motivo di dubitare.»

«Sì, e anche il fatto che lavorava meno. Ha avuto il tempo di ragionare di più con se stesso e, come so bene io, quando si comincia a fare così le paure e i dubbi ti assaltano da ogni parte e si ingigantiscono. Probabilmente ha parlato con Salvador. Non era cattivo, mio padre, Salvador gli faceva pena e lui lo aiutava, gli dava i soldi per la droga. Dubito che Salvador glielo avesse detto esplicitamente, data la forza della personalità di mio padre e la paura che gli faceva il suo, ma dopo i primi dubbi è probabile che Pablo abbia cominciato a mettere insieme le cose. E alla fine deve aver risolto quell’orribile equazione, che era la somma di tutte le sue paure. Deve essere stato devastante.»

«Ma non trovi che da parte tua sia stata un’azione incredibilmente drastica? Farti rinchiudere qui?»

«Non penserà che lo abbia fatto solo per attirare l’attenzione di mio padre, non è vero?»

«Non so perché lo hai fatto, Sebastián.»

Sebastián ritirò il polso e si coprì la testa con le braccia, dondolandosi sulla sedia per parecchi minuti.

«Forse per oggi è abbastanza», suggerì Alicia, trovando la sua spalla.

Sebastián si calmò, si raddrizzò, le porse di nuovo il polso.

«Avevo paura di quello che stava montando nella mia mente.»

«Parliamone domani», disse Alicia Aguado.

«No, vorrei provare a tirarlo fuori subito», ribatté il giovane, premendosi le dita di lei sul polso. «Avevo letto non so dove… non potevo fare a meno di leggere quel genere di cose. I giornali sono pieni di notizie di violenze sessuali sui bambini e la mia attenzione era sempre attirata da tutte quelle notizie, perché sapevo che mi riguardavano. In quegli articoli trovavo cose che mi facevano venire dei dubbi e poi ho cominciato a scoprire in me una parte di cui non mi potevo più fidare. È iniziato così e alla fine è diventata una certezza nella mia testa. Era solo una questione di tempo prima o poi… prima…»

«Penso davvero che per oggi basti, Sebastián. Stai facendo uno sforzo mentale troppo grande.»

«Per piacere, lascia che ci provi, solo quest’unica cosa!»

«Che cosa trovavi in quegli articoli?» domandò Alicia. «Dimmi soltanto questo.»

«Sì, sì, è cominciato così! Quello che trovavo negli articoli e che mi riguardava era che… che i violentati diventano violentatori. Quando l’ho letto la prima volta mi sono detto che non era possibile… non era possibile che finissi anch’io per avere quella stessa espressione furtiva, allusiva, che aveva lo zio Ignacio quando si sedeva sul mio letto la sera. Ma quando si è sempre soli i dubbi si moltiplicano e davvero avevo cominciato a pensare che anche a me sarebbe potuto succedere, che non sarei stato capace di controllare quella cosa. Già avevo scoperto di piacere ai bambini e che loro piacevano a me, mi piaceva condividere quel mondo innocente, spontaneo, privo degli orrori del passato e delle paure per il futuro, solo il meraviglioso semplice presente. E dentro di me cresceva il timore che un giorno avrei potuto finire per fare qualcosa di innominabile e vivevo in una paura continua. A un certo punto non ne ho potuto più e ho pensato che avrei dovuto farlo e basta. Quando è venuto il momento, però… non ho potuto, ma non importava, ormai era troppo tardi, quella paura dentro di me era troppo forte. Ho lasciato andare Manolo e mentre aspettavo la polizia mi sono ritrovato a pregare che mi chiudessero in una cella e buttassero via la chiave.»

«Non lo hai potuto fare, Sebastián. Non lo hai fatto.»

«La mia paura non mi diceva così, mi diceva che un giorno o l’altro sarebbe successo. Inevitabilmente.»

«Ma che cosa hai provato quando ti sei trovato davanti alla realtà delle tue intenzioni?»

«Ho provato solo repulsione, ho sentito che sarebbe stata una cosa schifosa, innaturale e crudele.»


Falcón lasciò Alicia in Calle Vidrio e proseguì verso casa, per ritirarsi nel suo studio con una bottiglia e un bicchiere pieno di ghiaccio. Dopo quella giornataccia, il whisky sembrava particolarmente buono. Con i piedi appoggiati sulla scrivania pensò all’uomo che era stato solo dodici ore prima. Non si sentiva abbattuto, il che era sorprendente. Anzi, si sentiva curiosamente energico, pieno di grinta e di determinazione, e si rese conto che era la rabbia a farlo sentire così. Voleva riprendersi Consuelo e seppellire Ignacio Ortega.

Virgilio Guzmán arrivò puntuale alle ventidue. Falcón gli versò da bere. Dopo l’esplosione della mattina, si era aspettato che Guzmán lo assalisse subito con la storia dell’insabbiamento alla Jefatura. Invece, seduto lì nello studio, Guzmán pareva solo interessato a parlare della sua vacanza a Maiorca di lì a una settimana.

«Che ne è stato del giornalista in piena crociata che stamani è uscito dal mio ufficio su tutte le furie?» domandò Falcón.

«È sedato», rispose Guzmán. «Ho lasciato Madrid per venire qui, dove avrei condotto una vita più tranquilla ed ecco che impazzisco non appena sento l’odore di quella tua storia. La pressione mi è salita alle stelle. Prendo dei tranquillanti e, lo sai, la vita è proprio piacevole quando ti arriva attraverso un filtro.»

«Significa che lasci perdere?»

«Ordini del medico.»

Rimasero seduti in silenzio mentre Falcón valutava la veridicità dell’affermazione.

«Qualcuno ti ha detto qualcosa, Virgilio?»

«È una comunità molto unita questa di Siviglia. Il giornale non pubblicherà nulla a meno che non lo faccia prima qualcun altro. E sai una cosa, Javier? Non me ne importa un cazzo. Evviva i tranquillanti.»

Falcón gli raccontò tutto della finca di Montes, dei cadaveri nella sierra, degli incendiari, della videocassetta; gli disse dell’originale e della copia che aveva al piano di sopra. Guzmán lo ascoltò annuendo di tanto in tanto, come se ascoltasse storie del genere tutti i giorni.

«Che cosa vuoi ottenere?» gli domandò alla fine. «Quali sono le tue esigenze minime?»

«Mettere sotto chiave Ignacio Ortega per moltissimo tempo.»

«Comprensibile. Pare un individuo molto poco raccomandabile.»

«Trovi che mi sia troppo limitato? Dovrei puntare sulle nostre sacre istituzioni?»

«È il whisky a parlare per te», affermò Guzmán. «Non avresti nessuna possibilità di successo. Concentrati su Ortega.»

«Sembra ben protetto dalle sue conoscenze.»

«E allora, come puoi indebolire la sua rete di protezione e acciuffarlo?»

«Non lo so.»

«Be’, sei stato addestrato a questo scopo, sei stato addestrato a ragionare entro i limiti della legge», gli fece notare Guzmán, posando il bicchiere vuoto. «Ora vado, prima che sia troppo tardi.»

«E non mi dici niente?»

«Non sarebbe giusto che te lo dicessi. Non voglio una responsabilità del genere. La risposta sta davanti a te, ma non voglio influenzarti.»

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