Martedì 30 luglio 2002
Sollevare un lenzuolo di cotone non richiede una grande forza, ma Falcón non riuscì a trovarla, le braccia indebolite dai fallimenti della sera precedente. Era contento di aver già scritto il suo rapporto, perché in quel momento gli pareva di avere due calamari scivolosi al posto delle mani. Il Comisario Elvira aveva voluto che glielo inviasse per fax, malgrado gli avesse già fatto rapporto al telefono mentre riaccompagnava a casa Calderón.
Istantanee degli eventi della sera precedente lampeggiavano nel suo cervello. Primi piani della luce che si spegneva negli occhi di Marty Krugman, Calderón paralizzato sul divano, un’espressione di orrore sul volto mentre il sangue si spandeva sul top di seta di Maddy, un giovane poliziotto che si premeva la mano sulla bocca davanti a quel macello, García che si faceva strada nella stanza scuotendo la testa, loro tre che scendevano le scale, Calderón aggrappato al corrimano, il tiratore scelto, superfluo, seduto davanti nell’auto di García con la custodia del fucile sulle ginocchia, Calderón che riferiva a Inés parlando a monosillabi sul cellulare durante il tragitto di ritorno, i sandali con le stringhe e i tacchi vertiginosi, appuntiti di Inés ferma in piedi sotto la luce dei riflettori davanti alla casa, le braccia di Calderón lungo i fianchi, mani pesanti trenta chili l’una, mentre Inés lo avvolgeva nel suo abbraccio. I loro volti quando lui si era scostato, quello di lei con il labbro inferiore tremante, gli occhi lucidi di lacrime, quello di lui senza vita, a parte un rapido sguardo in tralice che diceva: «Tu mi hai visto, Javier Falcón, ora va’, vai via, lasciami in pace».
La distanza che sette ore di sonno profondo, anestetizzante, avevano messo tra lui e quegli eventi li aveva resi lontani come il resoconto giornalistico di un delitto avvenuto negli anni ’50. Falcón si sentiva diverso, come se un chirurgo, per errore, gli avesse asportato qualcosa che non gli aveva mai causato nessun problema, ma la cui mancanza gli avrebbe cambiato la vita.
Gli tornò in mente la conversazione con Consuelo. L’aveva chiamata stando sdraiato sul letto, solo pochi istanti prima di perdere la cognizione del tempo. L’ultimo scambio:
«È chiaro che Martin Krugman era pazzo», aveva detto lei.
«Davvero?»
Guidò fino alla Jefatura, aggrappato al volante, lo stomaco un buco nero e dolente come se avesse bevuto caffè dopo una brutta sbornia. Entrando nella sala operativa vuota, vide Ramírez in piedi davanti alla finestra. Si sporgeva dal davanzale, appoggiandosi sulle mani.
«Ho sentito del disastro di ieri sera», disse Ramírez. «Sta bene?»
Falcón fece segno di sì, più o meno.
«Elvira ha già chiamato, vuole vederla subito.»
Anche il Comisario era in piedi davanti alla finestra, le mani dietro la schiena, lo sguardo fisso su Parque de los Príncipes al di là di Calle Blas Infante. Faceva così anche il suo predecessore, Lobo: si davano l’illusione del potere contemplando una specie di loro dominio.
«Sieda, Inspector Jefe», disse, scivolando dietro la scrivania con sveltezza e accarezzandosi rapidamente i baffi tra il pollice e l’indice. «Ho letto il suo rapporto e quello del Juez Calderón, arrivato come prima cosa stamani. Sono già in contatto con il console americano che ci chiede una copia dei rapporti. Dovrebbero farsi vivi in mattinata per quella sciocchezza sulla CIA. Non vogliono che l’idea trovi qualche attenzione da parte nostra.»
«Così non attribuisce nessuna credibilità alla cosa, signore?»
«A me pare soltanto la farneticazione di una mente malata», rispose Elvira. «D’altro canto, è vero che, quando avevo sentito dire che il nostro governo aveva mandato le squadre della morte a eliminare le cellule terroristiche dell’ETA, non avevo creduto neanche a quello… non avevo potuto crederci. Perciò, ufficialmente, mi definirei scettico, anche se in privato considero la storia assolutamente fantastica.»
«Sì, era mentalmente disturbato», riconobbe Falcón, «su questo non ci sono dubbi. Ma non si può non prestare una certa attenzione a quanto ha detto. Io sono sicuro che l’FBI non lasci andare i sospetti con tanta facilità e ciò che mi ha raccontato di Reza Sangari corrisponde a quanto mi risultava. Non vedo un motivo per cui dovesse mentire sull’uccisione di quell’uomo… a meno che, nella sua confusione mentale, non credesse che quella trovata gli avrebbe restituito la moglie. Quello che ha blaterato sulla CIA… Chissà. Sono certo che sua moglie non ne ha creduto neppure una parola. Sarà interessante vedere che cosa troverà Virgilio Guzmán su Miguel Velasco.»
«Che c’entra Guzmán?»
«È cileno. Ha contatti con espatriati cileni che possono aiutarci con questo genere di materiale», spiegò Falcón. «Una cosa posso dire su quelle facce viste in sogno di cui ha parlato: una volta Pablo Ortega aveva incontrato Vega al Corte Inglés, e Vega aveva un’espressione allucinata. Immagino che avesse avuto una delle sue visioni.»
«Bisogna che stia attento con Virgilio Guzmán», raccomandò Elvira. «Si dice che non riesca più a giudicare i fatti con obiettività, sembra che veda cospirazioni dappertutto.»
«Ha chiarito l’elemento ’11 settembre’ del biglietto trovato in mano a Vega e questo ci ha aiutato a identificarlo.»
«Non era venuto da lei per il suicidio di Montes?»
«Sì. Io ero andato a parlare con Montes perché avevo trovato il nome di Eduardo Carvajal nella rubrica di Vega. In quell’occasione Montes aveva accennato al ruolo della mafia russa nel commercio sessuale e subito dopo scopro che Vega aveva a che fare con certi russi. Chiedo a Montes se ne avesse sentito parlare e Montes si toglie la vita.»
«Ha parlato di questo con Guzmán?»
«Gliene ho parlato come contesto del suicidio, ma abbiamo un accordo: non avrebbe scritto nulla su eventuali teorie, solo su fatti accertati. E fino a questo momento non abbiamo nessuna prova di un collegamento tra Montes e i russi.»
«Lei mi sta rendendo molto nervoso, Inspector Jefe. Il suicidio di Montes è una faccenda interna, per ora. Se c’è stata corruzione nelle forze di polizia, dobbiamo muoverci con estrema cautela nell’affrontare la cosa.»
«Un giornalista è stato mandato da me in quanto ispettore di polizia incaricato delle indagini. Non ho ricevuto nessuna istruzione su ciò di cui avrei potuto o non potuto parlare con lui. Ritengo che la trasparenza sia la politica migliore con un uomo della reputazione di Virgilio Guzmán. Ha letto il Diario de Sevilla di oggi?»
«Sì. C’era un articolo molto dettagliato sulla carriera dell’Inspector Jefe Montes.»
Falcón annuì, aspettò, ma Elvira non disse altro.
«Credo che dovrebbe far perquisire la casa dei Krugman prima che si facciano vivi gli americani», suggerì Elvira dopo un po’. «Ho già predisposto un mandato.»
Mentre Falcón si avviava alla porta, Elvira disse:
«Se Virgilio Guzmán dovesse avvicinarla a proposito dei fatti della notte scorsa, vorrei che lei fosse molto cauto sulla presenza del Juez Calderón nell’appartamento. Non voglio uno scandalo sul Juez de Instrucción che ha una relazione con la vittima».
«Lo ha ammesso?»
«Gli ho chiesto un rapporto separato sull’argomento. Sembra che fosse ossessionato da quella donna», rispose Elvira. Poi, senza alzare gli occhi dalle carte: «Sono sorpreso che lei non abbia fatto nessuna menzione nel suo rapporto dell’atto di coraggio del giudice».
«Atto di coraggio?» si stupì Falcón.
«’Mentre Krugman puntava l’arma per fare fuoco’», lesse Elvira dal rapporto di Calderón, «’mi sono gettato verso di lui nella speranza di fargli sbagliare mira. Il proiettile ha colpito al petto la signora Krugman. L’Inspector Jefe Falcón non è riuscito a impedire al signor Krugman di puntarsi la pistola in bocca e di uccidersi’.»
«Perquisiremo la casa dei Krugman», si limitò a dire Falcón, uscendo.
«Nemmeno García lo ha notato», disse Elvira mentre la porta si chiudeva.
Tornato nel suo ufficio, Falcón mandò Cristina Ferrera al laboratorio per farsi dare le chiavi della casa dei Krugman da Felipe e Jorge, che le avevano prelevate sulla scena del delitto in Tabladilla. Ramírez era ancora afflosciato sulla sua scrivania.
«CIA?» disse incredulo.
Falcón alzò le mani. «Oppure non CIA, ma qualche vago consulente collegato alla CIA.»
«Fantasia», affermò Ramírez.
«Ammettiamo che la teoria di Guzmán su una cospirazione sia corretta. Se lei facesse parte del governo americano responsabile dei fatti avvenuti in Sud America negli anni ’70 e temesse che Rafael Vega potesse avere in mano la prova del coinvolgimento di alti funzionari dell’amministrazione statunitense… che cosa farebbe?»
«Lo farei fuori comunque.»
«Dice così perché è un bastardo senza scrupoli, José Luis. Il fatto è che non vorrebbe usare la CIA, non è vero? Non avrebbe nemmeno il potere per farlo. Ma devono pur esistere ex membri della CIA, provvisti di contatti e di influenza, che hanno ‘debiti’ sulle spalle. Capisce che cosa voglio dire a proposito di Krugman il Pazzo? Non lo si può liquidare semplicemente così.»
«Io lo farei», affermò Ramírez. «Era troppo instabile per quel genere di lavoro.»
«E se fosse lui la sua sola scelta?» obiettò Falcón. «E che cosa mi dice della sua ammissione finale, che l’Agenzia non voleva Vega morto, perché non avevano trovato quello che cercavano nonostante la sua attività di spia? Un po’ un contraccolpo, non è vero?»
«Vuole dire che avrebbe svolto quell’opera vitale, segreta, ma che nessuna delle informazioni che aveva dato era cruciale al punto da dover uccidere Vega?» domandò Ramírez. «Forse quello che cercavano è chiuso nella cassetta di sicurezza di Vega, per la quale cassetta non abbiamo ancora il mandato di perquisizione.»
«Vedo che sta cominciando a credere, José Luis. Farà bene a ricordare il mandato al Juez Calderón, nel caso che oggi si presenti in ufficio.»
Squillò il telefono e Ramírez andò a rispondere mentre Falcón rifletteva su Krugman. «Loro», ammesso che esistessero, non si sarebbero aspettati che Marty trovasse documenti o video, sarebbe stato pretendere troppo da lui. Krugman era servito solo per conoscere lo stato d’animo di Vega: per esempio, quell’uomo era intenzionato a presentarsi a Baltasar Garzón o ai giudici belgi per offrire i suoi servizi?
«Era il municipio di Aracena», riferì Ramírez, appoggiato allo stipite della porta. «Ha approvato un progetto di ristrutturazione della finca di Montes valutata in venti milioni di pesetas: ricostruzione, ammodernamento completo, impianto elettrico a norma: tutto quanto, insomma.»
Falcón passò la notizia al Comisario Elvira, il quale reagì come se lo avesse sempre saputo. Disse di procedere con la perquisizione in casa Krugman. Quando Cristina Ferrera fu tornata con le chiavi, uscirono tutti e tre diretti a Santa Clara.
La villa, fredda e silenziosa, pareva osservarli imperturbabile mentre si infilavano i guanti di lattice.
«Io vado di sopra», disse Falcón. «Raggiungetemi quando avrete finito.»
«Che cosa dobbiamo cercare?» domandò Cristina Ferrera.
«Un bigliettino di Kissinger che dice ‘Datti da fare, continua a lavorare per noi’», le disse Ramírez. «Dovrebbe bastare.»
Falcón salì al piano superiore. La porta della stanza dove erano esposte le opere di Maddy Krugman era aperta. Tutte le fotografie erano state tolte dalle pareti e solo una era rimasta, su un basamento al centro della stanza: figura ritagliata e ingrandita di Vega a piedi nudi sul prato montata in un blocco di plexiglass e dentro il blocco trasparente erano sospese, simili a scheletri di foglie autunnali, impronte spettrali di mani umane che sembravano premersi contro la figura solitaria, imprigionata là dentro, imprigionata nella sua stessa storia come un insetto nell’ambra. Attaccato al blocco di plexiglass un cartoncino stampato, scritto in spagnolo: Las Manos Desaparecidas. Le mani scomparse.
Andò nella stanza dove lavorava Maddy: Cristina Ferrera avrebbe impiegato una giornata a esaminare tutte le stampe, le diapositive, i negativi, controllandoli uno per uno. Alle pareti erano appoggiate le fotografie incorniciate che Falcón aveva visto appese nell’altra stanza, le guardò rapidamente, cercando quella che Maddy aveva scattato di lui, ma trovò la cornice vuota. Nel cestino della carta vide la sua immagine tagliata a striscioline.
Marty Krugman usava come studio una delle camere da letto: c’erano una scrivania, un computer portatile e un tavolo da disegno. Rotoli di progetti negli angoli. Falcón controllò i cassetti della scrivania. Trovò un quaderno di scuola con una raccolta dei pensieri di Krugman, o così pareva.
La noia è la nemica dell’umanità. Perciò noi uccidiamo.
Il torturatore impara dall’agonia delle sue vittime, trasformata dal potere.
È la colpa a definirci come esseri umani, ma, consumando la mente, distrugge ciò che ci rendeva esseri umani. Solo con una confessione pubblica la nostra umanità viene restaurata. Questa è la misura della nostra dipendenza reciproca.
Falcón lesse rapidamente fino all’ultima frase.
So che cosa stai facendo. Io ti incatenerò, ti rifiuterò cibo e acqua, ti osserverò sbiadire e spaccarti e mi farò scorrere sulla lingua un ricco vino rosso mentre tu muori.
Ecco il problema di Krugman: era simile a un testimone inaffidabile che salisse sul banco. La sua lucidità era sempre contaminata dai batteri dell’emozione.
Ramírez si affacciò sulla soglia.
«Ha visto la mostra?» gli domandò Falcón. «Le mani scomparse?»
«Sono salito per farle in privato la domanda di Cristina», disse Ramírez. «Che cosa cazzo cerchiamo?»
«Quella foto… crede che si tratti di un’interpretazione artistica di Maddy Krugman su ciò che passava per la mente di Vega oppure la signora sapeva di più?» continuò Falcón. «Qui c’è un quaderno con i pensieri di Krugman… parla della mente di un torturatore.»
«Non si tratta di vere tracce», disse Ramírez, «non si possono usare.»
«Siamo qui perché Elvira vuole coprirsi le spalle. È scettico, ma vuole essere sicuro che non ci sia nessun collegamento palese tra Krugman e — come dire? — un americano misterioso. Ciò significa che dobbiamo esaminare di nuovo tutte le fotografie di Maddy Krugman e…»
«Ma se fotografava sconosciuti!»
«Però nessuno che parlasse con il marito giù al fiume.»
«E ammettendo che troviamo una foto?»
«Di nuovo scettico, José Luis», disse Falcón. «Se quindici anni fa le avessi detto che la mafia russa avrebbe controllato il settanta per cento del mercato della prostituzione in Europa, mi avrebbe riso in faccia. Ma ormai tutto è possibile. La gente ha cominciato a vedere gli aeroplani come bombe, si può comprare una nuova identità per le strade di qualunque città europea in quarantotto ore per poche migliaia di euro. In qualche minuto un AK-47 può essere nostro, esistono cellule di Al-Qaeda in quasi ogni Paese del mondo. Perché la CIA non dovrebbe avere in corso una piccola operazione a Siviglia, quando l’Europa intera è ormai una civiltà dove ribollono anarchia e decadenza?»
«Per favore, mi ricordi di vivere nella paura, Javier», commentò Ramírez. «Secondo me il punto è questo: che succede se troviamo una foto di Krugman con un americano misterioso? Il consolato nega tutto, Krugman era un pazzo che ha ucciso la moglie e se stesso. E noi che facciamo?»
«Sono morte sei persone in meno di una settimana, cinque delle quali erano vicini di casa. Perfino se non fossi un poliziotto troverei la cosa molto strana. Potremmo forse essere in presenza di una sorta di implosione collettiva inconscia, dove ogni decesso o suicidio produce una pressione mentale sulla vittima successiva. Oppure… potremmo semplicemente non vedere i collegamenti, perché non sappiamo abbastanza.»
Il cellulare vibrò nella sua tasca. Elvira lo convocava subito alla Jefatura, stava arrivando qualcuno del consolato americano. Falcón lasciò gli altri alla loro ricerca e tornò a Calle Blas Infante.
Il consolato americano aveva inviato un funzionario addetto alle comunicazioni di nome Mark Flowers, un uomo sulla cinquantina, di bell’aspetto, abbronzato e con capelli neri sicuramente tinti. Parlava un castigliano perfetto ed era perfettamente al corrente di tutto. «Ho letto i due rapporti, quello dell’Inspector Jefe Falcón e quello del Juez Calderón. Mi hanno informato che sono stati scritti separatamente. Nell’insieme i particolari sembrano combaciare e, data l’assenza di contraddizioni serie, ho ritenuto di poter riferire al console che li ritenevo accurati e veritieri. Entrambi i rapporti sono stati perciò inviati alla CIA a Langley per avere i loro commenti. Negano categoricamente di sapere qualcosa non solo di Marty Krugman, ma anche del cosiddetto consulente, Foley Macnamara. Il Comisario Elvira ha anche domandato se alla CIA risultasse che un certo Miguel Velasco, alias Rafael Vega, un ex militare cileno, fosse stato addestrato dalla CIA. Mi hanno informato di aver fatto ricerche su tutto il loro personale fin dalla creazione della CIA dopo la seconda guerra mondiale e nessuno con quel nome ne ha mai fatto parte. Hanno anche fatto presente che in nessun momento durante gli eventi della scorsa notte Marty Krugman ha mai fatto riferimento a Rafael Vega come Miguel Velasco. E hanno avuto l’impressione che quanto ha detto Krugman fosse la sua interpretazione dei problemi mentali del signor Vega. È stato Krugman a dedurre che Vega fosse stato un militare cileno coinvolto nelle torture. Descrivono il signor Krugman come un classico mitomane con un’immaginazione compromessa da psicosi, un uomo che, data la sua esperienza personale della politica sudamericana di quel periodo, non avrebbe avuto difficoltà a…»
«Di quale esperienza personale nella politica sudamericana si tratta?» lo interruppe Falcón.
«L’Immigrazione ha fatto una ricerca sugli spostamenti di Marty Krugman al di fuori degli Stati Uniti. Hanno trovato che il Sud America lo interessava molto, tanto, date anche le sue idee liberali e di sinistra, da compiere ben quattro viaggi in Cile tra il marzo 1971 e il luglio 1973. Come sapete, durante il governo di Allende, l’amministrazione americana era seriamente preoccupata degli sviluppi della politica marxista cilena e di conseguenza i cittadini americani che si recavano in quel Paese erano controllati da vicino.»
«Che cosa sapete della prima moglie di Vega e di sua figlia?» domandò Falcón.
«Come potete immaginare, in questo caso è più difficile verificare. Sappiamo soltanto che né Miguel Velasco, né Rafael Vega si sono sposati negli Stati Uniti», rispose Flowers.
«Mi riferivo al fatto che, secondo Krugman, l’angoscia di Vega nasceva dalla paranoia che fossero stati i suoi nemici a uccidere l’intero nucleo familiare della figlia.»
«Chi sarebbero questi nemici?»
«Quelli che lo hanno inserito in un programma di protezione dei testimoni a cui ha ritenuto di doversi sottrarre.»
«Forse le interesserà sapere che la ricerca della CIA sul personale militare cileno ha rivelato come Miguel Velasco fosse un famigerato membro del regime di Pinochet, noto per le sue tecniche di interrogatorio assolutamente non convenzionali e molto sgradevoli. Il movimento rivoluzionario di opposizione, il MIR, lo conosceva con il soprannome di El Salido: il pervertito.»
«Ma che cosa ha da dire la CIA sulla parte dell’FBI nella faccenda? Di sicuro la CIA non poteva non interessarsi a un uomo che abbandona un programma di protezione dell’FBI dopo aver testimoniato in un processo sul traffico di droga», disse Falcón.
«La CIA ha esaminato quei documenti solo alla luce del comportamento e delle asserzioni di Krugman. So che hanno un dossier su Miguel Velasco a causa delle sue azioni sotto il governo Pinochet. Se fosse esistito qualcos’altro, naturalmente sarebbe stato agli atti.»
«Lei ha fornito risposte con grande rapidità ed efficienza», si complimentò Falcón.
«Si fanno un vanto di essere rapidi ed efficienti», convenne Flowers. «Dall’11 settembre ci sono stati cambiamenti nel Servizio, specialmente sulla prontezza nel trattare tutte le questioni che abbiano un riferimento a quella data, anche se in questo caso si riferiva al 1973.»
«Avevo inserito un breve resoconto del caso Vega nei rapporti», intervenne Elvira, «a scopo di delucidazione.»
«È stato molto utile, Comisario», lo ringraziò Flowers.
«Quale sarebbe la reazione della CIA se potessimo fornire prove fotografiche degli incontri tra il signor Krugman e… i funzionari del governo americano?» domandò Falcón, cominciando a trovare Mark Flowers un po’ troppo corretto e complimentoso.
«Una reazione di estrema sorpresa, immagino», rispose Flowers, del tutto impassibile.
«Come sa, la moglie di Krugman era una fotografa molto conosciuta e attiva. Amava particolarmente scattare foto di gente giù al fiume, cioè dove il marito ha detto di incontrarsi con ‘Romany’, secondo il nome in codice.»
Flowers batté le palpebre, ma non disse nulla. Porse a Elvira il suo biglietto da visita e uscì.
«Ha qualche prova fotografica?» domandò Elvira.
«No, Comisario», rispose Falcón, «era solo un modo per concludere una linea di indagine. O Krugman era un mitomane, e allora non sentiremo più parlare di Flowers, oppure stava davvero fornendo informazioni e allora qualcuno al consolato sarà molto in ansia. Mi piacerebbe essere informato, se dovesse ricevere qualche comunicazione da parte di un’autorità più elevata.»
Squillò il telefono di Elvira e Falcón si alzò per accomiatarsi, ma il Comisario lo fermò con un gesto della mano, rimase in ascolto, prese un appunto e riattaccò.
«Era un funzionario del comune di Aracena», riferì. «Ha appena saputo dai vigili del fuoco che l’incendio di questi ultimi giorni nei boschi intorno ad Almonaster la Real è di origine dolosa. Hanno rintracciato il focolaio in una finca isolata di proprietà dell’Inspector Jefe Alberto Montes. L’interno della casa è stato distrutto quasi completamente, ma è stato rinvenuto un rudimentale timer: a loro parere era stato collegato a un dispositivo incendiario che ha dato fuoco a una grande quantità di benzina.»